Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso
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domenica 12 febbraio 2023

Quarant'anni di autonomismo sotto le meteoriti

 


Per una serie di circostanze personali e familiari mi sono trovato a riflettere sul fatto che per quarant'anni ho sostenuto, spesso esponendomi a rischi superiori alle mie forze e quindi anche a monumentali fallimenti, le autonomie personali, sociali, territoriali in questa Repubblica, e oltre.

Mi è tornato in mente che attorno ai vent'anni, in un convegno di giovani cristiani attratti dall'impegno sociale e politico, ascoltai con entusiasmo Silvia Costa che ci spiegò il problema della "spesa storica". La dottoressa Costa era una giovane dirigente della Democrazia Cristiana (riuscì a entrare in parlamento solo nel 1985, ma forse questo mio ricordo è precedente).

La "spesa storica" era già chiaramente ingiusta allora, quarant'anni fa, anche agli occhi di coloro che non avevano mai riflettuto sui meccanismi del colonialismo interno e in particolare sulle conseguenze che questo aveva avuto per il Meridione e per altri territori periferici rispetto allo sviluppo della cosiddetta "modernità" (da toscano non posso non ricordare l'abbandono sistematico dell'Appennino).

Con quel sistema di finanza locale, più fondi si sono dati ai territori che erano già più popolosi, più sviluppati, con una rete storicamente più forte di servizi pubblici locali. Più risorse a chi aveva già di più, meno risorse a chi aveva meno, insomma, condannando a restare indietro le aree meno popolate, meno sviluppate, meno dotate d'infrastrutture e servizi.

Gli investimenti e i trasferimenti dalle zone privilegiate a quelle marginali c'erano stati e ce ne sarebbero stati anche successivamente, ma era chiaro, già allora, che qualche intervento straordinario non avrebbe mai potuto correggere la distorsione dei meccanismi ordinari. 

Un sistema centralizzato fa crescere qualche capitale (Milano e Roma), qualche distretto industriale meglio posizionato (nel triangolo Torino-Genova-Milano o in qualche provincia ben collegata con esso o con l'Europa), persino qualche area agroindustriale (l'Emilia), ma inevitabilmente condanna allo spopolamento e al declino tutto il resto.

Sentire in questi giorni che ancora si discute, dopo quarant'anni, di come superare la "spesa storica", produce l'effetto di una frustata.

Evidentemente, quarant'anni di autonomismo sono stati sconfitti, ma - spes contra spem - forse non sono trascorsi invano.

Anche se non erano chiari a tutti i pericoli del centralismo, principi autonomisti erano vivi nelle comunità politiche più forti, quelle che avevano fondato la nuova Repubblica italiana: i cristiano-sociali, i cattolici liberali, i socialisti, il mondo liberalsocialista, i riformisti (che già allora prevalevano nelle strutture del Partito Comunista nelle regioni rosse).

Con la crisi della partitocrazia, poi, assistemmo alla nascita di nuovi movimenti civici, le liste "Federalismo", le liste verdi, le prime leghe, le reti per la democrazia dal basso. Realtà che erano spesso figlie, o almeno sorelle, di una concezione decentralista della vista economica e sociale.

Grazie alla prevalenza fra la gente di convinzioni autonomiste, il cambiamento è parso per decenni a portata di mano: la Repubblica delle Autonomie, da vago ideale costituzionale coltivato in reazione al centralismo autoritario fascista (in parte realizzato solo nelle sei autonomie speciali di Aosta, Bolzano, Trento, Friuli-Venezia Giulia, Sicilia, Sardegna), sarebbe senz'altro diventata realtà anche nelle quindici regioni a statuto ordinario, nelle province, nelle grandi città, nei piccoli comuni.

A ben guardare, ancora oggi, dopo decenni di fallimenti autonomisti e di riforme decentraliste mancate, sono pochi i politici che si dichiarano apertamente centralisti, perché pesa ancora oggi nella vita pubblica il grande favore popolare per le autonomie locali.

Persino alla sterile e talvolta surreale discussione ventennale sulla cosiddetta "autonomia differenziata" prevista dalla riforma costituzionale del 2001, hanno partecipato tutti i governi e tutte le regioni (salvo, credo, gli Abruzzi e il Molise, come si vede nella cartina pubblicata a margine di questo scritto, tratta da Il Messaggero).

Poi cosa è successo? Provo a elencare alcune delle meteoriti che ci hanno colpito, trovandoci completamente impreparati. Ciascuna di esse capace di provocare l'estinzione di ogni mentalità decentralista.

Non ho alcuna pretesa di essere efficace, né esaustivo, né di porre queste gigantesche questioni in un ordine appropriato di rilevanza o cronologia.

Per cominciare, le forze livellatrici e distruttrici della globalizzazione hanno sconvolto i territori e le economie locali. Sono forze ecocide e genocide (Pasolini l'aveva ben compreso). Non c'era alcuna speranza di frenarle perseguendo la propria piccola autonomia (l'illusione dei cialtroni il cui motto era "padroni a casa nostra"). Tuttavia resta sotto gli occhi di tutti che coloro che hanno un po' di autonomia, in Italia e nelle vicinanze, in Trentino, nel Sudtirolo, nei cantoni svizzeri, negli stati austriaci, a Malta, in Slovenia e in Croazia, persino a San Marino, hanno resistito meglio e i loro territori sono autentici esempi positivi per la costruzione di ciò di cui abbiamo, credo, bisogno: una internazionale decentralista (decentralism international), un movimento globale per l'autogoverno di tutti dappertutto, contro tutti gli stati, contro tutti i colonialismi, vecchi e nuovi.

Secondariamente, i trattati dell'Unione Europea hanno concentrato a Bruxelles, spesso ben al di là delle intenzioni dei contraenti, un potere ampio e penetrante nella carne viva dei popoli e dei territori europei. Un potere che è tecnocratico senza essere sovrano, cioè - per seguire la provocazione del prof. Carlo Galli - capace di opprimere senza offrire in cambio alcuna protezione. Tuttavia l'Unione Europea è ancora uno spazio geopolitico dove reggono forti garanzie giuridiche a tutela dei diritti degli individui e delle comunità. Il Parlamento europeo non dovrebbe più essere visto, tanto meno da noi autonomisti, come un cimitero di elefanti, ma un'arena in cui una nuova generazione di leader civici, ambientalisti, autonomisti deve entrare e portare avanti la lotta per le autonomie personali, sociali, territoriali, nel nome dei nostri antichi ma sempre giovani principi di sussidiarietà.

Inoltre, dal 1981 la Repubblica italiana ha cominciato a scivolare pericolosamente nella privatizzazione del debito pubblico, lasciato nelle grinfie di una finanza globale speculatrice, cieca e folle. Una deriva che ha portato (non solo l'Italia) nel disastro dell'austerità. Si noti bene: non solo l'Euro, ma già la Lira aveva smesso di servire come moneta di scambio e istituzione politica di redistribuzione. Il tema è gigantesco e largamente incompreso, non solo non nel nostro mondo autonomista, come ben si comprende confrontandosi con le ricerche, fra gli altri, del prof. Luca Fantacci. Tuttavia noi siamo gli unici che possiamo affrontarlo di petto istituendo con coraggio, in ciascuno dei nostri territori, le monete locali che servono.

Queste tre gigantesche questioni, va da sé, sono ancora più difficili da affrontare nel quadro del generale declino della libertà d'informazione e del pluralismo politici. In questo nostro stato italiano, per la nuova generazione di leader civici, ambientalisti, autonomisti che, attraverso Autonomie e Ambiente, stiamo cercando di far crescere, farsi largo nella giungla delle leggi elettorali, bucare il tetto di vetro del conformismo mediatico, vincere la crescente diserzione delle urne, è una impresa sovrumana. Tuttavia l'impegno civile nonviolento dal basso, la partecipazione diretta alle elezioni, l'assunzione di responsabilità amministrative, la lotta per il ripristino di regole democratiche elementari, la resistenza contro tutte le forme di presidenzialismo (elezione mediatica dell' "uomo solo" al comando), sono l'unica strada che possiamo percorrere. Strada che peraltro il nostro mondo civico, ambientalista, autonomista non deve percorrere in solitudine, ma insieme a tante persone che, indipendentemente dalla cultura politica in cui si sono formate, abbiano comunque una mentalità decentralista.

Ho avuto il piacere, proprio in queste ultime ore, di leggere una riflessione in diversi punti convergente con la mia, quella dell'avvocato Luigi Basso, sulla quarantennale sterilità degli autonomisti. Voglio credere che il mondo autonomista si stia liberando dai pesi morti che ci hanno impedito di vedere, giudicare, agire con maggiore costrutto, qui nello stato italiano: leghismo, nordismo, sudismo, autonomismi veteronazionalisti (non di rado alfieri della "indipendenza" di "nazioni" attualmente prive di popolo), avventurieri, ciarlatani, narcisi, chiacchieroni.

Il nostro cammino è e resterà lungo, tortuoso, difficile. Tuttavia abbiamo radici in parole vive, come quelle della Carta di Chivasso. Parole più necessarie che mai in questo mondo dominato da concentrazioni di potere capaci di condurre il mondo sull'orlo dell'autodistruzione.

Non siamo molti, né molto capaci, né più molto giovani. Tuttavia stiamo difendendo l'unica forma di socialità umana che rende pienamente libera e degna la vita umana: la comunità locale, con la sua economia locale, con le sue tradizioni e libertà, con le proprie originali istituzioni di autogoverno.

Quando nel 2043 festeggeremo il centenario della Carta di Chivasso, avremo consegnato alle generazioni future il nostro importante messaggio. 

Se un giorno tornasse davvero un Cosmonauta Francesco sulla Terra, alla fine del XXI secolo, forse non troverà tutto ciò che è stato immaginato, ma almeno ci sarà ancora vita, diversità, libertà.

