Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso

giovedì 31 marzo 2011

Disastro annunciato

La gestione dell'emergenza migranti nel canale di Sicilia e a Lampedusa, un altro disastro annunciato.

Anche il ministro Maroni ci ha deluso. Aveva fatto previsioni fosche e non ha saputo gestire non l'annunciato milione di profughi, non i primi centomila, ma nemmeno i primi diecimila. Chi e cosa ha impedito di prepararsi meglio, per evitare di farsi cogliere così impreparati?

Una piccola risposta, a suo modo, la dà Berlusconi, il quale ha approfittato del drammatico palcoscenico di una piccola isola invasa da profughi e clandestini per l'ennesima narcistica piazzata, con tanto di acquisto di una villa in piena notte via internet. Negli ultimi giorni, invece di governare, ha impedito allo stato di costituirsi parte civile nei processi per frode fiscale contro di lui e sta tentando di chiudere, per via legislativa, un altro dei suoi processi. Non segue la crisi libica, in cui lui, come tanti altri peraltro, sotto sotto tifa ancora per il suo amico Gheddafi, ma non si dimentica di mandare avanti i suoi amici...

Inarrivabile, Berlusconi, come sempre. Nella sua ansia di essere di tutto e più di tutti, si è persino trasformato nel caimano che gli antiberlusconiani lo hanno sempre accusato di essere. 

Tutto attorno a lui, però, traballa, come lasciano trasparire i membri della sua cerchia, i ministri scomparsi come Bondi e quelli regrediti come La Russa,  i tanti deputati disponibili ma non sempre affidabili.

La corte, pur non cessando di assediare il premier per vedere soddisfatte le tante inestinguibili avidità, pare ormai da composta da personaggi stanchi di reggere la parte, sempre più incapaci di tener testa alla immaginifica faccia tosta del leader, a cui stanno saltando i nervi, come hanno mostrato le tristi cronache parlamentari di questi ultimi due vergognosi giorni.

