Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso
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sabato 27 maggio 2023

Centenario di don Lorenzo Milani


 

Don Lorenzo Milani significa molte cose, per molti della generazione che anima questo blog. Il Forum 2043 di Autonomie e Ambiente, con cui ci onoriamo di collaborare, per la rinascita di una cultura civica e politica in tutti i territori, ha scelto di onorare il centenario della nascita del priore di Barbiana del Mugello, 27 maggio 1923-2023, rileggendo la sua "controstoria". Scritta nel 1965 in occasione della sua difesa degli obiettori di coscienza, questa fulminante denuncia fu da subito disseminativa di un pensiero anticentralista, antiautoritario, antimilitarista, anticolonialista, cioè di una riscoperta del senso profondo delle autonomie personali, sociali, territoriali. Crediamo tanti giovani di allora l'abbiano letta e per questo, ancora oggi, abbiano a cuore la Repubblica delle Autonomie, una grande confederazione europea capace di imporre la pace, la speranza che dopo il 1989 sia ancora possibile un secolo di solidarietà internazionale, contro tutte le guerre e tutte le ingiustizie della globalizzazione.

Segnaliamo e invitiamo a una lettura attenta di queste parole, che sono ancora scandalose per tanti che si dichiarano "sovranisti", o "europeisti", o "globalisti", parole che usano con avventatezza, ignari che il mondo, per sopravvivere, sta camminando verso un salutare e radicale decentralismo internazionale, contro tutte le concentrazioni di ricchezza e di potere.

Qui il link al Forum 2043:

https://www.autonomieeambiente.eu/forum-2043/155-la-controstoria-di-don-milani

Per chi volesse approfondire, la bibliografia su don Lorenzo Milani è immensa, ma ci permettiamo di raccomandare l'ultimo libro di Mario Lancisi:

https://www.toscanaoggi.it/Cultura-Societa/Presentazione-del-nuovo-libro-di-Mario-Lancisi-Don-Milani.-Vita-di-un-profeta-disobbediente


sabato 1 agosto 2020

Per la Sardegna e contro il colonialismo italiano



Il 22 luglio 2020 scorso, il titolare di questo blog, Mauro Vaiani, e Pier Franco Devias hanno registrato una conversazione sul pieno autogoverno della Sardegna. Ve ne presentiamo un estratto, con l'intento di raggiungere un pubblico di lingua italiana media, potenzialmente molto ampio, che potrebbe essere in grado di comprendere la complessità, l'importanza e anche l'urgenza della questione sarda.
La Repubblica delle Autonomie italiane, quando si guarda riflessa nelle acque limpide della Sardegna, come in uno specchio, si vede per quello che è: uno stato malato di centralismo, autoritarismo e colonialismo, che opprime e distrugge un'altra piccola nazione, la Sardegna.
Mauro Vaiani, il blogger di Diverso Toscana e uno dei vicepresidenti di Autonomie e Ambiente, la sorellanza di forze decentraliste attive in ogni territorio della Repubblica Italiana, legata alla Alleanza Libera Europea (Free European Alliance).
Pier Franco Devias (Predu Frantziscu), di Nuoro, è stato sin da giovanissimo attivo nella sinistra indipendentista sarda. Nel 2016 è stato tra i fondatori di Liberu (denominazione ufficiale: LIBE.R.U. Lìberos Rispetados Uguales), di cui è attualmente segretario nazionale. 
Il progetto politico di Liberu prevede, in prospettiva, la fondazione di una repubblica sarda sovrana e interconnessa, in modo paritario - finalmente, dopo secoli di colonialismo - con tutti gli altri territori d'Europa, del Mediterraneo, del mondo.
Liberu e Autonomie e Ambiente hanno avviato un dialogo che si sta rivelando promettente, su temi urgenti di difesa della Repubblica delle Autonomie e nella prospettiva di una controffensiva culturale e politica per porre fine alle ricorrenti tentazioni centraliste e autoritarie del sistema politico italiano.
Nella conversazione, tra gli altri temi, si rievoca anche il drammatico arresto degli indipendentisti sardi del 2006, una operazione che non si deve esitare a definire una vergognosa persecuzione politica. Il processo a questi "pericolosi" indipendentisti sardi, ovviamente, dopo quasi un quindicennio, è ancora in alto mare - un diniego di giustizia che, anch'esso, dice molto dello stato in cui viviamo e di quanto sia dura vivere sotto il centralismo autoritario italiano.
Buon ascolto.