Mauro Vaiani


giovedì 17 marzo 2022

Appello di Autonomie e Ambiente per il 2023


Pochi giorni fa, per la precisione il 9 marzo 2022, Autonomie e Ambiente ha pubblicato un appello per la formazione di una lista dei territori per la Repubblica delle Autonomie. Non in solitudine, si specifica, ma cercando alleanze con tutte le forze storiche delle Autonomie e con quelle tantissime realtà civiche, ambientaliste, autonomiste, localiste, decentraliste, territorialiste, che si stanno moltiplicando in tutti i territori della Repubblica.

L'appello è articolato in dodici punti, molto densi, che richiedono a chi li voglia approfondire qualcosa che oggi è rara avis: capacità di studio, scelte di campo, senso di sacrificio. Non è, evidentemente, scritto per tutti. L'appello si rivolge a persone che coordinano realtà e lotte territoriali, che si sono già presentate alle loro elezioni locali, che amministrano o hanno amministrato.

Si capisce subito, dalla lettura dell'appello, che i movimenti di Autonomie e Ambiente, durante questi ultimi due anni di crisi pandemica, si sono schierati contro le torsioni autoritarie e il delirio del #GreenPass. Si comprende che la sorellanza decentralista è appassionata di economie locali e ispirata da decenni di resistenza alle storture della globalizzazione. Molto nette sono le prese di posizione contro il presidenzialismo e contro tutte le concentrazioni di potere. Tuttavia il mondo che potrebbe riunirsi in Autonomie e Ambiente, in una comune battaglia contro il centralismo dello stato italiano e della tecnocrazia europea, è ampio e diversificato. Non si sta unendo in un partito, ma anzi aspira a far arrivare nel prossimo parlamento una nuova ed estremamente plurale generazione di leader locali.

Interessante è la rivendicazione delle radici storiche. Ormai è raro incontrare in politica iniziative che abbiano una memoria così lunga. L'appello cita un elenco esemplare di padri costituenti: il valdostano Giulio Bordon, il toscano Piero Calamandrei, l'umbro Tristano Codignola, il siciliano Andrea Finocchiaro Aprile, il sardo Emilio Lussu, il romagnolo Aldo Spallicci, il friulano Tiziano Tessitori. Ciascuno di essi è stato "autonomista" a suo modo ma di certo, se le loro idee avessero prevalso, la nostra Repubblica Italiana sarebbe oggi molto più fedele al progetto di Repubblica delle Autonomie inciso nella Costituzione. Non saremmo ancora la Svizzera, ma di certo saremmo molto meno arretrati, dal punto di vista della qualità e della responsabilità dell'autogoverno locale, di quanto siamo oggi.

 

L'appello politico-elettorale è accompagnato da una suggestione grafica molto significativa (vedi immagine qui sopra): una carrellata di sei simboli che sono stati usati in quasi mezzo secolo di alleanze tra forze politiche territoriali. La suggestione contiene un messaggio che solo coloro che hanno partecipato in prima persona a questo dialogo tra forze locali possono ascoltare.

La sfida di Autonomie e Ambiente è quella di tramandare alla generazioni future sentimenti apparentemente lontani nel tempo e nello spazio, eppure incredibilmente convergenti come l'antico autonomismo antifascista della Union Valdôtaine, la storica rivendicazione dell'identità e dell'autogoverno friulano, l'autonomismo della Romagna e della Toscana, la voglia di riscatto di Napoli, la rivolta di una terra come la Calabria contro un feroce neocolonialismo interno, l'anticolonialismo esplicitamente indipendentista di Sicilia e Sardegna.

Per approfondire, si deve leggere integralmente l'appello:

https://www.autonomieeambiente.eu/appello-2023

Su uno dei siti più attenti ai movimenti profondi della politica italiana, "I simboli della discordia", Gabriele Maestri ha dedicato un ottimo articolo ad Autonomie e Ambiente: 

https://www.isimbolidelladiscordia.it/2022/03/autonomie-e-ambiente-il-progetto-e.html

Non si dimentichi che Autonomie e Ambiente è strettamente connessa con una piccola ma combattiva famiglia politica europea, l'Alleanza Libera Europea, meglio nota come European Free Association (EFA). Si tratta della componente, interna al gruppo verde nel Parlamento europeo, che raccoglie le storiche nazioni senza stato, come Catalogna e Corsica, ma anche tantissimi autonomisti ambientalisti da tutto il continente. Per chi volesse approfondire questo aspetto:

https://www.autonomieeambiente.eu/chi-siamo

Un'ultima annotazione la vogliamo fare riguardo allo studio di simbolo con cui si presenta Autonomie e Ambiente (riprodotto in cima a questo post). Non è un simbolo elettorale definitivo, quello verrà scelto più avanti dalle forze della sorellanza, ma contiene senza dubbio alcune idee forti: la scelta ecologista, la critica dell'Europa così com'è oggi, l'antiautoritarismo del "Ragazzo che sorride" (lo Smiling Boy del Forum Civico di Vaclav Havel). Non si può fare a meno di notare, infine, in questa famiglia politica confederalista, la centralità della persona umana e delle comunità in cui essa si realizza. E' per la persona e le sue comunità più prossime e quindi più vitali, che Autonomie e Ambiente ha abbracciato la suggestione dell'autogoverno di tutti dappertutto, tanto cara al nostro blog.

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sabato 1 gennaio 2022

L'avvenire autonomista


 

Buon anno 2022!

Celebriamo l'anno nuovo con una immagine del 1992, di trent'anni fa. 

Le abbiamo dato appena un tocco di viola, colore di speranza e rispetto. L'originale era, ovviamente, in bianco e nero.

Il lavoro autonomista consuma intere esistenze, spesso senza apparente successo, ma resta uno dei più preziosi e necessari per le generazioni future. L'autonomismo ha radici molto più antiche, ovviamente, ma in quegli anni cominciò a prendere forma anche in Toscana una rinnovata mentalità autonomista democratica, radicalmente decentralista e ostile a tutte le concentrazioni di ricchezza e di potere.

Nella mappa troverete i nomi dei tanti territori che formano la nostra penisola, insieme ad etichette che segnalano la presenza di antiche diversità e quindi ricchezze culturali. Con la maturità, l'esperienza, gli studi, oggi ne aggiungeremmo moltissime altre!

Non fu e non è ancora oggi, tuttavia, una nuvola caotica di parole. La loro disposizione evoca le forme dell'arco alpino, della penisola, delle grandi isole. Tutt'intorno, con altre parole, si accenna alla grande ricchezza di diversità presente nel nostro immediato vicinato.

State pronti, perché l'avvenire è autonomista, semplicemente perché non ci sono alternative, come questa pandemia-sindemia dovrebbe aver reso chiaro a tutti. Essere comandati, fin dentro il nostro stesso corpo, da pochissimi, dall'alto, da lontano, da altrove, sommersi di divieti, costretti in un continuo stato di emergenza, avrà pure insinuato qualche dubbio.

L'autogoverno di tutti dappertutto e il conseguente rifiuto di ogni centralismo autoritario, sono il nostro futuro, se ne avremo uno in cui la parola umanità avra ancora il significato che le diamo oggi.

Guardiamo a Svizzera, Svezia, San Marino e teniamo desta la speranza.

Continuiamo a impegnarci per il buongoverno dei nostri paesini, frazioni, quartieri e rioni, in Toscana; per tutte le autonomie personali, sociali e territoriali in questa Repubblica; per un'Europa diversa; per un mondo liberato da vecchi e nuovi colonialismi.  

 

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Se siete impegnati nel civismo ambientalista e autonomista toscano, iscrivetevi al canale Telegram https://t.me/OraToscana



venerdì 8 ottobre 2021

Autonomie a San Vincenzo e a San Carlo

 


 

Si può essere autonomisti solo facendo azioni politiche autonome. Decenni di pensiero e azione devono concretizzarsi in una nuova stagione di civismo, ambientalismo, autonomismo, anche qui in Toscana.

In assoluta autonomia, con le loro forze, con il proprio sacrificio e la propria dedizione, i cittadini di San Vincenzo hanno reagito alla storica crisi del loro comune con una proposta originale, quella di Officina San Vincenzo, che si è concretizzata nella lista civica che ha vinto le elezioni del 3-4 ottobre 2021, portandoli ad amministrare il loro comune con Paolo Riccucci come sindaco.

Questo blog li ha conosciuti solo attraverso il loro programma. Documento che ci è parso così serio e coraggioso, da farci dubitare che avrebbero avuto sufficiente consenso, in questi anni bui di disinformazione, propaganda centralista, bullismo da parte di quasi tutti i partiti nazionali.

Invece, con un po' di fortuna, grazie all'empatia dei loro candidati e al sacrificio dei loro attivisti, hanno prevalso, sia pure di poco, sulle altre tre liste con cui erano in competizione. Una comunità di 5.000 persone circa ha potuto così conoscere una storica alternanza di personale e comportamenti politici.

Del programma di Officina San Vincenzo vogliamo riprodurre un ampio stralcio dal capitolo dedicato al paese di San Carlo. Nella nostra visione decentralista e nel nostro impegno per una rivoluzione paesana in Toscana, ci sembra quello che contiene la sfida più bella e più grande: far vivere una San Carlo più autonoma dentro un comune di San Vincenzo più autonomo dal verticismo e dall'affarismo della politica delle alte sfere. Buona lettura!

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Per San Carlo - estratto dal programma di Officina San Vincenzo 2021

Ragionando in termini generali, San Carlo è forse la più grande occasione persa per la Val di Cornia. Le caratteristiche della frazione di San Vincenzo sono tali da garantire enormi potenzialità alla comunità che lo anima (o dovrebbe animarlo) e all'intero comprensorio.

Le potenzialità di San Carlo nella promozione del territorio, nella conservazione dell’ambiente collinare, nella rappresentazione plastica degli effetti dell’attività estrattiva del Novecento, sono un’occasione persa dalle ultime amministrazioni che non hanno saputo leggere le trasformazioni economiche e sociali del territorio e non hanno saputo integrare San Carlo nel sistema della Parchi Val di Cornia per realizzare una continuità storica e culturale tra le attività estrattive etrusche, romane, medievali, moderne e contemporanee sul massiccio di Monte Calvi.

