Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso
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domenica 18 ottobre 2015

Comuni rafforzati, comunità diverse


L'importante questione della fusione fra comuni toscani è tornata sulle prime pagine della stampa toscana, grazie a una serie di riflessioni fatte da leader toscani influenti, come il sindaco di Firenze, Dario Nardella, e il segretario regionale PD, Dario Parrini.
Per questo blog è la conferma di quanto intuito già dal 1998 e, con ancora maggiore precisione, nel 2008.
Per molti, in Toscana, da coloro che hanno lavorato nella opposizione civico-liberale insieme ad Alessandro Antichi, a coloro che lavorano in ANCI Toscana, è un ulteriore incoraggiamento a sostenere un autentico e necessario cambiamento istituzionale.
Segnaliamo che il tema era stato ben sintetizzato da Leonardo Marras, in un suo intervento su Repubblica, in settembre, in cui ci ricordava come i comuni toscani siano scesi in pochi anni da 287 a 279.
Riportiamo in calce a questo post un ampio stralcio di un bel articolo scritto dal nostro amico Carlo Fusaro, che riepiloga gli elementi di saggezza contenuti in questo movimento verso la semplificazione.
Naturalmente ci sono degli elementi critici:
- dovrebbe essere fermato il neocentralismo che da anni sta distruggendo la vita dei comuni e sta minando l'attuazione della loro autonomia finanziaria, prevista dalla Costituzione (su questo, purtroppo, il primo governo Renzi si è lasciato condizionare dall'illusione dirigista di poter cancellare centralmente, ancora una volta, le "tasse sulla prima casa", ponendo le basi di un disastro amministrativo e finanziario, che ci tornerà indietro come un boomerang);
- dovremmo coinvolgere le popolazioni interessate in un dibattito approfondito sul governo del territorio e sui confini dei nuovi comuni unitari;
- dovremmo consentire modifiche e aggiustamenti ai confini, per consentire adattamenti alle conseguenze dell'urbanesimo;
- dovremmo, infine, cominciare a immaginare comuni-comunità diverse, in cui ogni angolo del territorio si senta quartiere, borgo, parte viva di un tutto, non periferia abbandonata;
- dobbiamo portare avanti, con maggiore coerenza, l'abolizione di ogni autorità intermedia fra comuni e regione, chiudendo davvero province, prefetture, uffici, sovrintendenze.
Non è un cammino facile, ma è una delle poche cose che in Toscana (e nel resto d'Italia) possono cambiare davvero, a Costituzione e legislazione invariata.

* * *

Carlo Fusaro
E che fusione sia (se utile a tutti)
dal Corriere Fiorentino
16 ottobre 2015
pag. 1

Diciamolo: l''idea di unire in un comune unico Firenze e alcuni dei centri vicini non è buona, e eccellente. Gli anglosassoni la chiamerebbero una win-win
situation: tutti ci hanno da guadagnare, nessuno da perdere. Questo non vuol dire che la cosa sia fatta (a livello di opinione pubblica è una novita), né che sarà agevole e rapida.
(...)
Le fusioni rispondono all'esigenza di fare il miglior uso di risorse limitate. Sia la legislazione nazionale sia quella regionale spingono i Comuni verso l'esercizio associato di funzioni. Cioè verso unioni e fusioni. Con l'unione più Comuni si organizzano strutturalmente per fare le cose insieme, ma restano autonomi;
con la fusione nasce un Comune solo (la vera semplificazione).
(...)
In ogni caso nessuno puo pensare di sacrificare buone amministrazioni
trasformando quei Comuni in semplici quartieri di Firenze (...),
perché, in ultima analisi, fusione o incorporazione che sia, saranno i cittadini a pronunciarsi con referendum. E perderlo sarebbe un peccato.

