Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso
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lunedì 26 giugno 2017

Banche comuni



Quindi anche queste banche venete, come praticamente tutte le altre prima, non potevano essere lasciate fallire.
Tralasciamo - ma non dimentichiamo - l'ipocrisia europea per cui queste banche erano abbastanza grandi per essere inserite nella c.d. "sorveglianza comune" della Eurozona, ma allo stesso troppo "popolari" per sottoporre una platea centinaia di migliaia di risparmiatori alla cura europea del c.d. "bail-in".
Accettiamo il principio che queste banche custodiscono un credito vitale per i loro territori, sono praticamente un bene pubblico, meritevole della protezione della fiscalità generale, come ogni altro bene comune.Bene, ma se siamo d'accordo su questo, non sarebbe il caso di essere coerenti e conseguenti?
Se queste banche sono beni comuni, perché a suo tempo furono privatizzate, impoverendo le comunità che ne erano originariamente proprietarie?
Se non hanno mai potuto essere vere aziende private, perché per tanti anni hanno distribuito stipendi e dividendi come se lo fossero?
Perché hanno privatizzato per anni premi e profitti e ora socializzano così tanti crediti incagliati e perdite d'esercizio?
Se erano organismi vitali alla sopravvivenza di una moderna economia di un territorio dell'Eurozona,  perché non abbiamo impedito loro di mescolare risparmio e speculazione?
Se oggi hanno bisogno di risorse pubbliche per salvarsi, come mai non le abbiamo semplicemente nazionalizzate?
Ci sarebbe costato di più dei 17 miliardi di garanzie di cui tutto il mondo parla?
Perché le regaliamo alla banca più grande del paese?Banca Intesa non è già sufficientemente grande?
Non è essa stessa un'altra "too big too fail"?
O si continua a credere alla storiella secondo la quale attraverso la concentrazione bancaria il sistema Italia diventerebbe più "efficiente"?
Man mano che ci saranno pensionamenti anticipati, non pagherà forse la fiscalità generale?
Se verranno chiusi degli sportelli e vendute proprietà, i risparmi e le risorse saranno forse usati per rimborsare la Repubblica, o per cosa?
Tutte queste domande troveranno mai una risposta chiara?

* * *

Per noi Toscani è particolarmente doloroso ricordare che un po' di ciò che oggi è Banca Popolare di Vicenza, un tempo erano le nostre Casse di Risparmio, con le loro belle sedi, il loro capitale umano, il loro patrimonio di conoscenze del territorio, le loro pratiche di investimento (e beneficenza) verso il territorio, persino le loro collezioni di opere d'arte!
Ricordiamo benissimo che la partitocrazia si era dimostrata troppo avida e non vogliamo certo tornare a quel passato.
Possiamo tuttavia sommessamente dire che forse la privatizzazione delle banche pubbliche locali italiane, voluta dalle elite liberali europee e mondiali, è stata solo una colossale sottrazione di beni comuni ai nostri territori?
Noi non dubitiamo che possano davvero esistere banche d'affari davvero private, libere di competere (ma anche di fallire) sul mercato globale, ma la maggior parte delle banche non sono e non possono essere questo.
Sono, al contrario, realtà al servizio di vaste comunità di utenti, di piccole imprese, di interi territori, che devono essere sorvegliate e monitorate costantemente, perché - molto semplicemente - non possono fallire.
Ma se non possono fallire non possono essere considerate imprese meramente private.Dovrebbero essere considerate e organizzate come delle società di pubblica utilità.
E come tali messe sotto uno stretto controllo da parte dei cittadini.
Quanto meno sotto un controllo un pochino penetrante di ciò che hanno dimostrato di essere capaci di fare sinora Banca d'Italia, BCE, commissari europei, ministri e autorità indipendenti, visti i risultati, con tutto il rispetto.Come riavere sul territorio delle banche di comunità, sotto stretto controllo pubblico, sottoposte a una vigilanza rigorosa, che tornino a essere istituzioni credibili e durature nel tempo?
Insieme ai miei compagni autonomisti ci stiamo riflettendo seriamente.
E abbiamo delle idee piuttosto radicali in proposito.
Restiamo in contatto.