La posizione posta tra le colline ne fa la porta naturale del sistema dei Parchi della Val di Cornia e potenzialmente è collegabile con il sistema urbano attraverso una sentieristica dalla Val di Gori nonché dal Masseto è collegabile al sistema costiero. In più le colline a nord, nel Comune di Castagneto Carducci e a nord-est nei comuni di Sassetta e Suvereto sono senz'altro tra le più interessanti dal punto di vista ambientale e paesaggistico della costa Toscana. Fare sistema con questi comuni permetterebbe un ulteriore sviluppo di sentieri e ippovie, facendo scoprire aspetti del territorio totalmente diversi da quelli attualmente offerti. In chiave di destagionalizzazione, le offerte paesaggistiche, culturali ed archeologiche che le nostre colline possono offrire sono un elemento chiave sinora ignorato.

La nostra amministrazione si impegnerà a sviluppare questi concetti in chiave del cosiddetto EcoMuseo, ovvero museo diffuso che valorizza tutte le risorse del territorio.

Neppure il rapporto con le cave è stato interpretato in modo proficuo per la collettività. A fronte di un ritorno occupazionale sempre più limitato, si è accettato di ampliare le concessioni di escavazione e si è permesso il completo asservimento della sponda sanvincenzina della Valle delle Rozze al transito del minerale via camion e treno. Il controllo sul rispetto del piano di escavazione è insufficiente quando non apertamente assente e ad oggi il piano di ripristini dei fronti vecchi è ad un grado di avanzamento ridicolo rispetto al piano approvato ormai 15 anni fa.

Il progressivo ampliamento dei fronti cava sta compromettendo la risorsa paesaggistica sancarlina senza che si sia prevista una immediata ed efficace azione di riappropriazione di spazi ormai dismessi alla collettività in modo da poterli rendere fruibili e, in prospettiva, punti di interesse di nuovi modelli turistici che si basino supaesaggio, storia (antica e moderna) e cultura.

Non sono solo i dintorni del paese a rappresentare una riserva di attrattive. Il tessuto urbanistico del paese è pressoché intatto e non c'è dubbio sul valore edilizio e sull'innovazione che, per l'epoca, ha rappresentato la ripartizione spaziale tra gli immobili e la sapiente alternanza tra spazio pubblico e spazi privati.Le poche contaminazioni recenti hanno certamente interrotto – anche brutalmente – il disegno originario ma il paese rimane attrattivo e piacevole nonché di sicuro interesse per un progetto di turismo culturale di livello avanzato.

Anche di questo patrimonio non c'è consapevolezza e la dimostrazione lampante è proprio il percorso urbanistico – pieno di contraddizioni e in bilico tra legalità ed illegalità – dell'area “Pellegrini”.

Neppure da un punto di vista prettamente amministrativo si sono voluti eliminare una volta per tutte, gli impedimenti ad una concreta attuazione di obiettivi di breve – medio – lungo periodo. Sappiamo infatti che gran parte delle resedi, delle vie e delle aree verdi di San Carlo, sono ancora oggi proprietà della Solvay. Se in epoche ormai lontane la Solvay si prendeva cura persino meglio del Comune delle resedi in questioni, le attuali logiche di mercato che condizionano le conduzioni aziendali non permettono più una simile coesistenza. Un lavoro minuzioso e capillare è stato fatto negli ultimi anni a San Vincenzo per strappare le resedi stradali degli accessi a mare dalle residue proprietà nobiliari. Un lavoro logico, sebbene in quei casi non fossero sorti particolari impedimenti all'attività amministrativa, perché l'Ente puntava a poter disporre in modo autonomo di un elemento strategico vitale per la fruizione di un bene economico di enorme rilevanza: la spiaggia.

Non altrettanto è stato fatto nei confronti della Solvay nonostante per la natura e la mole delle aree siano sorti più ostacoli alla cura e riqualificazione dei luoghi nel tempo e nonostante vi fosse lo strumento perfetto per procedere all'acquisizione delle aree: il rinnovo della convenzione per le escavazioni. Viceversa si è deciso di non decidere e rimandare ancora un nodo che dovrà essere sciolto per poter ben disporre amministrativamente della Frazione.

Infine i servizi, tutti. Dalle strade al digitale, dall'acqua ai rifiuti, dal trattamento dei reflui ai trasporti pubblici, dalla pulizia alla cultura. San Carlo è carente da tutti questi punti di vista e rischia in un prossimo futuro di esserlo ancora di più.

Va naturalmente messo in relazione il numero degli abitanti con il costo dei servizi e si può affermare che il Comune di San Vincenzo non ha una immediata motivazione economica nell'investire davvero su San Carlo. Questo perché non esiste una prospettiva chiara che faccia prendere coscienza della grande potenzialità della frazione.

Il circolo vizioso deve essere spezzato (per quanto sia complesso e impossibile l'obiettivo senza una sensibilità ritrovata da parte di San Vincenzo e delle Istituzioni) attraverso la comprensione dei valori identitari dei luoghi, delle colline e delle storie che possono raccontare i muri, spesso scrostati, delle “case Solvay”.

Una strategia pubblica, ampia e coerente che comprenda le risorse e le potenzialità del territorio che ci circonda è l'unica possibilità che abbiamo per concretizzare molte risorse del nostro paese.

(...)

Il comune può e deve, nel concepire la propria azione in materia culturale, pensare che non esiste solo San Vincenzo ma anche la frazione.

Durante l'inverno il luogo che deve animarsi e diventare circolo di scambio culturale è la sala del consiglio di frazione. Giusto che si possano ospitare nella sala ogni sorta di corso o riunione ma sarebbe auspicabile che le istituzioni manifestassero la propria presenza. Le possibilità in tal senso sono numerosissime (punto libri, circoloscambio permanente, sala lettura e incontro ecc ...) e possono anche darsi specifici obiettivi come ad esempio integrare le ospiti della comunità presente nella frazione nelle attività sociali e ricreative che si possono organizzare. In epoche ormai remote i

giovani del Nobiscum organizzavano cineforum nella sala multimediale a San Vincenzo, nulla osta che iniziative simili possano essere intraprese a San Carlo con il patrocinio e tutta la collaborazione possibile e immaginabile dell'amministrazione.

(...)

Non si è neppure riusciti a restituire alla pubblica fruizione in tempi ragionevoli porzioni di territorio non più soggette ad escavazione ma, al più, ad opere di ripristino (in gravissimo ritardo). Rimando in tal senso all'esame della situazione delle cave che dimostrerà una volta di più quanto lavoro ci sia da fare per operare un cambiamento nella disponibilità dei beni comuni della Frazione.

Polveriere, spogliatoi, manufatti a servizio del pompaggio delle acque, tutti manufatti generalmente costruiti tra gli anni Venti e i Cinquanta del 900, con caratteristiche edilizie e morfologiche fortemente caratterizzate ed evocative che molto bene si presterebbero a qualsiasi uso a servizio di un progetto ampio di valorizzazione di uno dei più straordinari comparti culturali – lavorativi – storici – archeologici esistenti in Europa e forse al mondo.

Cave e miniere dagli Etruschi al Novecento passando per il medioevo. Il lavoro e la vita di ina comunità attraverso tre millenni, le speranze, le tecnologie, le storie di grandi sviluppi, bruschi arresti, profondissime crisi. Il ciclo del lavoro del minerale dagli Etruschi ai nostri giorni attraverso la storia della metallurgia e siderurgia, e i forni dell'allume solo per limitarsi alle straordinarie risorse in campo minerario – metallurgico. Ma c'è molto altro, dallo sfruttamento del bosco all'agricoltura (non si dimentichino il frantoio di San Silvestro), dalle testimonianze dei commerci nel golfo di Populonia alla pesca.

Il tutto da collegare allo studio delle essenze vegetali di cui si vantano endemismi spettacolari del tutto sconosciuti agli stessi abitanti della Frazione. Il parchetto pubblico tra via Canova e la fermata del bus pullula di Ophrys apifera, sui fronti cava dismessi si possono studiare le varie stratificazioni botaniche dalle pioniere alla gariga alla macchia mediterranea.

San Carlo potrebbe essere il cuore pulsante di uno degli esperimenti di valorizzazione di un patrimonio culturale ricco ed esteso su tre millenni più significativi d’Italia, forse d’Europa.

Servizi di foresteria e bivacco, aree di sosta per approfondimenti e aree da destinarsialla libera fruizione per escursionisti sul modello scandinavo.

(...)

Le cave hanno creato San Carlo (sulla rimozione del castello di Biserno) per come la conosciamo. Hanno rappresentato il luogo di lavoro e di formazione culturale individuale e collettiva per generazioni di cittadini. Oggi questa realtà è molto diversa.

L'attività estrattiva non può garantire un rilancio della frazione sia perché le logiche aziendali non sono più improntate al modello paternalistico del secolo scorso, sia perché il numero degli occupati è poco significativo se comparato a quello di 30-40 anni fa ed è in continuo calo.

A fronte del minor beneficio economico per il territorio si è assistito ad un progressivo e rapido incremento delle escavazioni grazie a mezzi meccanici sempre più produttivi.

Le amministrazioni comunali non hanno mai messo in atto nessun serio e concreto programma di riconversione delle basi economiche della Frazione.

Conseguentemente le colline scompaiono e la Frazione deperisce.

Invertire la tendenza significa inevitabilmente avere un approccio diverso con le cave e una autonomia progettuale assoluta sulla Frazione.

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Fonte: 

https://officinasanvincenzo.altervista.org/



 

 

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domenica 27 settembre 2020

I leader locali restino sul territorio e i decentralisti sinceri restino uniti

 

27 settembre 2020

Noi elettori siamo persone fisiche, in carne e ossa. Stiamo invecchiando. Stiamo diventando in gran parte inesorabilmente più poveri, a causa degli eccessi della globalizzazione e degli errori strutturali della organizzazione finanziaria e monetaria della Eurozona. Siamo stati storditi dalla pandemia e tuttora ci sentiamo insicuri non solo per l'inevitabile diffusione del nuovo virus, ma soprattutto perché essa è diventata un potente alibi per imporci soluzioni centraliste e autoritarie, sempre più dall'alto e da altrove. 