* * *








lunedì 13 aprile 2015

Attacco alle autonomie speciali



 

Ogni tanto ritorna, come certe rondini che non fanno primavera, un attacco politicamente sguaiato e istituzionalmente sgrammaticato alle autonomie speciali della nostra repubblica: la Sicilia, la Sardegna, la Valle d'Aosta, la provincia autonoma del Trentino, la provincia autonoma del Sud Tirolo, la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
Fatta la tara alle semplificazioni mediatiche, ogni persona che ami ragionevolmente il proprio territorio e che creda nella democrazia locale, può tranquillamente rendersi conto che dietro questi attacchi ci sono preoccupanti dosi di populismo autoritario e tentazioni neocentralistiche.
Noi le respingiamo entrambe e stigmatizziamo anche quel pizzico di invidia economico-sociale e di odio per le diversità culturali e geopolitiche, che qua e là fa capolino nel coro degli indignati.
E' davvero troppo comodo prendersela con le autonomie speciali, quando si tratta di spiegare come mai, dopo 150 di unità italiana, il Trentino è efficiente, la Sicilia no; il Friuli si è sviluppato, la Sardegna molto meno.
Il regionalismo italiano è più che imperfetto, ma chi pensa che senza le regioni il paese sarebbe migliore, si sbaglia di grosso, sia storicamente, che politicamente.
Siccome studiare distanze geopolitiche e diseguaglianze sociali fa fatica - e gli studi meridionalisti sono passati di moda - si parla a vanvera, come se la vita politica in città e quella in montagna potessero essere organizzate allo stesso modo, come se una prefettura valesse un parlamento locale, come se il Nord fosse uguale al Sud, come se vivere al centro della repubblica o nella sua periferia fosse la stessa cosa.

Enrico Rossi, Matteo Renzi, riflettiamo seriamente, prima di avallare la tentazione centralista. In un paese grande, complesso, fragile e diviso, come la nostra malandata repubblica, sarebbe un pericoloso boomerang che, tornando indietro, farà parecchio male, soprattutto agli ultimi, ai deboli, ai lontani, ai diversi.


domenica 1 marzo 2015

Quattro crepe nelle riforme Borghi-Verdini


Le riforme annunciate da Matteo Renzi potrebbero essere l'occasione per fare finalmente ciò che è maturo da decenni.
Non si pretende certo che la XVII legislatura risolva problemi storici della repubblica, come il suo ritornante, insensato, pericoloso centralismo, o l'incapacità strutturale di separare i poteri del governo da quelli del parlamento.
Però nelle bozze sin qui note della riforma costituzionale e del cosiddetto Italicum, ci sono dei problemi e sono molto seri.
Ascoltandosi, ascoltando tutti, includendo e non chiudendo, si dovrebbero correggere, cercando un serio compromesso.
Provo a elencare quelli che mi sembrano i più pericolosi.
Due riguardano la modifica della Costituzione:
- 1) comunque la si rigiri, una camera di 630 membri è semplicemente troppo grande rispetto a un senato di 100 membri; va rimpicciolita, senza se e senza ma, altrimenti le sedute comuni diventeranno sceneggiate, invece che momenti di riequilibrio istituzionale;
- 2) se si vuole questo tipo di senato federale vagamente all'americana, si deve essere certi che i senatori eletti in secondo grado, lo siano veramente, con scrutinio segreto, non nominati.
Altri due problemi, altrettanto gravi, sono nell'Italicum:
- 3) la maggior parte dei deputati devono essere certi di poter essere eletti nei loro collegi, anche in liste locali indipendenti; nella lotteria del collegio unico nazionale, dovrebbero essere gestiti solo i resti e l'eventuale premio maggioranza;
- 4) tutti i candidati devono poter correre ad armi pari, senza capilista bloccati; se proprio non si vogliono istituzionalizzare le primarie, almeno si adotti per tutti la preferenza facilitata recentemente istuita in Toscana.
Invito talune persone - specie toscane - che hanno lavorato insieme al presidente Renzi su queste materie, a una maggiore umiltà, invece di vagheggiare già il prossimo referendum, immaginandoselo come una passeggiata plebiscitaria.
Scusate la chiusura brusca e temerariamente drastica: se non si saldano queste quattro crepe - e qualche altra minore - salteranno le riforme, oppure, più avanti, salterà questa nostra povera repubblica.