mercoledì 23 marzo 2011

Dialogo sulla moschea di Firenze


La New York University ci ha accolti ieri, martedì 22 marzo 2011, nella sua prestigiosa sede fiorentina, La Pietra, per uno dei suoi Policy Dialogues, questa volta aperto dalla direttrice esecutiva Ellyn Toscano e dedicato al tema, sempre attuale, "Islam and Integration in the City".
Non ne abbiamo discusso solo in termini generali, ma applicandolo a una situazione concreta, che si presenta anche da noi, in Toscana, quella cioè della costruzione di una moschea in una moderna città occidentale. In una città, come la nostra Firenze appunto, dove, per quanto possa essere secolarizzata e pluralista, gli spazi pubblici del sacro sono pressoché interamente occupati da presenze e simboli cristiani cattolici. La presenza della dimensione religiosa nello spazio urbano e civile non può essere cancellata, ha ricordato il prof. Rainer Bauböck, politologo dell'Università Europea. Né forse è desiderabile che lo sia, visto che assicura identità e spiritualità, e stimola senso civico e moralità pubblica. Può però evolversi, con la necessaria gradualità e attraverso i giusti compromessi, arricchendosi, per esempio, con la presenza di spazi per altre fedi, oltre a quelle della nostra bimillenaria tradizione cristiana. Come una moschea, appunto, come luogo di incontro e come memoria di una identità comune ai circa 30.000 nuovi fiorentini di religione musulmana.Era presente un parterre di studenti, accademici, intellettuali, attivisti e amministratori, non solo fiorentini, non solo toscani. E' una tradizione di questi Dialogues quella di riunire dei panel a cui siano presenti esperienze eterogenee e punti di vista trasversali, per ottenere momenti di ascolto e approfondimento, oltre a discussioni stimolanti, magari veri e propri brain storming.
Il contributo principale alla giornata è stato quello dell'imam di Firenze, Izzedin Elzir, che oltre a fare il suo intervento, è rimasto ad ascoltare gli altri relatori e ha risposto a ogni tipo di domande e provocazioni da parte della stampa e del pubblico. L'imam Elzir è una figura fortemente impegnata per la nascita di un Islam toscano e italiano, capace di integrarsi e dialogare con le altre fedi, con le istituzioni laiche, con la società civile.
Come si sta portando avanti la proposta di una moschea a Firenze? Una associazione di cittadini di religione musulmana, in gran parte immigrati provenienti da una cinquantina di diversi paesi islamici, non solo arabi, si è costituta, al fine di raccogliere i primi fondi e per proporre alla città un percorso di approfondimento delle proprie esigenze di culto e di socialità. Si pensa di attivare anche la legge regionale toscana sulla partecipazione.
A che struttura si sta pensando? A un edificio che possa accogliere qualcosa di più dei 5.000 fedeli che sono affluiti, in occasione delle grandi festività della fine del Ramadan e della festa del Sacrificio, nei tre spazi provvisori di preghiera attualmente attivi nel comune di Firenze. Un edificio importante, quindi, riconoscibile, attrattivo, simbolico, paragonabile almeno al tempio maggiore ebraico, la sinagoga di Via Farini, o alla chiesa russa ortodossa della Natività di via Leone X, a pochi isolati dalla Fortezza da Basso.
Non saranno chiesti contributi pubblici e non sono stati accettati finanziamenti da fondazioni islamiche straniere, ha chiarito l'imam Izzedin Elzir. Istituzioni che avevano chiesto, in cambio del loro aiuto, di poter nominare loro, dall'estero, i prossimi imam, soffocando quindi sul nascere l'autonomia di questo nascente musulmanesimo toscano e italiano.
Si porteranno avanti, in questa nuova moschea, le innovazioni che sono state introdotte per andare incontro agli orari e alle necessità locali dei musulmani fiorentini.
Si pregherà in arabo, ma si predicherà in italiano, perché è questa la lingua che unisce l'eterogenea comunità, composta da africani, maghrebini, arabi e asiatici.
Così come l'Islam si è adattato alla cultura e alla architettura degli altri paesi in cui è arrivato, anche la moschea di Firenze dovrà rappresentare una sintesi, anche architettonica, fra Islam e identità fiorentina. Se ci sarà un minareto, insomma, elemento verticale peraltro non indispensabile al nuovo luogo di culto, potrebbe finire per somigliare a un campanile. Quella di presentare un bozzetto in cui la moschea era visibilmente ispirata a Santa Maria Novella, insomma, non era una boutade, ma una provocazione costruttiva, tesa a stimolare l'immaginazione e a suscitare curiosità e interesse attorno a questa che la vicesindaco delegata all'università e all'innovazione del comune di Firenze, Cristina Giachi, ha definito una vera e propria sfida.
Ci sono, è stato ampiamente riconosciuto, non solo buone intenzioni, ma delle serie premesse per una operazione di inclusione, che conservi identità e spiritualità di questi nuovi cittadini, ma che rafforzi anche l'attaccamento al territorio, il senso di cittadinanza, la fedeltà ai valori repubblicani.
L'imam Izzedin Elzir e gli amministratori, gli intellettuali, gli attivisti presenti, non si nascondono le difficoltà, sanno che ci sono enormi diffidenze da vincere, si aspettano un grande dibattito pubblico, si rendono conto che occorrerà del tempo e una grande capacità di coinvolgere democraticamente tutti i cittadini.
I Fiorentini criticano tutto, criticheranno anche Gesù il giorno che tornerà sulla terra, per questo progetto non si farà certo eccezione, ha osservato ironicamente mons. Timothy Verdon, il delegato all'ecumenismo dell'Arcidiocesi cattolica.

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Ricordiamo, nell'ordine in cui sono intervenuti, i nomi degli altri relatori presenti, oltre a quelli citati, a questo La Pietra Policy Dialogue:
- Claudius Wagemann, Università Europea e Istituto Italiano di Scienze Umane
- Lorenzo Bosi, Marie Curie Fellow dell'Università Europea
- Laura Grazzini, Responsible for Immigration, ARCI Firenze
- Franco Cardini, professore di Storia Medioevale, Istituto Italiano di Scienze Umane

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Un ringraziamento a tutto il personale di Villa La Pietra e della New York University per l'incredibile cura con cui vengono tenuti edifici e giardini, per l'organizzazione, l'ospitalità, l'entusiasmo dimostrati. Confesso che ho sentito e patito la differenza con altre università, a partire purtroppo dalle nostre toscane. Un ringraziamento personale a Marija Mihajlovic, assistente della conferenza.

Per maggiori informazioni:
http://www.nyu.edu/lapietra/policy.dialogues/

lunedì 21 marzo 2011

Una testimonianza gay cristiana, che porteremo all'Europride 2011

I gruppi di gay cristiani italiani ed europei hanno partecipato all'Europride 2011 a Roma (http://www.europrideroma.com/).

