Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso
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lunedì 28 giugno 2021

Corsica sempre meno dipendente


 

La sintesi più efficace su ciò che è avvenuto in corsi con le recenti elezioni regionali ce l'ha scritta Roccu Garoby:

 

Come è stato scritto in molti commenti, avere un sistema politico "meno dipendente" è il primo passo verso l'indipendenza, cioè il massimo autogoverno possibile in un mondo interdipendente e interconnesso.

Costruire autogoverno è una necessità politica per distaccare il proprio territorio dalle conseguenze ultime e perverse della globalizzazione, la quale, non dimentichiamolo mai, è la versione aggiornata e solo apparentemente meno crudele della colonizzazione globale, dell'occidentalizzazione del mondo.

E' un grande problema politico, a cui è necessario dare una risposta politica di qualità e, soprattutto, autonoma dai poteri centralisti e autoritari. Questo è successo in Corsica, dandoci un raro segno di speranza.


mercoledì 30 settembre 2020

Indipendenza o in-dipendenza?

Scriviamo queste poche righe per ricordare quanto ci siamo impegnati, praticamente per tutta la vita, per sostenere l'emancipazione di coloro che cercano indipendenza e invece si sono trovati sempre più in-dipendenza.

Prima di tutto stiamo pensando alle vittime del colonialismo "duro e puro", in particolare l'Africa, che in questo anno 2020 celebrano sessant'anni di un difficoltoso, controverso e soprattutto incompiuto processo di "decolonizzazione".

Il 1960 fu definito l'anno dell'Africa, per il grande numero di stati che raggiunsero, ma solo formalmente, l'indipendenza.

Segnalo un approfondimento:

https://ecointernazionale.com/2020/09/1960-anno-dellafrica-sessantanni-dopo/

Segnalo anche le bellissime conversazioni su Radio Radicale di Steve Emejuru e di altri, sulla difficile indipendenza africana che troppo spesso mantiene il continente nero "in-dipendenza":

https://www.radioradicale.it/scheda/618843/voci-africane-trasmissione-del-movimento-degli-africani

Vorrei invitare anche ad approfondire l'immenso dibattito sul neocolonialismo, con quello che Magdoff ha chiamato nel 2003 "Imperialism without colonies":

https://monthlyreview.org/product/imperialism_without_colonies/

Infine vorrei lasciare due parole critiche e autocritiche per scuotere coloro a cui sono vicino da sempre, in quanto autonomista, gli indipendentisti che cercano un riscatto per le colonie interne dei grandi stati, come in Corsica, in Sardegna, in Sicilia. A maggior ragione questa "sveglia" vorrei che risuonasse per le minoranze che si autodefiniscono "indipendentiste" in altre antiche terre oggi senza stato, che però non hanno subito le conseguenze più gravi del colonialismo interno, pur ritrovandosi comunque prigioniere di stati centralisti e autoritari, come la Bretagna, la Baviera, il Veneto, o anche la mia Toscana.

I movimenti per l''autogoverno devono uscire dall'infantilismo e dal settarismo, comuni a tanti movimenti territoriali che sono e restano piccoli, fragili, divisi, subalterni, personalistici.

Quando si viene affascinati da un ideale così difficile da realizzare, come l’autogoverno di un territorio prigionerio di uno dei moderni stati centralisti, un ideale compreso da così poche persone e così controcorrente, il primo rischio che si corre è quello di diventare indipendentisti salottieri, che discutono di nuove statualità come gli amici di un circolo discutono la sera di una squadra di calcio o di una band musicale.

Se poi ci si crede al punto da volerne fare il fulcro di un qualche attivismo politico, velleitarismo e settarismo diventano una tentazione quasi invincibile.

Si parte in pochi e si lancia subito un messaggio forte (Toscana Stato! Cornovaglia Libera! Texas Exit!). Più urtante è il messaggio, più si resta in pochi e isolati. Allora ci si sforza di alzare ancora di più la voce, ma con il risultato di restare ancora più soli. E’ un circolo vizioso.

Paradossalmente, più si alzano i toni, più si è in pochi, più si è subalterni e utili allo status quo.

L'ho scritto anche per i miei compagni di avventura per l'autogoverno della Toscana: 

"Ogni volta che nasce una piccola forza indipendentista, fondata in pochi e per pochi, magari subalterna a certe correnti scioviniste, bigotte, para-leghiste, più i difensori dello status quo si sentono rassicurati, perché capiscono che lo status quo non ha nulla da temere.

