Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso
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sabato 26 ottobre 2019

Il fattore A nel lungo '89



Ci avviciniamo a una data importante, il 30° anniversario della caduta del Muro di Berlino, avvenuta il 9 novembre 1989.
Mi pare importante ricordare, seguendo in questo un insegnamento ricevuto dal prof. Luciano Bozzo, che non stiamo celebrando qualcosa di lontano e in qualche modo compiuto.
Al contrario, stiamo ancora vivendo in un "lungo '89".
Ciò che si è pienamente manifestato in quell'anno eccezionale non ha ancora finito di dispiegare i propri effetti, anzi, forse, non siamo nemmeno all'inizio - grazie al cielo, lasciatemi aggiungere.
Finirono dei regimi, si sciolsero delle alleanze militari e persino degli stati.
Il 1989 non fu solo la fine di una certa famiglia di partiti unici d'ispirazione marxista-leninista, ma anche il rilancio di altre ondate di cambiamento in tutto il mondo, contro autoritarismi, militarismi, partitocrazie, statalismi, centralismi.
La persona umana del XXI secolo, grazie anche a questo lungo 1989, sta scoprendo, fra tante altre cose importanti, il fattore "A", dove "a" sta per autogoverno, autodeterminazione, autonomia (e forse anche un po' anarchia).
Chiunque abbia una coscienza politica, sta comprendendo che c'è bisogno anche di una visione geopolitica chiara sul proprio territorio: estensione orizzontale, altezza delle gerarchie, numeri demografici e distanze geografiche, disuguaglianze economiche e sociali non solo tra cittadini singoli, ma anche tra comunità, centri e periferie.
Non ci si domanda più solamente "chi e come governa", ma anche "da quanto in alto e da quanto lontano si è governati".
Ho dedicato lunghi anni della mia vita (e l'intero mio studio di dottorato: "Disintegration as Hope") a studiare questa presa di coscienza, che fu intuita, prima e più chiaramente di altri, dal grande Karl Deutsch, a partire dal suo articolo "Social Mobilization and Political Development" del 1961, dedicato alla "mobilitazione sociale" e alle sue conseguenze politiche.
Karl Deutsch, ricordiamolo, era uno scienziato politico boemo-tedesco. Sradicato dalla sua Mitteleuropa a causa della persecuzione nazista, trovò rifugio nell'America di Franklin. D. e di Eleanor Roosevelt.
Tra le altre cose notevoli della sua formazione cosmopolita, va ricordata la sua partecipazione, come giovane consulente, alla Conferenza di San Francisco del 1945, quella in cui fu fondata l'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Grazie alla sua solida formazione socialista, non si lasciò mai ingannare dalle apparenze sovrastrutturali.
Fu sempre lucido nel guardare a ciò che accadeva nella vita materiale e concreta delle persone, in tutti gli stati, indipendentemente dal fatto che essi appartenessero al blocco capitalista, o che fossero repubbliche socialiste, o che fossero nuovi stati sorti dal processo di decolonizzazione.
Deutsch comprese che ovunque nel mondo un crescente numero di persone non avrebbero più obbedito ciecamente ai propri stati (come putroppo era invece accaduto durante le due guerre mondiali).
Ogni governo, in una misura difficilmente comparabile con quanto mai accaduto in passato, sarebbe dipeso sempre di più dal consenso dei governati, e questi ultimi avrebbero voluto, in modo crescente, partecipare attivamente al controllo politico del proprio territorio.
Oggi sembra una ovvietà, ma maturare queste considerazioni nell'atmosfera cupa e depressiva della Guerra Fredda, in un mondo diviso e in larga parte dominato da mentalità autoritarie e reazionarie, rende l'idea della grandezza intellettuale di Karl Deutsch.
Nel mondo postbellico, la ricostruzione industriale, l'urbanesimo, la diffusione dei servizi pubblici, l'aumento delle disponibilità alimentari e di altri beni di consumo, la crescita degli indici di alfabetizzazione, la diffusione delle lingue medie globali, le crescenti possibilità di accesso alle comunicazioni di massa, lo sviluppo dei sistemi di assistenza sanitaria e sociale, hanno consentito la crescita della partecipazione potenziale delle persone alla vita politica.
Chiaramente, "potenziale" non significa reale, così come "partecipazione" non significa da subito capacità "liberale" di "conoscere per deliberare", o coscienza "socialista" di comprendere e voler redimere le ingiustizie strutturali.
Tuttavia questa "mobilitazione sociale" era avviata e Deutsch la vedeva accadere chiaramente e potentemente, sia nelle società dell'Ovest, che dell'Est, che dell'immenso Sud del mondo.
Nei decenni, molti altri studiosi hanno visto la connessione tra inclusione delle masse nella modernità e processi di democratizzazione, ma Deutsch fu ed è rimasto a lungo uno dei pochi che vedeva arrivare qualcosa in più: la mobilitazione sociale, comprese Deutsch, avrebbe avuto un potenziale geopolitico, non solo politico.
In un suo importante libro del 1970, "Politics and Government : How People Decide Their Fate" (Politica e governo, Come il popolo sceglie il suo destino), Karl Deutsch spiegò che, pur vivendo ancora in un mondo in cui le due superpotenze nucleari competevano "nell'esportazione di ignoranza", l'umanità avrebbe visto un numero crescente dei suoi membri disposti a impegnarsi per fermare l'apocalisse nucleare, l'autodistruzione ecologica, gli eccessi di urbanizzazione e industrializzazione, oltre che per porre fine a inaccettabili ingiustizie sociali.
Milioni di persone, scrisse Deutsch, anche nelle nazioni più povere, stavano ottenendo accesso ad abbastanza informazione e tecnologia, oltre che al potere di farci qualcosa.
Oggi noi scriveremmo miliardi, considerando la diffusione dell'accesso alle reti.
Entro la fine del XX secolo, aggiungeva Deutsch, avremo la maggioranza delle persone occupate nella manipolazione di simboli, conoscenze, documenti.
Così è andata infatti, solo che lo stesso Deutsch forse non immaginava quanto questo cambiamento avrebbe investito non solo i giovani, non solo il mondo del lavoro, ma anche gli anziani pensionati. Persino le persone più emarginate e più sfruttate, più periferiche e marginali, sono costrette a essere connesse. Persino dove non è arrivata l'acqua, è arrivato lo smart.
Oggi a tutti, in tutto il mondo, è richiesto di essere sempre più coinvolti, non di rado sconvolti, dall'incredibile sviluppo della globalizzazione, in continue innovazioni di stili e tempi di vita, processi e ritmi di lavoro, informazione e comunicazione.Una piccola controprova può fornirla la fonte https://data.worldbank.org/, secondo la quale nel 2018 eravamo già molto vicini ad avere la maggioranza assoluta di tutti i lavoratori del pianeta impiegati nei servizi, più che nella produzione agricola o industriale.
Come ho avuto modo di ricordare in un mio piccolo contributo a Ethnos & Demos, la persona umana del XXI secolo può sempre più scegliere cosa mangiare, dove e con chi vivere, quale vita sessuale e sentimentale condurre, se e quanti figli avere, quali convinzioni coltivare, su cosa e quanto formarsi e informarsi, come curarsi, e persino, al limite, quando morire.
E' probabile, come aveva previsto Deutsch, che questa persona umana, in aggiunta a tutto questo, pretenda anche la facoltà di scegliere in che modo e in che stato autogovernarsi.
Karl Deutsch, insieme a pochi altri, comprese che chi è socialmente mobilitato, avrebbe preteso di vivere in una comunità politica in cui percepisse chiaramente di poter fare la differenza.
Non ci si sarebbe più accontentati di votare ogni quattro o cinque anni, di guardare le cose accadere attraverso i media, di vivere in sistemi politici troppo verticali, di essere pedine in un gioco troppo grande, governato troppo dall'alto, da altri, da altrove.
I limiti fisici, spaziali e temporali, della vita e della forza di ogni singolo individuo, ma anche di ogni singola comunità locale, intuì Deutsch, sono troppo stretti perché ci si possa accontentare di aspettare risposte da autorità troppo lontane, da sistemi politici troppo complessi, da stati troppo grandi.
La persona socialmente mobilitata pretende di essere lei stessa al "potere", almeno nella sua comunità locale, sul proprio territorio, fra la sua gente.
Cosa possibile solo in società progressivamente sempre più decentralizzate e, al limite, quando necessario, in stati molto più piccoli.
Questa intuizione politica e geopolitica di Deutsch aiuta - e non poco, a mio parere - a comprendere come mai, nonostante l'avanzare di una globalizzazione che è oggettivamente una potente forza livellatrice e omologatrice, in tutto il mondo continuino a formarsi movimenti che non sono "solo" sociali e ambientali, ma che esigono una effettiva redistribuzione di potere geopolitico.
Attraverso gli studi anti-centralisti di Deutsch, si comprende meglio perché alle reti di cittadinanza più attive, in cerca di diritti civili, svolte ambientali, giustizia sociale, non basti affatto cambiare ogni tanto - con il voto o anche con la rivolta - il vertice della piramide.
La piramide, piuttosto, deve essere smontata, perché al suo posto possano nascere forme di autogoverno locale più vicine, più capaci di ascolto, più rapide nell'immaginare e introdurre innovazioni, più attente ai dettagli e alle necessarie correzioni dei cambiamenti intrapresi, nonché, cosa nient'affatto secondaria, più facili da contrastare e ribaltare quando esse non siano più rispondenti alle attese della gente.
Dal 1989 a oggi sono caduti e continuano a cambiare molti regimi, ma una analisi spassionata dovrebbe riconoscere che fra i territori dove si registrano maggior successo sociale e minore violenza, sono proprio quelli in cui, oltre a quello politico, c'è stato anche cambiamento geopolitico, restituendo autogoverno a comunità locali e a bioregioni di scala più ridotta.
Gli stati più piccoli, o quelli dove c'è un effettivo decentramento di ricchezze e di potere, rispondono meglio alle esigenze poste dalla persona umana socialmente mobilitata.
Questo, si badi bene, vale sia per società più ricche (Catalogna, Scozia) o più povere (Corsica, Sardegna); sia per aspirazioni nazionali più antiche (come quelle dei Curdi nei confronti di Iraq, Iran, Turchia e Siria), che per aspirazioni all'autogoverno emerse più recentemente (come quelle dei Berberi nel Maghreb o dei nativi in Amazzonia); per territori remoti (Nuova Caledonia) o per grandi città cosmopolite (Hong Kong).
Varrebbe anche in alcuni altri territori che purtroppo sono tenuti insieme con la forza e la violenza da sinistre forze neocolonialiste e imperialiste straniere, come Somalia, Libia, Congo, Nigeria, Yemen, Afghanistan; situazioni drammatiche che non troveranno redenzione finché continueranno le ingerenze delle grandi potenze.
Deutsch scrisse - nel suo libro del 1970 sopra citato - che di tutte le utopie che si sono rivelate fallaci, ce n'è un tipo particolarmente pericoloso, "davvero il più utopista di tutti": quello che suggerisce che il mondo continuerà ad andare com'è sempre andato.
Pochi avevano previsto la caduta e lo scioglimento del blocco sovietico, proprio come oggi ancora troppi rifiutano pregiudizialmente l'idea che tutti i più grandi e più potenti stati del pianeta, a meno che non vadano incontro alle persone umane e alle loro comunità locali con riforme decentraliste radicali, ne seguiranno la sorte.
Sì, avete capito bene, sto parlando anche di India e Cina, Stati Uniti e Indonesia, Russia e Brasile. Tutti giganti che scopriranno presto di avere i piedi d'argilla, se non accetteranno di restituire dignità, ricchezze e potere alle loro comunità locali.
Sembra incredibile, certo, eppure è probabile, perché il centralismo e l'autoritarismo, il militarismo e il neocolonialismo (interno o esterno) di questi grandi stati è semplicemente incompatibile con la vita materiale e la coscienza spirituale della persona umana socialmente mobilitata e politicamente cosciente.
Tutte queste considerazioni, fondate su studi politologici seri e dopo decenni ancora mai falsificati, può e deve suscitare speranza e incoraggiare all'azione coloro che sono veramente determinati a diffondere e a realizzare l'ideale dell'autogoverno per tutti, dappertutto.

