27 settembre 2020
Noi elettori siamo persone fisiche, in carne e ossa. Stiamo invecchiando. Stiamo diventando in gran parte inesorabilmente più poveri, a causa degli eccessi della globalizzazione e degli errori strutturali della organizzazione finanziaria e monetaria della Eurozona. Siamo stati storditi dalla pandemia e tuttora ci sentiamo insicuri non solo per l'inevitabile diffusione del nuovo virus, ma soprattutto perché essa è diventata un potente alibi per imporci soluzioni centraliste e autoritarie, sempre più dall'alto e da altrove.
Proprio mentre tra di noi dilaga l'analfabetismo funzionale, siamo bombardati da una comunicazione conformista, bigotta e reazionaria (ma anche le poche voci dissenzienti rischiano spesso di aggiungere confusione, perché suonano troppo arrabbiate, a tratti avvelenate da complottismo e settarismo).
Siamo governati da elite globaliste che continuano a disprezzare le economie locali e a lasciare che interi territori si spopolino, che identità e culture vengano cancellate, che delicati ecosistemi vengano distrutti in nome dell' "export" o del "turismo". Imperialismo e colonialismo continuano a dilaniare il pianeta.
La gente comune ci ha provato, a cambiare. Non siamo mai stati disponibili a cambiare voto come in questi anni. In pochi anni, infatti, hanno ricevuto massicci apporti del nostro voto "liberato" personaggi come Matteo Renzi, Beppe Grillo, Matteo Salvini e chissà, magari la prossima volta toccherà a Giorgia Meloni.
Coloro che sono attivisti civici, ambientalisti e soprattutto autonomisti, localisti, decentralisti, invece, sono - siamo - ancora così pochi, così impreparati, inariditi e dispersi.
Proprio noi che dovremmo essere tra i pochi ad aver compreso fino in fondo che non esistono soluzioni globali (ma nemmeno europee, tanto meno italiane) ai problemi della globalizzazione, siamo drammaticamente divisi, incerti, subalterni.
I risultati delle nostre liste locali, in sei delle sette regioni della Repubblica italiana che sono andate al voto, ci parlano chiaramente dei nostri limiti politici e quindi anche organizzativi.
Le nostre liste non non sono partite in Liguria e nelle Marche. Sono rimaste emarginate in Veneto. Sono state escluse in Toscana. Sono state ignorate dagli elettori in Campania. Riflettiamoci sopra.
Prendiamo atto della nostra incapacità di parlare a (e di organizzare in una effettiva resistenza locale) larghi strati popolari, ma non dimentichiamo che è successa anche un'altra cosa, forse non del tutto negativa.
In modo incredibilmente netto, contro ogni previsione e nonostante la grancassa mediatica, stavolta alle regionali non hanno dominato i messaggi unitari e unificati, semplificatori e inevitabilmente ingannevoli di sinistra, centrosinistra, pentastellati, centrodestra.
Nemmeno Matteo Salvini, che è ancora uno dei più pompati imbonitori in circolazione, è riuscito a dominare totalmente la scena con la sua pretesa di avere la soluzione "italiana" ai problemi dei territori.
Anche un elettorato invecchiato, impoverito, impaurito come quello di questo inizio degli anni '20, è riuscito a capire che non si poteva votare una soluzione "italiana", perché, come la crisi sanitaria ha dimostrato una volta di più, non esistono soluzioni "italiane" unitarie ai problemi dei diversi territori.
Michele Emiliano in Puglia, Vincenzo De Luca in Campania, Giovanni Toti in Liguria, Luca Zaia in Veneto, persino Eugenio Giani in Toscana, hanno vinto perché erano ciò la gente chiedeva: leader locali, concentrati sui problemi del loro territorio. La stessa cosa vale anche per le Marche, dove il centrosinistra è stato battuto perché i suoi capi del loro territorio non si sono occupati a sufficienza. La stessa cosa vale anche per la Valle d'Aosta (dove la competizione elettorale era meno polarizzata e quindi forse meno insana), dove alla fine i vincitori morali sono gli autonomisti e in particolare la Union Valdôtaine, cioè il partito del territorio per definizione e per eccellenza. La stessa cosa, a ben guardare, la si registra anche altrove, in tante elezioni comunali.
Non sappiamo se Emiliano, De Luca, Toti, Zaia, Giani e altri leader locali resteranno concentrati sugli immensi problemi che li aspettano nei loro territori, nei lunghi anni di "vacche magre" che abbiamo davanti, oppure se saranno distratti o attratti dalla competizione politica italiana od europea. Sarebbe un tradimento per i loro popoli e un peccato per questa Repubblica delle Autonomie, che, senza forti leader locali, è destinata alla rovina.
Di certo sappiamo cosa faranno gli autonomisti di Liguria, i localisti di Marche e Puglia, i napoletanisti, i venetisti, gli attivisti del Patto per la Toscana, gli autonomisti valdostani, le tante realtà collegate nella rete Autonomie e Ambiente: saremo lì, nei nostri territori, a riorganizzarci e a rinnovarci, per il bene delle nostre comunità locali, per la protezione delle nostre economie locali, per sperimentare le nostre monete locali.
Impareremo dai nostri errori e resisteremo contro le idee sbagliate dell'Italia, dell'Europa, della globalizzazione, che sono ancora dominanti e che stanno distruggendo il pianeta, l'Europa e l'Italia.
Tempo al tempo. Restiamo uniti contro tutte le forme di centralismo autoritario. Animo!
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