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lunedì 8 gennaio 2018

Il sovranismo italiano non ci salverà



Condivido anche qui una riflessione che ho fatto, con l'aiuto dei miei amici e compagni autonomisti, in merito a una cosa sbagliata che abbiamo trovato nel programma di Potere al Popolo, nella sua versione disponibile online a inizio 2018

Si tratta di un immotivato e anzi controproducente attacco alla riforma del Titolo V del 2001. Un altro dei tanti che si sono succeduti nel tempo. Ne ho parlato prima di tutto con loro e spero in un loro ripensamento. E' importante che questa nuova aggregazione apra al proprio interno una riflessione sui rischi del sovranismo. Il sovranismo è intimamente connesso con tutte le illusioni centraliste e non ne sono esenti, purtroppo, forze vecchie e giovani, di sinistra o di destra, del sud o del nord.

 

La riforma costituzionale del 2001
e la lotta per forme più avanzate
di autogoverno

Noi autonomisti, nel nostro impegno per promuovere forme più avanzate di autogoverno, dialoghiamo con tutti coloro che si mostrino sensibili su questo tema. 

Per questo ho partecipato anche alla III assemblea di Potere al Popolo a Firenze, giovedì 4 gennaio 2018 e in quella sede sono intervenuto per segnalare che, nell’ultima versione del loro programma, nel capitolo 1 (difesa e rilancio della Costituzione), c’è un obiettivo parecchio problematico: ripristinare il Titolo V della Costituzione com’era prima della riforma del 2001.

A rischio di apparire semplicistico, vorrei che non si dimenticasse che la volontà di cancellare la riforma del 2001 – l’unica che è stata ratificata dal popolo - era nel progetto neocentralista della riforma Boschi-Renzi-Verdini, quello sonoramente bocciato dal popolo italiano il 4 dicembre 2016, e che si tratta di una richiesta sempre reiterata da forze esplicitamente centraliste, come Fratelli d’Italia. Il rischio, diciamocelo francamente, è quello dell’anti-regionalismo, che porta dritti sul terreno scivoloso di un certo sovranismo italiano.

La presidenza dell’assemblea fiorentina ha verbalizzato che si farà conoscere al coordinamento centrale di Potere al Popolo il rilievo critico. Si scrive a Roma, quindi. Spero che si faccia anche, ciascuno nel suo ambito, qualcosa per liberare la politica da questa dimensione eccessivamente verticale.

In sintonia con considerazioni espresse in altre realtà territoriali, come per esempio Pesa Sardigna (http://www.pesasardignablog.info/2018/01/03/potere-al-popolo-progetto-neocentralista/), vorrei anche aggiungere qualche riflessione in più.

La riforma del Titolo V è stata una tappa, sicuramente problematica e – dal punto di vista di noi decentralisti - senz’altro poco coraggiosa, di uno storico movimento politico e culturale per liberare l’Italia dal suo centralismo. Pur con tutti i suoi limiti, essa va considerata una conquista democratica. Non per nulla la sua attuazione è stata così fortemente ostacolata da tutte le forze più reazionarie e autoritarie (non solo italiane): poteri, funzioni e risorse, che avrebbero dovuto essere affidati alle comunità locali secondo la riforma del 2001, sono stati infatti largamente espropriati dalle tecnocrazie internazionali, europee e nazionali. Il declino dei servizi pubblici, per esempio, non è stato causato dal regionalismo, ma dall’aver sottratto sempre più risorse e autonomie alle regioni, in nome dell’attuazione dell’austerità e dell’omologazione imposte dai vigenti trattati europei.

Le regioni, in Italia e in Europa, vanno quindi difese e anzi rilanciate come uno dei pochi presidi di democrazia e socialità sopravvissuti, come dimostra l’attualità politica in Sardegna, Puglia e Veneto, senza dimenticare ciò che sta accadendo in Corsica, Catalogna, Scozia. Tutti coloro che credono nel protagonismo dei cittadini dovrebbero rallegrarsi del fatto che, praticamente in tutte le regioni italiane ed europee, ci sono lotte per ottenere maggiore autonomia, se non forme ancora più radicali di autogoverno.

La richiesta di abolire sic et simpliciter la riforma costituzionale del 2001, da parte di Potere al Popolo, mi pare incoerente con questo necessario regionalismo europeo e internazionalista e, se mi posso permettere, incoerente anche con il resto del suo programma e in particolare: con il capitolo 2 (Europa), dove si riconoscono i diritti dei popoli e dei territori; con il capitolo 8 (beni culturali), dove si richiede la partecipazione dei territori alla custodia dei beni comuni; con il capitolo 13 (ambiente), dove si rifiutano le grandi opere imposte dall’alto; con il capitolo 14 (nuova questione meridionale), dove si propone una lotta per il riscatto dei territori, in particolare di quelli, come il Sud, la Sicilia e la Sardegna, dove più drammatiche sono le conseguenze di quello che non esitiamo a definire un vero e proprio neocolonialismo.

Invece che pensare a tornare indietro, ritieniamo che si debba andare ben oltre i limiti del 2001, dando maggiore autogoverno alle regioni e ancora di più alle comunità locali, le quali possono diventare il fulcro della vita democratica, istituzioni dotate di sempre maggiori poteri civici e di capacità di intervento sociale, fondate su forme avanzate di autogestione e di democrazia diretta.

Firenze, domenica 7 gennaio 2018
 
Mauro Vaiani


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