In questo post vi invitiamo ad ascoltare, con le vostre orecchie, il discorso di Lady Gaga che, a nostro parere, è stato molto, davvero molto più importante di quello che molti si aspettavano.

Oppure puoi leggerlo, in una trascrizione integrale e fedele, in questo altro nostro post:
http://diversotoscana.blogspot.com/2011/06/full-transcript-of-lady-gagas-speech-in.html

Attraverso il diario di Andrea Rubera, di cui vi riportiamo i link in un ordine, almeno all'incirca, cronologico inverso, potete rivivere con noi questa straordinaria esperienza:


http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/06/13/gay-cristiani-bilancio-del-pride/

http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/06/12/noi-gay-cristiani-alleuropride-2/

http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/06/12/noi-gay-cristiani-alleuropride/

http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/06/10/gay-cristiani-il-testo-della-lettera-al-papa/

http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/06/10/gay-cristiani-tutta-la-veglia-antiomofobia/

http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/06/09/i-gay-cristiani-lettera-al-papa/

http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/06/08/i-gay-cristiani-si-raccontano4/

http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/06/07/i-gay-cristiani-si-raccontano3/

http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/06/07/gay-cristiani-veglia-anti-omofobia4/

http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/06/07/gay-cristiani-veglia-antiomofobia3/

http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/06/07/gay-cristiani-la-veglia-antiomofobia2/


http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/06/06/chi-sono-i-gay-cristiani2/

http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/06/06/chi-siamo-noi-gay-cristiani/

http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/06/04/gay-cristiani-la-vegli-antiomofobia/


http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2011/06/03/gay-cristiani-alleuropride-di-roma/




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Questo è il bellissimo video realizzato dalle sorelle e dai fratelli di Nuova Proposta di Roma, come contributo alla comprensione dell'importanza della nostra visibilità come persone cristiane e omosessuali e come invito alla partecipazione:
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Sperando che possano essere utili, raccolgo in questa pagina anche alcuni contributi video a cui ho partecipato in prima persona.

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Lunedì 17 novembre 2008 nella trasmissione di Rai Tre "Cominciamo bene", in onda alle 9.55, Fabrizio Frizzi ed Elsa Di Gati, insieme a vari esperti e testimoni, parlano di omosessualità. Tra le diverse storie proposte c'è anche la mia testimonianza, come membro del gruppo di gay credenti Il Ponte di Pisa e volontario del progetto Gionata su fede e omosessualità: http://www.gionata.org.
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Questo è un estratto del documentario di Alberto D'Onofrio sulle "Confessioni di un gay cattolico", uscito nel 2008, a cui ho contribuito raccontando la mia storia di uomo gay cristiano in Toscana.
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I gruppi di gay credenti di cui si parla in questi estratti sono tutti raggiungibili attraverso il portale http://www.gionata.org. Se volete conoscerli e approfondire, non esitate: visitate Gionata, scriveteci, contattateci.


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Ultimo aggiornamento della pagina: 13 giugno 2011.

domenica 20 marzo 2011

Aiutare gli insorti

Da ieri sera, sabato 19 marzo 2011, insieme a un pugno di alleati occidentali e arabi, siamo in guerra contro il governo della Jamahiriya, il regime di Gheddafi.

Nella babele delle opinioni, nella miopia delle caste, nella costosa inutilità delle organizzazioni internazionali, nella crisi spirituale e culturale che mina, pericolosamente, i fondamenti del diritto internazionale, resta almeno una provvisoria certezza: aiutare gli insorti è nostro diritto, forse anche nostro dovere.

E' rischioso, tanto, ma giusto scommettere sull'insurrezione della Cirenaica. E' possibile sperare che, almeno lì, possa nascere una nuova repubblica, un altro fiore di questa straordinaria primavera araba del 2011.

mercoledì 16 marzo 2011

Ogn'uomo di Ferruccio ha il cuore



 

Questo giovedì 17 marzo 2011, 150° anniversario dell'unificazione italiana, richiederà tanta capacità di riflessione, comprensione, senso critico, ma spero che sia, comunque, una giornata serena per tutti i popoli, le comunità, le famiglie che vivono nella Repubblica italiana.

Partecipo a modo mio, sottolineando il verso per me più bello, più toscano, dell'inno di Mameli:

Ogn'uomo di Ferruccio
Ha il cuore, ha la mano

Mameli, che nell'inno racconta secoli di lotta contro le invasioni straniere, si riferisce qui a Francesco Ferrucci, il protagonista della resistenza anti-imperiale e anti-medìcea della Repubblica di Firenze.