Mauro Vaiani
(blogger di Diverso Toscana,
studioso e attivista decentralista)


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La foto di corredo a questo post è tratta da https://www.thinglink.com/

venerdì 7 giugno 2019

C'è speranza nelle brigate d'argento

Fonte: https://ourworldindata.org/population-aged-65-outnumber-children

L'umanità globalmente interconnessa di questo inizio di millennio sta realizzando da sola un cambiamento che nessuno dei suoi leader, dall'alto delle proprie concentrazioni di ricchezza e di potere, avrebbe mai potuto ottenere, ammesso e non concesso che lo avesse concepito e perseguito. Stiamo rallentando drasticamente la nostra crescita demografica. Sta accadendo ovunque. E' un autentico bene. Perché il pianeta è finito e la nostra crescita, anche numerica, come abitanti dominatori della Terra, non può essere infinita.

Particolarmente significativa è la stima che riportiamo nel grafico: pare che già da oggi abbiamo più nonni che nipotini. Potrebbe essere la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai conosciuto, da quando esistono delle forme di trasmissione e conservazione della nostra memoria storica collettiva.

L'autore di questo blog, nel suo piccolo, vede in questo cambiamento demografico una grande speranza. Nessuna società dove ci sono più anziani che bambini sarà mai più tanto facilmente soggetta ad obbedire a pochi. Gli anziani, quanto meno, garantiscono questo alla società di cui fanno parte: ne hanno viste talmente tante, hanno meno forza fisica, hanno meno tempo davanti a sé, quindi è parecchio difficile trascinarli in avventure politiche e sociali. Saranno più resistenti ai cambiamenti, certo, e questo non è sempre necessariamente un bene, ma poiché nel nostro mondo completamente industrializzato i cambiamenti che vengono proposti (dall'alto e da altrove) sono regolarmente maggiormente distruttivi, ecocidi e genocidi, la resistenza degli anziani potrebbe diventare la principale ancora per tutti coloro che credono nella pace, nella giustizia, nella salvaguardia del creato.

