Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso

venerdì 4 marzo 2011

No, non sarà come l'Iran

Ieri pomeriggio, giovedì 3 marzo 2011, a Pisa, con l'aiuto di alcune amiche e amici della mia scuola di dottorato in Geopolitica, ho contribuito alla realizzazione di un incontro di approfondimento dedicato al Maghreb, a questa "Primavera araba" del 2011, ai cambiamenti in corso nel Nord Africa e, forse, nell'intero mondo arabo.

L'iniziativa è nata da una richiesta dei giovani di Futuro e Libertà di Pisa e si è tenuta nella sede di quel partito, in Corte S.Domenico. Emanuele Aloisio e altri hanno contribuito all'organizzazione e alla diffusione degli inviti. Un ringraziamento particolare a Edoardo Festa, che è stato brillante nell'aiutarci a migliorare la riproduzione audio e video dei collegamenti skype.

Questo il tema scelto dai giovani di FLI: "Le  rivolte nel Maghreb e la crisi dei regimi  arabi: una nuova primavera dei popoli?". Ha portato il suo saluto all'iniziativa il coordinatore provinciale del partito, Massimo Balzi.

Ci siamo collegati via skype con Tunisi, da dove ci è giunta la testimonianza di persone che stanno vivendo in prima persona il cambiamento.

Giacomo Fiaschi, imprenditore e intellettuale pratese che vive in Tunisia da vent'anni, ci ha raccontato le manifestazioni, l'entusiasmo dei giovani, l'impegno degli uomini di cultura, gli eventi straordinari che sta quotidianamente documentando dal suo profilo Facebook, da gennaio a oggi.

Da Tunisi ha parlato anche Stefano Paoletti, un altro imprenditore toscano, che ci ha raccontato dei rischi di questo momento di cambiamento, soprattutto per le piccole e medie imprese. Nel solo governatorato di Tunisi ci sono 800 imprese promosse da italiani o in cui sono coinvolti capitali italiani.

Abbiamo discusso dei molti limiti della politica estera italiana, non solo in generale, ma cercando di capire gli errori di Berlusconi, l'evanescenza di Frattini, i pregiudizi di Stefania Craxi e della sua cerchia. Abbiamo registrato, ancora una volta, la pigrizia o addirittura l'assenza della nostra diplomazia e delle nostre burocrazie all'estero, nel dare assistenza ai cittadini e alle imprese italiane.

In collegamento skype da Tunisi ci ha parlato anche Neji Naghmouchi, artista e cineasta tunisino, uno dei 24 membri del Comitato nazionale per la difesa della rivoluzione. L'organismo si è formato dal basso, attraverso l'elezione diretta, in ciascuna delle 24 province tunisine, di un portavoce unitario. Ne fanno parte ben 8 donne. Sta premendo sul governo provvisorio perché si convochino al più presto le elezioni di una assemblea costituente e perché si accelerino i cambiamenti, anche nel personale politico, dopo la fine della dittatura di Ben Ali.

I nostri amici di Tunisi ci hanno confermato che Internet è libero, le comunicazioni cellulari funzionano, il clima di libertà sta contagiando il paese, l'economia funziona, tutti i servizi pubblici sono efficienti. Ai confini con la Libia è urgente dare aiuto ai profughi, che sono prevalentemente egiziani che si sono trovati sbarrata la strada verso casa dalle milizie di Gheddafi, il dittatore libico che sciaguratamente resiste ancora nel suo bunker.

In sede a Pisa era con noi il prof. Francesco Tamburini, docente esterno di Storia e Istituzioni dei Paesi afro-asiatici e dei Paesi islamici dell'Università di Pisa, che ci ha aiutato a contestualizzare in un quadro storico e geografico più preciso le notizie di attualità provenienti dalla Tunisia, dal resto del Maghreb, dall'Egitto.