 

mercoledì 25 marzo 2020

Cosa cambierà? Tutto


Buon 25 marzo 2020, buon Capodanno toscano.
Il grande Karl Deutsch, uno dei padri di un moderno decentralismo, lo aveva già compreso negli anni sessanta: connettere gli esseri umani nella globalizzazione avrebbe avuto conseguenze incredibili, soprattutto nel loro sempre difficile e oggi sempre più complesso rapporto con il potere.
Questa pandemia di coronavirus, la prima che coinvolge un intero pianeta in cui ormai ci sono più cellulari che persone umane viventi, è un evento drammatico che accelera incredibilmente il cambiamento.
Dopo questa globale e faticosa quarantena, non ci sarà alcun ritorno all'obbedienza e alla sottomissione, al centralismo e alla superstizione dell'austerità. 
Fra tante utopie irrealizzabili, scrisse Karl Deutsch nel 1970, la più improbabile di tutte è proprio quella coltivata dai tanti "cari lider" che ci vogliono comandare dagli schermi televisivi, "per il nostro bene": quella secondo cui il mondo possa restare come vogliono loro.
Miliardi di persone, dopo aver fatto ciò che è stato ordinato di fare per rallentare questa seria e pericolosa polmonite virale, avranno avuto tanto più tempo per pensare, avranno notato tante reticenze e tante mancanze da parte dei poteri centrali, avranno toccato con mano cosa vuol dire essere senza ricchezze e senza potere, senza autonomia e senza autosufficienza (come individui e come comunità locali), senza informazioni corrette e senza capacità di critica e di innovazione, nel momento del più estremo bisogno.
Cosa cambierà? Tutto.
E molto più velocemente di quello che molti di noi, studiosi di mobilitazione sociale, oltre che attivisti dell'autogoverno, avremmo mai pensato.
Animo!

mercoledì 1 gennaio 2020

Anticolonialismo, ancora e sempre



In questi anni venti del XXI secolo mi porterò dietro una parola preziosa: anticolonialismo.

Non sono affatto finite le lotte contro il colonialismo, interno ed esterno, oltre che contro ogni forma di neocolonialismo economico, sociale, culturale. Anzi, non sono nemmeno cominciate. Esse sono parte integrante del lunghissimo 1989, di cui questo blog vi ha già parlato.

I grandi stati centralisti e autoritari sono ancora tutti colonialisti. Praticare un moderno colonialismo "senza colonie" (sì, quello di cui ci parlava Magdoff sin dagli anni settanta), colonizzare non solo territori ma ancora di più la mente delle persone, è al momento una delle principali strategie di conservazione delle attuali grandi concentrazioni di potere e di ricchezza nel mondo.

Convincendoci che siamo "cittadini" di grandi mercati aperti, viene frenato il grande moto universale verso l'autogoverno di tutti dappertutto, che percorre il mondo.

L'inganno colonialista, come sanno i pochi che hanno letto qualche pagina dei miei studi sulla disintegrazione (Disintegration as Hope), non può durare, perché è impossibile impedire alla persona umana inclusa nella modernità globalizzata di vedere ciò che non va nella globalizzazione stessa.

C'è speranza, quindi, animo e anticolonialismo ancora e sempre!


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L'immagine è ripresa da qui.