Gli anziani, possiamo aggiungere, sono anche più fragili e questo rende molti di loro più empatici con la fragilità del nostro pianeta. Possono diventare gli attori protagonisti di una spettacolare frenata di ogni folle marcia sul mondo: meno produzione, meno inquinamento, meno sfruttamento, meno concentrazione di ricchezze e, conseguentemente, meno concentrazione di potere.

Gli anziani, ci vogliamo credere - coerentemente con i nostri studi ispirati da Deutsche - poiché hanno già visto troppi salire al potere delle altissime piramidi della modernità, poiché hanno le spalle incurvate dai pesi insopportabili che queste grandi piramidi stesse hanno imposto loro, potrebbero anche essere quelli che finalmente, se ne sottrarranno, lasciando che si incrinino e, con l'aiuto della Provvidenza, continuino a disintegrarsi.

I giovani ribelli continueranno a esserci. Adulti che, nel pieno della loro maturità, continueranno a volere dei miglioramenti sociali, pure. La possibilità che ad essi si aggiunga una maggioranza di anziani, sufficientemente disillusi, provati dalla vita, meno facilmente plasmabili, con una memoria (non solo con la loro naturale esperienza di vita, ma anche con accesso agli strumenti moderni della memoria collettiva globale), non più tanto silenziosi, ci sembra davvero cruciale.


Un esempio di una società che, grazie ai suoi anziani,
sta veramente cambiando, la Catalogna
Fonte: Facebook, un post di Giacomo Fiaschi del 2 ottobre 2017




mercoledì 13 marzo 2019

Contro il fascio del centralismo


Nazionalismo e centralismo sono la tomba di tutte le tradizioni e libertà umane. Noi toscani, italiani ed europei lo sappiamo bene, ma per molti ciò che noi temiamo è invece desiderabile. Prendiamone atto.
Il fascino - o forse sarebbe meglio dire il "fascio" - dei neofranchisti spagnoli sta esattamente nella loro capacità di riproporre, rimodernata, con un volto tecnocratico ed europeista, globalista e cosmopolita, la stessa micidiale miscela di nazionalismo e centralismo che tanti disastri e lutti ha prodotto in passato (e che è sempre pronta a rimanifestarsi nella forma di repressione, autoritarismo, neocolonialismo).
La loro statolatria è sempre lì e promette di restarci per sempre, mantenendo l'ordine e i privilegi dei suoi fedeli. La Spagna ci mostra qualcosa che tanti vorrebbero anche per Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Russia, America, Giappone, Brasile, India, Cina...
Il regno di Spagna, proprio perché l'attuazione delle riforme autonomiste ha avuto successo, proprio perché l'integrazione europea stava funzionando, proprio perché stava diventando una società plurale ed aperta, era pronto per essere dissolto in una confederazione europea di antiche nazioni e nuove realtà autonome locali.
Tutto il potere concentrato nelle strutture neofranchiste dello stato spagnolo e nelle attuali tecnocrazie dell'Unione Europea e delle organizzazioni internazionali dell'atlantismo e della globalizzazione, di conseguenza, sarebbe stato messo in discussione e con esso la concentrazione delle ricchezze.
Contro questo rischio di estinzione graduale ma progressiva dello stato spagnolo e delle burocrazie europee e internazionali con cui esso è legato strettamente, nasce e fiorisce la martellante propaganda che si è concentrata prima di tutto contro la Catalogna, la nazione più nazione di tutte, la più pronta ad autogovernarsi con successo, anche grazie alla forza che le viene dalla sua storia dolorosa, dalla sua felice posizione geopolitica, dal suo straordinario investimento in educazione, cultura, innovazione economica, inclusione sociale.
Il processo farsa che si sta celebrando a Madrid contro i prigionieri politici e gli esiliati di Catalogna è una tale vergogna che nessun media europeo e internazionale gli dedica altro che pochi cenni imbarazzati e in gran parte sempre avvelenati da pregiudizi di difesa dello stato neofranchista.
Hanno ragione i conformisti dell'attuale globalizzazione, dell'attuale "europeismo", degli attuali sovranismi a temere e quindi a nascondere questo processo farsa, perché la sua ingiustizia si rivela come una epifania non appena se ne mostrano anche pochi squarci.
Se proprio avete un po' di tempo e di stomaco per leggere con quanta superficialità, supponenza e disprezzo la stampa ufficiale, preoccupata della conservazione degli stati come sono oggi, parla della resistenza catalana, potete visitare qualche pagina de Il Foglio.
Noi preferiamo raccomandarvi però la visione di un video come quello qui caricato, prodotto da Òmnium Cultural, una delle associazioni storicamente più vivaci nella difesa della cultura, della lingua, del paese catalani.
Anche se i commenti sono in lingua spagnola media, l'improntitudine e l'indegnità dei responsabili della repressione violenta appariranno chiari a tutti, anche ai lettori toscani e italiani che hanno meno dimestichezza con la politica e la realtà spagnola.
Il primo ottobre 2017 il governo spagnolo del Partito Popolare (membro del PPE), con la complicità del movimento dei "Cittadini" (membro della ALDE), con la ignavia dei socialisti spagnoli e catalani (membri storici dei Socialisti e Democratici Europei), hanno represso una grande manifestazione nonviolenta di autodeterminazione popolare dal basso, in Catalogna, uno dei cuori pulsanti d'Europa.
I difensori dello status quo, soggiogati dal fascio del centralismo, vorrebbero nascondere questa vergogna, ma ciò non sarà possibile, grazie all'attuale grado di sviluppo della capacità umana di registrare e conservare dal vivo immagini e suoni di tutto ciò che accade.
Gli anni di detenzione e di esilio inferti a pacifici attivisti politici catalani, senza rispetto di elementari diritti giuridici e umani, non resteranno quindi senza conseguenze.  I responsabili del processo farsa non resteranno impuniti.
Non daremo tregua ai nazionalisti e centralisti spagnoli (e ai loro complici in Europa e nel mondo) finché questa ingiustizia non sarà sanzionata e la libertà catalana ripristinata.
Non vincerà il fascio dei centralisti stato-nazionalisti.
Ci sarà libertà per tutti i prigionieri politici.
Libertà per la Catalogna.
Autogoverno per tutti, dappertutto.





L'ultima risposta di buona parte dei decentralisti d'Europa, contro la vergogna di questa persecuzione della Catalogna, è stata la scelta di designare Oriol Junqueras, leader della Sinistra Repubblicana di Catalogna, come candidato alla guida della Unione Europea della Alleanza Libera Europea, la concentrazione di tanti movimenti autonomisti, indipendentisti e confederalisti europei.