Ferruccio, il nostro eroe della libertà toscana, è anche quello che, dopo esser stato ferito a morte, nel 1530, nella battaglia di Gavinana, da Fabrizio Maramaldo, capitano imperiale, gli si rivolse con le celebri parole "Vile, tu uccidi un uomo morto"

Non c'è altra Italia che quella dell'inno di Mameli: una famiglia di popoli e città innamorati della propria libertà, un grande ideale repubblicano che attraversa i secoli, una grande speranza federalista, cioè di unità e pace fra tutti i popoli. Viva l'Italia, ma quella vera, però! 



Fonti:
http://www.radiomarconi.com/marconi/mameli.html (acceduto mercoledì 16 marzo 2011)

Rileggi anche:
Chi è questa schiava di Roma
C'è anche una questione toscana

lunedì 14 marzo 2011

Paura nucleare

C'è poco da scandalizzarsi o da recriminare: i terribili incidenti di Fukushima pietrificheranno l'estrema diffidenza dell'opinione pubblica italiana contro le centrali nucleari.

D'altra parte, come ricorda Phastidio.Net, chi ci ha mai veramente creduto che l'attuale classe politica potesse condurre in porto una opera pubblica così impegnativa come la costruzione di una nuova centrale nucleare?

L'attuale governo non ha risposte per nessuna delle domande serie che ci poniamo sul nucleare da quasi venticinque anni. Neppure le cerca, forse pensando non a torto che, quando i nodi dovessero arrivare al pettine, diciamo una decina d'anni dopo l'apertura di eventuali cantieri, lorsignori comunque non ci sarebbero più.

Nessun territorio, nessun gruppo di imprenditori, nessun comitato scientifico sta rischiando risorse e capitali propri, per arrivare a un progetto finalmente credibile, con costi e date certe, capace di raccogliere un reale consenso popolare, attorno a una opera pubblica che potrebbe anche essere, in teoria, un investimento lungimirante. Una infrastruttura che ci potrebbe invece essere utile, per diversificare le nostre fonti di approvvigionamento energetico nel tempo, non sappiamo quanto lungo, che ci sarà necessario per uscire dall'attuale pressoché totale dipendenza dalle fonti energetiche fossili.

Invece si fermerà ancora una volta tutto e forse è giusto così. Fare il nucleare con i soldi degli altri, sul terreno degli altri, ipotecando la vita delle generazioni future, forse sarebbe davvero troppo, anche per l'Italia dei tempi del declino di Berlusconi.

venerdì 11 marzo 2011

Jesus, the Storm Stiller, have mercy

Nella vigilia di questo sabato 12 marzo 2011, un pensiero a coloro che sono già stati colpiti dal terromoto e dallo tsunami, o che lo saranno in queste prossime ore, dal Giappone alla California. Per tutti loro imploriamo l'aiuto di Gesù, l'acquietatore delle acque, il placatore della tempesta, "the Storm Stiller", nostro rifugio, nostra salvezza, come ci racconta Matteo (8:26):

"Disse loro: «Perché avete paura, o gente di poca fede?» Allora, alzatosi, sgridò i venti e il mare, e si fece gran bonaccia"

giovedì 10 marzo 2011

Grazie alla nostra rivolta

Il IV governo Berlusconi ha approvato una proposta di legge costituzionale che sembra recepire alcune delle istanze di riforma della giustizia attese da decenni in questo paese.
Vedremo! Seguiremo con speranza il lungo iter parlamentare che ora attende la proposta.
Nel momento forse più basso della sua credibilità personale, nel tempo del suo rapido declino politico, rischiando di essere ormai fuori tempo massimo, Silvio Berlusconi ha lasciato accadere quello che il Paese aspettava da lui da ormai vent'anni.
E' solo un piccolissimo passo in avanti e, sono sincero, non ci ho creduto fino all'ultimo istante.
Lo considero un nostro piccolo successo. Intendo dire di noi che ci siamo ribellati.
Della nostra rivolta, popolare e liberale, contro il narcisismo, le cricche, l'abortito PDL, l'invecchiamento e la sclerosi del centrodestra italiano, le tante promesse mancate, il tradimento del federalismo e della rivoluzione liberale.

venerdì 4 marzo 2011

No, non sarà come l'Iran

Ieri pomeriggio, giovedì 3 marzo 2011, a Pisa, con l'aiuto di alcune amiche e amici della mia scuola di dottorato in Geopolitica, ho contribuito alla realizzazione di un incontro di approfondimento dedicato al Maghreb, a questa "Primavera araba" del 2011, ai cambiamenti in corso nel Nord Africa e, forse, nell'intero mondo arabo.

