Seguo la resistenza iraniana da oltre vent'anni. Questo non fa di me un "esperto" di cose iraniane, ma forse mi dà il diritto di farmi delle domande e, visto che non trovo risposte sui media occidentali, anche quello di avere dei dubbi.
Secondo l'AIPAC, la potente lobby israeliana in America, già all'inizio del secolo era necessario fermare l'Iran dalla sua corsa verso il nucleare. La loro conferenza annuale del 2006 era già intitolata, con grande enfasi, con un senso di urgenza, "Now It's Time to stop Iran". A quei tempi quella e altre istituzioni godevano di una certa credibilità, anche ai miei occhi di intellettuale e attivista di provincia.
La risposta di persone come me, allora, a questo urgente appello, fu di sostenere in ogni modo i dissidenti iraniani che, con metodi nonviolenti e con grande sacrificio personale, si impegnavano per un Iran diverso.
Abbiamo sostenuto i giovani iraniani esuli nella loro resistenza contro l'estremismo e il populismo di Ahmadinejad (che era stato rieletto presidente dell'Iran nel 2009 in una votazione fortemente contestata).
Ricordo con orgoglio di aver assistito Alessandro Antichi (allora capo dell'opposizione di centrodestra nel Parlamento toscano), Severino Saccardi (uno dei più colti e sensibili esponenti della maggioranza di centrosinistra), il giornalista Stefano Marcelli, nel loro impegno perché la Regione Toscana si esponesse, come istituzione, per la liberazione del dissidente Akbar Ganji. Liberazione che in effetti ci fu, tanto che nel 2006 il Parlamento toscano poté ospitarlo e consegnargli la massima onorificenza.
Come ci furono anche altri momenti importanti, come la visita di Shirin Ebadi, premio nobel per la pace, a Firenze nel 2009, quando tenne una lectio magistralis parlando sotto l'ombra del David - simbolo universale di libertà repubblicana - alla Galleria dell'Accademia.
Negli Stati Uniti d'America e in Israele, però, non si sono mai rassegnati i guerrafondai che volevano fare all'Iran ciò che era stato fatto alla Somalia, all'Afghanistan, all'Iraq, alla Libia, alla Siria. Non posso dimenticare i vergognosi 47 traditori, alcuni dei quali sono ancora in circolazione e vogliono tuttora condizionare la politica estera e militare USA anche al tempo di questa imprevedibile seconda presidenza Trump.
Nemmeno le persone ragionevoli, però, si sono mai rassegnate. Ci sono stati momenti di grande speranza, come la gioia popolare che esplose in Iran nel 2015, al momento della firma degli accordi per un nucleare esclusivamente civile. Il movimento popolare Donna Vita Libertà, l'ultimo di una lunga serie, è più vivo che mai.
Dopo vent'anni di grida "al lupo iraniano", quel regime di preti corrotti e di "guardiani della rivoluzione" miliardari e crudeli è sempre più odiato, sempre più debole, sempre più vicino all'inevitabile crollo.
Che in questa sua fase terminale abbia consumato le ultime risorse di cui disponeva per riprendere il programma di costruzione di bombe atomiche con le quali minacciare di distruzione Israele, Curdi, Beluci (Baluci), Azeri, rivali Arabi, posso ancora crederlo.
Che l'allarme recentemente lanciato dalla AIEA contro l'Iran fosse documentato, lo accetto.
Che il governo cinico e guerrafondaio di Netanyahu avesse pronti da anni piani per minare infrastrutture militari e nucleari iraniane, in modo tale da ritardarne per un altro decennio lo sviluppo tecnologico, lo dò per scontato.
Che in Iran esistano vasti strati popolari più o meno dichiaratamente felici che dall'estero siano arrivati colpi feroci e duri contro l'establishment, ne sono sicuro.
Che mezzo mondo, più o meno apertamente, approvi il raid di Netanyahu, come lezione impartita a una potenza rivale sempre più in crisi (e quindi sempre più pericolosa), lo registro con il necessario realismo.
Che questa sia però una strada per la liberazione dei popoli dell'Iran, per la sicurezza a lungo termine di Israele e dei suoi vicini, oltre che per l'emancipazione dei Palestinesi dalla condizione disumana in cui sono stati precipitati (prima di tutto dai loro capi), no, questo proprio non riesco a crederlo.
Alziamo la voce e protestiamo contro questa ennesima esplosione di violenza che serve solo, come tutte le altre, a tenere al potere i capi pro tempore dei regimi coinvolti.
Grazie al nuovo vescovo di Roma, papa Leone XIV, di non aver fatto mancare, in proposito, un appello alla ragionevolezza.
Dividersi in tifosi, di Israele, dell'Occidente, tanto meno degli orrendi preti al potere in Iran, è oggi più pericoloso e fuorviante che mai.
La realtà, ieri come oggi, come sempre, deve essere la guida interiore del realismo cristiano, quindi umano, quindi necessario in questo mondo in cui ci stiamo autodistruggendo.
Un altro regime change al seguito di bombe occidentali? No, grazie.
Mauro Vaiani (Ph.D. in Geopolitics)
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