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martedì 29 giugno 2010

Cosa c’è da festeggiare nell’essere gay?





La cartolina diffusa dai gruppi omosessuali cristiani
al Pride di Napoli del 26 giugno 2010



La partecipazione di persone e gruppi cristiani al NapoliPride 2010 dello scorso 26 giugno è stata numerosa, visibile e apprezzata. Gran parte della popolazione condivide sentimenti religiosi profondi e ha nel cristianesimo un importante punto di riferimento. La presenza di donne e uomini che diffondevano una testimonianza sulla possibilità di conciliare fede e omosessualità è stata quindi vista come un segno di speranza. “Ci siete, finalmente, era ora!” ha detto una mamma ai ragazzi gay cristiani al Pride, come si legge sul blog del sito gay cristiano Gionata.
Le persone gay, lesbiche, transessuali cristiane hanno tutte insistito, nei loro commenti, sulla necessità di portare alla luce del sole nel Pride una testimonianza profonda ma nel segno della leggerezza. Una volta che abbiamo preso piena consapevolezza della nostra identità omosessuale, possiamo assaporare la gioia e permetterci anche un pizzico di ironia e autoironia, in un Pride vissuto come grande festa popolare, più che come manifestazione politica.
Cosa c’è da festeggiare nell’essere gay? La nostra diversità, che è una manifestazione della fantasia di D-o, oltre che la nostra unica possibilità di amare ed essere felici, che non possiamo e non dobbiamo sprecare. Nell’essere nati alti o bassi, destri o mancini, intonati o stonati, ebrei o negri, maschi o femmine, etero o gay, ci si può forse considerare più o meno fortunati. Nell’ottica della fede, però, ”non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina” (Galati 3,28), e quindi nessuna differenza fra eterosessuali e omosessuali.
Non solo si può, ma si deve festeggiare il nostro essere gay, hanno affermato le lesbiche e i gay cristiani, aiutati in questo dalla loro fede in Gesù Cristo, salvatore e liberatore. Essere parte di una minoranza, portare impressa, nella propria carne o nella propria psiche, una differenza, non è mai stato facile. Anche in questa nostra modernità, che pure ci ha portato lo stato di diritto e il riconoscimento di diritti umani universali, ci troviamo di fronte a uno scontro durissimo con il lato oscuro della nostra civiltà, quello dove domina l’ossessione dell’essere tutti “uguali”, ”sani”, ”normali”.
Quante persone come noi, invece, diversamente sane e diversamente orientate, sono state e vengono tutt’ora portate come pecore al macello! Eppure, questa è la speranza cristiana, vale la pena di alzarsi, camminare a testa alta, ribellarsi, assumerci la piena responsabilità della nostra vita, perché nessuna potenza, nessuna prepotenza, né la tribolazione, né la morte, potranno mai separarci dall’amore di Cristo (cfr Romani, 8, 35-39).

Mauro Vaiani


Fonte: http://gaymagazine.it/2010/06/29/festeggiare-essere-gay/ (acceduto martedì 8 marzo 2011)

domenica 27 giugno 2010

Più bassi, più Pride

Articolo pubblicato per Gaymagazine il 27 giugno 2010. Archiviato qui il 27 marzo 2012 (Nda).


Siamo appena tornati dal Pride di Napoli con la convinzione che forse occorre abbassare un po' noi stessi e le nostre pretese, verso la realtà così com'è. Attraversare i bassi di Napoli ci ha confermato che il popolo, quello formato da chi fa il Pride e da chi lo accoglie, sta cambiando.

Mai come ieri, attraversando i quartieri spagnoli, abbiamo sentito che il Pride è sempre di più una festa spontanea di persone gay, lesbiche, transessuali, che finalmente si guardano negli occhi, si parlano, scherzano, sdrammatizzano, si abbracciano, si commuovono, con il resto del popolo. Le mamme, e le donne in genere, le abbiamo sempre viste applaudire e accogliere a braccia aperte i gay che sfilavano per i propri diritti. Ieri a Napoli siamo stati fermati, abbracciati e coccolati anche dagli uomini, di tutte le età.

Napoli, che non è certo esente né dagli antichi pregiudizi, né dalle molto più pericolose forme di moderno odio omofobico ideologico, ha riservato una accoglienza affettuosa a tutti: dai carri dei locali, che esplodevano di bellezza e divertimento, alle piccole delegazioni dei gay sordomuti del Triangolo silenzioso e dei gay poliziotti di Polis Aperta. La partecipazione dei gay credenti, cattolici ed evangelici, in particolare, è stata accolta con entusiasmo dalla popolazione, che in grande maggioranza conserva fortissimi sentimenti religiosi.