Proprio mentre tra di noi dilaga l'analfabetismo funzionale, siamo bombardati da una comunicazione conformista, bigotta e reazionaria (ma anche le poche voci dissenzienti rischiano spesso di aggiungere confusione, perché suonano troppo arrabbiate, a tratti avvelenate da complottismo e settarismo). 

Siamo governati da elite globaliste che continuano a disprezzare le economie locali e a lasciare che interi territori si spopolino, che identità e culture vengano cancellate, che delicati ecosistemi vengano distrutti in nome dell' "export" o del "turismo". Imperialismo e colonialismo continuano a dilaniare il pianeta.

La gente comune ci ha provato, a cambiare. Non siamo mai stati disponibili a cambiare voto come in questi anni. In pochi anni, infatti, hanno ricevuto massicci apporti del nostro voto "liberato" personaggi come Matteo Renzi, Beppe Grillo, Matteo Salvini e chissà, magari la prossima volta toccherà a Giorgia Meloni.

Coloro che sono attivisti civici, ambientalisti e soprattutto autonomisti, localisti, decentralisti, invece, sono - siamo - ancora così pochi, così impreparati, inariditi e dispersi.

Proprio noi che dovremmo essere tra i pochi ad aver compreso fino in fondo che non esistono soluzioni globali (ma nemmeno europee, tanto meno italiane) ai problemi della globalizzazione, siamo drammaticamente divisi, incerti, subalterni.

I risultati delle nostre liste locali, in sei delle sette regioni della Repubblica italiana che sono andate al voto, ci parlano chiaramente dei nostri limiti politici e quindi anche organizzativi. 

Le nostre liste non non sono partite in Liguria e nelle Marche. Sono rimaste emarginate in Veneto. Sono state escluse in Toscana. Sono state ignorate dagli elettori in Campania. Riflettiamoci sopra.

Prendiamo atto della nostra incapacità di parlare a (e di organizzare in una effettiva resistenza locale) larghi strati popolari, ma non dimentichiamo che è successa anche un'altra cosa, forse non del tutto negativa. 

In modo incredibilmente netto, contro ogni previsione e nonostante la grancassa mediatica, stavolta alle regionali non hanno dominato i messaggi unitari e unificati, semplificatori e inevitabilmente ingannevoli di sinistra, centrosinistra, pentastellati, centrodestra.

Nemmeno Matteo Salvini, che è ancora uno dei più pompati imbonitori in circolazione, è riuscito a dominare totalmente la scena con la sua pretesa di avere la soluzione "italiana" ai problemi dei territori.

Anche un elettorato invecchiato, impoverito, impaurito come quello di questo inizio degli anni '20, è riuscito a capire che non si poteva votare una soluzione "italiana", perché, come la crisi sanitaria ha dimostrato una volta di più, non esistono soluzioni "italiane" unitarie ai problemi dei diversi territori.

Michele Emiliano in Puglia, Vincenzo De Luca in Campania, Giovanni Toti in Liguria, Luca Zaia in Veneto, persino Eugenio Giani in Toscana, hanno vinto perché erano ciò la gente chiedeva: leader locali, concentrati sui problemi del loro territorio. La stessa cosa vale anche per le Marche, dove il centrosinistra è stato battuto perché i suoi capi del loro territorio non si sono occupati a sufficienza. La stessa cosa vale anche per la Valle d'Aosta (dove la competizione elettorale era meno polarizzata e quindi forse meno insana), dove alla fine i vincitori morali sono gli autonomisti e in particolare la Union Valdôtaine, cioè il partito del territorio per definizione e per eccellenza. La stessa cosa, a ben guardare, la si registra anche altrove, in tante elezioni comunali.

Non sappiamo se Emiliano, De Luca, Toti, Zaia, Giani e altri leader locali resteranno concentrati sugli immensi problemi che li aspettano nei loro territori, nei lunghi anni di "vacche magre" che abbiamo davanti, oppure se saranno distratti o attratti dalla competizione politica italiana od europea. Sarebbe un tradimento per i loro popoli e un peccato per questa Repubblica delle Autonomie, che, senza forti leader locali, è destinata alla rovina.

Di certo sappiamo cosa faranno gli autonomisti di Liguria, i localisti di Marche e Puglia, i napoletanisti, i venetisti, gli attivisti del Patto per la Toscana, gli autonomisti valdostani, le tante realtà collegate nella rete Autonomie e Ambiente: saremo lì, nei nostri territori, a riorganizzarci e a rinnovarci, per il bene delle nostre comunità locali, per la protezione delle nostre economie locali, per sperimentare le nostre monete locali.

Impareremo dai nostri errori e resisteremo contro le idee sbagliate dell'Italia, dell'Europa, della globalizzazione, che sono ancora dominanti e che stanno distruggendo il pianeta, l'Europa e l'Italia.

Tempo al tempo. Restiamo uniti contro tutte le forme di centralismo autoritario. Animo!


venerdì 3 luglio 2020

Autogoverno per tutti dappertutto



La rivista QM - Il Brigante, edita da Gino Giammarino, ha pubblicato nel numero di giugno 2020 un intervento dell'autore di questo blog, Mauro Vaiani. E' stata l'occasione per presentare, su una importante rivista meridionalista e anticolonialista, la rete interterritoriale Autonomie e Ambiente, legata a EFA.

Soprattutto, però, è stata l'occasione per riproporre il tema, di ben più ampia portata, che va molto oltre la politica contingente, del bisogno universale di autogoverno, che è ormai in procinto di diventare un movimento universale per l'autogoverno di tutti, dappertutto. Dalla nostra Toscana alle più remote province cinesi, questo movimento internazionale per il decentralismo, investirà tutti gli stati centralisti e autoritari della Terra.

Il quaderno di giugno sarà presto disponibile online sul sito dell'editore. Intanto ne pubblichiamo qui uno stralcio:

"Ci si è messi al servizio di una idea che, per quanto tenuta nascosta dal conformismo dei media, è sempre più attuale e urgente: l’autogoverno è un bisogno umano fondamentale di questo millennio; è nel cuore di ogni persona umana connessa con la modernità e la globalizzazione; riguarda tutti i territori; investirà gli assetti politici di tutti gli stati. La nuova rete politica [Autonomie e Ambiente], insomma, si pone all’interno di quello che non si deve esitare a definire un movimento universale per l’autogoverno di tutti dappertutto.
 

Per coloro che volessero approfondire le origini e le potenzialità di questo  movimento mondiale per l’autogoverno, ci permettiamo di rinviare agli studi iniziati da Karl Deutsch sin dagli anni sessanta, quando il grande politologo mise precocemente a fuoco come la persona umana, una volta connessa con la modernità, sarebbe diventata non solo capace ma assetata di “mobilitazione sociale”. Non da sola, non solo come individuo, ma anche come membro
della propria comunità. 


Si ricorda qui Deutsch, tra le mille letture decentraliste, localiste, federaliste, autonomiste, indipendentiste, anarchiste, anticolonialiste che potremmo consigliare, perché Deutsch fu uno dei pochi a comprendere che il decentralismo non sarebbe stato solo una opinione, un desiderio, un progetto politico tra i tanti, ma qualcosa di molto più grande: un bisogno umano
di massa.


Il mondo in cui viviamo è dominato non solo da pochi grandi stati centralisti o dall’Unione Europea, ma da molte altre grandi concentrazioni di ricchezza e di potere. Esse stanno cercando di impedire alle persone umane di realizzare il loro bisogno di autogoverno nel proprio territorio, ma possiamo avere una qualche fiducia nel loro sicuro fallimento. Un vecchio detto toscano recita:
l’acqua e il popolo, non si può tenere.


Non è solo questione di Paesi Baschi, Catalogna, Bretagna, Fiandre, Scozia, Quebec, Veneto, regioni che soffrono il centralismo degli stati di cui fanno parte. Non ci sono solo Sicilia, Sardegna, Corsica, isole trattate come colonie che giustamente ospitano ampi movimenti indipendentisti. Non si tratta solo dello storico persistere di istanze autonomiste in Toscana, Acquitania o Baviera. Ci sono intere comunità native che si ribellano agli stati latino-americani. Ci sono movimenti separatisti nella maggior parte dei paesi dell’Africa e dell’Asia. Ci sono repubbliche e regioni autonome che stanno chiedendo più autogoverno nella Russia di Putin. Ci sono Vermont, Hawaii, Portorico, che chiedono l’indipendenza dall’impero USA. 

Nella sola Cina, che la grancassa mediatica vuole raccontarci come se fosse un monolite pronto a dominare (fosse anche “benevolmente”) il mondo, ci sono almeno un centinaio di nazioni diverse che vorranno autogovernarsi esattamente come tutti gli altri territori del mondo, nazioni alle cui aspirazioni il regime comunista centralista di Pechino dovrà prima o poi cedere [per quanto possa sembrare incredibile oggi...].