sabato 7 novembre 2015

In difesa dell'autogoverno e della pace


Con poche eccezioni, fra cui quella importante perché lucidissima di Massimo Cacciari, continua l'attacco alle autonomie locali, a quelle speranze - mai diventate realtà - di autogoverno delle comunità sociali e territoriali nella nostra malandata repubblica.

Una casta egemone attraverso i suoi posti e le sue pensioni intoccabili, nella RAI, nei ministeri, nell'INPS, nelle agenzie e nelle autorità nazionali, nel parlamento dei nominati e dei trasformisti, nelle alte magistrature, nelle prefetture, nelle sovrintendenze, nei consigli di amministrazione delle grandi aziende mantenute dallo stato, è sempre più scatenata contro i comuni e le regioni - e non ha ancora veramente iniziato a sciogliere le province, perché esse sono la proiezione sul territorio di un antico statalismo.

Sono riusciti ad affondare ogni speranza di riforma federale dell'Italia, spingendo indietro, verso la dipendenza le comunità e verso il servilismo gli individui.


Invece di accettare profonde, sagge, graduali riforme per il ridimensionamento di ogni burocrazia, stanno radicalizzando il conflitto fra loro al centro e noi in periferia. Dal loro punto di vista tutto sembra ridotto a: mors nostra, vita sua.

Il primo governo Renzi pare incapace di mettere un freno a questa corsa scellerata verso l'accentramento a Roma non solo di risorse e potere, ma anche di conoscenze e credibilità.

Anzi, i collaboratori più stretti di Matteo Renzi sembrano narcisisticamente affascinate dalla tentazione di contribuire, attraverso una comunicazione sommaria e autoritaria, alla distruzione anche mediatica di ogni autorità locale. Una operazione che è parzialmente riuscita in passato ad altri leader nazionali, ma sempre con esiti disastrosi nel lungo termine. Oggi non potrebbe che rivelarsi tanto più pericolosa quanto più l'Italia è diventata complessa e divisa.

Vecchi e nuovi centralisti paiono irrimediabilmente ciechi al fatto che stanno mettendo in pericolo non solo la nostra fatiscente repubblica e l'autogoverno delle comunità italiane, ma anche il federalismo europeo e il movimento globale per l'autodeterminazione dei popoli, mettendo in pericolo, di conseguenza, la libertà e la pace, ben oltre i nostri confini.

Che fare?

 


Cartina pubblicata dal Corriere della Sera - novembre 2015



venerdì 8 febbraio 2013

Avanti Germania


Netta separazione fra casse di risparmio e banche d'affari e, in molti aggiungono, anche fra banche votate al servizio di un territorio e banche commerciali nazionali e internazionali.
Le casse di risparmio locali che operano per i mutui prima casa e le piccole imprese, sono servizi pubblici e come tali dovrebbero essere trattate e governate.
Le banche nazionali e internazionali sono business privati, che possono e devono andare avanti a loro rischio e pericolo. Se si avventurano fra gli immensi rischi della creazione virtuale di ricchezza e vanno incontro a disastri, dovrebbero essere lasciate fallire.
La Germania sta iniziando a discutere una nuova legislazione che va in questa giusta direzione. Questa sarebbe davvero materia da legislazione comune a tutti i paesi che usano l'Euro, non certo gli sprechi e le follie comunitarie.



