Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso

sabato 28 ottobre 2017

La mite resistenza catalana


Diventare meno dipendenti è un cammino lungo e faticoso, incerto e rischioso.
Gli ultimi dieci anni di storia catalana ne sono solo una ulteriore conferma.
Si era arrivati a un risultato che avrebbe potuto essere duraturo, lo statuto di autonomia concordato del 2006 fra la Catalogna e il Regno di Spagna, ma poi il partito neofranchista di Mariano Rajoy ha iniziato a coltivare un tipico progetto di imprenditoria politica dell'odio: bloccare ogni sviluppo dell'autonomia, provocare continuamente le forze politiche e sociali della Catalogna; alimentare una retorica razzista contro i "ricchi e avidi" catalani; deriderli quando esercitano il loro diritto di non parlare in castigliano, o quando non lo parlano correttamente; solleticare in alcuni ceti sociali di recente immigrazione in Catalogna, che ancora usano lo spagnolo come lingua media, un odio sociale contro la lingua e la cultura della terra che li ha accolti.
I Catalani sono diventati per un governo reazionario e brutale un comodo capro espiatorio per distrarre i popoli di Spagna da tutto ciò che non funziona, oltre che dalle conseguenze della grande crisi del 2008.
Perché, di fronte a questo grande odio, i Catalani sono rimasti così miti, così civici e civili?
Perché la maggior parte di loro, essendo cittadini di una parte più aperta e progredita del mondo, sanno che il mondo sta andando da tutt'altra parte, una parte che corriponde alle loro più profonde attese.
Per questo possono permettersi di essere pazienti, mentre il governo Rajoy si avvia verso il tramonto.
Sempre più persone, dappertutto, non solo e non tanto per mantenere la propria diversità vernacolare - cosa peraltro sacrosanta - ma per avere più controllo sulla propria vita, per partecipare più attivamente nella propria società, per sentirsi maggiormente sovrane nel proprio territorio, vogliono semplicemente e inesorabilmente maggior autogoverno.
Il decentralismo è e sarà sempre di più il tema dei nostri tempi. 
Lo scontro fra un potere statale miope e reazionario, quello di Madrid, e una cittadinanza aperta al mondo che sente e respira la tendenza globale al decentralismo, quella della Catalogna, non potrà che risolversi in favore della seconda.
Stiamo assistendo a una grande insurrezione popolare nonviolenta, che come tutte le rivoluzioni gandhiane, alla fine, mostrerà la sua veraforza. 
Intanto noi, da subito, facciamo quello che possiamo per sostenere la nuova repubblica europea di Catalogna, proclamata appena ieri.
Non illudiamoci che sarà facile, né breve, ma non dubitiamo della reale forza sociale che sta agendo: la tendenza universale al rafforzamento dell'autogoverno per tutti e dappertutto.
In queste ore complicate, vogliamo onorare una persona che ci pare incarni al meglio i sentimenti della stragrande maggioranza dei catalani e anzi di tutte le persone che amano la libertà propria e altrui.
E' la deputata catalana Angels Martinez Castells, una vecchia professoressa, eletta dall'area di Podem (non indipendentista, ma attaccata a principi di democrazia deliberativa al più basso livello possibile). Questo il suo ultimo splendido cinguettìo:

La professoressa Castells la avevamo già notata. Qualcuno di voi la ricorderà quando in un altro giorno cruciale, quello della convocazione del referendum di autodeterminazione della Catalogna, si era fatta notare per questo atto piccolo ma significativo:

*
 

Angells Castells è l'emblema dello spirito libero e repubblicano dei Catalani, la cui mitezza, il cui senso di realismo, la cui scelta di gradualità e disponibilità al dialogo, non deve essere scambiata per debolezza.
Per concludere, esprimiamo il nostro forte incoraggiamento al presidente Carles Puigdemont, che ancora oggi ha voluto parlare con pacatezza di una ferma opposizione democratica alle ingiustizie provenienti da Madrid.
Il mondo, caro dottor Puigdemont, la riconoscerà presto come primo presidente della nuova repubblica catalana, oltre che come 130° presidente dell'antica Generalitat (una istituzione che è più vecchia dell'attuale Regno di Spagna e che per l'appunto gli sopravviverà).
Gli stati centrali e centralisti sono giunti al termine della loro corsa.
Le forme di autogoverno locale, sono espressione diretta della nostra umanità e lo saranno sempre di più.
Viva la nuova repubblica di Catalogna, libera e sovrana.