Onore ai matrioti che lottano per l'autogoverno di tutti dappertutto.
Onore agli esiliati, fra cui non dimentichiamo sua eccellenza Carles Puigdemont i Casamajó (130° presidente della Generalità di Catalogna, rifugiato nelle Fiandre, insieme a una piccola struttura di governo in esilio della Repubblica di Catalogna), Clara Ponsatí i Obiols (in esilio in Scozia), Anna Gabriel i Sabaté (in esilio in Svizzera).
Onore a tutti i prigionieri politici che sono sottoposti alla farsa del processo neofranchista: Dolors Bassa i Coll, Meritxell Borràs i Solé, Jordi Cuixart i Navarro, Carme Forcadell i Lluís, Joaquim Forn i Chiariello, Oriol Junqueras i Vies, Carles Mundó i Blanch, Joan Josep Nuet i Pujals, Raül Romeva i Rueda, Josep Rull i Andreu, Jordi Sànchez i Picanyol, Jordi Turull i Negre i Santi Vila i Vicente.
Auguri a coloro che, come Oriol Junqueras, attraverso le prossime elezioni europee del 26 maggio 2019, potranno continuare con maggior forza la propria lotta per la libertà della Catalogna e l'autogoverno di tutti dappertutto.

Oriol Junqueras, 2019, fonte Nacional.cat









martedì 11 settembre 2018

Per la Catalogna



Un piccolo ma significativo gruppo di attivisti e intellettuali decentralisti d'Italia ha diffuso, in questa straordinaria giornata della #Diada2018, un appello per la libertà dei prigionieri politici catalani e per l'autodeterminazione della Catalogna.

Potete trovare l'appello integrale e la lista dei primi firmatari, qui:



Difendiamo i diritti dei catalani, difendiamo la libertà in Europa

La Catalogna vive una vicenda storica che non riguarda soltanto spagnoli e catalani, ma tocca da vicino tutti i cittadini europei. Dinanzi alla repressione in atto, noi sottoscritti chiediamo la liberazione dei prigionieri politici catalani, il ripristino dei diritti umani e politici degli attivisti e degli elettori indipendentisti, il diritto al ritorno in sicurezza per gli esiliati, il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del popolo catalano.

La riduzione della crisi catalana a problema giudiziario sta facendo scivolare la Spagna fuori dal perimetro della tradizione democratica europea, mettendone in discussione capisaldi quali la libertà di pensiero e di azione politica. Come europei sentiamo il dovere di rifiutare l’idea che iniziative politiche pacifiche siano represse con la forza e che esponenti del mondo politico e culturale vengano intimiditi, privati dei loro beni, incarcerati, privati della possibilità di difendersi in processi equi davanti a tribunali indipendenti.

Non vogliamo credere che la Spagna scelga di riaprire le ferite della Guerra civile, nel corso della quale l’autogoverno catalano fu schiacciato nel sangue. Ci aspettiamo quindi al più presto – quale precondizione a ogni futuro dialogo politico – la liberazione dei prigionieri politici.

Siamo coscienti che il referendum di autodeterminazione celebrato in Catalogna il primo ottobre 2017, alla fine di una lunga, estenuante e vana stagione di trattative con Madrid, si sia configurato come una rivolta nonviolenta contro il sistema di legalità spagnolo, ma proprio per questo esigiamo che le istituzioni europee e iberiche lo affrontino e lo gestiscano come un problema politico.

La richiesta del governo legittimo della Catalogna di poter votare sull’indipendenza della propria nazione ci proietta verso una concezione più avanzata della democrazia e ci invita a impegnarsi per un’Europa nuova, che evolva come libera confederazione di comunità, regioni e territori liberi di autogovernarsi.

Nel nostro mondo globalizzato e interconnesso l’autodeterminazione è diritto inalienabile di ciascuna persona umana. Non ci riguarda solo come individui, ma anche come comunità territoriali storicamente, socialmente e politicamente determinate. Non è concepibile che una matura esigenza di autodeterminazione, come quella della Catalogna, possa essere repressa. Se le costituzioni continuano a prevedere grandi stati “indivisibili”, saranno esse a dover cambiare di fronte alle esigenze di autogoverno che emergono in ogni angolo d’Europa e del mondo.

Il conflitto istituzionale in corso può e deve essere risolto attraverso un dialogo politico paritario, a cui partecipino il governo spagnolo, il legittimo presidente catalano Carles Puigdemont, le forze politiche e sociali della Catalogna, oltre che – se richiesti – rappresentanti europei e internazionali in funzione di osservatori e mediatori.

Ogni tipo di compromesso è possibile, nel quadro di un ordinamento europeo che già in passato si è mostrato saggiamente duttile nella capacità di includere intere comunità (nel caso della Germania Est, ad esempio) o di associarle in modo diversificato (come nel caso della Groenlandia e di altri territori). L’importante è dialogare senza pregiudizi, ma anzi avendo fiducia nelle forze politiche e sociali catalane, nella loro maturità, nel loro saldo ancoraggio ai valori della civiltà europea.

Continuare invece a negare alla Catalogna il diritto di votare sul proprio futuro, significa per l’Europa rinunciare a difendere principi di democrazia sostanziale e di avviarsi verso una deriva centralista e autoritaria.

Rivolgiamo, quindi, questo appello a tutte le formazioni politiche e sociali, affinché sia discusso in ogni possibile sede.

Chiediamo a tutte le istituzioni democratiche, dai consigli locali fino al Parlamento europeo, di procedere con propri atti a chiedere la liberazione dei prigionieri politici e la fine delle persecuzioni degli indipendentisti, il pieno rispetto dell’autonomia catalana, il ristabilimento in Spagna di una giustizia indipendente dal governo, il riconoscimento del diritto della Catalogna ad autodeterminarsi.

11 settembre 2018

Primi firmatari

Nome

Cognome

Presentazione

Territorio

Samuele

Albonetti

Coordinatore Movimento per l’Autonomia della Romagna

Romagna

Roberto

Baggio

Commercialista

Veneto

Loredana

Barbaro

Imprenditrice

Lombardia

Gian Angelo

Bellati

Venetinet

Veneto

Roberto

Bolzan

Imprenditore

Emilia

Paolo

Bonacchi

Unione Federalista

Toscana

Roberto

Brazzale

Imprenditore

Veneto

Giacomo

Consalez

Professore universitario

Lombardia

Loris

Degli Esposti

Toscana

Marco

Di Bari


Toscana

Rosario

Di Maggio


Friuli

Marco

Faraci

Saggista e contributore di Strade

Toscana

Andrea

Favaro

Professore universitario

Veneto

Giacomo

Fiaschi

Imprenditore e intellettuale toscano all’estero

Tunisia

Michele

Fiorini

Avvocato

Veneto

Renzo

Fogliata

Storico e avvocato

Veneto

Mauro

Gargaglione

Quadro d’impresa

Lombardia

Antonio

Guadagnini

Consigliere Regionale del Veneto – Siamo Veneto

Veneto

Lorenzo

Imbasciati

Imprenditore

Lombardia

Luca

Isetti

Quadro d’impresa

Lombardia

Carlo

Lottieri

Professore universitario

Veneto

Guglielmo

Lupi

RF – L’Altra Repubblica

Toscana

Gianluca

Marchi

Associazione culturale “Gilberto Oneto”

Lombardia

Francesco C.