mercoledì 25 febbraio 2015

Senza province si può

Una ottima notizia dal parlamento toscano: è stata varata all'unanimità una buona legge che guiderà la riorganizzazione dei servizi pubblici che fin qui sono stati svolti dalle province. La Toscana, con i suoi tre milioni e mezzo di abitanti, con 23.000 kmq, con distanze stradali e ferroviarie interne praticamente sempre contenute entro le 3 ore di viaggio, può vivere senza province. I comuni devono associarsi, rafforzarsi, magari anche unirsi. La regione deve articolare il suo personale e le sue sedi in ciascuno di quei territori, quelle realtà distrettuali e circondariali, che erano già state messe a fuoco dai fondatori dell'autogoverno toscano moderno, almeno dai tempi del presidente Gianfranco Bartolini, negli anni '80. Una parte del personale delle province rimane in sovrannumero, ma può essere gradualmente incoraggiato ad andare a occupare i tanti posti vuoti nelle altre amministrazioni, a cominciare dalla giustizia, che lamenta forti buchi nei propri organici. L'ottimo Vittorio Bugli, assessore regionale al bilancio, ne ha parlato stasera su Radio Toscana, con sobrietà ed efficacia. Complimenti sinceri.

sabato 21 febbraio 2015

Per l'abolizione dei prefetti

Il caso di Roma, sporcata e danneggiata da pochi hooligan ubriachi, ripropone una domanda antica quanto la Repubblica italiana: quando ci decideremo ad abolire i prefetti e le prefetture? La resilienza di queste figure fintamente rassicuranti è, a nostro parere, una delle maggiori cause del declino della diligenza e della responsabilità in tutto il resto delle amministrazioni pubbliche.


mercoledì 21 gennaio 2015

Attenti ai lontani

In un giorno in cui i presidenti Matteo Renzi e Silvio Berlusconi hanno ottenuto un importante successo politico, confermando l'impianto della loro proposta di legge elettorale, con i capilista bloccati e le primarie ormai accantonate come sogno per poche anime belle, consiglio loro un pizzico di umiltà.
Si fermi, per esempio, l'attacco alle regioni e alle autonomie locali e sociali, come chiedeva, nel 2012 non un secolo fa, Alberto Provantini. E, specularmente, si resista alla tentazione di lasciare intatto il potere delle caste legate alle province, ai prefetti, alle procure, alle superprocure.
Non ci si lasci abbagliare dalla deriva neo-centralista.
Attenti a coloro che vivono lontani da Roma e da Bruxelles.
E' facile dimenticarli, danneggiarli, deluderli.

lunedì 29 settembre 2014

Province surgelate Delrio


Si sono svolte le elezioni indirette degli organi provvisori delle province e della città metropolitana di Firenze, secondo le modalità previste dalla legge Delrio.
I risultati suscitano molte e sacrosante preoccupazioni.
Tuttavia non dobbiamo mai dimenticare che l'unica motivazione razionale per cui questi meccanismi temporanei sono stati creati, è stata quella di porre fine alle elezioni dirette degli organi provinciali, in vista della loro totale abolizione.
Il surgelamento delle province ha senso solo se la parola "provincia" scompare dalla Costituzione, cosa che, al momento, appare probabile, alla luce degli impegni presi da Matteo Renzi e dalle forze parlamentari che sostengono le riforme.
Quale sia, poi, il futuro dei comuni toscani e della città metropolitana di Firenze, dopo l'abolizione delle province e delle prefetture, può e deve continuare a essere oggetto di una coraggiosa discussione, ampia e partecipata.