sabato 26 ottobre 2019

Il fattore A nel lungo '89



Ci avviciniamo a una data importante, il 30° anniversario della caduta del Muro di Berlino, avvenuta il 9 novembre 1989.
Mi pare importante ricordare, seguendo in questo un insegnamento ricevuto dal prof. Luciano Bozzo, che non stiamo celebrando qualcosa di lontano e in qualche modo compiuto.
Al contrario, stiamo ancora vivendo in un "lungo '89".
Ciò che si è pienamente manifestato in quell'anno eccezionale non ha ancora finito di dispiegare i propri effetti, anzi, forse, non siamo nemmeno all'inizio - grazie al cielo, lasciatemi aggiungere.
Finirono dei regimi, si sciolsero delle alleanze militari e persino degli stati.
Il 1989 non fu solo la fine di una certa famiglia di partiti unici d'ispirazione marxista-leninista, ma anche il rilancio di altre ondate di cambiamento in tutto il mondo, contro autoritarismi, militarismi, partitocrazie, statalismi, centralismi.
La persona umana del XXI secolo, grazie anche a questo lungo 1989, sta scoprendo, fra tante altre cose importanti, il fattore "A", dove "a" sta per autogoverno, autodeterminazione, autonomia (e forse anche un po' anarchia).
Chiunque abbia una coscienza politica, sta comprendendo che c'è bisogno anche di una visione geopolitica chiara sul proprio territorio: estensione orizzontale, altezza delle gerarchie, numeri demografici e distanze geografiche, disuguaglianze economiche e sociali non solo tra cittadini singoli, ma anche tra comunità, centri e periferie.
Non ci si domanda più solamente "chi e come governa", ma anche "da quanto in alto e da quanto lontano si è governati".
Ho dedicato lunghi anni della mia vita (e l'intero mio studio di dottorato: "Disintegration as Hope") a studiare questa presa di coscienza, che fu intuita, prima e più chiaramente di altri, dal grande Karl Deutsch, a partire dal suo articolo "Social Mobilization and Political Development" del 1961, dedicato alla "mobilitazione sociale" e alle sue conseguenze politiche.
Karl Deutsch, ricordiamolo, era uno scienziato politico boemo-tedesco. Sradicato dalla sua Mitteleuropa a causa della persecuzione nazista, trovò rifugio nell'America di Franklin. D. e di Eleanor Roosevelt.
Tra le altre cose notevoli della sua formazione cosmopolita, va ricordata la sua partecipazione, come giovane consulente, alla Conferenza di San Francisco del 1945, quella in cui fu fondata l'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Grazie alla sua solida formazione socialista, non si lasciò mai ingannare dalle apparenze sovrastrutturali.
Fu sempre lucido nel guardare a ciò che accadeva nella vita materiale e concreta delle persone, in tutti gli stati, indipendentemente dal fatto che essi appartenessero al blocco capitalista, o che fossero repubbliche socialiste, o che fossero nuovi stati sorti dal processo di decolonizzazione.
Deutsch comprese che ovunque nel mondo un crescente numero di persone non avrebbero più obbedito ciecamente ai propri stati (come putroppo era invece accaduto durante le due guerre mondiali).
Ogni governo, in una misura difficilmente comparabile con quanto mai accaduto in passato, sarebbe dipeso sempre di più dal consenso dei governati, e questi ultimi avrebbero voluto, in modo crescente, partecipare attivamente al controllo politico del proprio territorio.
Oggi sembra una ovvietà, ma maturare queste considerazioni nell'atmosfera cupa e depressiva della Guerra Fredda, in un mondo diviso e in larga parte dominato da mentalità autoritarie e reazionarie, rende l'idea della grandezza intellettuale di Karl Deutsch.
Nel mondo postbellico, la ricostruzione industriale, l'urbanesimo, la diffusione dei servizi pubblici, l'aumento delle disponibilità alimentari e di altri beni di consumo, la crescita degli indici di alfabetizzazione, la diffusione delle lingue medie globali, le crescenti possibilità di accesso alle comunicazioni di massa, lo sviluppo dei sistemi di assistenza sanitaria e sociale, hanno consentito la crescita della partecipazione potenziale delle persone alla vita politica.
Chiaramente, "potenziale" non significa reale, così come "partecipazione" non significa da subito capacità "liberale" di "conoscere per deliberare", o coscienza "socialista" di comprendere e voler redimere le ingiustizie strutturali.
Tuttavia questa "mobilitazione sociale" era avviata e Deutsch la vedeva accadere chiaramente e potentemente, sia nelle società dell'Ovest, che dell'Est, che dell'immenso Sud del mondo.
Nei decenni, molti altri studiosi hanno visto la connessione tra inclusione delle masse nella modernità e processi di democratizzazione, ma Deutsch fu ed è rimasto a lungo uno dei pochi che vedeva arrivare qualcosa in più: la mobilitazione sociale, comprese Deutsch, avrebbe avuto un potenziale geopolitico, non solo politico.
In un suo importante libro del 1970, "Politics and Government : How People Decide Their Fate" (Politica e governo, Come il popolo sceglie il suo destino), Karl Deutsch spiegò che, pur vivendo ancora in un mondo in cui le due superpotenze nucleari competevano "nell'esportazione di ignoranza", l'umanità avrebbe visto un numero crescente dei suoi membri disposti a impegnarsi per fermare l'apocalisse nucleare, l'autodistruzione ecologica, gli eccessi di urbanizzazione e industrializzazione, oltre che per porre fine a inaccettabili ingiustizie sociali.
Milioni di persone, scrisse Deutsch, anche nelle nazioni più povere, stavano ottenendo accesso ad abbastanza informazione e tecnologia, oltre che al potere di farci qualcosa.
Oggi noi scriveremmo miliardi, considerando la diffusione dell'accesso alle reti.
Entro la fine del XX secolo, aggiungeva Deutsch, avremo la maggioranza delle persone occupate nella manipolazione di simboli, conoscenze, documenti.
Così è andata infatti, solo che lo stesso Deutsch forse non immaginava quanto questo cambiamento avrebbe investito non solo i giovani, non solo il mondo del lavoro, ma anche gli anziani pensionati. Persino le persone più emarginate e più sfruttate, più periferiche e marginali, sono costrette a essere connesse. Persino dove non è arrivata l'acqua, è arrivato lo smart.