Siamo convinti che il Pride, portando per un giorno "Alla luce del sole", come recitava la felice intestazione della manifestazione di ieri, il popolo queer insieme al resto della gente, persone del posto insieme a persone di fuori, chi è sempre in prima fila nell'impegno sociale e politico insieme a chi ci rimane incuriosito ma ancora soprattutto imbarazzato un po' a distanza, svolge una grandissima funzione sociale. Scioglie il sangue dint'e vene, smonta paure e pregiudizi, incrina l'omofobia che c'è attorno a noi e soprattutto dentro di noi.

Da questo punto di vista, è sicuramente positivo che si moltiplichino i Pride locali, nelle grandi città ma anche nelle regioni e nelle province. Così come è sicuramente positivo ospitare i Pride internazionali, che diventano anche grandi eventi turistici, come l'Europride previsto a Roma per il 12 giugno 2011.

Ci permettiamo di suggerire ai vertici dell'associazionismo, alle istituzioni, agli imprenditori che finanziano queste manifestazioni, di incoraggiarne questo aspetto sociale e culturale, popolare e festoso. Ecco qualche stimolo critico.

Ricordiamoci, innanzitutto, che ai Pride stanno partecipando sempre di più, e devono sentirsi sempre più accolti e coccolati, persone mature e anziane, famiglie con bambini, portatori di handicap. Lunghezza, tempi e ritmi della parata non devono rappresentare un tour de force.

Il "comizio finale", con la teoria di interventi, troppi e forse troppo rituali, è stato ignorato dalla gente. Piazza del Plebiscito si è rapidamente e desolatamente svuotata. Gli individui e i gruppi hanno dato il meglio di loro stessi in una parata lunga e impegnativa, che è il cuore del Pride e il momento in cui le persone sono le vere protagoniste. Alla fine del corteo non sarebbe forse meglio trovare bagni, posti di ristoro, giardini e gradini su cui fermarsi un poco a riposare, una musica gioiosa, invece che tante parole?

Le feste notturne sono sicuramente un momento di grande attrattiva, per chi è del posto o decide di fermarsi a dormire, ma tantissime persone, per motivi economici o familiari, devono ripartire entro la serata. Forse meriterebbero che una prima festa popolare, con cibo e bevande a prezzi modici, avessero luogo subito, alla fine del Pride, nel luogo in cui si conclude la manifestazione.

Il Pride è continuamente rinnovato dalla partecipazione spontanea di una cittadinanza attiva. Si rinnovino e facciano qualcosa di nuovo, anche i vertici del movimento.

Mauro Vaiani




Link all'articolo originale (ultimo accesso 27 marzo 2012)

martedì 25 maggio 2010

L'arresto di don Domenico Pezzini

Lunedì 24 maggio 2010 fu arrestato don Domenico Pezzini. Questo è l'articolo che scrissi il giorno dopo, a caldo e d'istinto, senza avere altre notizie che quelle diffuse dalle agenzie. Una difesa morale di una persona innocente, accusata di un reato infamante, che sarà trattata duramente dalla giustizia, nei mesi successivi. Un importante precisazione: il materiale pedopornografico, a cui facevano riferimento le prime notizie, non era altro che riviste gay e libri sulla condizione omosessuale, non difficili da trovare nello studio di un uomo che da trent'anni si occupa di pastorale del mondo queer (Nota dell'A., lunedì 13 dicembre 2010, S.Lucia).