mercoledì 12 ottobre 2011

Irraggiungibili, incontrollabili, irresponsabili

Ero presente a un nuovo appuntamento dei Villa La Pietra Policy Dialogues, tenutosi oggi, mercoledì 12 ottobre 2011, presso la prestigiosa sede fiorentina della New York University. La riflessione odierna è stata dedicata alla politica americana in vista delle elezioni presidenziali del 2012. C'erano studiosi e accademici brillanti, giornalisti e opinionisti di valore, fra i quali il nostro bravissimo Mario Calvo-Platero, una delle voci più interessanti e autorevoli di Radio 24.
Mi hanno colpito soprattutto le riflessioni sulle profonde inquietudini che attraversano e forse accomunano movimenti assolutamente diversi fra di loro, come il Tea Party e Occupy Wall Street, o lontanissimi dalla realtà americana, come gli indignados europei e israeliani. Ne hanno parlato tutti ma soprattutto, ciascuno dal proprio punto di vista, il consulente strategico Steve Schmidt, il commentatore Paul Begala, la storica Nicole Bacharan e l'attivista Marylouise Oates.
La singola persona, l'individuo, in Occidente, ma non solo, ovunque siano arrivati un po' di salute, di istruzione, di libertà, si chiede cosa stia succedendo e che cosa ne sarà di lei, in questo tempo di crisi.
Non capisce perché gli stati, le burocrazie, le grandi imprese siano così indebitate e si domanda cosa si dovrebbe fare per cambiare questo stato di cose.
Si sente insicura, perché i vertici del mondo sono tutti opachi, irraggiungibili, incontrollabili, irresponsabili.
Grandi banche e imprese globali sono dichiarate, dalla politica, TBTF, Too Big To Fail, cioè troppo grosse, ormai per fallire, ma se anche questo fosse vero, la politica non avrebbe almeno il dovere di ridimensionare l'eccessivo gigantismo, rinnovare il management, riformare la governance, punire l'azzardo morale?
La politica, se non vuole essere considerata solo una casta improduttiva e impotente, deve cercare di porre rimedio all'attuale incontrollabilità dei vertici delle grandi aziende, che ormai sfuggono a ogni possibilità di controllo da parte dei loro stessi azionisti, delle agenzie di controllo, dei poteri pubblici, della cittadinanza sovrana.
Se la politica non affronta gli enormi problemi posti da quelli che sono troppo grossi per essere dichiarati falliti, compresi alcuni interi stati, questi finiranno per assorbire troppe risorse pubbliche e per distruggere troppa della nostra ricchezza.
Non sono solo gli esponenti più deboli di una classe media impoverita, non sono solo dei giovani dropout frustati, non sono solo dei libertari un po' settari o degli estremisti di sinistra un po' retrò, che stanno cercando di alzare la voce e farsi sentire.
Nessuno si illuda, per il fatto che il livello di protesta sia ancora così relativamente basso, nelle nostre società.
C'è qualcosa di più ampio, di più profondo, di necessario, che deve trovare ascolto.
Aggiungerei, personalmente, che dovrebbero in particolare trovare maggior ascolto coloro che veramente possono creare ricchezza: gli imprenditori innovativi, le piccole imprese locali, le startup high-tech, gli appassionati del proprio territorio e dei propri beni culturali, le iniziative civiche dal basso, le famiglie numerose e quelle allargate, le reti di cittadinanza attiva che possono creare solidarietà e sicurezza a livello di vicinato, di borgo, nelle comunità locali.
E' necessario andare avanti con quella che Steve Schmidt ha chiamato l'esigenza di una honest discussion sul crollo della credibilità delle grandi istituzioni pubbliche e private, sulla sfiducia popolare su come vengono spesi i soldi e le ricchezze di tutti, sulla necessità di cambiare anche ciò che sta davvero molto in alto, che pare intoccabile, che invece deve essere riportato a terra, quaggiù fra di noi.
In America la discussion sembra partita e sembra davvero coinvolgere fino in fondo anche il presidente Barak Obama, che si ricandida, e Mitt Romney, il suo sfidante più accreditato.
E in Italia?
E in Toscana?

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