Marsala

Presidente Associazione culturale Sicilia-Catalunya

Sicilia

Simone

Montagnani

Toscana

Alessio

Morosin

Indipendenza Veneta

Veneto

Valerio

Piga

Segretario Radicales Sardos – ADN

Sardegna

Daniela

Piolini Oneto

Associazione culturale “Gilberto Oneto”

Piemonte

Sergio

Pirozzi

Consigliere Regionale del Lazio

Lazio

Sergio

Salvi

Scrittore e intellettuale toscanista

Toscana

Federico

Simeoni

Segretario Patrie Furlane

Friuli

Alessandro

Trentin

Imprenditore

Veneto

Mauro

Vaiani

Toscana



Pochi giorni dopo la pubblicazione dell’appello hanno confermato la loro adesione, fra gli altri, anche:



Tommaso

Cabrini

Quadro d’impresa

Lombardia

Luigi Marco

Bassani

Professore universitario

Lombardia

Carlo

Vivarelli

Attivista

Toscana

Roberto

Stefanazzi Bossi

Associazione culturale “Gilberto Oneto”

Lombardia

Ciro

Lomonte

Segretario Siciliani Liberi

Sicilia

Simona

Anichini

Traduttrice – Foreign Friends of Catalonia

Toscana



Ultimo aggiornamento: 25 ottobre 2018




lunedì 23 aprile 2018

San Giorgio di Catalogna e la nonviolenza



La festa di San Giorgio è importante in Catalogna.
Quest'anno lo è ancora di più, perché è inevitabilmente dedicata ai prigionieri politici, agli esiliati, ai perseguitati.
Per noi è l'occasione per un altro omaggio alla Catalogna e in particolare alla sua scelta di lottare per l'autodeterminazione attraverso una rivoluzione intransigentemente nonviolenta.
San Giorgio nell'immaginario catalano, nonostante la sua leggenda marziale, ha assunto un ruolo più simile a quello di San Valentino, una festa d'amore e di fiori.
Non è stato difficile, quindi, in questa giornata, per i Catalani, rinnovare la loro scelta nonviolenta.
La nonviolenza è centrale, nel processo di emancipazione della Catalogna dal regime postfranchista spagnolo.
Dobbiamo sottolinearlo questo, soprattutto pensando al tragico destino di popoli e terre a cui la possibilità di fare una scelta nonviolenta non è stata data. Donbass, Abkhazia, Ossetia del Sud, Cecenia, Afghanistan, Balochistan, Pakhtunkhwa, Bakur, Bashur, Rojava, Rojhelat, province siriane, Libano, Cisgiordania, Gaza, Yemen del Sud, Cirenaica, Tripolitania, terre berbere e tuareg, per citare solo alcune delle regioni più vicine e più condizionate dal neocolonialismo occidentale, non hanno potuto ancora farla una radicale e duratura scelta di nonviolenza.
Perché la nonviolenza è così cruciale nel mondo contemporaneo?
Perché così tanti movimenti che pure in passato sono passati attraverso una esperienza di resistenza armata, hanno fatto o stanno pensando di fare una scelta di passaggio a modalità di lotte nonviolente? Uno fra gli ultimi è il movimento ETA basco, che ha annunciato proprio in queste ultime ore il suo scioglimento come corpo militare.

Intanto, perché essa è uno strumento oggi possibile, alla portata di tutti gli oppressi nella modernità globalizzata. Come avevano intuito, fra gli altri, Mahatma Gandhi, Bacha Khan, Martin Luther King, insieme con tanti altri leader nonviolenti, nessuna società moderna può funzionare senza un minimo grado di cooperazione fra governanti e governati (e di riconoscimento e di aiuto dall'estero, in una comunità internazionale che, nonostante i perduranti disastri dell'imperialismo e del neocolonialismo, è sempre più ostile ai costi sociali e ambientali delle guerre). Minare il consenso interno con azioni nonviolente aumenta geometricamente le capacità di resistenza degli oppressi contro ogni tipo di oppressione.
Inoltre, la nonviolenza richiede un ampio coinvolgimento della popolazione residente e sofferente. Senza una vasta partecipazione popolare, infatti, nessuna rivolta nonviolenta ha non solo e non tanto speranze, ma autentiche opportunità di successo. Questo implica che una protesta nonviolenta di massa, per quanto possa sorprendere chi la guarda da lontano, finisce per essere più autorevole, più incisiva, più efficace, entro tempi magari lunghi, ma, visti i ritmi della comunicazione contemporanea, non certo biblici.
Infine la nonviolenza, come ci ha ricordato, da ultimo, Gene Sharp, è l'unico modo di combattere l'oppressione senza scivolare nel terreno drammatico della rivolta armata, terreno in cui sono gli oppressori a essere specialisti e spesso vincenti. Troppe rivolte popolari violente sono state facilmente represse dagli stati autoritari, che hanno avuto gioco facile nel bollare i ribelli come "terroristi".
La nonviolenza nel nostro mondo globalizzato è cruciale, perché è uno strumento di lotta possibile, partecipato, vincente.
Al contrario le speranze dei popoli che sono stati costretti a impugnare le armi, sono drammatiche e incerte.
Anche di questa lezione di nonviolenza, quindi, siamo grati alla Catalogna.
Viva la Catalogna!
Visca Catalunya!

domenica 25 marzo 2018

Who will be the next in Europe



His excellence the 130th president of #Catalonia was arrested today by the German federal police in the state of Schleswig-Holstein, under the accusation of "rebellion", following a "European" (?) arrest warrant issued by the neofrancoist regime of #Spain.
How did we get so far?
It is a long history, not easy to summarize and socialize.

They came for the Saharawis and we remained silent.
They came for the Kurds and we remained silent.
They came for the Berbers and the Tuaregs and we remained silent
They came for Africans exploited by the French neocolonialism and we remained silent.

They came for Cyrenaica and Tripolitania and we remained silent.
They came for Yemen and Syria, destroyed by American and Saudi barbarian bombing and we remained silent.
They came for Scotland, Flanders, Corsica, Sardinia and we remained silent.
They eventually came for Catalonia, one of the most developed and progressive countries of the world.

What are we going to do, now?
Wake up, Europeans. 
In the coming time of Easter, let's cling to the roots of our identity (Matthew 10, 27):
What I tell you in the dark, say in the light, and what you hear whispered, proclaim on the housetops.

* * *

Free all the political prisoners now!
General amnesty for all the self-government advocates and activists!
Let's welcome the free state of Catalogna in Europe!


domenica 11 marzo 2018

Le parole che non ci han detto





Ci sono delle parole che la maggior parte dei nostri aspiranti leader hanno pronunciato poche volte e quasi mai in modo credibile, in particolare i quattro responsabili che hanno imposto all'Italia il #Rosatellum.

La prima è giustizia sociale. Metà del paese dispone, in pratica, di meno di mille euro a testa al mese, più o meno sicure. Oltre agli emarginati e ai disoccupati, abbiamo quindi altre decine di milioni di persone che, pur lavorando, pur ricevendo una pensione, pur possedendo una casa, non hanno abbastanza Euro per arrivare in fondo al mese sereni, per fronteggiare un imprevisto, per togliersi uno sfizio, non parliamo poi di programmare qualcosa per il futuro. Nessuno dei quattro leader del #Rosatellum si è rivolto a loro. Anzi, con il #Rosatellum, hanno tentato di tappar loro la bocca, togliendogli ogni diritto di scegliersi dei leader locali e indipendenti che li potessero davvero rappresentare.