domenica 22 ottobre 2017

Fermiamo il Tavernellum



Questa XVII legislatura, dopo decine e decine di leggi assurde, scritte male, con tanti bei titoli propagandistici ma con articolati sbagliati o addirittura inapplicabili, qualcuno la vorrebbe chiudere con una riforma elettorale.
Sì, un'altra.
E' nota come Rosatellum, ma noi abbiamo preferito seguire chi la ha chiamata Tavernellum.
Sì, una legge scritta da persone ubriache di potere.
Chi scrive su questo blog ha partecipato ai presidi unitari di Firenze e di Prato, promossi dalle forze dell'opposizione e dai comitati per la difesa e l'attuazione della Costituzione.
Ora il Rosatellum è al senato.
Gli aspiranti padroni della Repubblica - Renzi, Berlusconi, Salvini e Alfano - intendono farla passare in tutta fretta, a colpi di voti di fiducia, prima delle elezioni siciliane.
Cosa prevede questo Tavernellum?
L'elettore potrà dare un solo voto sulla scheda per la camera e un altro solo voto sulla scheda per il senato.
Se voterà per il suo partito, automaticamente il suo voto sarà attribuito alla relativa lista bloccata e al candidato uninominale collegato.
Se preferirà votare per un candidato uninominale, senza votare per uno dei partiti collegati, il suo voto sarà comunque attribuito in percentuale ai partiti che non ha votato.
Si rendono insormontabili i quorum per i candidati locali.
Si impediscono le candidature indipendenti.
Si rende impossibile l'elezione di candidati disobbedienti al capo del loro partito.
Come e anzi peggio del Porcellum e dell'Italicum.
Un cittadino crede di votare per una persona e lorsignori, con le multicandidature e le liste bloccate, ne nominano un'altra.
Era difficile pensare a qualcosa di maggiormente lontano dai principi europei e più sfacciatamente contrario alle ripetute sentenze della nostra corte costituzionale.
Eppure, con arrogante improntitudine, a questo siamo.

Restiamo appesi al senato, soprattutto alle inquietudini di quelle decine di senatori che, per età e condizione politica, sono ormai all'ultima corsa.
Dalle persone giunte alla fine della loro carriera pubblica, è lecito aspettarsi un atto nobile.
Per quanto siamo stati delusi in passato, vogliamo ancora una volta sperare.Correggete questa schifezza.
Dateci almeno il voto disgiunto.
Consentite almeno a liste indipendenti e locali di raggiungere il quorum nel loro territorio.
Ci appelliamo agli anziani della Repubblica.
Salvatela, è l'unica che abbiamo.

venerdì 13 ottobre 2017

No Bolkenstein ma come?

Siamo andati a frugare negli archivi per recuperare alcune considerazioni del 2017, crediamo di qualche valore, che gli autonomisti toscani di allora avevano maturato nel confronto con Emiliano Favilla (nella foto), uno dei leader toscani del Comitato No Bolkestein (il CLT non si era ancora autodistrutto e non era ancora nata la nostra promettente rete OraToscana). Sette anni dopo il malgoverno centralista ha pressoché impedito avanzamenti concreti, con la sola eccezione di qualche amministrazione comunale che ha, a proprio rischio e pericolo, autorizzato delle proroghe oppure cominciato a indire gare "a misura di piccola impresa", per esempio San Vincenzo in Toscana. Di certo, ancora una volta, aspettarsi che il governo centrale possa avere una soluzione unica per tanti territori e situazioni diverse, è assolutamente fallace (Ndr, 8 maggio 2024).


 

Rimini, venerdì 13 ottobre 2017

Siamo toscani, in Toscana, in cui concessioni e stabilimenti balneari più antichi furono concesse con la promessa “ci potete stare indefinitamente se rispettate le regole”, promessa che consentiva anche di fare investimenti a lungo termine. Questo accadde in Versilia e in altri punti della costa nord della Toscana, mentre sappiamo che in altre località la situazione è diversa.

Non si possono regolare con lo stesso tipo di concessioni casi molto differenti tra di loro, come uno stabilimento in cui nei decenni sono state investite somme notevoli, o il piccolo chiosco posto a presidio di una spiaggia non attrezzata.

Occorre tener conto delle costruzioni su terreno demaniale, che sono proprietà privata a tutti gli effetti, dotate di regolare licenza edilizia e regolarmente tassate. Stessa cosa vale per molte altre cose costruite nel tempo dai gestori in alcune zone, come piscine e altre comodità.

Per contro, va ricordato anche che per molti anni i titolari di queste concessioni sono stati inamovibili se non per rinuncia spontanea, anche se non rispettavano le regole.