Ci ha spiegato la natura ibrida dei regimi arabi che oggi sono in crisi: formalmente delle repubbliche costituzionali, ma in realtà dittature personali esercitate attraverso l'egemonia di partiti unici e l'organizzazione di periodici plebisciti per legittimare lo status quo. Ci ha spiegato le strutture claniche e tribali, che ancora persistono nella società araba, specie in Libia. Tamburini ha sottolineato anche la necessità di non indulgere in alcun atteggiamento di colonialismo culturale, che era un errore riconosciuto già dalle "Lettres persanes" del 1721 di Montesquieu. La democrazia che sorgerà in questi paesi sarà sicuramente una affermazione di valori universali, ma si consoliderà solo attraverso percorsi locali e originali.

Ci sono indubbiamente dei rischi geopolitici, peraltro troppo sottovalutati, specie dal nostro governo e, purtroppo, come ha scritto Phastidio.net, anche da tante nostre imprese. Francesca Bianchini, dottore di ricerca della nostra scuola di Geopolitica dell'Università di Pisa, studiosa della storia libica, ci ha spiegato come l'unità fra le tre parti della Libia - Tripolitania, Cirenaica e Fezzan - sia piuttosto recente e sempre piuttosto precaria.

E' intervenuto, fra gli altri, anche lui collegato in skype perché trattenuto fuori Pisa da altri impegni, l'esperto di immigrazioni di FLI, Leonardo Carloppi, che ci ha comunicato la sua personale convinzione che questa primavera di libertà contribuirà all'arretramento del pericolo del terrorismo fondamentalista.

Molto significativa è stata anche la testimonianza di Amine Louafi, anche lui dottore di ricerca della nostra scuola, che ci ha spiegato l'unità culturale del Maghreb, il senso di fratellanza che sta unendo i giovani di questa parte del mondo nella lotta per la libertà, il ruolo che Internet e le nuove tecnologie stanno avendo nel contagio, da un paese all'altro, della voglia di cambiare. Anche il relativamente giovane re del Marocco, Mohammed VI, classe 63, è in sintonia con questa richiesta di cambiamento e sta portando avanti la trasformazione della sua antica monarchia in un regno pienamente costituzionale e democratico.

I regimi nazionalisti e socialisteggianti che hanno retto il Maghreb e l'Egitto per mezzo secolo sono molto diversi fra di loro ed eterogeneo è anche il retroterra storico, sociale ed economico dei diversi stati. C'è in comune il fatto che in tutta la sponda meridionale del Mediterraneo c'è stata urbanizzazione e industrializzazione. C'è ovunque una alfabetizzazione altissima, anche delle donne, anche nelle campagne, che raggiunge il 74% in Tunisia e l'82% in Libia. Ci sono decine di milioni di giovani istruiti e nutriti, che parlano arabo, inglese, francese, spesso anche italiano, che hanno il cellulare e accedono a Internet. C'è amore per le proprie tradizioni e anche per la fede musulmana, ma c'è soprattutto voglia di libertà, anche nei costumi, a partire dalle piccole cose, musica e amore compresi.

Questa gioventù sembra davvero immune a eventuali tentazioni di strumentalizzare a fini politici la religione, attraverso la predicazione di vecchi estremismi e nuovi bigottismi. Le donne, in particolare, sembrano in grado di difendere, da sole, esponendosi in prima persona, la  libertà e la dignità che hanno ricevuto dalle riforme realizzate dai regimi precedenti.

Non siamo più negli anni '70, questa è la riflessione che ripeto volentieri e che condivido con la mia collega di dottorato, anche lei presente con noi a Pisa ieri, la giornalista musulmana bosniaca Eldina Pleho. Allora il mondo era polarizzato e diviso. Le masse, non solo in Iran, ma anche nel resto del mondo, anche qui in Occidente, erano affascinate da ideologie e semplificazioni pericolose. Oggi è molto più difficile che dei leader populisti e delle elite fanatiche possano imporsi, trasformando le speranze rivoluzionarie in nuove e più pericolose dittature.

C'è speranza nel mondo arabo, oggi. C'è speranza per chi ama la libertà e crede che essa sia ciò che D-o vuole, da sempre, per ogni creatura umana.

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