La seconda è pace. Pur facendo parte di una comunità economica e politica di 500 milioni di abitanti, la Unione Europea, e di una alleanza politico-militare permanente come la NATO, che nessuno può attaccare e infatti nessuno minaccia, ci ritroviamo con le spese militari che aumentano, inutili missioni all'estero, finanziatori di terrorismo, complici del massacro dei curdi e della distruzione dello Yemen. Siamo, anche, asserviti al neocolonialismo francese che sta continuando a dissanguare quattordici paesi africani, quelli del sistema del franco centro-africano (CFA) governato da Parigi (con ripercussioni drammatiche anche su tutto il resto dell'Africa): Mali, Benin, Camerun, Costa d'Avorio, Ciad, Niger, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo (Brazzaville), Gabon, Guinea-Bissau, Guinea Equatoriale, Senegal, Togo. Questo elenco di paesi vi ricorda qualcosa, vero? Sì, sono i paesi di origine e di transito di gran parte di quella migrazione disperata che si rovescia in mare dalle coste della Libia, paese quest'ultimo che anche l'Italia ha contribuito a distruggere. In pratica siamo complici della creazione di quelle migrazioni che poi accrescono la nostra insicurezza e le nostre paure.

La terza è Catalogna. Sotto l'occhio non solo inerte ma benevolente degli alti papaveri della Unione Europea, del Regno Unito, degli Stati Uniti d'America, si è lasciato che il Regno di Spagna per un decennio minacciasse e ostacolasse una delle sue più importanti regioni autonome e infine, dopo che la Catalogna si è ribellata, quando sono iniziate la repressione neofranchista, le incarcerazioni, gli esili, non solo ci si è girati dall'altra parte, ma si è fatto ben di peggio: si è eletto come vicepresidente della Banca Centrale Europea (il più grande centro di potere continentale) il ministro spagnolo Luis De Guindos. Nella attuale stagione politica, ci pare, più si calpestano le periferie, più si fa carriera al centro. L'Europa delle regioni e delle autonomie viene messa in paricolo e non solo: c'è una pericolosa coincidenza fra oppressione della Catalogna e il progetto Euro-cratico, che dovremo approfondire seriamente. Tutto quello che lasciamo accadere alla Catalogna un giorno potrà accadere alla Corsica, alla Sardegna, al Sudtirolo, al Friuli, alla Toscana. Ce ne rendiamo conto?

Non so se queste tre parole sono populiste, non so se sono di sinistra (o di centro, o di destra). Di certo sono le parole di chi si oppone alla concentrazione di potere e di ricchezze. Sono parole importanti per un movimento locale e globale per il decentralismo, che ci pare sempre più necessario per tornare protagonisti dei nostri territori, per non smarrire la nostra identità, per rimanere liberi e sovrani, per proteggere i nostri territori, per restare vivi.

Queste tre parole, di certo, sono parte del cuore pulsante del nostro impegno politico e civile.

domenica 21 gennaio 2018

Fermiamo il sovranismo europeo


Un sondaggio RAI sull'Europa del 2014




Noi ci opponiamo al sovranismo italiano, che è sinonimo di centralismo, militarismo, ingiustizie sociali e distruzioni nelle periferie. Lo combatteremo fermamente.
Nemmeno crediamo nel sovranismo europeo e continueremo a sviluppare la  riflessione eurocritica che conduciamo da anni, perché il sovranismo europeo è, se possibile, ancora più pericoloso di quello italiano.
Si pensi solo all'idea assurda dell'elezione diretta di un presidente europeo, con primarie europee. Solo chi non conosce proprio nulla degli inganni mediatici, delle "fake news" imposte dall'alto, delle ingiustizie economiche e finanziarie, del neocolonialismo interno ed esterno, dei disastri ambientali e sociali praticati dalle grandi democrazie continentali (gli USA, la Russia, l'India, ma anche Brasile e Nigeria), può immaginare che una tale concentrazione di potere e di ricchezza possa condurre a qualcosa di buono.
Un presidente europeo eletto direttamente, magari sinistramente selezionato con regole alla francese, incarnerebbe esattamente l'opposto dell'idea di un effettivo controllo dei popoli e dei territori sulle proprie economie locali, sui loro servizi pubblici, sul loro futuro culturale e politico.
Dobbiamo tenerci lontano dall'illusione centralista e statalista europea alimentata da personaggi come Macron (con l'aiuto della Merkel), sposata in Italia dai neocentralisti renziani e dalla lista Più Europa.
Dobbiamo dire chiaramente NO ai tecnocrati europei che, coperti da un potere presidenziale centralizzato, diventerebbero ancora di più i padroni di tutto e di tutti.
Jean-Claude Juncker fu sprezzante con la ragioni della Catalogna e con le regioni di tutta Europa, quando disse che non gli sarebbe piaciuta una unione europea con 90 membri.
Invece questo blog e pochi altri autonomisti, crediamo davvero in una nuova confederazione europa composta non da 27, non da 90, ma da 200 repubbliche.
Una confederazione che si rifiuti di concentrare ricchezze e potere è esattamente ciò che ci serve, contro le tentazioni del centralismo italiano e, ancor peggio, del centralismo europeo.

sabato 28 ottobre 2017

La mite resistenza catalana


Diventare meno dipendenti è un cammino lungo e faticoso, incerto e rischioso.
Gli ultimi dieci anni di storia catalana ne sono solo una ulteriore conferma.
Si era arrivati a un risultato che avrebbe potuto essere duraturo, lo statuto di autonomia concordato del 2006 fra la Catalogna e il Regno di Spagna, ma poi il partito neofranchista di Mariano Rajoy ha iniziato a coltivare un tipico progetto di imprenditoria politica dell'odio: bloccare ogni sviluppo dell'autonomia, provocare continuamente le forze politiche e sociali della Catalogna; alimentare una retorica razzista contro i "ricchi e avidi" catalani; deriderli quando esercitano il loro diritto di non parlare in castigliano, o quando non lo parlano correttamente; solleticare in alcuni ceti sociali di recente immigrazione in Catalogna, che ancora usano lo spagnolo come lingua media, un odio sociale contro la lingua e la cultura della terra che li ha accolti.
I Catalani sono diventati per un governo reazionario e brutale un comodo capro espiatorio per distrarre i popoli di Spagna da tutto ciò che non funziona, oltre che dalle conseguenze della grande crisi del 2008.
Perché, di fronte a questo grande odio, i Catalani sono rimasti così miti, così civici e civili?
Perché la maggior parte di loro, essendo cittadini di una parte più aperta e progredita del mondo, sanno che il mondo sta andando da tutt'altra parte, una parte che corriponde alle loro più profonde attese.
Per questo possono permettersi di essere pazienti, mentre il governo Rajoy si avvia verso il tramonto.
Sempre più persone, dappertutto, non solo e non tanto per mantenere la propria diversità vernacolare - cosa peraltro sacrosanta - ma per avere più controllo sulla propria vita, per partecipare più attivamente nella propria società, per sentirsi maggiormente sovrane nel proprio territorio, vogliono semplicemente e inesorabilmente maggior autogoverno.
Il decentralismo è e sarà sempre di più il tema dei nostri tempi. 
Lo scontro fra un potere statale miope e reazionario, quello di Madrid, e una cittadinanza aperta al mondo che sente e respira la tendenza globale al decentralismo, quella della Catalogna, non potrà che risolversi in favore della seconda.
Stiamo assistendo a una grande insurrezione popolare nonviolenta, che come tutte le rivoluzioni gandhiane, alla fine, mostrerà la sua veraforza. 
Intanto noi, da subito, facciamo quello che possiamo per sostenere la nuova repubblica europea di Catalogna, proclamata appena ieri.
Non illudiamoci che sarà facile, né breve, ma non dubitiamo della reale forza sociale che sta agendo: la tendenza universale al rafforzamento dell'autogoverno per tutti e dappertutto.
In queste ore complicate, vogliamo onorare una persona che ci pare incarni al meglio i sentimenti della stragrande maggioranza dei catalani e anzi di tutte le persone che amano la libertà propria e altrui.
E' la deputata catalana Angels Martinez Castells, una vecchia professoressa, eletta dall'area di Podem (non indipendentista, ma attaccata a principi di democrazia deliberativa al più basso livello possibile). Questo il suo ultimo splendido cinguettìo:

