Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso
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domenica 12 aprile 2020

Postcoronavirus: riprende la produzione pubblica e locale di farmaci





Buone notizie dal mondo postcoronavirus: in tutti i territori DOVRA' riprendere la produzione pubblica di farmaci, macchinari e dispositivi di protezione sanitaria, così come DOVRA' essere pubblica la ricerca scientifica nel campo della sperimentazione di nuove modalità di prevenzione e cura.

Nessun territorio si priverà più di centri pubblici di ricerca locali, che ovviamente saranno in rete tra di loro a livello globale, da pari a pari, senza bisogno di mostruosità burocratiche come OMS (WHO), EFA, AIFA, tutte  condizionate da elite centraliste e autoritarie, dalle dittature, dalle lobby globali (non solo quelle farmaceutiche, ma anche assicurative e finanziarie). I centri di ricerca non dovranno essere pochi, ma tanti (anche all'interno delle stesse nazioni), perché il confronto tra di loro sia continuo e sempre acceso, allo scopo di evitare la dittatura di ogni conformismo scientista od economicista. Dovranno essere sempre finanziati dalla fiscalità generale e dovranno essere limitate le donazioni private da parte di singoli e comunque vietate quelle da parte di grandi società anonime.

Ciascun territorio dovrà avere le sue produzioni locali di farmaci e dispositivi sanitari, che dovranno essere integralmente pubblici, sotto lo stretto controllo di politici eletti dalla gente. Le produzioni devono essere locali per due fondamentali motivi geopolitici: a parte l'inaccettabile sfruttamento dei lavoratori poveri di angoli remoti del mondo, non ha alcun altro senso spostare attraverso il pianeta ciò che si può produrre facilmente localmente; in più, come si è visto in tempi di coronavirus, in situazioni di emergenza globale, nessuno può garantirti le forniture, se non la tua produzione e il tuo ingegno locale.
 Tutti i brevetti e tutte le innovazioni di organizzazione e di processo saranno condivisi con ogni altro territorio. Tutti i software dovranno essere aperti e pubblici. Tutto sarà sempre controllabile e confrontabile da parte degli esperti non solo locali, ma soprattutto di altri territori. Nessuna scelta produttiva in sanità è mai neutra. Ci sarà sempre chi crede di più in una medicina di prevenzione, chi preferirà concentrarsi nelle cure, chi crederà di più in una soluzione, chi in un'altra. Solo il confronto critico e autocritico continuo tra istituzioni pubbliche di produzione di tanti paesi e territori diversi, farà in modo che alcune buone pratiche si affermino più di altre.

Né il mercato, né il profitto possono guidare l'approvigionamento dei sistemi sanitari locali, pubblici e universali, che sono necessari alle comunità e ai territori, in tutto il mondo. A capire questo, crediamo, l'epidemia coronavirus un pochino dovrebbe aver aiutato.

Che poi, a ben vedere, quello delle grandi aziende farmaceutiche e della produzione di dispositivi sanitari, non è ormai da tempo, nella globalizzazione, un "mercato", inteso come concorrenza e confronto tra capacità e intelligenze. Al posto del "mercato" c'è solo la bulimia di potere di pochissime e grandissime concentrazioni di ricchezza e di potere (Big Pharma, a loro volta controllate da pochissimi centri di potere finanziario e politico, tipo Blackrock in Occidente e il governo del Partito Comunista Cinese in Oriente).

Per la sussidiarietà orizzontale, per il cosiddetto terzo settore noprofit, per la libera impresa in sanità, resteranno comunque spazi immensi, perché ogni sistema sanitario locale avrà bisogno dell'aiuto di miriadi di piccole e medie istituzioni e aziende. Tali istituzioni (come le Misericordie) e tali imprese (come la Menarini, per esempio), però, dovranno essere tassativamente LOCALI, accettare il controllo politico, essere trasparenti al continuo controllo dell'opinione pubblica, assumersi la responsabilità sociale di supportare il benessere della loro comunità e del loro territorio.
  A nessuno, in nessun campo anche solo minimamente prossimo alla salute pubblica, sarà concesso di brevettare alcunché.

Porremo fine a questo mondo folle, dove ormai la gente, esasperata, finisce con il sospettare che si inventino le malattie, per poi poter inventare i vaccini, per poi brevettarli e costruirci sopra immensi guadagni, che vanno in mano a pochissimi mandarini della finanza internazionale.

Buona Pasqua!