Poiché questo scritto sarà pubblicato proprio nel bel mezzo della grande pandemia del coronavirus, vorremmo raccomandare a tutti uno sguardo diverso, più critico, sul mondo globalizzato. Il pericolo sanitario ha fatto moltiplicare le esibizioni muscolari da parte dei grandi poteri centrali, ma alla fine coloro che se la saranno cavata meglio con il nuovo virus saranno proprio i governi locali più rappresentativi, più vicini alla propria gente...".


domenica 14 giugno 2020

How to Shutdown USA Empire with Caitlin Johnstone



I met Caitlin Johnstone on Twitter and I immediately appreciated her anti-interventionist and anti-imperialist arguments, starting from her opposition to USA-Western-Globalist interventionism in Afghanistan, Syria, Iran, and militarist propaganda against Russia, China, and elsewhere. I don't know much about her education, and political background, if she had any, but I bet she knows enough about George Orwell and many others anti-totalitarian writers.
She lives in the periphery of the USA-Western-Globalist Empire, and precisely in Melbourne, the capital of the Australian state of Victoria. Then, she is a candid provincial, living very far from the imperial centers, like me. In time, I understood she is a world-class public intellectual.
I consider her a perfect embodiment of the active, connected, politically aware and socially mobilized citizen of our contemporary world. More precisely, a tangible proof that social mobilization, as envisaged by the great Karl Deutsch, is a reality.
I consider her a de-facto contributor to what I define Decentralism International, along with many other anti-colonialists, localists, autonomists, independentists and independentistas, who are active in every corner of the world.
Decentralism is growing in the contemporary world, and of course changing, making people of very different background to come along together, against centralism. Decentralism meets profound human needs that globalization has empowered instead of repressed, as I argued in my research Disintegration as Hope.
For Caitlin Johnstone opposes centralized, militarized, authoritarian USA-Western-Globalist Empire, she is also hated by the many who are messing with centralism.
Geopolitically speaking, radical-chic leftism, cleptocrat democratic centrism, neoconservative warmongering rightism, all are subaltern to USA-Western-Globalist centralism, militarism, and imperialism.
They all have many more biases in common, about "global change", "global progress", "global defense", than what their leaders, intellectuals and elites would love to admit.
They simply do not want to acknowledge that structural racism, social injustice, colonialist militarism, cannot be resolved by those who created them. 
Puerto Rico, Vermont, Hawaii, as independent states, will be able to do something about, not certainly the USA Presidency or global financial elites.
But I will return on this many more times, hopefully discussing with person like Caitlin Johnstone.
For the moment, among so many lovers of centralism and imperialism and therefore haters of Caitlin Johnstone, nobody will doubt I side on her.And I strongly recommend to follow her.

lunedì 11 maggio 2020

Salvare la democrazia, abolendo l'odiosa tessera elettorale...



Rilancio anche dal mio blog personale una bella presa di posizione di Autonomie e Ambiente, che propone poche urgenti, semplici, possibili cose per salvare la democrazia locale in tempi di coronavirus.

Vi invito a leggerla e a diffonderla, ovviamente, ma voglio aggiungere una cosa come lavoratore del sistema elettorale sostanziale che, come sapete, è affidato a noi che lavoriamo nei comuni.

Ebbene, la semplice abolizione, senza se e senza ma, della odiosa e inutile tessera elettorale, sembra una piccola cosa, ma farebbe, da sola, di più per la salvezza della Repubblica e per tener viva la democrazia, di mille altre cose inutili e impossibili (e spesso costose) che vengono partorite dai "legislatori" di oggi.

Eccovi i link dalle reti sociali di Autonomie e Ambiente, per leggervi questo bel comunicato decentralista della Sorellanza:

https://www.autonomieeambiente.eu/news/13-questioni-urgenti-di-democrazia-nel-dopocoronavirus/

https://www.facebook.com/AutonomieeAmbienteUfficiale/posts/137999864474090

https://twitter.com/rete_aea/status/1259840352023908359/



martedì 17 marzo 2020

Salviamo la Repubblica dal virus del centralismo



17 marzo 2020

Non scherziamo con i virus, con quelli che passeranno, come il #coronavirus, e con quelli che non vogliono passare, come le follie del centralismo autoritario. No a questa orrenda "disunità italiana". Sì alla Repubblica delle Autonomie, nello spirito della Carta di Chivasso, restando attaccati agli ideali di una Europa delle regioni, dei popoli, dei territori, oltre che connessi con tutte le battaglie anticolonialiste e decentraliste del mondo.

Una lettura contro il virus del centralismo

A coloro che ancora civettano con il #centralismo, che prospettano, per il dopo emergenza #coronavirus, una società ancora più centralista e più autoritaria, che sono pronti a invocare il prossimo sindaco, podestà o duce d’Italia (o magari dell’intera Europa, che sarebbe anche peggio), raccomandiamo di usare il tempo della quarantena per leggere qualcosa di un tantino più profondo, come queste eterne riflessioni di Tocqueville, che riportiamo qui di seguito, contro chi oscilla sempre tra “servitù e licenza”.

Cosa mi importa, dopotutto, che vi sia un’autorità sempre pronta, che veglia a che i miei piaceri siano tranquilli, che vola davanti a me per allontanare i pericoli dal mio cammino, senza che io abbia bisogno di pensare a tutto questo; se questa autorità, nel tempo stesso che allontana le più piccole spine sul mio passaggio, è padrona assoluta della mia libertà e della mia vita; se monopolizza il movimento e l’esistenza al punto che quando essa languisce, languisce tutto intorno a lei, che tutto dorme, quando essa dorme, che tutto perisce quando essa muore? Vi sono in Europa certe nazioni in cui l’abitante si considera come una specie di colono indifferente al destino del luogo in cui abita. I più grandi cambiamenti sopravvengono nel suo paese senza il suo concorso; egli non sa precisamente quel che è successo e ne dubita, poiché ha inteso parlare dell’avvenimento per caso. Non solo, ma il patrimonio del suo villaggio, la pulizia della sua strada, la sorte della sua chiesa e della sua parrocchia, non lo toccano affatto; egli pensa che tutte queste cose non lo riguardano in alcun modo, perché appartengono ad un estraneo potente, che si chiama il governo. Quanto a lui, non è che l’usufruttuario di questi beni, senza spirito di proprietà e senza idee di miglioramento. Questo disinteresse di se stesso si spinge tanto in là che se la sua sicurezza o quella dei suoi figli è compromessa, invece di cercare di allontanare il pericolo, egli incrocia le braccia per attendere che l’intera nazione venga in suo aiuto. Quest’uomo, del resto, benché abbia sacrificato completamente il suo libero arbitrio, non ama l’obbedienza più degli altri; si sottomette, è vero, al beneplacito di un impiegato, ma si compiace di sfidare la legge, come un nemico vinto, quando la forza si ritira. Così oscilla senza tregua fra la servitù e la licenza.1
1 Alexis de Toqueville, De la Démocratie en Amérique, Parigi, 1835-40. Edizione italiana: La democrazia in America, Rizzoli, Brescia, 1995, pp.96-97.


Questo è il nostro regalo a tutti i cittadini di una Italia che, non dimentichiamolo, nacque sbagliata, come Regno conquistato il 17 marzo 1861, e che solo con la Costituzione del 1948, con la fondazione di una Repubblica di Autonomie, ha ricominciato lentamente a risalire la china della storia in cui il centralismo autoritario l’aveva precipitata. No, per noi oggi non è la giornata della “unità nazionale“, semmai di una virale ipocrisia da cui la Repubblica delle Autonomie dovrebbe guarire, una volta per tutte.


domenica 16 febbraio 2020

Resistenza dei territori contro il presidenzialismo


Molti di noi siamo tornati a impegnarsi in politica nel 2016, contro le riforme ultracentraliste di Renzi e Verdini, fedeli a una visione che abbiamo coltivato sin da ragazzi, man mano con sempre maggiore chiarezza, fra tanti errori e limiti personali: lasciare alle generazioni future un vero #Autogoverno della #Toscana; all'interno di una #RepubblicadelleAutonomie che somigli alla #Svizzera, non alla Turchia; nel quadro di una nuova confederazione che realizzi gli ideali evocati con i motti #EuropadelleRegioni, #EuropadeiTerritori, #EuropadeiPopoli.
Quindi, assieme a molti movimenti territorialisti, localisti, autonomisti, federalisti, indipendentisti, decentralisti da ogni angolo d'Italia e d'Europa, cominciando dal nostro prossimo raduno di #Udine del 21 febbraio 2020, chiamiamo alla #Resistenza contro la minaccia centralista e autoritaria del #presidenzialismo.
  • No all'elezione diretta del presidente della Repubblica italiana.
  • No all'elezione diretta del presidente del consiglio dei ministri e no a ogni forma di #premierato o #cancellierato.
  • No a una repubblica dominata da un unico #capopolitico o comunque da una cerchia ristretta di padroni dei media e delle risorse.
Diciamo NO, inoltre, a ogni sistema elettorale che, come dice il conformismo dominante nei media italiani e come ripetono spesso #Renzi, #Salvini e #Meloni, ci dica chi ha vinto "la sera stessa dello scrutinio".
Non c'è nulla di facile in questa nuova #Resistenza, perché dobbiamo batterci, da subito, contro l'eterno ritorno del bieco e crudele centralismo italiano, prima sabaudo, poi nazionalista, poi colonialista e guerrafondaio, poi fascista, poi postfascista negli anni della Ricostruzione (che fu anch'essa centralista, concentrata sulle aree industriali del Nord, sulla crescita abnorme di Roma come capitale burocratica e parassitaria, sul neocolonialismo nei confronti del Sud e delle isole).
Solo in parte la bestia centralista italiana è stata tenuta sotto controllo dalla Costituzione, dagli Statuti speciali, dagli Statuti regionali e comunali, dall'architettura della #RepubblicadelleAutonomie, che infine è stata sfigurata dalle cosiddette "riforme".
La bestia non è mai stata completamente legata e oggi è tornata libera, pronta a divorarci.
Ha dominato gli ultimi 25 anni, grazie alla subalternità ad essa da parte di gran parte dei prodiani e dei berlusconiani.
Ha fatto fallire tutti i progetti di decentramento e federalismo, che negli anni novanta avevano il consenso di due terzi della popolazione della Repubblica.
La bestia odia le nostre comunità locali, le nostre culture native, le nostre differenze, la nostra resilienza economica e sociale, il nostro rifiuto del neoliberismo.
Ci odia in quanto non abbiamo mai accettato di essere sufficientemente sudditi delle elite centraliste dominanti.
Ha ottenuto il controllo del processo di unificazione europea e ha prosperato sui guasti della globalizzazione. Tra elite centraliste italiane, europee e globali c'è una alleanza di fatto. Chi non la vede, è perduto!
Ha in ultimo conquistato l'egemonia culturale sulla sinistra con #Renzi (anche i se-dicenti antirenziani sono stati contagiati dalle sirene del centralismo), sul centro con #Salvini, sulla destra con la #Meloni.
Ebbene, non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo stare a guardare, subire passivamente, tanto meno arrenderci.
Lotteremo con tutte le forze e fermeremo i progetti di Renzi, della Lega di Salvini, di Fratelli d'Italia e di tutti i loro ascari.
Ne va della nostra buona vita locale, dei nostri beni ambientali e culturali, del futuro delle nostre famiglie, imprese e comunità.
Fermeremo la deriva italiana verso la Turchia e lotteremo per tornare a guardare verso la Svizzera, attaccati ai valori della Carta di Chivasso del 1943, della Costituzione, delle lotte anticolonialiste per l'autogoverno di tutti, dappertutto.




lunedì 25 novembre 2019

Decentralismo in Italia, che fare?