Oggi a tutti, in tutto il mondo, è richiesto di essere sempre più coinvolti, non di rado sconvolti, dall'incredibile sviluppo della globalizzazione, in continue innovazioni di stili e tempi di vita, processi e ritmi di lavoro, informazione e comunicazione.Una piccola controprova può fornirla la fonte https://data.worldbank.org/, secondo la quale nel 2018 eravamo già molto vicini ad avere la maggioranza assoluta di tutti i lavoratori del pianeta impiegati nei servizi, più che nella produzione agricola o industriale.
Come ho avuto modo di ricordare in un mio piccolo contributo a Ethnos & Demos, la persona umana del XXI secolo può sempre più scegliere cosa mangiare, dove e con chi vivere, quale vita sessuale e sentimentale condurre, se e quanti figli avere, quali convinzioni coltivare, su cosa e quanto formarsi e informarsi, come curarsi, e persino, al limite, quando morire.
E' probabile, come aveva previsto Deutsch, che questa persona umana, in aggiunta a tutto questo, pretenda anche la facoltà di scegliere in che modo e in che stato autogovernarsi.
Karl Deutsch, insieme a pochi altri, comprese che chi è socialmente mobilitato, avrebbe preteso di vivere in una comunità politica in cui percepisse chiaramente di poter fare la differenza.
Non ci si sarebbe più accontentati di votare ogni quattro o cinque anni, di guardare le cose accadere attraverso i media, di vivere in sistemi politici troppo verticali, di essere pedine in un gioco troppo grande, governato troppo dall'alto, da altri, da altrove.
I limiti fisici, spaziali e temporali, della vita e della forza di ogni singolo individuo, ma anche di ogni singola comunità locale, intuì Deutsch, sono troppo stretti perché ci si possa accontentare di aspettare risposte da autorità troppo lontane, da sistemi politici troppo complessi, da stati troppo grandi.
La persona socialmente mobilitata pretende di essere lei stessa al "potere", almeno nella sua comunità locale, sul proprio territorio, fra la sua gente.
Cosa possibile solo in società progressivamente sempre più decentralizzate e, al limite, quando necessario, in stati molto più piccoli.
Questa intuizione politica e geopolitica di Deutsch aiuta - e non poco, a mio parere - a comprendere come mai, nonostante l'avanzare di una globalizzazione che è oggettivamente una potente forza livellatrice e omologatrice, in tutto il mondo continuino a formarsi movimenti che non sono "solo" sociali e ambientali, ma che esigono una effettiva redistribuzione di potere geopolitico.
Attraverso gli studi anti-centralisti di Deutsch, si comprende meglio perché alle reti di cittadinanza più attive, in cerca di diritti civili, svolte ambientali, giustizia sociale, non basti affatto cambiare ogni tanto - con il voto o anche con la rivolta - il vertice della piramide.
La piramide, piuttosto, deve essere smontata, perché al suo posto possano nascere forme di autogoverno locale più vicine, più capaci di ascolto, più rapide nell'immaginare e introdurre innovazioni, più attente ai dettagli e alle necessarie correzioni dei cambiamenti intrapresi, nonché, cosa nient'affatto secondaria, più facili da contrastare e ribaltare quando esse non siano più rispondenti alle attese della gente.
Dal 1989 a oggi sono caduti e continuano a cambiare molti regimi, ma una analisi spassionata dovrebbe riconoscere che fra i territori dove si registrano maggior successo sociale e minore violenza, sono proprio quelli in cui, oltre a quello politico, c'è stato anche cambiamento geopolitico, restituendo autogoverno a comunità locali e a bioregioni di scala più ridotta.
Gli stati più piccoli, o quelli dove c'è un effettivo decentramento di ricchezze e di potere, rispondono meglio alle esigenze poste dalla persona umana socialmente mobilitata.
Questo, si badi bene, vale sia per società più ricche (Catalogna, Scozia) o più povere (Corsica, Sardegna); sia per aspirazioni nazionali più antiche (come quelle dei Curdi nei confronti di Iraq, Iran, Turchia e Siria), che per aspirazioni all'autogoverno emerse più recentemente (come quelle dei Berberi nel Maghreb o dei nativi in Amazzonia); per territori remoti (Nuova Caledonia) o per grandi città cosmopolite (Hong Kong).
Varrebbe anche in alcuni altri territori che purtroppo sono tenuti insieme con la forza e la violenza da sinistre forze neocolonialiste e imperialiste straniere, come Somalia, Libia, Congo, Nigeria, Yemen, Afghanistan; situazioni drammatiche che non troveranno redenzione finché continueranno le ingerenze delle grandi potenze.
Deutsch scrisse - nel suo libro del 1970 sopra citato - che di tutte le utopie che si sono rivelate fallaci, ce n'è un tipo particolarmente pericoloso, "davvero il più utopista di tutti": quello che suggerisce che il mondo continuerà ad andare com'è sempre andato.
Pochi avevano previsto la caduta e lo scioglimento del blocco sovietico, proprio come oggi ancora troppi rifiutano pregiudizialmente l'idea che tutti i più grandi e più potenti stati del pianeta, a meno che non vadano incontro alle persone umane e alle loro comunità locali con riforme decentraliste radicali, ne seguiranno la sorte.
Sì, avete capito bene, sto parlando anche di India e Cina, Stati Uniti e Indonesia, Russia e Brasile. Tutti giganti che scopriranno presto di avere i piedi d'argilla, se non accetteranno di restituire dignità, ricchezze e potere alle loro comunità locali.
Sembra incredibile, certo, eppure è probabile, perché il centralismo e l'autoritarismo, il militarismo e il neocolonialismo (interno o esterno) di questi grandi stati è semplicemente incompatibile con la vita materiale e la coscienza spirituale della persona umana socialmente mobilitata e politicamente cosciente.
Tutte queste considerazioni, fondate su studi politologici seri e dopo decenni ancora mai falsificati, può e deve suscitare speranza e incoraggiare all'azione coloro che sono veramente determinati a diffondere e a realizzare l'ideale dell'autogoverno per tutti, dappertutto.