L'iniziativa è nata da una richiesta dei giovani di Futuro e Libertà di Pisa e si è tenuta nella sede di quel partito, in Corte S.Domenico. Emanuele Aloisio e altri hanno contribuito all'organizzazione e alla diffusione degli inviti. Un ringraziamento particolare a Edoardo Festa, che è stato brillante nell'aiutarci a migliorare la riproduzione audio e video dei collegamenti skype.

Questo il tema scelto dai giovani di FLI: "Le  rivolte nel Maghreb e la crisi dei regimi  arabi: una nuova primavera dei popoli?". Ha portato il suo saluto all'iniziativa il coordinatore provinciale del partito, Massimo Balzi.

Ci siamo collegati via skype con Tunisi, da dove ci è giunta la testimonianza di persone che stanno vivendo in prima persona il cambiamento.

Giacomo Fiaschi, imprenditore e intellettuale pratese che vive in Tunisia da vent'anni, ci ha raccontato le manifestazioni, l'entusiasmo dei giovani, l'impegno degli uomini di cultura, gli eventi straordinari che sta quotidianamente documentando dal suo profilo Facebook, da gennaio a oggi.

Da Tunisi ha parlato anche Stefano Paoletti, un altro imprenditore toscano, che ci ha raccontato dei rischi di questo momento di cambiamento, soprattutto per le piccole e medie imprese. Nel solo governatorato di Tunisi ci sono 800 imprese promosse da italiani o in cui sono coinvolti capitali italiani.

Abbiamo discusso dei molti limiti della politica estera italiana, non solo in generale, ma cercando di capire gli errori di Berlusconi, l'evanescenza di Frattini, i pregiudizi di Stefania Craxi e della sua cerchia. Abbiamo registrato, ancora una volta, la pigrizia o addirittura l'assenza della nostra diplomazia e delle nostre burocrazie all'estero, nel dare assistenza ai cittadini e alle imprese italiane.

In collegamento skype da Tunisi ci ha parlato anche Neji Naghmouchi, artista e cineasta tunisino, uno dei 24 membri del Comitato nazionale per la difesa della rivoluzione. L'organismo si è formato dal basso, attraverso l'elezione diretta, in ciascuna delle 24 province tunisine, di un portavoce unitario. Ne fanno parte ben 8 donne. Sta premendo sul governo provvisorio perché si convochino al più presto le elezioni di una assemblea costituente e perché si accelerino i cambiamenti, anche nel personale politico, dopo la fine della dittatura di Ben Ali.

I nostri amici di Tunisi ci hanno confermato che Internet è libero, le comunicazioni cellulari funzionano, il clima di libertà sta contagiando il paese, l'economia funziona, tutti i servizi pubblici sono efficienti. Ai confini con la Libia è urgente dare aiuto ai profughi, che sono prevalentemente egiziani che si sono trovati sbarrata la strada verso casa dalle milizie di Gheddafi, il dittatore libico che sciaguratamente resiste ancora nel suo bunker.

In sede a Pisa era con noi il prof. Francesco Tamburini, docente esterno di Storia e Istituzioni dei Paesi afro-asiatici e dei Paesi islamici dell'Università di Pisa, che ci ha aiutato a contestualizzare in un quadro storico e geografico più preciso le notizie di attualità provenienti dalla Tunisia, dal resto del Maghreb, dall'Egitto.

Ci ha spiegato la natura ibrida dei regimi arabi che oggi sono in crisi: formalmente delle repubbliche costituzionali, ma in realtà dittature personali esercitate attraverso l'egemonia di partiti unici e l'organizzazione di periodici plebisciti per legittimare lo status quo. Ci ha spiegato le strutture claniche e tribali, che ancora persistono nella società araba, specie in Libia. Tamburini ha sottolineato anche la necessità di non indulgere in alcun atteggiamento di colonialismo culturale, che era un errore riconosciuto già dalle "Lettres persanes" del 1721 di Montesquieu. La democrazia che sorgerà in questi paesi sarà sicuramente una affermazione di valori universali, ma si consoliderà solo attraverso percorsi locali e originali.