In queste ultime settimane si sta accelerando un "dialogo di autogoverno" tra alcuni movimenti politici territoriali, attivi nella Repubblica Italiana, che è andato avanti per oltre un anno. Si sta avvicinando il momento di decidere sul "che fare".
Come attivista per l'autonomia della Toscana ho condiviso con Francesco Marsala (il responsabile relazioni esterne dei Siciliani Liberi, che ha, tra le altre, forti relazioni con attivisti per l'autogoverno della Sardegna) e con Roberto Visentin (un autonomista friulano impegnato nel Patto per l'Autonomia Friuli-Venezia Giulia), alcuni pensieri che spero incontrino consenso e che possano al più trasformarsi in azione.
Dobbiamo fare rete tra di noi, oltre che con il civismo, le lotte ambientaliste dei territori, il localismo che fiorisce in ogni angolo della Repubblica, mantenendo fermi due punti di riferimento. Il primo è il nostro rapporto con la Union Valdotaine, che è, al momento, il più importante movimento autonomista popolare e di governo, oltre che, attraverso il senatore Albert Lanièce, una componente fondamentale del gruppo parlamentare delle Autonomie. Il secondo è l'appoggio allo sforzo di riorganizzazione in Italia dell'Alleanza Libera Europea - ALE (European Free Alliance - EFA), portato avanti, sotto l'impulso della presidente europea Lorena Lopez de Lacalle (Eusko Alkartasuna), da quattro forze territoriali storiche che da anni sono parte di ALE-EFA: Slovenska Skupnost; Patrie Furlane; Pro Lombardia Indipendenza; ALPE - Autonomie - Liberté - Participation - Écologie (della Valle d'Aosta).
Dobbiamo dimostrare resilienza, insieme, perché la Repubblica è percorsa da tensioni centraliste drammaticamente pericolose, che si manifestano nella produzione legislativa italiana e nella pratica quotidiana dei governi centrali. Uno dei punti più drammatici è quello delle leggi elettorali vigenti, che attentano direttamente alla rappresentanza dei territori (mentre sono state rese note persino proposte di modifica della Costituzione che porrebbero fine all'elezione su base regionale del Senato). La Repubblica delle Autonomie è in pericolo. Si lasciano inattuate e anzi si minano le autonomie esistenti, altro che "concedere" autonomie ulteriori! Quella delle tre bozze di attuazione della cosiddetta "autonomia differenziata" per Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, che dovrebbe aprire la strada anche ad analoghe richieste da parte di altre regioni, è, a questo proposito, una vicenda tristemente emblematica di come si possano portare avanti per anni discussioni mediatiche strumentali, su presupposti sbagliati, con proposte normative che sarebbero o inattuabili, oppure, se attuate, peggiorative delle possibilità di autogoverno responsabile dei territori interessati. Siamo arrivati a questo punto, così tragicamente basso, attraverso un lungo processo di avvelenamento del dibattito pubblico italiano, iniziato quando il panorama politico italiano ha cominciato a essere popolato da "uomini soli al comando", padroni del loro partito, dei loro gruppi parlamentari, dei governi di cui si sono trovati responsabili. E' una sirena sempre accesa, quella che promette ai popoli italiani, di volta in volta, un nuovo "capo", magari eletto direttamente, scelto attraverso l'illusione mediatica, tra chi si presenta meglio o urla più forte in tivù. E' una deriva, che tocca anche a noi fermare (forse soprattutto a noi, come già abbiamo fatto nel 2016, quando abbiamo contribuito a sconfiggere il progetto di una repubblica in stile "Turchia" promosso da Renzi, Boschi e Verdini). 
Dobbiamo avere coraggio, riunendoci al più presto in momenti di studio e di approfondimento, perché la situazione ambientale, economica e sociale, ci chiama a scelte radicali. Come abbiamo scritto nel documento del II congresso CLT, la sfida globale per salvare il pianeta e la stessa vita umana sulla Terra, richiede "azione locale". Ambiente e autogoverno sono due facce della stessa medaglia. Non può esserci tutela dell’ambiente senza autogoverno locale, perché tutto ciò che ci è raccomandato dalla comunità scientifica internazionale ha bisogno di attuazione territorio per territorio, valle per valle, fiume per fiume, strada per strada, campo per campo, fosso per fosso, da parte di istituzioni locali più forti e più responsabili di quelle che abbiamo oggi. Stiamo parlando di una svolta necessaria e urgente, che richiede di mettere fortemente in discussione il modo in cui nella Eurozona e nella Repubblica si amministrano le risorse. Se vogliamo salvare l'ambiente e la vita umana nella nostra Europa delle regioni, dei territori, dei popoli, dobbiamo sederci e parlare, tra di noi e con tutta la politica europea, di come correggere gli errori dell'eterna austerità, delle catene del debito, degli eccessi del neoliberismo, del commercio internazionale iniquo. Contiamo, per questo, fra gli altri possibili contributi, sulla guida scientifica dell'economista professore Massimo Costa, punto di riferimento dei Siciliani Liberi e non solo.
Il decentralismo italiano, che è parte integrante del movimento europeo e globale per l'autogoverno responsabile di tutti e dappertutto, deve farsi un regalo, al più presto, magari entro Santa Lucia, prima delle feste del cuore d'inverno: stringiamo la nostra nuova allenza attorno alle nostre parole più importanti, autonomia e ambiente, e facciamo vedere all'opinione pubblica italiana ed europea che la nostra forza tranquilla, radicata da sempre nella storia della penisola da sempre, c'è e si farà sentire.

Mauro Vaiani Ph.D.
(25 novembre 2019)

venerdì 4 ottobre 2019

Liberi Toscani alla manifestazione del 12 ottobre 2019






Una delegazione di "Liberi Toscani" sarà presente alla manifestazione del 12 ottobre 2019 a Roma, convocata sotto il motto "Liberiamo l'Italia". Tra gli altri ci saranno Fabrizio Valleri, Costanza Savio, Chicco Vita, Michele Bazzani.

La manifestazione è organizzata da una galassia di gruppi, attivisti, intellettuali in rotta di collisione contro lo status quo, le catene del debito, l'austerità, il pensiero unico eurinomane, i trattati ingiusti (non solo il CETA), il militarismo, l'imperialismo, il neocolonialismo (anche quello interno, che distrugge le periferie dell'Eurozona, che opprime la Catalogna, la Corsica, la Sardegna e la Sicilia).

Incontreremo e ascolteremo figure che stimiamo, come Alberto Micalizzi, Mauro Scardovelli, Paolo Maddalena, Stefano Sylos Labini.

E' stato deciso che non ci siano insegne di partito, ma solo simboli repubblicani e ciellennisti. Per questo anche noi toscanisti e localisti esponiamo solo l'insegna dello storico Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, una esperienza storica non solo di resistenza antifascista, ma anche fucina di riflessioni decentraliste e antiautoritarie.

Andiamo a Roma con umiltà, ma con alcune idee chiare in testa, che in parte sappiamo condivise, ma che in parte sono originali e forse anche critiche, rispetto agli appelli diffusi dagli organizzatori.

1) Evitiamo la narrazione semplicistica che i guai di questa Repubblica sono venuti con l'Euro. Tutto era già cominciato con il passaggio alla gestione di "mercato" del debito pubblico, quindi almeno dal 1981. Rileggiamoci, almeno noi qui in Toscana, in proposito, i lavori divulgativi di Francesco Gesualdi (Le catene del debito, 2013). Anche quella della Lira non era una "area valutaria ottimale". Le periferie della zona Lira - in particolare il Sud, ma non solo il Sud - erano già soggette a svuotamento di persone, risorse, cultura e dignità. La distruzione delle comunità locali, la svendita dei loro beni comuni, l'attacco ai servizi pubblici universali, c'erano prima dell'Euro e, se non cambiamo profondamente strada, resteranno anche dopo l'Euro.

2) La sacrosanta protesta contro le tecnocrazie deve restare democratica e libertaria, anticolonialista e internazionalista. Mai confondersi con gente bigotta e reazionaria. Mai affiancarsi a forze centraliste, nazionaliste, intrinsecamente autoritarie (e non stiamo parlando solo del salvinismo, perché il centralismo autoritario è una malattia che inquina l'intero spettro politico italiano).

3) Non perdiamo di vista la nostra gente, in particolare gli umili, ma anche le classi medie che si stanno impoverendo e le ultime ondate di giovani che hanno dovuto fuggire all'estero. Le necessarie riforme contro la concentrazione di ricchezze e di potere, l'accumulazione di capitali virtuali, la circolazione di merci spazzatura e la tratta dei nuovi schiavi, gli "schiavoratori", dobbiamo farle in collegamento e in solidarietà internazionale con tutto il resto dell'Eurozona e oltre. IN ATTESA DI POTER CAMBIARE LO STATUS QUO DEI TRATTATI INGIUSTI EUROPEI E ATLANTICI, DOBBIAMO LOTTARE INSIEME PER DARE IMMEDIATO SOLLIEVO ALLA NOSTRA GENTE. Per esempio dirottando da subito partite come gli incentivi nocivi all'ambiente e le spese militari, verso i lavoratori poveri; cristallizzando e monetizzando il debito pubblico, per ridurre la spesa per gli interessi; spostando al più presto risorse e personale, poteri e compentenze, dagli inefficienti e costosi ministeri centrali alle amministrazioni comunali che sono più vicine ai cittadini.