Mauro Vaiani
(blogger di Diverso Toscana,
studioso e attivista decentralista)


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La foto di corredo a questo post è tratta da https://www.thinglink.com/

sabato 28 ottobre 2017

La mite resistenza catalana


Diventare meno dipendenti è un cammino lungo e faticoso, incerto e rischioso.
Gli ultimi dieci anni di storia catalana ne sono solo una ulteriore conferma.
Si era arrivati a un risultato che avrebbe potuto essere duraturo, lo statuto di autonomia concordato del 2006 fra la Catalogna e il Regno di Spagna, ma poi il partito neofranchista di Mariano Rajoy ha iniziato a coltivare un tipico progetto di imprenditoria politica dell'odio: bloccare ogni sviluppo dell'autonomia, provocare continuamente le forze politiche e sociali della Catalogna; alimentare una retorica razzista contro i "ricchi e avidi" catalani; deriderli quando esercitano il loro diritto di non parlare in castigliano, o quando non lo parlano correttamente; solleticare in alcuni ceti sociali di recente immigrazione in Catalogna, che ancora usano lo spagnolo come lingua media, un odio sociale contro la lingua e la cultura della terra che li ha accolti.
I Catalani sono diventati per un governo reazionario e brutale un comodo capro espiatorio per distrarre i popoli di Spagna da tutto ciò che non funziona, oltre che dalle conseguenze della grande crisi del 2008.
Perché, di fronte a questo grande odio, i Catalani sono rimasti così miti, così civici e civili?
Perché la maggior parte di loro, essendo cittadini di una parte più aperta e progredita del mondo, sanno che il mondo sta andando da tutt'altra parte, una parte che corriponde alle loro più profonde attese.
Per questo possono permettersi di essere pazienti, mentre il governo Rajoy si avvia verso il tramonto.
Sempre più persone, dappertutto, non solo e non tanto per mantenere la propria diversità vernacolare - cosa peraltro sacrosanta - ma per avere più controllo sulla propria vita, per partecipare più attivamente nella propria società, per sentirsi maggiormente sovrane nel proprio territorio, vogliono semplicemente e inesorabilmente maggior autogoverno.
Il decentralismo è e sarà sempre di più il tema dei nostri tempi. 
Lo scontro fra un potere statale miope e reazionario, quello di Madrid, e una cittadinanza aperta al mondo che sente e respira la tendenza globale al decentralismo, quella della Catalogna, non potrà che risolversi in favore della seconda.
Stiamo assistendo a una grande insurrezione popolare nonviolenta, che come tutte le rivoluzioni gandhiane, alla fine, mostrerà la sua veraforza. 
Intanto noi, da subito, facciamo quello che possiamo per sostenere la nuova repubblica europea di Catalogna, proclamata appena ieri.
Non illudiamoci che sarà facile, né breve, ma non dubitiamo della reale forza sociale che sta agendo: la tendenza universale al rafforzamento dell'autogoverno per tutti e dappertutto.
In queste ore complicate, vogliamo onorare una persona che ci pare incarni al meglio i sentimenti della stragrande maggioranza dei catalani e anzi di tutte le persone che amano la libertà propria e altrui.
E' la deputata catalana Angels Martinez Castells, una vecchia professoressa, eletta dall'area di Podem (non indipendentista, ma attaccata a principi di democrazia deliberativa al più basso livello possibile). Questo il suo ultimo splendido cinguettìo:

La professoressa Castells la avevamo già notata. Qualcuno di voi la ricorderà quando in un altro giorno cruciale, quello della convocazione del referendum di autodeterminazione della Catalogna, si era fatta notare per questo atto piccolo ma significativo:

*
 

Angells Castells è l'emblema dello spirito libero e repubblicano dei Catalani, la cui mitezza, il cui senso di realismo, la cui scelta di gradualità e disponibilità al dialogo, non deve essere scambiata per debolezza.
Per concludere, esprimiamo il nostro forte incoraggiamento al presidente Carles Puigdemont, che ancora oggi ha voluto parlare con pacatezza di una ferma opposizione democratica alle ingiustizie provenienti da Madrid.
Il mondo, caro dottor Puigdemont, la riconoscerà presto come primo presidente della nuova repubblica catalana, oltre che come 130° presidente dell'antica Generalitat (una istituzione che è più vecchia dell'attuale Regno di Spagna e che per l'appunto gli sopravviverà).
Gli stati centrali e centralisti sono giunti al termine della loro corsa.
Le forme di autogoverno locale, sono espressione diretta della nostra umanità e lo saranno sempre di più.
Viva la nuova repubblica di Catalogna, libera e sovrana.






domenica 9 novembre 2014

Homage to Berlin and Catalonia

For those who, like we do, believe in the urgent need for independent thought, it's a joy to celebrate the 25th anniversary of the fall of the Berlin Wall, encouraging the immense, bottom-up process of sovereignty construction, which today is celebrated by the princely citizenry of Catalonia.

mercoledì 1 ottobre 2014

Let Us Stand with Hong Kong Princely Citizenry



We hope China might give a lesson of moderation and reformation.
We bet on Hong Kong, and its patient, polite, fair, Princely Citizenry.
We stand with Hong Kong Occupy Central with Peace and Love.