Ci sono indubbiamente dei rischi geopolitici, peraltro troppo sottovalutati, specie dal nostro governo e, purtroppo, come ha scritto Phastidio.net, anche da tante nostre imprese. Francesca Bianchini, dottore di ricerca della nostra scuola di Geopolitica dell'Università di Pisa, studiosa della storia libica, ci ha spiegato come l'unità fra le tre parti della Libia - Tripolitania, Cirenaica e Fezzan - sia piuttosto recente e sempre piuttosto precaria.

E' intervenuto, fra gli altri, anche lui collegato in skype perché trattenuto fuori Pisa da altri impegni, l'esperto di immigrazioni di FLI, Leonardo Carloppi, che ci ha comunicato la sua personale convinzione che questa primavera di libertà contribuirà all'arretramento del pericolo del terrorismo fondamentalista.

Molto significativa è stata anche la testimonianza di Amine Louafi, anche lui dottore di ricerca della nostra scuola, che ci ha spiegato l'unità culturale del Maghreb, il senso di fratellanza che sta unendo i giovani di questa parte del mondo nella lotta per la libertà, il ruolo che Internet e le nuove tecnologie stanno avendo nel contagio, da un paese all'altro, della voglia di cambiare. Anche il relativamente giovane re del Marocco, Mohammed VI, classe 63, è in sintonia con questa richiesta di cambiamento e sta portando avanti la trasformazione della sua antica monarchia in un regno pienamente costituzionale e democratico.

I regimi nazionalisti e socialisteggianti che hanno retto il Maghreb e l'Egitto per mezzo secolo sono molto diversi fra di loro ed eterogeneo è anche il retroterra storico, sociale ed economico dei diversi stati. C'è in comune il fatto che in tutta la sponda meridionale del Mediterraneo c'è stata urbanizzazione e industrializzazione. C'è ovunque una alfabetizzazione altissima, anche delle donne, anche nelle campagne, che raggiunge il 74% in Tunisia e l'82% in Libia. Ci sono decine di milioni di giovani istruiti e nutriti, che parlano arabo, inglese, francese, spesso anche italiano, che hanno il cellulare e accedono a Internet. C'è amore per le proprie tradizioni e anche per la fede musulmana, ma c'è soprattutto voglia di libertà, anche nei costumi, a partire dalle piccole cose, musica e amore compresi.

Questa gioventù sembra davvero immune a eventuali tentazioni di strumentalizzare a fini politici la religione, attraverso la predicazione di vecchi estremismi e nuovi bigottismi. Le donne, in particolare, sembrano in grado di difendere, da sole, esponendosi in prima persona, la  libertà e la dignità che hanno ricevuto dalle riforme realizzate dai regimi precedenti.

Non siamo più negli anni '70, questa è la riflessione che ripeto volentieri e che condivido con la mia collega di dottorato, anche lei presente con noi a Pisa ieri, la giornalista musulmana bosniaca Eldina Pleho. Allora il mondo era polarizzato e diviso. Le masse, non solo in Iran, ma anche nel resto del mondo, anche qui in Occidente, erano affascinate da ideologie e semplificazioni pericolose. Oggi è molto più difficile che dei leader populisti e delle elite fanatiche possano imporsi, trasformando le speranze rivoluzionarie in nuove e più pericolose dittature.

C'è speranza nel mondo arabo, oggi. C'è speranza per chi ama la libertà e crede che essa sia ciò che D-o vuole, da sempre, per ogni creatura umana.

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Shahbaz Bhatti, un altro martire

Shahbaz Bhatti (foto originale AFP/GETTY IMAGES)
Shahbaz Bhatti, l'unico ministro cristiano del Pakistan, è stato assassinato. Onoriamo un altro martire, un'altra vittima dell'odio dei fondamentalisti. Come Salmaan Taseer, Bhatti è caduto per il suo tentativo di mettere in discussione l'abominevole legge anti-blasfemia.

giovedì 3 marzo 2011

Libertà di parola

Da Facebook di oggi, il mio commento a una difficile ma saggia sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti:

Anche se il tuo pensiero è disgustoso, anche se i tuoi atteggiamenti sono crudeli, anche se la tua opinione è abominevole, la legge difenderà la tua libertà di parola. D-o benedica gli Stati Uniti d'America.


martedì 1 marzo 2011

L'uninominale di Cavour

Carlo Scognamiglio Pasini: le prime elezioni di Cavour, con l'uninominale
Pubblicato il 28/02/2011 alle 17:42

Il Corriere della Sera ha pubblicato su un suo sito web la relazione svolta da Carlo Scognamiglio Pasini in occasione della celebrazione della ricorrenza del 150° della prima riunione del Parlamento italiano alla Camera dei Deputati, Palazzo Montecitorio, Sala della Lupa, il 18 febbraio 2011. Carlo Scognamiglio Pasini, è stato presidente del Senato della Repubblica. Ne rilanciamo uno stralcio di indubbio interesse per la nostra campagna per l'uninominale in Toscana.

