17 marzo 2020
Non scherziamo con i virus, con quelli che passeranno, come il #coronavirus, e con quelli che non vogliono passare, come le follie del centralismo autoritario. No a questa orrenda "disunità italiana". Sì alla Repubblica delle Autonomie, nello spirito della Carta di Chivasso, restando attaccati agli ideali di una Europa delle regioni, dei popoli, dei territori, oltre che connessi con tutte le battaglie anticolonialiste e decentraliste del mondo.
Una lettura contro il virus del centralismo
“Cosa mi importa, dopotutto, che vi sia
un’autorità sempre pronta, che veglia a che i miei piaceri siano
tranquilli, che vola davanti a me per allontanare i pericoli dal mio
cammino, senza che io abbia bisogno di pensare a tutto questo; se questa
autorità, nel tempo stesso che allontana le più piccole spine sul mio
passaggio, è padrona assoluta della mia libertà e della mia vita; se
monopolizza il movimento e l’esistenza al punto che quando essa
languisce, languisce tutto intorno a lei, che tutto dorme, quando essa
dorme, che tutto perisce quando essa muore? Vi sono in Europa certe
nazioni in cui l’abitante si considera come una specie di colono
indifferente al destino del luogo in cui abita. I più grandi cambiamenti
sopravvengono nel suo paese senza il suo concorso; egli non sa
precisamente quel che è successo e ne dubita, poiché ha inteso parlare
dell’avvenimento per caso. Non solo, ma il patrimonio del suo villaggio,
la pulizia della sua strada, la sorte della sua chiesa e della sua
parrocchia, non lo toccano affatto; egli pensa che tutte queste cose non
lo riguardano in alcun modo, perché appartengono ad un estraneo
potente, che si chiama il governo. Quanto a lui, non è che
l’usufruttuario di questi beni, senza spirito di proprietà e senza idee
di miglioramento. Questo disinteresse di se stesso si spinge tanto in là
che se la sua sicurezza o quella dei suoi figli è compromessa, invece
di cercare di allontanare il pericolo, egli incrocia le braccia per
attendere che l’intera nazione venga in suo aiuto. Quest’uomo, del
resto, benché abbia sacrificato completamente il suo libero arbitrio,
non ama l’obbedienza più degli altri; si sottomette, è vero, al
beneplacito di un impiegato, ma si compiace di sfidare la legge, come un
nemico vinto, quando la forza si ritira. Così oscilla senza tregua fra
la servitù e la licenza.“1
1 Alexis de Toqueville, De la Démocratie en Amérique, Parigi, 1835-40. Edizione italiana: La democrazia in America, Rizzoli, Brescia, 1995, pp.96-97.
Questo è il nostro regalo a tutti i cittadini di una Italia che, non
dimentichiamolo, nacque sbagliata, come Regno conquistato il 17 marzo 1861,
e che solo con la Costituzione del 1948, con la fondazione di una
Repubblica di Autonomie, ha ricominciato lentamente a risalire la china
della storia in cui il centralismo autoritario l’aveva precipitata. No,
per noi oggi non è la giornata della “unità nazionale“, semmai di una virale ipocrisia da cui la Repubblica delle Autonomie dovrebbe guarire, una volta per tutte.
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