Abbiamo appreso dell’arresto di don Domenico Pezzini. La squadra mobile di Milano lo ha fermato ieri, con l’accusa di aver avuto rapporti sessuali con un ragazzo che, all’epoca dei fatti, cioè circa tre anni fa, aveva solo tredici anni. Nel corso di una perquisizione in casa sua gli agenti avrebbero anche trovato, riportano le agenzie e i siti web, materiale pedopornografico.
Attendiamo serenamente che si concludano le indagini e l’eventuale procedimento giudiziario, nel massimo rispetto degli inquirenti e dei giudici.
Don Domenico Pezzini ha 73 anni. E’ un sacerdote della Chiesa cattolica di Lodi, ma da decenni risiede e svolge la sua attività pastorale a Milano, mantenendo rapporti semplici e cordiali con tante persone, laiche, religiose, ecclesiastiche, della Chiesa cattolica ambrosiana, arcidiocesi che in Italia si distingue sempre per la sua operosità, apertura culturale, capacità di dialogo e inclusione. Oggi è in pensione, dopo una lunga carriera all’Università di Verona come professore ordinario di letteratura inglese antica.
Si tratta di uno dei sacerdoti italiani maggiormente impegnati nell’assistenza spirituale delle persone omosessuali e nella promozione di gruppi di gay cristiani. Ha partecipato alla vita dei primi gruppi italiani di omosessuali credenti, il Davide e Gionata di Torino e il Guado di Milano. Nel 1986 ha fondato a Milano il gruppo La Fonte.
Senz’altro è uno dei più visibili. Insieme a don Franco Barbero, padre Jean Baptiste Edart e, si parva licet, a chi scrive, ha reso una coraggiosa testimonianza spirituale e pastorale in un documentario di Alberto D’Onofrio del 2008, intitolato “Confessioni di un gay cattolico“, apparso su Cult e tuttora disponibile sul circuito Fastweb.
Don Domenico Pezzini ha aiutato tantissime persone che vivevano il conflitto spesso dolorosissimo tra fede e omosessualità. Se pensiamo a tante vittime dell’omofobia e a tanti suicidi di persone omosessuali in crisi con la loro coscienza cristiana, non crediamo di esagerare se diciamo che ha letteralmente salvato molte vite, con la sua testimonianza di vita, pensiero e azione.
Chi scrive lo ha conosciuto ormai dieci anni fa, a Torrazzetta, il periodico raduno di persone gay cristiane nella provincia pavese, organizzato dal gruppo La Fonte. Abbiamo fiducia in lui. Crediamo e speriamo che tutto si chiarisca presto. Gli vogliamo bene. Temiamo per la sua cagionevole salute.
Le chiese stanno finalmente collaborando con le autorità civili per porre fine ai casi di pedofilia e, più in generale, ai casi in cui membri del clero importunano minorenni. Dopo decenni di ipocrisia e di cultura omertosa, questa svolta ci voleva. E’ di oggi, in proposito, una dichiarazione della Conferenza episcopale italiana che ammette l’esistenza di circa 100 casi di preti pedofili in Italia.
Sappiamo purtroppo che, consciamente o incosciamente, si cerca talvolta di trascinare nel fango le persone omosessuali, e i pochi preti che hanno sempre dato loro una mano, come se c’entrassero qualcosa con la pedofilia. Abbiamo già denunciato, anche qui su Gaymagazine, gli errori di coloro che fanno confusione fra lotta agli abusi sulla gioventù e omosessualità. Temiamo che anche don Domenico possa essere una vittima di questa impropria correlazione, che fa peraltro molto comodo a chi non vuole il cambiamento e la verità.
A chi crede, chiediamo una preghiera per don Domenico.


Fonte:
http://gaymagazine.it/2010/05/25/don-pezzini-in-carcere/

giovedì 15 aprile 2010

Coppie gay, una svolta costituzionale


Alla vigilia della manifestazione #SvegliatItalia, per il tanto atteso riconoscimento delle unioni civili anche nella Repubblica italiana, ripubblichiamo qui i miei contributi a Gaymagazine dell'aprile 2010, dedicati alla sentenza 138/2010 della Corte costituzionale italiana, che in materia segnò, probabilmente, un punto di svolta (NdA, 22 gennaio 2016).


Un primo commento, all'uscita della notizia


Pisa, mercoledì 14 aprile 2010

Resa nota la sentenza della Corte Costituzionale italiana sulle coppie gay

di Mauro Vaiani


E' stata resa nota la sentenza della Corte Costituzionale italiana sui matrimoni gay, giunta poco fa, al termine dell'odierna camera di consiglio. I ricorsi, di cui su Gaymagazine abbiamo già ampiamente trattato, puntavano a far dichiarare incostituzionali le norme che impediscono a persone dello stesso sesso di unirsi in matrimonio. Le istanze sono state respinte. Sembra che la Corte abbia ritenuto di dover lasciare l'intera materia alla discrezionalità del Parlamento. Dovranno essere i legislatori, quindi, a prendere decisioni sul matrimonio civile o su eventuali nuovi istituti per le coppie gay. Era uno degli esiti possibili della vicenda, forse il più probabile. La Corte poteva prendere una decisione più drastica, a favore o contro, ma in entrambi i casi sarebbe stata accusata di scendere in un campo forse più politico che giuridico. In attesa di leggere e commentare più approfonditamente il dispositivo della sentenza, riteniamo che per il mondo delle coppie gay questa non sia né una vittoria, né una sconfitta. E' una tappa di un processo, che sarà graduale, lungo e certo non facile, verso la piena visibilità sociale. Molto dipende anche da noi. Dobbiamo rendere le nostre coppie gay più riconoscibili e maggiormente presenti nella società. Tocca a noi fare la nostra parte per cambiare la mentalità delle nostre famiglie, delle nostre comunità, delle nostre chiese, dei movimenti politici e sociali, in vista di leggi migliori.


