Quanti di noi si ricordano che viviamo in uno stato regionale e in una repubblica parlamentare?
Queste due locuzioni, "stato regionale" e "repubblica parlamentare", hanno un significato preciso, suscettibile certo poi di mille diverse denotazioni, connotazioni, interpretazioni, ma comunque rimanendo dotate di un significato percepito come minimo comune denominatore oggettivo.
Se lo si ignora, se lo si deforma, se lo si tradisce, non solo si fa cattiva politica, cattiva scienza giuridica, cattiva informazione, cattiva educazione civica, ma si diventa complici di un declino drammatico della qualità del nostro dibattito pubblico e della nostra convivenza sociale.
Il che significa, politicamente parlando, che si diventa degli autentici imbroglioni, cari leader del Centrodestra, del Centrosinistra, dei Cinque Stelle.
Avete diritto a metterci tutto il tempo che volete, prima di decidere se accettare di far parte di un governo provvisorio di coalizione, oppure se chiedere al presidente della Repubblica nuove elezioni, ma sappiate che ogni sgrammaticatura istituzionale, ogni ignoranza costituzionale, ogni stupro della lingua media italiana, vi sarà rinfacciato, vi tornerà indietro come un boomerang.
Lo appuntiamo oggi, 25 aprile, in una giornata di festa repubblicana, che spero vi serva a schiarirvi le idee.
Questo è uno stato regionale, in cui 19 regioni e 2 province autonome partecipano alla conduzione dello stato e alla determinazione di come lo stato italiano si rapporta con il resto dell'Unione Europea. Questa è la realtà, riconciliatevi con essa, perché altrimenti siete non solo impolitici, impreparati, ignoranti, ma addirittura pericolosi, come un Renzi qualsiasi.
Altrettanto importante è ricordare che questa è una repubblica parlamentare, in cui nessuno è "eletto" primo ministro e nessuno "entra premier" in parlamento, non importa quanti voti abbia preso.
Sappiamo che da oltre vent'anni si scaricano continuamente nella comunicazione politica i veleni di coloro che, dimenticando le regole vigenti, vogliono che si elegga il "sindaco d'Italia". Lo dobbiamo, purtroppo, alla incredibile leggerezza culturale e politica di figure come Berlusconi, ma anche Prodi, Veltroni e (ancora) Renzi, non hanno scherzato con questa ossessione semplicista e centralista, peraltro totalmente contraria alla storia e alle necessità della penisola italiana.
Per il momento, alcuni giuristi, alcuni politici, alcune comunità di cittadini attivi sono riusciti a frenare gli abusi e le ambizioni di quelli che aspirano a diventare "cancellieri" o "presidenti eletti", distruggendo la repubblica parlamentare, per sostituirla con un presidenzialismo o un cosiddetto "premierato" o "cancellierato".
Gli attacchi tuttavia continuano e ci accorgiamo che anche nelle comunità scientifiche e politiche si sta smarrendo il significato minimo delle parole, oltre che il rispetto che si deve allo stato regionale e alla repubblica parlamentare.
Che fare, quindi?
Resistere!
Confessiamo che anche gli autori di questo blog, in passato, hanno pensato che forse si sarebbe potuto fare dell'Italia una repubblica federale simile alla Germania. Oggi, però, preso atto della enorme concentrazione di potere (in gran parte opaca, se non totalmente incontrollabile) a Roma, a Milano, a Bruxelles, abbiamo preso una posizione più radicale di difesa dello stato regionale e della repubblica parlamentare.
No al sindaco d'Italia.
No al cancelliere.
No al premier eletto dal popolo.
Più avanti, quando attraverso un graduale ripristino della democrazia elettorale si tornasse ad avere un parlamento maggiormente rappresentantivo dei territori, si potrebbe pensare alla trasformazione dell'Italia e dell'Europa secondo le linee di un moderno, avanzato e quindi leggero confederalismo, imparando dalle esperienze di Svizzera e Rojava, per esempio.
Avanti, quindi, ma ora e sempre resistenza contro chi vuole trascinarci verso derive francesi, turche, o anche britanniche o tedesche.
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