sabato 5 luglio 2014

Infamie e infami del 1914


Da Wikipedia, una immagine della Tregua di Natale del 1914 


Come ricordavo su Facebook alcuni giorni fa, le celebrazioni del centenario dello scoppio della Prima guerra mondiale dovrebbero essere una occasione per comprendere meglio le grandi infamie e i grandi infami, oltre le note grandi tragedie di quella che Benedetto XV chiamò la "inutile strage".
In Italia, in particolare, non dobbiamo dimenticare mai, mai, mai, quanto infame, vigliacco e crudele fu il sovrano, Vittorio Emanuele III di Savoia, che deve essere considerato, a mio modesto parere, corresponsabile e talvolta più responsabile dei suoi primi ministri, Benito Mussolini compreso.
Il re fu infame nel trascinarci in guerra contro la volontà popolare.
Infame nell'avallare il fascismo.
Infame nell'aggressione all'Etiopia.
Infame nella vergogna delle leggi razziali.
Infame infine - e vile, perché scappò - nella disastrosa gestione di un armistizio, che degenerò in una terribile guerra civile.
L'infame Savoia rappresenta una particolare vergogna italiana, in un più ampio e disastroso scenario di una Europa industrializzata in cui era stata industrializzata anche l'obbedienza dei cittadini agli stati, non importa quanto infami fossero i governanti.
Una obbedienza assoluta, che finì con lo spaventare le stesse elite al potere, non solo la gente comune, e risvegliarsi dalla quale richiede sforzo critico e sacrificio spirituale, un lungo cammino, che è ancora ben lungi dall'essere concluso. 
Sto scrivendo qualcosa in proposito, nel mio lavoro Disintegration as Hope.
Annoto che il Quirinale, con il suo scritto sul quotidiano La Repubblica di oggi, a proposito di questo centario, ha decisamente perso una occasione per uscire dalla retorica e provare a stimolare un po' questo paese malato, moribondo.

Segnalo un libro straordinario del mio grande concittadino pratese, toscano e cosmopolita, Curzio Malaparte, per coloro che vogliono uscire da una visione aneddotistica e superficiale della tragedia scatenata nel mondo dalle grandi guerre industriali: Viva Caporetto! La rivolta dei santi maledetti.
Al di là della stanca retorica con cui la vicenda è stata recentemente ricordata dalla RAI negli spot europeisti, anche una riflessione sulle vicende e le leggende della cosiddetta Tregua di Natale del 1914, può essere di stimolo a comprendere il baratro in cui gli stati industrializzati e militarizzati hanno trascinato i loro popoli.
Nella Prima guerra mondiale caddero falciati qualcosa come 10 milioni di soldati (650.000 soldati del Regno d'Italia, 40.000 di loro erano Toscani). 
Altri milioni di persone soffrirono e morirono per ferite, devastazioni, malattie.  
E la Grande Guerra fu solo l'inizio delle guerre totali, scatenate da stati che erano già intrinsecamente, strutturalmente totalitari - una drammatica verità storica questa, su cui la nostra presa di coscienza è appena iniziata.
Capire, spiegare, risalire dagli abissi morali dello statalismo e della cieca obbedienza agli stati, è e sarà dura.
E' il nostro compito.
E' il lavoro che abbiamo iniziato nel 1989.
Non defletteremo.
Saremo risoluti.

lunedì 10 marzo 2014

1989, the year of the web

This month it is worth reading some comments and look at some figures about the web, after 25 years, since March 1989, when Sir Tim Berners-Lee first conceived and presented his colleagues, his World Wide Web idea.
Here some links:
- people and ideas that the web made viral
- the old, glorious Internetstatworld.com, edited by Enrique De Argaez
- the most recent Web Index report
Living, and researching, and writing, in a world where communication apps count billion users, two humans out five are regularly connected, and smartphones are universal, make me think to a visionary, almost prophetic, statement left by Karl W. Deutsch, in his Politics and Government : How People Decide Their Fate. 3rd edition. Boston ; London : Houghton Mifflin, 1980 (previous edition: 1974, 1970!).
Karl Deutsch wrote that many positive and negative utopias have proven false, but there was another kind of utopia which may be the most unrealistic, indeed the most utopian, of all, the one that suggests that the world will stay as it is.
“In the future, the world will look very different from the way it used to. (…) But the only landmark we will need to preserve will be our sense of who we are - our sense of identity as a group, as a people, and as a country. For a long time the world will be inhabited by many stubbornly different people, each of them with its own culture, institutions, and social systems (Deutsch, 1980, p. 644).


giovedì 12 aprile 1990

Prato 1990 - La lista verde-civica per le frazioni di Prato

 


12 aprile 1990 - programma 

Lista Verde Nonviolenta Alternativa

elezioni comunali e di quartiere del 5-6 maggio 1990 

Comune e quartieri di Prato

 

QUARTIERI, FRAZIONI, PAESI

Vogliamo che all' interno della città siano potenziati e resi più autonomi i quartieri, le frazioni ed i paesi, restituendo a ciascuno la propria fisionomia, le piazze, le scuole, i giardini, i servizi sociali e sanitari. I quartieri possono diventare un punto di incontro tra i cittadini che vogliono salvaguardare il proprio territorio, assumendosene in prima persona la responsabilità.