Il cammino verso un mondo fatto di territori che si autogovernano, dove la persona umana conti qualcosa e faccia la differenza in un sistema politico a misura d’uomo, è fatto di approfondimento spirituale e culturale, di un impegno decentralista concreto, di inclusione sociale, di ricerca di alleanze locali e globali.

Si possono continuare a fondare partiti indipendentisti, ma è inutile se si resta in-dipendenza.

Il cammino verso l’indipendenza deve essere portato avanti da intere comunità che si impegnano in un cammino di liberazione dal basso, inclusivo, popolare, fondato sulla selezione di obiettivi di AUTOGOVERNO sempre più audaci, ma anche praticabili e realizzabili.".

* * *

A distanza di quasi tre anni, dopo il naufragio del Comitato Libertà Toscana in un delirio di dimissioni e di espulsioni (io in particolare sono stato espulso il 21 ottobre 2021), sono sempre più convinto di questa mia testimonianza anti-settaria, in favore di un impegno popolare per l'autogoverno di tutti dappertutto, nel rispetto della naturale inter-dipendenza che c'è fra tutte le persone, le comunità, le terre del pianeta Terra. Sono convinto l'autodistruzione del CLT sia stata causata anche dalla crisi pandemica, che ha fatto perdere l'equilibrio a tante persone, ma qualcosa di sbagliato c'era e c'è in tutti gli indipendentisti che non riescono a vedere al di là di ciò che credono di sapere della storia e della propria madreterra (NdA 12 aprile 2023).

 

domenica 27 settembre 2020

I leader locali restino sul territorio e i decentralisti sinceri restino uniti

 

27 settembre 2020

Noi elettori siamo persone fisiche, in carne e ossa. Stiamo invecchiando. Stiamo diventando in gran parte inesorabilmente più poveri, a causa degli eccessi della globalizzazione e degli errori strutturali della organizzazione finanziaria e monetaria della Eurozona. Siamo stati storditi dalla pandemia e tuttora ci sentiamo insicuri non solo per l'inevitabile diffusione del nuovo virus, ma soprattutto perché essa è diventata un potente alibi per imporci soluzioni centraliste e autoritarie, sempre più dall'alto e da altrove. 

Proprio mentre tra di noi dilaga l'analfabetismo funzionale, siamo bombardati da una comunicazione conformista, bigotta e reazionaria (ma anche le poche voci dissenzienti rischiano spesso di aggiungere confusione, perché suonano troppo arrabbiate, a tratti avvelenate da complottismo e settarismo). 

Siamo governati da elite globaliste che continuano a disprezzare le economie locali e a lasciare che interi territori si spopolino, che identità e culture vengano cancellate, che delicati ecosistemi vengano distrutti in nome dell' "export" o del "turismo". Imperialismo e colonialismo continuano a dilaniare il pianeta.

La gente comune ci ha provato, a cambiare. Non siamo mai stati disponibili a cambiare voto come in questi anni. In pochi anni, infatti, hanno ricevuto massicci apporti del nostro voto "liberato" personaggi come Matteo Renzi, Beppe Grillo, Matteo Salvini e chissà, magari la prossima volta toccherà a Giorgia Meloni.

Coloro che sono attivisti civici, ambientalisti e soprattutto autonomisti, localisti, decentralisti, invece, sono - siamo - ancora così pochi, così impreparati, inariditi e dispersi.

Proprio noi che dovremmo essere tra i pochi ad aver compreso fino in fondo che non esistono soluzioni globali (ma nemmeno europee, tanto meno italiane) ai problemi della globalizzazione, siamo drammaticamente divisi, incerti, subalterni.

I risultati delle nostre liste locali, in sei delle sette regioni della Repubblica italiana che sono andate al voto, ci parlano chiaramente dei nostri limiti politici e quindi anche organizzativi. 

Le nostre liste non non sono partite in Liguria e nelle Marche. Sono rimaste emarginate in Veneto. Sono state escluse in Toscana. Sono state ignorate dagli elettori in Campania. Riflettiamoci sopra.

Prendiamo atto della nostra incapacità di parlare a (e di organizzare in una effettiva resistenza locale) larghi strati popolari, ma non dimentichiamo che è successa anche un'altra cosa, forse non del tutto negativa. 