La professoressa Castells la avevamo già notata. Qualcuno di voi la ricorderà quando in un altro giorno cruciale, quello della convocazione del referendum di autodeterminazione della Catalogna, si era fatta notare per questo atto piccolo ma significativo:

*
 

Angells Castells è l'emblema dello spirito libero e repubblicano dei Catalani, la cui mitezza, il cui senso di realismo, la cui scelta di gradualità e disponibilità al dialogo, non deve essere scambiata per debolezza.
Per concludere, esprimiamo il nostro forte incoraggiamento al presidente Carles Puigdemont, che ancora oggi ha voluto parlare con pacatezza di una ferma opposizione democratica alle ingiustizie provenienti da Madrid.
Il mondo, caro dottor Puigdemont, la riconoscerà presto come primo presidente della nuova repubblica catalana, oltre che come 130° presidente dell'antica Generalitat (una istituzione che è più vecchia dell'attuale Regno di Spagna e che per l'appunto gli sopravviverà).
Gli stati centrali e centralisti sono giunti al termine della loro corsa.
Le forme di autogoverno locale, sono espressione diretta della nostra umanità e lo saranno sempre di più.
Viva la nuova repubblica di Catalogna, libera e sovrana.






domenica 1 ottobre 2017

Autogoverno per tutti, non per pochi





La domenica del primo ottobre 2017 è una grande giornata di rivolta popolare nonviolenta in Catalogna. E' anche la conferma che la storia umana ha intrapreso una strada che potrebbe rivelarsi fonte di grande speranza per le generazioni future.
Noi stiamo vivendo nel pieno di un movimento decentralista globale, contro le prepotenze e i soprusi, ma più ancora contro ogni concentrazione di ricchezze e di potere.
Ogni persona umana che nella globalizzazione abbia raggiunto un minimo livello di nutrizione e salute, istruzione e competenza, informazione e connessione, non si rassegna a essere un anonimo e insignificante mattone alla base delle grandi piramidi delle modernità (stati, ma anche grandi imprese e altre grandi organizzazioni).
E perché dovrebbe?
Le ambizioni della persona umana contemporanea finiscono per trasformarsi anche in una richiesta urgente e pressante di maggior controllo anche sul proprio territorio.
Una parte sempre crescente dell'umanità vorrebbe appartenere a comunità più a misura d'uomo, dove l'individuo possa fare la differenza, trovare una realizzazione e una identità, ma anche un sostegno e una solidarietà.
In ciascuna periferia del mondo si ricostruiscono reti di vicinato, che condividono una economia locale, un riscatto sociale, una piattaforma politica, una cultura vernacolare. Queste reti, prima o poi, diventano comunità politiche che finiscono per chiedere l'autogoverno.
L'individuo non vuole più essere un "governato", ma sentirsi un sovrano che si autogoverna, potendo controllare direttamente, attraverso i suoi cinque sensi e il contatto personale, il governante da lui eletto.
Questo, in paesi troppo vasti, è semplicemente impossibile.
Di fronte a questa nuova realtà, tutto ciò che il conformismo dominante ci ha raccontato sui pericoli dell'indipendentismo e del nazionalismo, va totalmente messo in disccusione.

Certo che certi nazionalismi sono un pericolo, basti pensare a quello spagnolo, o francese, o inglese, o americano, o russo, o cinese, o pakistano, o hindi, o indonesiano, o iraniano, o nigeriano. In tutto il mondo si diffonde la coscienza sempre più chiara di quanto siano pericolosi i nazionalismi centralisti e autoritari, colonialisti e militaristi. Da questi nazionalismi i territori di periferia vogliono liberarsi e riusciranno, in un modo o nell'altro, a farlo.

Certo che ci sono movimenti reazionari e razzisti, nelle periferie della società contemporanea, ma essi sono il prodotto diretto dell'oppressione dei regimi centralisti. Ovunque, però, sono presenti attivisti che stanno portando avanti le ragioni dei propri territori con metodi inclusivi e nonviolenti. Saranno loro a vincere.

Certo che ci sono interessi economici, in alcune periferie più ricche e più avanzate, a lungo depauperate dai loro stati centrali. Perché la loro richiesta di trattenere sul posto le proprie risorse dovrebbe essere condannata? I regimi centralisti spogliano le regioni più prospere, magari nascondendosi dietro principi di solidarietà che sono traditi prima di tutto dalle loro stesse caste dominanti, come sanno bene gli abitanti delle periferie più povere e arretrate, a cui vengono redistribuite solo briciole. Infatti anche le regioni più marginali organizzano propri movimenti di resistenza anticentralista e anticolonialista, tanto e forse persino di più delle periferie più fortunate.

Certo che tutti ci sentiamo sempre più cittadini del mondo: "nostra patria è il mondo intero" dice l'inno anarchico scritto dal migrante di origine toscana Pietro Gori, ma questa esperienza non può essere riservata solo a pochi privilegiati che possono permettersi di vivere e lavorare in uno qualsiasi dei grandi centri del potere mondiale. Per consentire a ogni persona umana di sentirsi davvero libera (anche di cambiare vita e paese), occorre prima di tutto che essa possa essere cittadina sovrana della sua terra.


Ogni internazionalismo, se disconnesso da una seria visione anticentralista, anticolonialista, antimilitarista, finisce per essere solo un vago moralismo al servizio del mantenimento delle attuali ingiustizie politiche e sociali.
La strada maestra per assicurare libertà ed eguaglianza di opportunità alle persone umane passa attraverso l'instaurazione di una libertà e pari dignità fra le comunità comunità territoriali in cui esse vivono. Non c'è nulla di facile, in questo cammino, ma è la direzione in cui il mondo sta andando: un maggior numero di repubbliche indipendenti; federazioni che diventano confederazioni; province autonome che diventano stati; responsabilità che vengono devolute dal centro alle periferie.