4) Non dimentichiamoci i nostri territori, le città, le regioni, le identità culturali e linguistiche, le tante nazioni che formano la Repubblica delle Autonomie (strettamente interconessa con l'Europa delle Regioni). Non esiste alcuna soluzione "italiana" ai problemi posti dagli errori della globalizzazione neoliberista. La ricostruzione economica e sociale, l'effettività dei servizi pubblici universali, la restituzione di dignità ai lavoratori pubblici, la manutenzione dei beni comuni, la conservazione dei beni culturali, la svolta ambientalista, tutto questo può essere realizzato solo da istituzioni locali forti, che si autogovernano, che possano anche stampare, se necessario, proprie MONETE LOCALI COMPLEMENTARI, DI SOLIDARIETA' E PROSSIMITA'. Non c'è alcuna ricetta economica e sociale che vada bene dalla Val d'Aosta al Salento: questo era stato confusamente ma sufficientemente compreso dai partiti che "lasciarono fare" l'Italia del "boom". Poi sono arrivati i centralisti tecnocratici, che hanno concentrato un immenso potere nelle mani di pochi, a Roma, a Milano, a Bruxelles e la fine che abbiamo fatto è davanti agli occhi di tutti.

5) Di fronte alla gravità del momento politico interno e internazionale, non è il momento di fondare nuovi partiti, ma di fare "rete", con capacità di trasversalità e di inclusione, fra tutti quelli che già esistono, assicurando pari dignità a ogni gruppo politico, dalla più piccola lista civica locale al più organizzato dei partiti nazionali, dai più locali ai più collegati internazionalmente. Facendo "rete" potremo almeno tentare di resistere a una comunicazione pubblica dominata da narrazioni conformiste. Studiando insieme, magari nel "laboratorio" proposto da Scardovelli e Micalizzi, potremo approfondire nuove idee per ripristinare la democrazia, fuori e dentro le istituzioni della Repubblica e dell'Europa.

giovedì 22 agosto 2019

Dal Basta Euro Tour al brusco risveglio dei no-Euro orfani di Salvini



Abbiamo sempre rispettato e in larga parte condiviso le critiche di fondo che si fanno all'Euro, all'Eurozona, agli attuali trattati europei, al pareggio di bilancio, all'austerità astratta e assurda. Quelle serie, però, non strumentali come invece sono stati quelli del finto "Basta Euro Tour" della Lega, dal 2014 fino a poco prima di salire al governo con i Cinque Stelle.

Su questo essere no-Euro a parole si è basata una parte del successo della Lega e dei Cinque Stelle. Lo stesso spostamento dei consensi dai Cinque Stelle verso la Lega, occorso lungo tutto l'anno che hanno governato insieme, dal 4 marzo 2018 (elezioni politiche) al 26 maggio 2019 (elezioni europee) è stato dovuto in buona parte, secondo noi, alla apparente maggior coerenza anti-Euro della seconda, rispetto ai primi. Infine, non crediamo di dire una cosa particolarmente originale, se facciamo notare che, appena la Lega di Salvini si è riavvicinata a Berlusconi e a Tajani, sia finita quella che era una vera e propria luna di miele tra la Lega e tutti gli anti-Euro, con conseguenze elettorali che saranno prevedibilmente negative. Essere anti-Euro, insomma, elettoralmente parlando, qualcosina rende. Essere conseguenti e coerenti, per cambiare veramente l'Eurozona o addirittura uscirne, è tutt'altro discorso, evidentemente.

La Lega di Salvini è stata particolarmente efficace, come recipiente politico dei sentimenti anti-Euro, proprio perché non è mai apparsa monotematica (e quindi monotona). Ha miscelato il tema no-Euro con l'apparente ascolto di altri bisogni popolari (come, per esempio, fermare la tassazione delle piccole partite IVA, bloccare l'immigrazione clandestina, investire di più sulla famiglia, garantire più sicurezza nelle periferie, e così via).

Ha provato anche - e fino a oggi ci era quasi riuscita - a ingannare l'intero paese fingendosi ancora autonomista mentre ormai si era già trasformata - ben prima dell'avvento di Salvini intendiamoci - in una macchina politica stato-nazionalista, grande consumatrice di denaro pubblico e avida di posti di potere, che sono ancora, in larghissima parte, concentrati a Roma.

Il sogno sovranista che gli anti-Euro hanno proiettato su Salvini era, ci pare, grosso modo questo: raggiungere la maggioranza elettorale nel paese, cavalcando tutti i temi populisti disponibili; una volta giunti al potere con Salvini, spendere in deficit fino a provocare una crisi con le attuali istituzioni europee e con i mercati internazionali; infine, uscire dall'Euro, a seguito della crisi. Semplifichiamo troppo? Non ci pare.

Credo che i sovranisti debbano risvegliarsi presto da questo sogno, perché un progetto del genere, se gestito da nazionalisti e centralisti italiani, si rivelerebbe semplicemente un incubo. Anche se fosse possibile - e non lo è - tornare in una notte dall'Euro alla Lira, tutte le immense ingiustizie e diseguaglianze, sociali e territoriali, di questa nostra Repubblica, resterebbero lì e anzi si ingigantirebbero.

La Lega e Salvini (tanto meno i suoi alleati effettivi e potenziali, dalla Meloni a Toti) NON sono minimamente attrezzati a gestire, Euro o Lira vigendo, ingiustizie e disuguaglianze, così come molte altre cose.

Si sono mostrati, in decenni che sono stati al potere, inetti nella gestione delle catene del debito pubblico, della riforma bancaria, dei problemi finanziari europei e internazionali posti dalla globalizzazione.

Non hanno mai dimostrato autentica comprensione della gravità dei problemi ambientali, come hanno dimostrato con il loro arroccamento sul feticcio TAV e con il loro appoggio a molte altre opere inutili.

Sono privi di una visione seria e responsabilizzante sulle autonomie e, come è noto, chi non riesce a fare decentralismo, prima o poi, diventa subalterno al peggior centralismo, anche per auto-giustificarsi della propria incompetenza e mancanza di determinazione politica.

In pratica, su materie drammatiche (che resterebbero tali anche se davvero potessimo passare in una notte dall'Euro alla Lira, ripetiamolo), come debito, ambiente e autonomie, queste forze brancolano nel buio oppure, peggio, se conquistassero davvero il potere, ci porterebbero letteralmente a sbattere.

Di certo non scriviamo questo in difesa delle forze dello status quo (che sono peraltro annidate in tutti i maggiori partiti italiani e italianisti), ma solo per suscitare nelle persone che parlano di "sovranità monetaria" un sano ripensamento anti-centralista e anti-nazionalista.

Abbiamo bisogno di riprenderci potere da Bruxelles, ma non per riportarlo nelle prefetture e nei ministeri, i quali, dei nostri territori e delle nostre città, sono stati, sono e saranno sempre prevaricatori.



venerdì 25 gennaio 2019

Il federalismo come unico futuro sostenibile



Oggi venerdì 25 gennaio 2019 al Teatro Duse di Via Crema a Roma, vicino Villa Fiorelli, si tiene un incontro su un tema cruciale: "Il futuro del federalismo". Relatore principale è il prof. Paolo Armellini (La Sapienza di Roma). Intervengono però anche studiosi e attivisti per l'autogoverno di diversi territori d'Europa.

L'evento sarà reso disponibile nel preziosissimo archivio di Radio Radicale. L'incontro è stato promosso dalla associazione culturale Movimento Catilinario, una esperienza molto originale e molto promettente, che si muove per una rinascita dal basso del civismo nella grande e complessa realtà della città di Roma.

Come studioso di autogoverno, insieme a molti altri di un dialogo per l'autogoverno che conduca movimenti territoriali e locali d'Italia e d'Europa verso una nuova stagione di riforme decentraliste, mi sono sentito di portare un mio piccolo contributo.

Partirei da una affermazione semplice e radicale: il federalismo (nel senso più lato che si può attribuire a questa corrente estremamente composita di pensiero politico della modernità) non solo ha un futuro, ma è l'unico futuro sostenibile per l'umanità.

Forse, più ancora che di federalismo, dovremmo parlare di decentralismo, per essere sicuri di ricomprendere tutte le culture, gli ideali, le speranze, di coloro che, nei modi più diversi, nei luoghi più diversi, vogliono frenare e se possibile smontare le grandi concentrazioni di potere della modernità. Non solo quelle degli stati, ma anche delle grandi organizzazioni internazionali, pubbliche e private.

Nella modernità queste realtà non solo sono altissime piramidi i cui vertici sono inaccessibili alla persona umana, ma anche grandi macchine goffe, che si muovono praticamente alla cieca, d'inerzia, schiacciando tutto ciò che trovano sul proprio cammino. Ci sono, certo, delle elite che vogliono godersi potere e ricchezze, in cima a queste grandi piramidi semoventi. Elite a cui ovviamente lo status quo assicura privilegi, ma anche esse, in realtà, non hanno un pieno controllo.

I grandi stati e le altre grandi macchine della modernità non hanno più "un signore", come direbbe Romano Guardini (Das Ende der Neuzeit, 1965). Hanno acquisito una sorta di elementare e brutale forza propria, che sfugge al controllo umano.

Una delle più grandi illusioni che tocca a noi decentralisti confutare, è che, dando l'assalto al cielo di un grande potere statale o internazionale, con un nuovo movimento e con una nuova generazione di leader, che vadano a sostituirsi a quelli di prima, si possa davvero cambiare qualcosa. E' davanti agli occhi di tutti, è davanti al naso di ciascuno direbbe George Orwell, eppure comprendere questa verità continua a richiedere uno sforzo erculeo.

Si può diventare presidenti del più armato stato del mondo, chiamarsi Bush, Obama, o Trump, ma non si riesce a incidere in alcun modo sul grande complesso militare-industriale USA; si può diventare il più alto dirigente del Partito Comunista Cinese e non riuscire a porre un freno alle distruzioni sociali e ambientali; si può diventare presidente della Banca Centrale Europea e non si potrebbe in alcun modo, anche se lo si volesse, fermare l'estrazione continua di risorse dai poveri e dalle periferie, verso i ricchi e le capitali, estrazione che sta avvenendo sistematicamente attraverso la gestione "di mercato" del debito pubblico nominato in Euro.

Questi potrebbero sembrare esempi estremi, ma chiunque sia veramente dentro la vita quotidiana di un grande stato o di un'altra delle grandi macchine della modernità, arrivando magari anche ad esercitarvi un qualche ruolo decisionale, capisce, se è dotato di un minimo di senso critico, che nulla può essere veramente riformato dal centro e dal vertice. Perché l'alto è sempre un altrove, dal quale non si vede e quindi non si sa cosa veramente la macchina sta calpestando nei suoi, magari lenti, ma inesorabili movimenti.