In modo incredibilmente netto, contro ogni previsione e nonostante la grancassa mediatica, stavolta alle regionali non hanno dominato i messaggi unitari e unificati, semplificatori e inevitabilmente ingannevoli di sinistra, centrosinistra, pentastellati, centrodestra.

Nemmeno Matteo Salvini, che è ancora uno dei più pompati imbonitori in circolazione, è riuscito a dominare totalmente la scena con la sua pretesa di avere la soluzione "italiana" ai problemi dei territori.

Anche un elettorato invecchiato, impoverito, impaurito come quello di questo inizio degli anni '20, è riuscito a capire che non si poteva votare una soluzione "italiana", perché, come la crisi sanitaria ha dimostrato una volta di più, non esistono soluzioni "italiane" unitarie ai problemi dei diversi territori.

Michele Emiliano in Puglia, Vincenzo De Luca in Campania, Giovanni Toti in Liguria, Luca Zaia in Veneto, persino Eugenio Giani in Toscana, hanno vinto perché erano ciò la gente chiedeva: leader locali, concentrati sui problemi del loro territorio. La stessa cosa vale anche per le Marche, dove il centrosinistra è stato battuto perché i suoi capi del loro territorio non si sono occupati a sufficienza. La stessa cosa vale anche per la Valle d'Aosta (dove la competizione elettorale era meno polarizzata e quindi forse meno insana), dove alla fine i vincitori morali sono gli autonomisti e in particolare la Union Valdôtaine, cioè il partito del territorio per definizione e per eccellenza. La stessa cosa, a ben guardare, la si registra anche altrove, in tante elezioni comunali.

Non sappiamo se Emiliano, De Luca, Toti, Zaia, Giani e altri leader locali resteranno concentrati sugli immensi problemi che li aspettano nei loro territori, nei lunghi anni di "vacche magre" che abbiamo davanti, oppure se saranno distratti o attratti dalla competizione politica italiana od europea. Sarebbe un tradimento per i loro popoli e un peccato per questa Repubblica delle Autonomie, che, senza forti leader locali, è destinata alla rovina.

Di certo sappiamo cosa faranno gli autonomisti di Liguria, i localisti di Marche e Puglia, i napoletanisti, i venetisti, gli attivisti del Patto per la Toscana, gli autonomisti valdostani, le tante realtà collegate nella rete Autonomie e Ambiente: saremo lì, nei nostri territori, a riorganizzarci e a rinnovarci, per il bene delle nostre comunità locali, per la protezione delle nostre economie locali, per sperimentare le nostre monete locali.

Impareremo dai nostri errori e resisteremo contro le idee sbagliate dell'Italia, dell'Europa, della globalizzazione, che sono ancora dominanti e che stanno distruggendo il pianeta, l'Europa e l'Italia.

Tempo al tempo. Restiamo uniti contro tutte le forme di centralismo autoritario. Animo!


mercoledì 1 gennaio 2020

Anticolonialismo, ancora e sempre



In questi anni venti del XXI secolo mi porterò dietro una parola preziosa: anticolonialismo.

Non sono affatto finite le lotte contro il colonialismo, interno ed esterno, oltre che contro ogni forma di neocolonialismo economico, sociale, culturale. Anzi, non sono nemmeno cominciate. Esse sono parte integrante del lunghissimo 1989, di cui questo blog vi ha già parlato.

I grandi stati centralisti e autoritari sono ancora tutti colonialisti. Praticare un moderno colonialismo "senza colonie" (sì, quello di cui ci parlava Magdoff sin dagli anni settanta), colonizzare non solo territori ma ancora di più la mente delle persone, è al momento una delle principali strategie di conservazione delle attuali grandi concentrazioni di potere e di ricchezza nel mondo.

Convincendoci che siamo "cittadini" di grandi mercati aperti, viene frenato il grande moto universale verso l'autogoverno di tutti dappertutto, che percorre il mondo.

L'inganno colonialista, come sanno i pochi che hanno letto qualche pagina dei miei studi sulla disintegrazione (Disintegration as Hope), non può durare, perché è impossibile impedire alla persona umana inclusa nella modernità globalizzata di vedere ciò che non va nella globalizzazione stessa.

C'è speranza, quindi, animo e anticolonialismo ancora e sempre!


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L'immagine è ripresa da qui.





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