 

UNA NUOVA AMMINISTRAZIONE

Per costruire una nuova e più trasparente amministrazione, pensiamo di dover dare un posto privilegiato all' informazione dei cittadini su delibere, dati, atti e documenti della vita comunale e di quartiere in una banca dati accessibile in tempo reale. Crediamo nell' istituzione del referendum comunale e nella riforma degli enti locali per realizzare la massima autonomia delle comunità. Siamo favorevoli all' istituzione della nuova provincia di Prato, purché essa diventi uno strumento di coordinamento tra liberi municipi e assicuri il buon governo delle acque e del territorio della Valbisenzio.

 

CONVIVIALITA' E SOLIDARIETA'

Col recupero di una vita comunitaria a livello di quartieri, di paesi e di frazioni, occorre facilitare: lo sviluppo di centri sociali decentrati ed autogestiti, soprattutto per i giovani; la realizzazione di forme di edilizia agevolata per anziani e giovani coppie; la diffusione di case famiglia per forme di solidarietà e mutua assistenza; il recupero di forme di festa, incontro, celebrazione comunitaria.

 

AMBIENTE E' SALUTE

E' necessario uno sviluppo della prevenzione delle malattie, degli incidenti e degli altri fattori di rischio: igiene del lavoro, prevenzione degli infortuni, educazione sanitaria nelle scuole e nelle famiglie, campagne di educazione alimentare.

Occorre privilegiare i piccoli presidi sanitari decentrati e l' assistenza domiciliare per abbattere i tempi di ricovero e l' ospedalizzazione forzata che è essa stessa fonte di malattie. 

 

PORTARE IL BOSCO IN CITTA'

Risulta dalle statistiche che a Prato ci sia un numero abbastanza alto di metri quadrati di verde per abitante. Peccato che nel calcolo siano considerate anche le aiuole spartitraffico e i parcheggi a foratoni tra i quali crescono stentati fili d' erba. Per una città ben equilibrata è importante sia il verde intorno che dentro la città e, soprattutto, la sua qualità. Al giardino urbano artificiale, costoso da realizzare e da mantenere, preferiamo aree verdi con vegetazione tipica della nostra regione, lasciata crescere spontaneamente, oltretutto più adatte per gli animali che vivono in città.

 

GLI ALTRI ANIMALI

La civiltà di una città si misura anche dal rispetto per gli animali che la abitano, domestici e non. E' necessario uno sforzo culturale prima che finanziario per superare l' attuale rapporto "usa e getta" fra l' uomo e gli altri animali, che è alla base del grave problema del randagismo e di tutte le forme di sfruttamento e crudeltà verso gli animali. Proponiamo un efficiente servizio veterinario di quartiere, canili comunali, campagne di sensibilizzazione per il rispetto verso gli animali, aree apposite dove portarli a passeggio senza guinzaglio. In tutto il territorio del Comune di Prato devono essere vietati l' attività venatoria, la vivisezione e la sperimentazione sugli animali, il commercio di animali esotici, l' uso di animali negli spettacoli.

 

RIAPPROPRIAMOCI DEI NOSTRI RIFIUTI

Ogni giorno centinaia di tonnellate di materie prime vanno ad essere occultate in discariche o vengono incenerite, e creano nel nostro comprensorio una vera e propria emergenza che ci obbliga ad "esportare" i nostri rifiuti con un costo economico elevatissimo. Siamo da anni ad inseguire l' emergenza rifiuti perché non abbiamo mai pensato che si può risolvere il problema alla radice, abolendo il concetto stesso di "rifiuto".

Dobbiamo liberarci dall' USA E GETTA che fa lievitare continuamente la massa dei rifiuti ed ottenere ordinanze che vietino la distribuzione e la vendita di merci ed alimenti confenzionati con imballaggi non riciclabili (come tetrabrick, polistirolo, bottiglie di plastica). Uno sforzo comune dell' amministrazione, degli imprenditori e dei consumatori deve portare ai cambiamenti tecnologici necessari perché l' industria possa limitare la produzione di rifiuti.

Si potrà realizzare una riduzione della tassa sui rifiuti per i cittadini che li raccolgono separatamente o ne producano meno. Dovranno essere moltiplicati in ogni strada i contenitori per la raccolta differenziata, oppure creati dei centri di raccolta che comprino dalla gente i rifiuti differenziati.

Siamo contrari alla mentalità che vede in pochi e grandi impianti di incenerimento e smaltimento la soluzione di tutto il problema rifiuti. E' in ogni caso quanto di più antiecologico, antieconomico ed immorale continuare, come stiamo facendo adesso, ad esportare i nostri rifiuti. Dobbiamo metterci nell' ottica che i rifiuti sono nostri e che quindi dobbiamo riappropriarcene e smaltirli "chiudendo il cerchio" nel nostro territorio comunale.