Sono grato al presidente Fini per l’invito a partecipare a questa giornata che commemora il centocinquantesimo anniversario della prima riunione del Parlamento italiano;  dell’occasione di fare qualche breve riflessione per ricordarne il significato sotto il profilo dei valori della democrazia liberale; e di ricordare insieme a questi valori la figura di Camillo Cavour di cui fra pochi mesi ricorrerà anche il 150° della  scomparsa. Un ricordo dovuto in questa occasione , perché lo statista piemontese oltre ad essere stato fra i padri dell’indipendenza e dell’unità della nostra nazione è stato anche un campione dei valori del parlamentarismo liberale che ha pochi confronti nella storia europea. (...)
Per un liberale come lui soltanto il parlamento rappresentativo della nazione avrebbe costituito la fonte legittima della proclamazione del nuovo Stato unitario. Ciò  è chiaramente esposto in una sua lettera del 2 ottobre 1860 pubblicata da Rosario Romeo in “Vita di Cavour”: “Non ho alcuna fiducia nelle dittature, e soprattutto nelle dittature civili: io credo che con il Parlamento si possano fare cose che sarebbero impossibili per un potere assoluto... Sono figlio della libertà e se bisognasse mettere un velo sulla sua statua non sarò io a farlo. (...) Reputo che non sarà ultimo titolo di gloria per l’Italia di aver saputo costituirsi a nazione senza passare per le mani dittatoriali di un Cromwell. Ritornare alle dittature rivoluzionarie di uno o più sarebbe uccidere sul nascere la libertà legale che vogliamo inseparabile dall’indipendenza della nazione”.
Questo testo, e soprattutto la condotta politica di Cavour, sono l’espressione  dei profondi valori che guidavano la sua azione e che lo distinguono nettamente da altri grandi statisti europei del suo tempo.
Diversamente da Bismarck, cui venne e viene tuttora spesso paragonato, Cavour non riteneva che il cemento della nazione fosse la forza militare.  Diversamente da Napoleone III non riteneva che i plebisciti  fossero il modo migliore con cui si dovesse esprimere la volontà popolare.  Cavour riteneva che il sistema della democrazia parlamentare fosse insostituibile per l’Italia che voleva costruire, aveva cioè un concetto tanto chiaro quanto idealistico per i suoi tempi di come la volontà della nazione dovesse costituirsi ed esprimersi: una dottrina politica dello Stato che a quel tempo avrebbe condiviso solo con i grandi liberali inglesi come Palmerston e Gladstone. (...)
La forma di governo [voluta da Cavour] era la monarchia costituzionale rappresentativa, con uno statuto “breve e flessibile” (cioè modificabile con legge ordinaria – si cominciò con l’adozione della bandiera tricolore) che avrebbe quindi potuto evolvere senza soluzioni di continuità verso la forma di governo britannica della monarchia parlamentare; un sistema nel quale la prevalenza nella funzione legislativa della camera elettiva rispetto a quella di nomina (Senato) e al sovrano era destinata ad accentuarsi, secondo una tendenza già molto evidente nel sistema costituzionale inglese.
Un sistema costituzionale dunque flessibile, chiaramente ispirato ai valori della libertà e delle garanzie dei diritti individuali della tradizione britannica e americana e ai principi della separazione dei poteri di Montesquieu. (...)
I valori su cui Cavour voleva che la nuova nazione italiana prendesse forma erano dunque quelli che oggi riconosciamo nei principi della democrazia liberale rappresentativa; e vale forse la pena, in questa celebrazione, ricordare brevemente in che cosa essi consistessero. 
Perché un sistema costituzionale possa definirsi liberale, democratico e rappresentativo non basta che vi sia qualche forma di consultazione del corpo elettorale, ma occorre anche che vi siano presenti tre requisiti essenziali che costituiscono i veri cardini del sistema della democrazia rappresentativa. Si tratta di principi che Cavour, d’Azeglio e Balbo conoscevano assai bene, e che nella lingua inglese si chiamano: constituency (che significa grosso modo "collegio elettorale"); trust (che significa grosso modo " rappresentanza fiduciaria conferita per amministrare l’interesse comune"); e accountability (che indica il dovere morale di rendere conto della responsabilità conferita al fiduciario dalla scelta dei suoi elettori).