Non si possono neanche considerare allo stesso modo imprese che danno rendite molto diverse nel raggio di pochi chilometri, come accade per esempio in Versilia fra Forte dei Marmi e Lido di Camaiore.

Tutti questi aspetti non sono presi in considerazione.

La trattativa dovrebbe valutare la situazione attuale in tutti gli aspetti, con le differenze elencate, l’analisi delle situazioni di eccesso di privilegio, il rispetto di tutte le regole.

Lo stato italiano si sta rimangiando (con una cattiva attuazione di una direttiva europea, la famigerata Bolkestein) una promessa di gestione a tempo indeterminato, senza una gradualità temporale, senza assicurare di riconoscere gli investimenti in essere.

Molte famiglie, basandosi su queste promesse, hanno compiuto nel tempo delle scelte di vita, si sono legate alla loro attività nel bene e nel male. Meritano maggior attenzione.

D’altro canto, i balneari, pur con le loro differenti situazioni, per dimostrarsi pronti al dialogo, devono a loro volta garantire innanzi tutto il ripristino del rispetto delle leggi. Cosa attualmente non sempre scontata, considerato che ci sono discussioni sulla congruità dei canoni, sulla loro regolarità fiscale, sulle garanzie di sicurezza per i bagnanti, sugli accessi al mare e su altri aspetti.

Come autonomisti prendiamo atto delle richieste dei balneari e dichiariamo che:

– molte delle richieste dei balneari ci paiono serie, motivate e chi le porta avanti con disponibilità al dialogo è in armonia con la nostra mentalità, che valuta ogni problema innanzitutto con approccio pratico e reale volontà di soluzione;

– i privilegi non ci piacciono, ma occorre una maggiore gradualità nello smantellarli;

– se si va incontro agli attuali gestori di attività, questi devono a loro volta concedere qualcosa, in termini di vantaggi per il territorio, per i loro lavoratori, per i cittadini, per i turisti;

– in alcune zone della Toscana la conduzione familiare ed il rapporto degli abitanti con gli stabilimenti balneari è diretto e dura da oltre un secolo; fa parte quindi di un tessuto sociale e tradizionale che consideriamo tipico toscano, a cui vogliamo dare ascolto e rispetto; non vogliamo che le conduzioni familiari siano soppiantate da grandi appalti aziendali;

– nel rinnovo delle concessioni, è necessario distinguere tra imprese virtuose e non.

In particolare, restano principi generali inderogabili:
- la tutela del territorio e dell’ambiente
- la salute e il benessere delle persone, specie anziani, disabili, minori
- l’equo trattamento contrattuale ed economico dei lavoratori locali stagionali

Non possiamo non rilevare, per quanto riguarda questo ultimo aspetto, un sensibile peggioramento – maturato negli ultimi anni – delle condizioni di lavoro e delle loro retribuzioni, che non appare collegato con l’andamento dei ricavi dei gestori.

Su queste basi e con i nostri principi, ci sentiamo di appoggiare le rivendicazioni del Comitato No Bolkestein, nel settore dei balneari, ma anche a tutela dei piccoli ambulanti e di altre realtà di imprenditoria personale e familiare.

Vogliamo che ci siano  senso pratico nell’approccio ai problemi, buonsenso nel dialogare, compromessi ragionevoli per tutti e nell’interesse della Toscana, del suo ambiente, delle sue tradizioni, di tutti i suoi abitanti e visitatori.

* * * 


domenica 1 ottobre 2017

Autogoverno per tutti, non per pochi





La domenica del primo ottobre 2017 è una grande giornata di rivolta popolare nonviolenta in Catalogna. E' anche la conferma che la storia umana ha intrapreso una strada che potrebbe rivelarsi fonte di grande speranza per le generazioni future.
Noi stiamo vivendo nel pieno di un movimento decentralista globale, contro le prepotenze e i soprusi, ma più ancora contro ogni concentrazione di ricchezze e di potere.
Ogni persona umana che nella globalizzazione abbia raggiunto un minimo livello di nutrizione e salute, istruzione e competenza, informazione e connessione, non si rassegna a essere un anonimo e insignificante mattone alla base delle grandi piramidi delle modernità (stati, ma anche grandi imprese e altre grandi organizzazioni).
E perché dovrebbe?
Le ambizioni della persona umana contemporanea finiscono per trasformarsi anche in una richiesta urgente e pressante di maggior controllo anche sul proprio territorio.
Una parte sempre crescente dell'umanità vorrebbe appartenere a comunità più a misura d'uomo, dove l'individuo possa fare la differenza, trovare una realizzazione e una identità, ma anche un sostegno e una solidarietà.
In ciascuna periferia del mondo si ricostruiscono reti di vicinato, che condividono una economia locale, un riscatto sociale, una piattaforma politica, una cultura vernacolare. Queste reti, prima o poi, diventano comunità politiche che finiscono per chiedere l'autogoverno.
L'individuo non vuole più essere un "governato", ma sentirsi un sovrano che si autogoverna, potendo controllare direttamente, attraverso i suoi cinque sensi e il contatto personale, il governante da lui eletto.
Questo, in paesi troppo vasti, è semplicemente impossibile.
Di fronte a questa nuova realtà, tutto ciò che il conformismo dominante ci ha raccontato sui pericoli dell'indipendentismo e del nazionalismo, va totalmente messo in disccusione.