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La foto di corredo al post è uno scatto storico disponibile sull'archivio fotografico storico dello Stabilimento Farmaceutico pubblico di Firenze:
https://www.farmaceuticomilitare.it/



mercoledì 25 marzo 2020

Cosa cambierà? Tutto


Buon 25 marzo 2020, buon Capodanno toscano.
Il grande Karl Deutsch, uno dei padri di un moderno decentralismo, lo aveva già compreso negli anni sessanta: connettere gli esseri umani nella globalizzazione avrebbe avuto conseguenze incredibili, soprattutto nel loro sempre difficile e oggi sempre più complesso rapporto con il potere.
Questa pandemia di coronavirus, la prima che coinvolge un intero pianeta in cui ormai ci sono più cellulari che persone umane viventi, è un evento drammatico che accelera incredibilmente il cambiamento.
Dopo questa globale e faticosa quarantena, non ci sarà alcun ritorno all'obbedienza e alla sottomissione, al centralismo e alla superstizione dell'austerità. 
Fra tante utopie irrealizzabili, scrisse Karl Deutsch nel 1970, la più improbabile di tutte è proprio quella coltivata dai tanti "cari lider" che ci vogliono comandare dagli schermi televisivi, "per il nostro bene": quella secondo cui il mondo possa restare come vogliono loro.
Miliardi di persone, dopo aver fatto ciò che è stato ordinato di fare per rallentare questa seria e pericolosa polmonite virale, avranno avuto tanto più tempo per pensare, avranno notato tante reticenze e tante mancanze da parte dei poteri centrali, avranno toccato con mano cosa vuol dire essere senza ricchezze e senza potere, senza autonomia e senza autosufficienza (come individui e come comunità locali), senza informazioni corrette e senza capacità di critica e di innovazione, nel momento del più estremo bisogno.
Cosa cambierà? Tutto.
E molto più velocemente di quello che molti di noi, studiosi di mobilitazione sociale, oltre che attivisti dell'autogoverno, avremmo mai pensato.
Animo!

martedì 17 marzo 2020

Salviamo la Repubblica dal virus del centralismo



17 marzo 2020

Non scherziamo con i virus, con quelli che passeranno, come il #coronavirus, e con quelli che non vogliono passare, come le follie del centralismo autoritario. No a questa orrenda "disunità italiana". Sì alla Repubblica delle Autonomie, nello spirito della Carta di Chivasso, restando attaccati agli ideali di una Europa delle regioni, dei popoli, dei territori, oltre che connessi con tutte le battaglie anticolonialiste e decentraliste del mondo.

Una lettura contro il virus del centralismo

A coloro che ancora civettano con il #centralismo, che prospettano, per il dopo emergenza #coronavirus, una società ancora più centralista e più autoritaria, che sono pronti a invocare il prossimo sindaco, podestà o duce d’Italia (o magari dell’intera Europa, che sarebbe anche peggio), raccomandiamo di usare il tempo della quarantena per leggere qualcosa di un tantino più profondo, come queste eterne riflessioni di Tocqueville, che riportiamo qui di seguito, contro chi oscilla sempre tra “servitù e licenza”.

Cosa mi importa, dopotutto, che vi sia un’autorità sempre pronta, che veglia a che i miei piaceri siano tranquilli, che vola davanti a me per allontanare i pericoli dal mio cammino, senza che io abbia bisogno di pensare a tutto questo; se questa autorità, nel tempo stesso che allontana le più piccole spine sul mio passaggio, è padrona assoluta della mia libertà e della mia vita; se monopolizza il movimento e l’esistenza al punto che quando essa languisce, languisce tutto intorno a lei, che tutto dorme, quando essa dorme, che tutto perisce quando essa muore? Vi sono in Europa certe nazioni in cui l’abitante si considera come una specie di colono indifferente al destino del luogo in cui abita. I più grandi cambiamenti sopravvengono nel suo paese senza il suo concorso; egli non sa precisamente quel che è successo e ne dubita, poiché ha inteso parlare dell’avvenimento per caso. Non solo, ma il patrimonio del suo villaggio, la pulizia della sua strada, la sorte della sua chiesa e della sua parrocchia, non lo toccano affatto; egli pensa che tutte queste cose non lo riguardano in alcun modo, perché appartengono ad un estraneo potente, che si chiama il governo. Quanto a lui, non è che l’usufruttuario di questi beni, senza spirito di proprietà e senza idee di miglioramento. Questo disinteresse di se stesso si spinge tanto in là che se la sua sicurezza o quella dei suoi figli è compromessa, invece di cercare di allontanare il pericolo, egli incrocia le braccia per attendere che l’intera nazione venga in suo aiuto. Quest’uomo, del resto, benché abbia sacrificato completamente il suo libero arbitrio, non ama l’obbedienza più degli altri; si sottomette, è vero, al beneplacito di un impiegato, ma si compiace di sfidare la legge, come un nemico vinto, quando la forza si ritira. Così oscilla senza tregua fra la servitù e la licenza.1
1 Alexis de Toqueville, De la Démocratie en Amérique, Parigi, 1835-40. Edizione italiana: La democrazia in America, Rizzoli, Brescia, 1995, pp.96-97.


Questo è il nostro regalo a tutti i cittadini di una Italia che, non dimentichiamolo, nacque sbagliata, come Regno conquistato il 17 marzo 1861, e che solo con la Costituzione del 1948, con la fondazione di una Repubblica di Autonomie, ha ricominciato lentamente a risalire la china della storia in cui il centralismo autoritario l’aveva precipitata. No, per noi oggi non è la giornata della “unità nazionale“, semmai di una virale ipocrisia da cui la Repubblica delle Autonomie dovrebbe guarire, una volta per tutte.


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