La domenica del primo ottobre 2017 è una grande giornata di rivolta popolare nonviolenta in Catalogna. E' anche la conferma che la storia umana ha intrapreso una strada che potrebbe rivelarsi fonte di grande speranza per le generazioni future.
Noi stiamo vivendo nel pieno di un movimento decentralista globale, contro le prepotenze e i soprusi, ma più ancora contro ogni concentrazione di ricchezze e di potere.
Ogni persona umana che nella globalizzazione abbia raggiunto un minimo livello di nutrizione e salute, istruzione e competenza, informazione e connessione, non si rassegna a essere un anonimo e insignificante mattone alla base delle grandi piramidi delle modernità (stati, ma anche grandi imprese e altre grandi organizzazioni).
E perché dovrebbe?
Le ambizioni della persona umana contemporanea finiscono per trasformarsi anche in una richiesta urgente e pressante di maggior controllo anche sul proprio territorio.
Una parte sempre crescente dell'umanità vorrebbe appartenere a comunità più a misura d'uomo, dove l'individuo possa fare la differenza, trovare una realizzazione e una identità, ma anche un sostegno e una solidarietà.
In ciascuna periferia del mondo si ricostruiscono reti di vicinato, che condividono una economia locale, un riscatto sociale, una piattaforma politica, una cultura vernacolare. Queste reti, prima o poi, diventano comunità politiche che finiscono per chiedere l'autogoverno.
L'individuo non vuole più essere un "governato", ma sentirsi un sovrano che si autogoverna, potendo controllare direttamente, attraverso i suoi cinque sensi e il contatto personale, il governante da lui eletto.
Questo, in paesi troppo vasti, è semplicemente impossibile.
Di fronte a questa nuova realtà, tutto ciò che il conformismo dominante ci ha raccontato sui pericoli dell'indipendentismo e del nazionalismo, va totalmente messo in disccusione.
Certo che certi nazionalismi sono un pericolo, basti pensare a quello spagnolo, o francese, o inglese, o americano, o russo, o cinese, o pakistano, o hindi, o indonesiano, o iraniano, o nigeriano. In tutto il mondo si diffonde la coscienza sempre più chiara di quanto siano pericolosi i nazionalismi centralisti e autoritari, colonialisti e militaristi. Da questi nazionalismi i territori di periferia vogliono liberarsi e riusciranno, in un modo o nell'altro, a farlo.
Certo che ci sono movimenti reazionari e razzisti, nelle periferie della società contemporanea, ma essi sono il prodotto diretto dell'oppressione dei regimi centralisti. Ovunque, però, sono presenti attivisti che stanno portando avanti le ragioni dei propri territori con metodi inclusivi e nonviolenti. Saranno loro a vincere.
Certo che ci sono interessi economici, in alcune periferie più ricche e più avanzate, a lungo depauperate dai loro stati centrali. Perché la loro richiesta di trattenere sul posto le proprie risorse dovrebbe essere condannata? I regimi centralisti spogliano le regioni più prospere, magari nascondendosi dietro principi di solidarietà che sono traditi prima di tutto dalle loro stesse caste dominanti, come sanno bene gli abitanti delle periferie più povere e arretrate, a cui vengono redistribuite solo briciole. Infatti anche le regioni più marginali organizzano propri movimenti di resistenza anticentralista e anticolonialista, tanto e forse persino di più delle periferie più fortunate.
Certo che tutti ci sentiamo sempre più cittadini del mondo: "nostra patria è il mondo intero" dice l'inno anarchico scritto dal migrante di origine toscana Pietro Gori, ma questa esperienza non può essere riservata solo a pochi privilegiati che possono permettersi di vivere e lavorare in uno qualsiasi dei grandi centri del potere mondiale. Per consentire a ogni persona umana di sentirsi davvero libera (anche di cambiare vita e paese), occorre prima di tutto che essa possa essere cittadina sovrana della sua terra.
Ogni internazionalismo, se disconnesso da una seria visione anticentralista, anticolonialista, antimilitarista, finisce per essere solo un vago moralismo al servizio del mantenimento delle attuali ingiustizie politiche e sociali.
La strada maestra per assicurare libertà ed eguaglianza di opportunità alle persone umane passa attraverso l'instaurazione di una libertà e pari dignità fra le comunità comunità territoriali in cui esse vivono. Non c'è nulla di facile, in questo cammino, ma è la direzione in cui il mondo sta andando: un maggior numero di repubbliche indipendenti; federazioni che diventano confederazioni; province autonome che diventano stati; responsabilità che vengono devolute dal centro alle periferie.
Autonomia, federalismo, confederalismo, indipendentismo sono parole che vengono usate spesso strumentalmente - specie nel dibattito pubblico in lingua italiana - fino a svuotarle di significato (talvolta rendendole impronunciabili), ma l'autogoverno è un diritto e un dovere umano universale e nessuno si illuda di poterne contrastare l'avanzata, in nome dei propri pregiudizi o, peggio, dei propri privilegi negli attuali rapporti di forza sociale e politica.
Le attuali concentrazioni di ricchezza e di potere sono incompatibili con i bisogni della persona umana del XXI secolo e nessuno degli attuali pregiudizi pro-centralismo potrà conservarle ancora a lungo.
Mauro Vaiani Ph.D.
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Chi scrive ha avuto il privilegio di conoscere e partecipare a movimenti e realtà autonomiste sin da ragazzo. Da adulto ha avuto l'opportunità di dedicare all'autogoverno delle comunità umane gli anni del dottorato di ricerca. Per approfondire, si consulti la sintesi dello studio Disintegration as Hope.
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