lunedì 7 ottobre 2013

Il popolo toscano è per le unificazioni, purché non calate dall'alto


Trovo che ci sia una connessione profonda fra i tragici fatti di Maremma di ieri e i risultati, che sono arrivati oggi, dei referendum sulle unificazioni di alcuni comuni toscani.
Esprimo, innanzitutto, le mie condoglianze alle due vittime. Voglio aggiungere anche un pensiero per i miei tanti cittadini che hanno subito danni. Un abbraccio particolare a Fiorella Lenzi, imprenditore vinicolo e agricolo dell'Alta Maremma, che si è trovata personalmente in grande difficoltà, sola in mezzo all'acqua e al fango.
La connessione, secondo me, sta nel motivo più importante per cui lottiamo per una rinnovata rete di borghi e comuni forti in Toscana: vogliamo meno burocrazie e meno politicanti, ma autorità locali più competenti, più incisive, che si prendano cura dei nostri territori.
Vogliamo la pulitura dei fossi, la tutela degli alvei dei torrenti, una rete di laghi e canali, l'ampliamento delle golene, la fine della cementificazione e della distruzione del nostro territorio.
Crediamo che la Toscana possa sopportare dei nubifragi straordinari, così come delle siccità prolungate, senza dover pagare un prezzo così alto!
Vogliamo comuni-comunità più ampi e più forti, per avere più stradini, più vigili del fuoco e dell'acqua, più borgomastri che si prendano cura di ciascuno dei nostri borghi.
Alcune delle unificazioni comunali che erano sottoposte al vaglio popolare in questa tornata, sono saltate, ma alcune sono state approvate.
Lo ripetiamo ancora una volta: la direzione è quella giusta, ma occorre che queste proposte non siano calate troppo dall'alto.
Occorre lasciare una libertà vera alle popolazioni locali, a ciascun borgo della Toscana.
Occorre accettare che gli elettori sovrani dettino i tempi e i modi.
Questo processo è troppo importante per essere telecomandato da pochi.
Mi vengono da segnalare alcuni punti critici, che non devono essere sottovalutati (come invece mi pare che si faccia in certe sintesi come questa dell'Anci Toscana):
- l'Abetone ha diritto di valutare la sua unione con i vicini emiliani, più che con il resto della Montagna pistoiese;- l'unione di Vaiano con Cantagallo rischia di rappresentare, per l'ennesima volta, il predominio di un pezzo di città sulla montagna; gran parte del comune di Vaiano, forse, dovrebbe tornare a essere un borgo di Prato; le comunità urbane e le comunità rurali hanno necessità profondamente diverse;
- alcune unificazioni, nel Chianti, sull'Amiata, altrove, sono troppo timide, e troppo condizionate dai vecchi confini provinciali;
- si devono affrontare alcune unificazioni fra tessuti urbani ormai indissolubilmente legati, come quella fra Pisa e S.Giuliano, fra Firenze e Sesto, abbandonando l'idea semplicistica che le unificazioni siano solo materia per comuni rurali e spopolati.
Questa deve continuare a essere una rivoluzione dal basso, una cosa seria, che richiede tenacia, coraggio, lungimiranza, ma anche tanta umiltà.


giovedì 4 luglio 2013

Via le province, ma dalla Costituzione

Non occorreva essere geni, per capire che il goffo tentativo di dimezzare per legge ordinaria le province, con tutto il chiacchiericcio inutile che ne è seguito, sarebbe finito sotto la mannaia della corte costituzionale. Bastava avere studiato - e qualcuno per fortuna in Italia una volta lo ha fatto - un pochino di diritto costituzionale.
Le province vanno cancellate prima di tutto dalla Costituzione e poi ciascuna regione, sentendo le popolazioni interessate, deciderà il da farsi.
Alcune grandi regioni potrebbero tenersele come associazioni intercomunali, come ha fatto la Sicilia.
Alcune grandi province storiche, come Bergamo e Brescia, potrebbero decidere di diventare piccole regioni autonome.
In Toscana, a mio modesto parere, dobbiamo e possiamo abolirle e basta, anche grazie al nostro salutare processo di unificazione dei comuni, una piccola ma seria rivoluzione dal basso che sta avendo luogo nella nostra terra. Una Toscana con poche decine di grandi comuni, non avrà mai più di province, ne' di altri artificiali e costosi enti intermedi.
Nel frattempo il governo centrale potrebbe però fare molto, iniziando ad abolire prefetture, questure, sovrintendenze, intendenze e tantissimi altri palazzi di potere, che sono presenti in ciascuna circoscrizione provinciale. Pensate che verrà fatto? No, certo!
Le caste sono bravissime nel far litigare i loro polli sulle cose impossibili, improprie, o inutili, mentre li continuano a tenere in batteria, sicure che non si metta mai in discussione lo status quo.






