Condivido anche qui una riflessione che ho fatto, con l'aiuto dei miei amici e compagni autonomisti, in merito a una cosa sbagliata che abbiamo trovato nel programma di Potere al Popolo, nella sua versione disponibile online a inizio 2018.
Si tratta di un immotivato e anzi controproducente attacco alla riforma del Titolo V del 2001. Un altro dei tanti che si sono succeduti nel tempo. Ne ho parlato prima di tutto con loro e spero in un loro ripensamento. E' importante che questa nuova aggregazione apra al proprio interno una riflessione sui rischi del sovranismo. Il sovranismo è intimamente connesso con tutte le illusioni centraliste e non ne sono esenti, purtroppo, forze vecchie e giovani, di sinistra o di destra, del sud o del nord.
La
riforma costituzionale del 2001
e la lotta per forme più avanzate di autogoverno
e la lotta per forme più avanzate di autogoverno
Noi autonomisti, nel nostro impegno per promuovere forme più
avanzate di autogoverno, dialoghiamo con tutti coloro che si mostrino
sensibili su questo tema.
Per questo ho partecipato anche alla III
assemblea di Potere al Popolo a Firenze, giovedì 4 gennaio 2018 e in
quella sede sono intervenuto per segnalare che, nell’ultima
versione del loro programma, nel capitolo 1 (difesa e rilancio della
Costituzione), c’è un obiettivo parecchio problematico:
ripristinare il Titolo V della Costituzione com’era prima della
riforma del 2001.
A
rischio di apparire semplicistico, vorrei che non si dimenticasse che
la volontà di cancellare la riforma del 2001 – l’unica
che è stata
ratificata dal popolo - era
nel progetto neocentralista
della riforma Boschi-Renzi-Verdini, quello
sonoramente bocciato dal popolo italiano il 4 dicembre 2016, e
che si tratta di una richiesta sempre reiterata da forze
esplicitamente centraliste,
come Fratelli d’Italia. Il
rischio, diciamocelo francamente, è quello dell’anti-regionalismo,
che porta dritti sul terreno
scivoloso di un certo
sovranismo italiano.
La
presidenza dell’assemblea fiorentina ha verbalizzato
che si farà conoscere al
coordinamento centrale di Potere al Popolo il rilievo critico. Si
scrive
a Roma, quindi. Spero che si
faccia anche, ciascuno nel
suo ambito, qualcosa per liberare la politica da questa dimensione
eccessivamente verticale.
In
sintonia con considerazioni espresse in altre realtà territoriali,
come per esempio Pesa Sardigna
(http://www.pesasardignablog.info/2018/01/03/potere-al-popolo-progetto-neocentralista/),
vorrei anche aggiungere qualche riflessione in più.
La
riforma del Titolo V è stata una tappa, sicuramente problematica e –
dal punto di vista di noi decentralisti - senz’altro poco
coraggiosa, di uno storico movimento politico e culturale per
liberare l’Italia dal suo centralismo. Pur con tutti i suoi limiti,
essa va considerata una conquista democratica. Non per nulla la sua
attuazione è stata così fortemente ostacolata da tutte le forze più
reazionarie e autoritarie (non solo italiane): poteri,
funzioni e risorse, che
avrebbero dovuto essere affidati alle comunità locali secondo la
riforma del 2001, sono stati infatti largamente
espropriati dalle tecnocrazie internazionali, europee e nazionali. Il
declino dei servizi pubblici, per esempio, non è stato causato dal
regionalismo, ma dall’aver sottratto sempre più risorse e
autonomie alle regioni, in nome dell’attuazione dell’austerità e
dell’omologazione imposte dai vigenti trattati europei.
Le
regioni, in Italia e in Europa, vanno quindi
difese e anzi rilanciate
come uno dei pochi presidi di democrazia e socialità sopravvissuti,
come dimostra l’attualità politica in Sardegna, Puglia
e Veneto, senza dimenticare ciò che sta accadendo in Corsica,
Catalogna, Scozia. Tutti
coloro che credono nel protagonismo dei cittadini dovrebbero
rallegrarsi del fatto che, praticamente
in tutte le regioni italiane ed
europee, ci sono lotte per
ottenere maggiore autonomia, se non forme ancora più radicali di
autogoverno.
La
richiesta di abolire sic
et simpliciter la
riforma costituzionale del 2001, da
parte di Potere al Popolo, mi pare incoerente con questo necessario
regionalismo europeo e internazionalista e, se mi posso permettere,
incoerente anche
con il resto del suo
programma e in particolare:
con il capitolo 2 (Europa), dove si riconoscono i diritti dei popoli
e dei territori; con il capitolo 8 (beni culturali), dove si richiede
la partecipazione dei territori alla custodia dei beni comuni; con il
capitolo 13 (ambiente), dove si rifiutano le grandi opere imposte
dall’alto; con il capitolo 14 (nuova questione meridionale), dove
si propone una lotta per il riscatto dei territori, in particolare di
quelli, come il Sud, la Sicilia e la Sardegna, dove più drammatiche
sono le conseguenze di quello che non esitiamo a definire un vero e proprio neocolonialismo.
Invece
che pensare a tornare
indietro, ritieniamo che si debba
andare ben oltre i limiti del 2001,
dando maggiore autogoverno alle
regioni e ancora di più alle comunità locali, le quali
possono diventare il fulcro della vita
democratica, istituzioni dotate di sempre maggiori
poteri civici e di capacità di intervento sociale, fondate
su forme avanzate di autogestione e di
democrazia diretta.
Firenze, domenica 7 gennaio 2018
Mauro
Vaiani
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