 

NON SPRECARE L' ULTIMA ACQUA

Tutto ciò che vive sorge dall' acqua. L' acqua non è più un bene illimitato, né gratuito. Di conseguenza dobbiamo impe­gnarci assolutamente contro lo spreco di questo bene, agendo anche qui alla "fonte" del problema.

Perché non rifornire le industrie con acqua non potabilizzata, proveniente so­prattutto da "cicli chiusi" di depurazione? Perché non sostenere l' adozione delle nuove chimiche tessili largamente meno in­quinanti e meno esigenti in consumi idrici? Di certo devono essere chiusi i pozzi abusivi.

Il risparmio idrico, a tutti i livelli, è un' esigenza irrinunciabile. Visto che lungo il percorso degli acquedotti va sprecata un terzo circa dell' acqua captata, propo­niamo una serie di interventi tecnologici che abbattano tali perdite. Deve, anzi, essere costruita una rete idrica alternativa di "acqua buona" da bere, da distribuire attraverso fontanelle pubbli­che disposte strategicamente nei quar­tieri. Dobbiamo infine rinaturalizzare i corsi d' acqua del nostro comprensorio, decemen­tificandoli, riportando alla luce quelli intubati, riqualificando la rete di acque superficiali.

 

TRA LE MURA IL VERDE

Tutta la città deve essere riorganiz­zata per consentire una migliore qualità della vita, specialmente alle fasce so­ciali più deboli. Oggi una vita urbana emarginante, la follia da traffico e da fretta, l' assenza di spazi pedonali e ci­clabili, di aree verdi, di luoghi di in­contro e di socializzazione di uso pub­blico, miete vittime in primo luogo fra i bambini, i giovani e gli anziani.

E' necessario che ogni frazione, borgo e quartiere di Prato siano liberati da strade anguste e pericolose, che l' ec­cesso di traffico ha ridotto a piste di attraversamento da una polo all' altro della città. Ciascuna porzione di città deve avere la propria piazza, che sia an­che isola pedonale e verde, libera dal traffico, vivibile umanamente.

Nel centro storico deve essere allar­gata l' area pedonale e si deve evitare l' espulsione dei residenti e delle attività artigianali. Tutta l' area di interesse storico e artistico della città deve es­sere liberata dalle auto e dai parcheggi, salvaguardando le esi­genze dei residenti. Nel quadro di un generale rafforzamento dei mercati rionali, occorre restituire a a P.za Mercatale l' antica funzione di centro della vendita ambulante del com­prensorio pratese, sottraendola all' at­tuale degradante funzione di parcheggio.

 

MUOVERSI INSIEME

I rioni e i paesi di Prato devono es­sere uniti da corridoi pedonali e cicla­bili e da direttrici efficienti e fre­quenti di trasporto pubblico. Potremo sopprimere i corridoi di ingresso alla parte centrale della città per i mezzi privati e di iniziare ad elettrificare tali corridoi per renderli disponibili al trasporto su tramvia per i tratti più im­portanti.

 

RECUPERO DEL PATRIMONIO EDILIZIO

Il recupero del patrimonio edilizio esistente e il blocco delle proposte spe­culative sono un cardine per la nostra fu­tura azione amministrativa. Prato, da "città fabbrica", non deve divenire città di uffici e centri commerciali.

Occorre limitare la politica dei macro­lotti, battendo la dimensione affaristica dei nuovi insediamenti. Essi vanno rica­librati alla reale domanda di sviluppo in­dustriale, senza porre ipoteche sulle ul­time aree libere della piana. Chiediamo che le zone liberate da eventuali trasfe­rimenti industriali siano definitivamente assegnate a verde agricolo o a verde di uso collettivo.


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Nota del redattore di questo blog (24/11/2020)

Trent'anni dopo, rendiamo disponibile integralmente questo documento della antica Lista Verde Nonviolenta Alternativa, attiva a Prato in Toscana all'inizio degli anni novanta. E' la prima lista verde-civica in cui ha militato il titolare di questo blog, Mauro Vaiani, insieme a Fioravante Scognamiglio, Mauro Bernocchi, Athos Macaluso, Fulvio Batacchi, tra gli altri. Sin da allora, trent'anni fa, era iniziato un impegno per una vita più a dimensione di persona umana in Toscana, ripartendo dalle frazioni, dai paesini, da borghi e borgate, da quartieri e rioni. Un tema antico, particolarmente visibile a Prato, per la millenaria resilienza delle sue frazioni, pievi, propositure, parrocchie. Erano anni fecondi per il "Sole che ride", popolato da suggestioni cristiane e ghandiane, connesso con i movimenti civici e civili che si erano resi protagonisti del 1989, il tempo di Alex Langer e di Giannozzo Pucci, ma era anche il tempo in cui i partiti popolari toscani e italiani di quel tempo erano impegnati, da anni, nel decentramento. Il localismo di allora non era nostalgia tanto meno provincialismo, ma un grembo dove maturava, in connessione con i movimenti antitotalitari e anticolonialisti di tutto il mondo, una aspirazione a un autogoverno effettivo, libero e responsabile, di tutti dappertutto, a Est come a Ovest, nel Sud come nel Nord del mondo.


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