giovedì 1 novembre 2012

La Toscana nella presa (in giro) metropolitana

La Toscana è prigioniera di burocrati locali e tecnocrati romani, che hanno prodotto decisioni sugli accorpamenti provinciali che, comunque le si vogliano guardare, vanno ben oltre il mandato di questo governo, sono a forte rischio di cassazione per incostituzionalità e, come ha dichiarato oggi Alessandro Petretto sul Corriere Fiorentino, lasciano insoddisfatti e sfiduciati tutti coloro che amano davvero Firenze e la Toscana.
Siamo nella morsa di una gigantesca presa (in giro) metropolitana. Politicamente e scientificamente parlando, un altro grande imbroglio, da smascherare.
La Toscana deve conservare gelosamente tutte le sue straordinarie città, con la loro identità, anche urbana, con la loro dimensione umana. Prato e Pisa, comprese, se posso dirlo, visto che sono le due città in cui ho vissuto più a lungo nella mia vita.
Da oltre vent'anni, almeno dall'entrata in vigore della legge 142 del 1990, Firenze avrebbe certamente potuto e dovuto diventare una moderna città metropolitana, entro dimensioni dettate dalla volontà popolare e dal buon senso economico e sociale. La città metropolitana avrebbe da tempo dovuto integrare - mettiamo, ma solo per fare un esempio - Sesto e Scandicci.
La città avrebbe poi dovuto armonizzarsi, grazie alla legislazione e alla programmazione regionale toscana, con le altre città e comuni dell'area metropolitana Pistoia-Prato-Firenze, come scrive giustamente, sempre sul Corriere di oggi, Carlo Fusaro.
Area, non città, anche se a nessuno pare davvero interessare la differenza, in questo squallido trionfo della pigrizia e della furbizia.
La città e l'area metropolitana - due cose diverse, da mantenere distinte - dovrebbero poi integrarsi con il Mugello, con l'Empolese, con l'aeroporto di Pisa, con il porto di Livorno, con tutto il resto della Toscana.
Il tutto in un processo di buon senso riformista, teso alla riduzione dei costi della politica, al dimagrimento delle burocrazie, al rilancio di un responsabile e sobrio autogoverno delle comunità locali.
Un processo che avrebbe già dovuto avviare l'eliminazione di tutte le province e di tutti gli enti intermedi fra comune e regione.
La resistenza dello status quo, invece, insieme con la perdita di senso della realtà dei politici attuali e con l'arroganza dei tecnocrati del governo Monti, ci ha portato all'attuale balletto senza senso sul dimezzamento delle province toscane.
Non c'è più speranza, con questi politici, con questi burocrati, con questi tecnocrati.
Occorre un moto popolare e liberale di rivolta, per l'abolizione di tutte le province, delle prefetture, delle direzioni provinciali di enti e ministeri.
Sveglia!


lunedì 7 maggio 2012

Riformatori di Sardegna

Un movimento popolare riformatore per la Sardegna ha vinto una battaglia che non esiterei a definire storica. Dieci referendum per l'abolizione delle province e la riduzione degli eccessivi privilegi politici hanno raggiunto il quorum necessario per la loro valididà. A questo punto il loro successo è scontato, avendo scelto, coloro che difendono lo status quo, la strada dell'astensione.

La Sardegna è poco più grande della Toscana, quanto a superfice, e ha la metà dei nostri abitanti, poco più di un milione e mezzo. Anche quella terra, come la maggior parte delle regioni italiane, può abolire le province e tanti altri inutili enti intermedi, che complicano inutilmente la vita ai borghi e ai comuni, interponendosi fra essi e l'autogoverno regionale.

Per approfondire il significato jeffersoniano di questa bella notizia, segnaliamo due articoli:

- uno di oggi, sul sito de La Nuova Sardegna
http://lanuovasardegna.gelocal.it/regione/2012/05/07/news/referendum-anticasta-voto-valido-1.4472535

- uno di qualche tempo fa, un articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere, rilanciato da Italia Futura Sardegna, che ha appoggiato la campagna riformatrice
http://www.italiafutura.it/dettaglio/113302/la_disfida_sarda_del_referendum_contro_gli_sprechi

* * *

PS di martedì 8 maggio 2012, ore 15:22 (ora di Dublino)

Hanno vinto i Sì in tutti e dieci i referendum: via le province; primarie per legge; abbattimento della casta. La Sardegna sta uscendo dal sottosviluppo politico. E noi?

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