Si tratta di tre elementi essenziali per il funzionamento della democrazia rappresentativa fondata sui liberi Parlamenti:  la loro assenza o la loro soppressione può persino segnare il confine fra democrazia e dittatura.
Infatti i regimi dittatoriali del Novecento non si realizzarono sopprimendo completamente le assemblee parlamentari, e – nel caso italiano  e in quello tedesco – neppure sopprimendo o modificando sostanzialmente le costituzioni vigenti,  ma semplicemente imponendo un sistema "elettorale" basato su una unica lista di rappresentanti eleggibili scelti dagli organi del partito dominante, che perciò - anche se formalmente "eletti" - erano però privi di rappresentanza (constituency, trust, accountability) nei confronti degli elettori, e dunque rispondevano politicamente soltanto ai capi, ovvero a coloro dai quali erano stati scelti.
E’ agevole comprendere quindi come la realizzazione concreta dei principi della democrazia liberale derivi non solo dall’impianto costituzionale che Cavour voleva mettere al riparo dai rischi di una deriva plebiscitaria, ma anche dalle norme che regolano le elezioni per il parlamento. E sotto questo profilo mi limiterò a notare che il sistema elettorale del tempo di Cavour e della nascita del primo Parlamento italiano rispondeva perfettamente ai tre requisiti della democrazia liberale (constituency, trust, accountabiliy), sia pure con le limitazioni dell'elettorato attivo dovute alla prassi di quei tempi, mentre altrettanto non si può dire del sistema in vigore nell'Italia di oggi. (...)
I collegi elettorali furono ritagliati dai territori delle province secondo i dati disponibili dei censimenti. Questa definizione dei collegi (o circoscrizioni elettorali nel termine che usa la nostra costituzione) su una base territoriale molto ristretta avrebbe dato al futuro parlamento una forte connotazione federalista e unitaria allo stesso tempo. 
Federalista perché vi sarebbe stato uno stretto legame (accountability) fra i singoli parlamentari eletti e gli specifici ambiti territoriali (constituencies) dei collegi da cui proveniva la loro legittimazione. Tutte le province italiane, e ciascuna di esse, sarebbero state rappresentate da uno o più deputati nel parlamento nazionale. Unitaria perché la rappresentanza locale si sarebbe fusa nell’assemblea nazionale. Di questo concetto è tuttora testimonianza l’articolo 67 della nostra costituzione: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita la sua funzione senza vincolo di mandato”.
Che questo fosse l’indirizzo politico istituzionale della forma di Stato che era nella mente di Cavour è dimostrato dal progetto unitario-federalista che Cavour stesso affidò al proprio ministro degli Interni Marco Minghetti, e che non si realizzò per la scomparsa prematura dello statista piemontese.
Il sistema elettorale era maggioritario e uninominale, con il doppio turno per il ballottaggio dove nessun  candidato al primo turno avesse raggiunto la maggioranza assoluta. (...)
Le caratteristiche del sistema elettorale portavano alla convergenza verso il centro moderato, e così accadde;  ma il risultato fu a lungo in bilico, perché il ballottaggio si rese necessario in ben 203 collegi su 443. (...)
Cavour aveva compiuto  così un altro (e sarà purtroppo l’ultimo) suo capolavoro di statista liberale. Esattamente come era avvenuto nella grande rivoluzione che aveva preceduto quella italiana con la nascita della nazione americana e la dichiarazione di indipendenza sancita dalla solenne "Dichiarazione dei Rappresentanti degli Stati Uniti d'America Riuniti in Congresso" del 4 luglio 1776, il 17 marzo 1861 la nascita dell'Italia ed suo il diritto di essere indipendente e libera furono sanciti solennemente con il voto dei rappresentanti della nazione italiana riuniti in Parlamento.

Rilanciato su http://diversotoscana.blogspot.com/ il 1 marzo 2011
Fonte: http://lanostrastoria.corriere.it/2011/02/carlo-scognamiglio-pasini-perc.html (acceduto il 1 marzo 2011)

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