Un approfondimento


Pisa, giovedì 15 aprile 2010

La Corte lascia la porta aperta a un futuro migliore per le coppie gay

di Mauro Vaiani

E' stato pubblicato sul sito della Corte Costituzionale italiana il dispositivo integrale della sentenza 138/2010 sul tema del matrimonio gay. Sapevamo già la sostanza: la Corte ha ritenuto che le norme che per il momento limitano la celebrazione del matrimonio civile alle coppie etero non sono incostituzionali. Spetta al Parlamento, se e quando lo vorrà, allargare il matrimonio anche alle coppie gay o creare per esse un nuovo istituto.
Leggendo il testo dell'ordinanza, tuttavia, percepiamo che la Corte ha lasciato la porta assolutamente aperta a un futuro migliore per le coppie gay.
Nel paragrafo numero 8 della sentenza, la Corte riconosce che le coppie omosessuali sono certamente da tutelarsi, essendo anch'esse una delle formazioni sociali tutelate dall'art. 2 della Costituzione, una di quelle realtà in cui si svolge la personalità individuale e dove si adempiono i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Alle coppie gay “spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.”. La Corte non ritiene che il riconoscimento delle coppie gay possa essere realizzato “soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio. È sufficiente l’esame, anche non esaustivo, delle legislazioni dei Paesi che finora hanno riconosciuto le unioni suddette per verificare la diversità delle scelte operate.”. La Corte suggerisce quindi al Parlamento, senza tanti giri di parole, di guardare a quanto si è fatto all'estero e di fare qualcosa di buono anche nella nostra Repubblica. Se nel frattempo però il Parlamento non facesse nulla, si avverte, la Corte si riserva “la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni (come è avvenuto per le convivenze more uxorio: sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988). Può accadere, infatti, che, in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza.”.
Nel paragrafo 9 la Corte dice un'altra cosa importante. Non se la sente di mettere in discussione le norme che, per il momento, regolano il matrimonio fra uomo e donna, ma esclude anche che quando la Costituzione scrive “società naturale”, questo termine debba essere inteso in termini rigidi e bigotti, che sarebbero la triste e liberticida caricatura delle millenarie discussioni sul diritto naturale e sui diritti umani. La Corte ricorda che quando fu definita “società naturale” la famiglia fondata sul matrimonio, “come si desume dai lavori preparatori dell’Assemblea costituente, si volle sottolineare che la famiglia contemplata dalla norma aveva dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che questo doveva riconoscere.”. Il che significa che la Repubblica intendeva rispettare la famiglia com'era nel momento in cui la Costituzione fu scritta, ma anche come essa si sarebbe trasformata nel tempo. La Corte riconosce che “i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi.”. Il che in concreto significa che, più avanti nel tempo, se le cose cambiano, la Corte sarà sempre disponibile a riesaminare la situazione.
Nel paragrafo 10 la Corte esamina il problema della necessità che il nostro ordinamento si allinei alle norme europee. Qui la Corte ricorda che, per quanto riguarda il diritto di sposarsi e di formare una famiglia, le norme europee rinviano alle norme nazionali. Sono le leggi nazionali che devono essere cambiate. A ciascun paese, quindi, le sue battaglie e le sue scelte. Può sembrare sconfortante, perché l'Italia è drammaticamente indietro rispetto alla maggior parte degli altri paesi europei, ma d'altra parte forse è giusto che ciascun paese si evolva da sé, con le sue forze, con i suoi tempi. Se l'Europa, da confederazione di paesi liberi, si trasformasse in un superstato che omologa tutto, dal Portogallo alla Polonia, da Malta alla Scozia, forse ne avremmo più guai che opportunità.
Chiudiamo con una nota di ottimismo, quindi, questo ulteriore approfondimento sul tema, di cui certamente continueremo a occuparci. Nel frattempo mandiamo avanti il cambiamento più importante: formiamo sempre più coppie gay e lesbiche, sempre più stabili e forti, sempre più riconoscibili e visibili. Anche se è vero che le istituzioni possono agevolare i cambiamenti, la realtà che noi viviamo e testimoniamo, ogni giorno, davanti a tutti, è un motore di cambiamento ancora più potente.

* * *

Purtroppo gli originali link sulla rivista Gaymagazine, al momento in cui ripubblichiamo questi pezzi, non sono più disponibili (NdA, 22/01/2016).





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