Autonomia, federalismo, confederalismo, indipendentismo sono parole che vengono usate spesso strumentalmente - specie nel dibattito pubblico in lingua italiana - fino a svuotarle di significato (talvolta rendendole impronunciabili), ma l'autogoverno è un diritto e un dovere umano universale e nessuno si illuda di poterne contrastare l'avanzata, in nome dei propri pregiudizi o, peggio, dei propri privilegi negli attuali rapporti di forza sociale e politica.
Le attuali concentrazioni di ricchezza e di potere sono incompatibili con i bisogni della persona umana del XXI secolo e nessuno degli attuali pregiudizi pro-centralismo potrà conservarle ancora a lungo.
 

Mauro Vaiani Ph.D.



* * *

Chi scrive ha avuto il privilegio di conoscere e partecipare a movimenti e realtà autonomiste sin da ragazzo. Da adulto ha avuto l'opportunità di dedicare all'autogoverno delle comunità umane gli anni del dottorato di ricerca. Per approfondire, si consulti la sintesi dello studio Disintegration as Hope





mercoledì 20 settembre 2017

La Catalogna rompe le catene


Oggi, mercoledì 20 settembre 2017, è stata una giornata difficile in Catalogna, ma forse decisiva per svegliare le coscienze, in vista del referendum del 1 ottobre.Il governo spagnolo ha voluto perquisizioni intimidatorie e arresti.
In tutta risposta il popolo catalano è sceso in strada.
In Catalogna, una rivoluzione popolare, nonviolenta, democratica sta rompendo le catene di Madrid.
Non è una rottura improvvisa.
Come qualcuno che segue le nostre ricerche su "Disintegration as Hope" sa, non guardiamo tanto alle tradizioni e alle identità dell'epoca pre-industriale, che sono importanti, ma spiegano ben poco del presente.
Siamo più interessati alla rottura delle catene autoritarie e centraliste che avviene nella modernità, grazie all'azione di cittadini sempre più connessi, socialmente attivi, politicamente coscienti.
Dopo decenni di oppressione, dopo lunghi anni di "compromesso costituzionale", dopo dieci anni di insulti e soprusi continui da parte del governo centrale neofranchista dei cosiddetti "popolari" spagnoli, la Catalogna si è ribellata.
Una forte maggioranza politica indipendentista ha rotto la legalità costituzionale e sta cercando di imporre una nuova legalità repubblicana catalana.
Adesso tocca al popolo catalano esprimersi, votando con le schede del referendum del 1 ottobre 2017, con i piedi dei manifestanti, con i sacrifici dei lavoratori e degli studenti che scioperano, con il canto dell'inno nazionale "Els Segadors" intonato a ogni angolo delle strade.
Occorre una mobilitazione popolare vastissima, largamente maggioritaria, per vincere una battaglia nonviolenta.
Sinceramente ci auguriamo questa rivoluzione abbia successo e che l'Europa abbia presto una nuova repubblica in più.
Invitiamo coloro che volessero approfondire a leggere questa sintesi semplice ma completa, scritta dall'amico e compagno Joan Vila de Gràcia (@JRVdGracia su Twitter), un attivista e uno studioso catalano che parla e scrive anche in italiano, che potete leggere qui su Prometeoblog.
Viva la Catalogna.
Visca Catalunya lliure.

Una bandiera catalana a Firenze, pronta
per le manifestazioni di solidarietà



sabato 16 settembre 2017

Resistenza popolare catalana



Con metodi franchisti hanno sequestrato 100.000 manifesti per il Sì all'autodeterminazione catalana. Il popolo repubblicano catalano sta rispondendo stampandosi in casa milioni di volantini in formato A4.

Viva la resistenza popolare catalana. Viva la nuova repubblica di Catalogna che nascerà il 1 ottobre 2017.

Leggi di più.


lunedì 11 settembre 2017

In Catalogna la Diada del Sì


Omaggio alla Catalogna, che oggi è scesa in piazza per la tradizionale Diada, quest'anno ovviamente dedicata al Sì al referendum per l'autodeterminazione.

Fonte: http://www.naciodigital.cat/


Per chi vuole approfondire perché la causa catalana è importante per tutti i decentralisti del mondo, a cominciare da noi Toscani, Italiani, Europei, invitiamo alla lettura e alla diffusione delle posizioni dei diversi movimenti autonomisti italiani.

Per chi conosce l'inglese e vuole approfondire le ragioni di diritto internazionale che legittimano la richiesta catalana di indipendenza, consigliamo la lettura di questo ottimo articolo di Vicent Partal (https://twitter.com/VilaWeb_EN), pubblicato qui: https://www.counterpunch.org/2017/09/08/five-things-to-remember-about-catalonia/.


Visca Catalunya!

domenica 27 agosto 2017

No oblidem


(Fonte: El Mundo)

La manifestazione di ieri a Barcellona, in ricordo delle vittime del terrorismo islamista, per la pace, contro ogni razzismo, contro ogni fascismo, è stata un momento solenne, un grande rito civile popolare, indimenticabile per chi era presente e anche per noi che lo abbiamo seguito da lontano.
A nostro parere, uno degli striscioni più importanti e significativi era quello che riportava una accusa netta: Filippo VI e il governo spagnolo complici del commercio d'armi (Felip VI i govern espanyol còmplices del comerç d'armes #NoTeniuVergonya). Lo riportiamo nella foto sopra.
Qua e là notiamo commenti infastiditi dal fatto che nella manifestazione siano esplosi i sentimenti repubblicani e indipendentisti della grande maggioranza del popolo catalano. Il re Filippo VI e il primo ministro spagnolo Rajoy sono stati fischiati e si è sentito anche il grido liberatorio: fora el Borbò (fuori il Borbone).

D'altra parte i legami dell'establishment monarchico, politico e militare spagnolo con le petromonarchie militariste e con il terrore e le guerre che esse finanziano, non possono più essere tenuti sottotraccia e suscitano un moto spontaneo di rivolta popolare che, speriamo, si diffonda per tutta la Spagna (e raggiunga anche l'Italia, la Francia, l'Inghilterra, in cui pure questi sporchi legami esistono).
Come abbiamo già avuto modo di scrivere su questo blog e su Twitter, la verità che sta davanti agli occhi di tutti, che i media conformisti non riescono più a tenere nascosta, è che i grandi stati del mondo non lottano contro il terrore, lo creano.
No oblidem (non dimenticheremo, in catalano).
Lotteremo contro la violenza scatenata nel mondo dai grandi stati.
I movimenti decentralisti di tutto il mondo, di cui gli indipendentisti catalani sono la punta di diamante, sono ancora guardati con sufficienza e diffidenza da troppi, anche negli ambienti che pure si autodefiniscono più aperti e progressivi. Eppure essi non sono dei folli sognatori, non sono dei pazzi retrogradi, non sono degli anti-europeisti, non sono dei nazionalisti sangue e solo.
Essi incarnano, al contrario, l'unica strada praticabile e ragionevole per dare alla globalizzazione un volto più umano, attraverso la moltiplicazione di piccoli stati democratici e inclusivi, a misura d'uomo appunto.

Noi preghiamo e lottiamo perché il prossimo 1 ottobre la Catalonia possa votare e sancire in modo indiscutibili una scelta repubblicana di autogoverno.
Sarà un passo avanti per il popolo catalano, per tutti i popoli e i territori d'Europa, per tutto il mondo.


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