Certo che certi nazionalismi sono un pericolo, basti pensare a quello spagnolo, o francese, o inglese, o americano, o russo, o cinese, o pakistano, o hindi, o indonesiano, o iraniano, o nigeriano. In tutto il mondo si diffonde la coscienza sempre più chiara di quanto siano pericolosi i nazionalismi centralisti e autoritari, colonialisti e militaristi. Da questi nazionalismi i territori di periferia vogliono liberarsi e riusciranno, in un modo o nell'altro, a farlo.

Certo che ci sono movimenti reazionari e razzisti, nelle periferie della società contemporanea, ma essi sono il prodotto diretto dell'oppressione dei regimi centralisti. Ovunque, però, sono presenti attivisti che stanno portando avanti le ragioni dei propri territori con metodi inclusivi e nonviolenti. Saranno loro a vincere.

Certo che ci sono interessi economici, in alcune periferie più ricche e più avanzate, a lungo depauperate dai loro stati centrali. Perché la loro richiesta di trattenere sul posto le proprie risorse dovrebbe essere condannata? I regimi centralisti spogliano le regioni più prospere, magari nascondendosi dietro principi di solidarietà che sono traditi prima di tutto dalle loro stesse caste dominanti, come sanno bene gli abitanti delle periferie più povere e arretrate, a cui vengono redistribuite solo briciole. Infatti anche le regioni più marginali organizzano propri movimenti di resistenza anticentralista e anticolonialista, tanto e forse persino di più delle periferie più fortunate.

Certo che tutti ci sentiamo sempre più cittadini del mondo: "nostra patria è il mondo intero" dice l'inno anarchico scritto dal migrante di origine toscana Pietro Gori, ma questa esperienza non può essere riservata solo a pochi privilegiati che possono permettersi di vivere e lavorare in uno qualsiasi dei grandi centri del potere mondiale. Per consentire a ogni persona umana di sentirsi davvero libera (anche di cambiare vita e paese), occorre prima di tutto che essa possa essere cittadina sovrana della sua terra.


Ogni internazionalismo, se disconnesso da una seria visione anticentralista, anticolonialista, antimilitarista, finisce per essere solo un vago moralismo al servizio del mantenimento delle attuali ingiustizie politiche e sociali.
La strada maestra per assicurare libertà ed eguaglianza di opportunità alle persone umane passa attraverso l'instaurazione di una libertà e pari dignità fra le comunità comunità territoriali in cui esse vivono. Non c'è nulla di facile, in questo cammino, ma è la direzione in cui il mondo sta andando: un maggior numero di repubbliche indipendenti; federazioni che diventano confederazioni; province autonome che diventano stati; responsabilità che vengono devolute dal centro alle periferie.

Autonomia, federalismo, confederalismo, indipendentismo sono parole che vengono usate spesso strumentalmente - specie nel dibattito pubblico in lingua italiana - fino a svuotarle di significato (talvolta rendendole impronunciabili), ma l'autogoverno è un diritto e un dovere umano universale e nessuno si illuda di poterne contrastare l'avanzata, in nome dei propri pregiudizi o, peggio, dei propri privilegi negli attuali rapporti di forza sociale e politica.
Le attuali concentrazioni di ricchezza e di potere sono incompatibili con i bisogni della persona umana del XXI secolo e nessuno degli attuali pregiudizi pro-centralismo potrà conservarle ancora a lungo.
 

Mauro Vaiani Ph.D.



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Chi scrive ha avuto il privilegio di conoscere e partecipare a movimenti e realtà autonomiste sin da ragazzo. Da adulto ha avuto l'opportunità di dedicare all'autogoverno delle comunità umane gli anni del dottorato di ricerca. Per approfondire, si consulti la sintesi dello studio Disintegration as Hope





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