Si può essere certo dei leader coraggiosi, che hanno sposato qualche idea veramente radicale, di impronta più sociale o più liberale, più ambientalista o più sviluppista. Purtroppo però, anche nei casi migliori, quando i vertici di un grande stato o di una grande organizzazione si risolvono a voler migliorare qualcosa, essi semplicemente non vedono la realtà che sta in basso, non riescono mai a valutare l'inerzia della macchina, ben difficilmente riescono a incrinare la dittatura dello status quo.

Non c'è speranza di riforma delle grandi piramidi oppressive. Esse vanno solo smontate. Male che vada, esse saranno piramidi più piccole, quindi meno pericolose.

C'è una grande tradizione di studi sui limiti intrinseci del centralismo nella modernità, a cui chi scrive è molto legato, che ha per capofila Karl Deutsch, le cui riflessioni non possiamo certo riportare qui (ma qualcuno più curioso può sbirciare nel nostro studio di dottorato Disintegration as Hope, Mauro Vaiani, 2013). Tuttavia vorremmo accennare ad almeno una delle più feconde intuizioni di Deutsch: fra i tanti problemi del centralismo, uno dei più grandi è che esso è incompatibile con la mobilitazione sociale della persona umana nel mondo contemporaneo.

Non è semplicemente possibile che una persona del nostro tempo, dopo essere stata inclusa nella modernità, minimamente istruita, messa a lavorare nella complessità economica e sociale di oggi, connessa a internet, possa limitarsi a essere un cittadino che non conta nulla, se non una volta ogni tanto quando è chiamata a votare, più o meno democraticamente, per un leader mediatico. La persona umana del nostro tempo vuole più controllo e tale controllo non può prescindere dall'avere un ruolo in una comunità umana in cui il singolo senta di poter fare la differenza. Questo non riguarda solo comunità periferiche che si sentono marginali negli attuali stati, ma riguarda proprio tutti. Per questo spinte all'autogoverno ci sono in tutto il mondo, grandi città capitali comprese.

Essere cittadino di una comunità di tre, o di trenta, o di trecento milioni di abitanti non è assolutamente la stessa cosa, per una creatura umana minimamente consapevole del nostro tempo. Per questo tutti gli stati appena un po' più grandi, sono percorsi da movimenti decentralisti, per la costruzione di nuove reti di autogoverno dal basso.

I movimenti nazionali, anti-coloniali, localisti, identitari, di difesa delle culture vernacolari, civici e ambientalisti hanno storie e dinamiche molto diverse tra di loro, ma tutti sono investiti (e continuamente trasformati) da questa novità della mobilitazione sociale, come Karl Deutsch aveva previsto sin dal suo famoso articolo del 1961, Social Mobilization and Political Development.

Cosa c'entra tutto questo con l'Italia e, in particolare, con Roma?

L'Italia è uno stato tra i più grandi ed eterogenei del mondo, con le sue decine di territori e di culture locali. Non tutti sanno che solo una ventina di stati del mondo sono più grandi dell'Italia e che alcuni di quelli più grandi sono meno eterogenei e meno complessi della nostra repubblica.

Purtroppo, nonostante la nostra vicinanza e la nostra intimità culturale con la Svizzera e con San Marino, le nostre tradizioni federaliste e confederaliste sono state sconfitte nell'ottocento dei nazionalismi e dei colonialismi. Rosmini e Cattaneo, Ferrari e Pisacane sono finiti coperti dalla polvere nelle biblioteche. Siamo stati sottomessi a uno stato centralista, che ha praticato - non dimentichiamolo - un feroce colonialismo interno e ha condotto una serie impressionante di avventure militariste all'esterno.

Solo grazie a una riflessione critica faticosamente elaborata, fra gli altri, da Gramsci, Salvemini, don Sturzo, dagli autonomisti che il 19 dicembre 1943 scrissero la carta di Chivasso, siamo arrivati, dopo decenni di disastri, alla fondazione nel 1948 di una repubblica delle autonomie.

Nella repubblica le autonomie non hanno mai smesso di vivere e di crescere, anche quando sono sembrate sommerse da ondate di centralismo e neocentralismo (italiano e anche europeo).

Fra mille tensioni e polemiche, nonostante gli errori politici e culturali compiuti da tanti (dai centralisti di ogni colore, compreso il neocentralismo del leghismo prima nordista e oggi nazionalista italianista), noi stiamo ancora camminando in quella direzione, semplicemente perché è l'unica possibile.

In estrema sintesi, i fattori più importanti, che spingono nella stessa direzione, sono due: primo, la complessità della modernità italiana ed europea e le crisi ambientali e sociali della globalizzazione non si governano dall'alto e da altrove; secondo, nessuna creatura umana, non solo qui in Italia e in Europa ma in tutto il mondo, può accettare ancora a lungo, in questo nostro tempo, di non avere voce in capitolo nel governo del proprio territorio. Sono fattori sociali, che hanno una loro forza scientificamente rilevabile. Non sono solo vaghe aspirazioni spirituali, culturali o politiche meramente sovrastrutturali. Non sono e non saranno, quindi, facilmente eludibili.

L'autogoverno è la risposta a queste due tensioni cruciali. C'è quindi, ci pare, la possibilità di essere ancora ottimisti. C'è speranza, grazie all'autogoverno, per il bene di ciascuno dei nostri quartieri e paesi, delle comunità e dei territori, delle culture e delle economie locali.

Come chiedono i decentralisti, dall'Ossola al Salento, dalla Sicilia al Trentino, si può finalmente smettere di opprimere gli Italiani e lasciare che essi si autogovernino, con maggiore libertà e maggiore responsabilità, nella pluralità dei loro territori.

In questo campo si fa molta guerra fumogena di parole (indipendenza, secessione, divisione dell'Italia, uscita dall'Europa) e di numeri (chi ci guadagna, chi ci rimette). Noi crediamo di saper tenere i piedi saldamente ancorati nella vita vera delle nostre terre, di rappresentare una politica meno cinica e più seria.

Sappiamo che viviamo in un mondo interdipendente, che abbiamo bisogno di una confederazione europea democratica e trasparente, che tutti i nostri territori hanno il dovere di autogovernarsi, per uscire dall'inquinamento e dal declino. E' una strada difficile ma responsabilizzante, e alla fine vincente per tutti, territori più ricchi e meno ricchi, più periferici e più centrali.

Roma, poi, ci sia consentito dirlo per chiudere questi appunti scritti proprio nella città eterna, non avrebbe proprio niente da perdere, se non la tristezza di migliaia di vite condannate all'inutilità, nella pesantezza, nel grigiore e fra gli sprechi di qualche ministero. Grazie a un moderno autogoverno, almeno paragonabile a quello di cui godono città come Berlino o Vienna, potrebbe solo rifiorire.

Auguri, a questo proposito, al comitato promotore del Libero Governo Cittadino di Roma, in particolare alla comunità di attivisti dell'Appio-Tuscolano, che abbiamo avuto la fortuna di conoscere meglio in questa splendida giornata.






sabato 29 dicembre 2018

L'ennesima trappola centralista è già scattata



Con la pubblicazione (oggi sabato 29 dicembre 2018) di un articolo di Sabino Cassese, il Corriere della Sera sta chiudendo il 2018 con l'ennesimo attacco alle autonomie.

Tutti i decentralisti devono stare attenti a non cadere nella trappola di questa narrazione centralista, che contiene almeno tre errori fondamentali:

- 1) L'Italia è piena di disparità, perché la nostra unità sarebbe incompiuta, quindi il potere deve restare centralizzato, per non alimentare ulteriori ingiustizie territoriali - INVECE è vero esattamente il contrario. E' proprio perché da oltre centocinquanta anni le stesse leggi e la stessa impalcatura centralista sono imposte al paese, dalle Alpi alla Sicilia, che intere regioni declinano, mentre pochi centri di potere politico ed economico fioriscono.

- 2) Le risorse pubbliche sono una torta scarsa e fissa, per cui ogni eventuale aumento di autonomia in alcuni territori andrebbe a discapito dei livelli minimi di assistenza in altri - INVECE anche questo è falso, perché ogni spesa pubblica centrale, una volta devoluta ai territori, verrebbe totalmente ripensata, riorganizzata, riorientata nell'interesse delle comunità locali e con la loro partecipazione, con importanti risparmi e comunque con un netto miglioramento dei servizi pubblici locali.

- 3) Si continua anche a lasciar passare l'idea, completamente campata in aria, che esistano nell'Italia contemporanea "residui fiscali" importanti da restituire alle regioni dove hanno sede fiscale e legale la maggior parte delle aziende del paese (Lombardia, Emilia Romagna, ma anche Veneto) - INVECE si tratta di una gigantesca illusione, perché è evidente che, dopo profonde riforme fiscali che ancorassero il pagamento delle imposte ai territori, molte aziende che oggi pagano tasse solo a Milano o a Bologna, finirebbero per versare molto di più nelle regioni dove vendono, invece che nella sola regione dove producono.

Infine, caso mai non si fosse difeso abbastanza lo status quo centralista, si torna a insinuare l'idea che alcune regioni siano in fondo troppo piccole per essere davvero meritevoli di autonomia. Cosa che magari è vera per alcuni territori, ma non certo per tutti (non per la Romagna, per esempio, la quale da tempo aspetta di poter realizzare la propria aspirazione autonomista).

Ma sì, in fondo è questa la trappola centralista più raffinata che da decenni serve per frenare ogni possibile cambiamento: non avrai autonomia perché non la meriti, perché sei troppo ricco o perché sei troppo povero, perché sei troppo piccolo o comunque sempre inadatto.

Avanti così, si parli di autonomie per altri anni ancora, purché non si cambi niente!

Per chi vuole approfondire, consigliamo anche la lettura di questo importante intervento critico di Massimo Costa, apparso sul prestigioso blog siciliano 360EcoNews.


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