Il Tirreno ospita oggi un mio commento sul dopo referendum in Scozia. Ho potuto approfondire, qui a Edinburgo, ma soprattutto a Glasgow, cosa significano parole come indipendenza e autogoverno per le persone comuni. Gli autonomisti hanno perso il referendum, ma forse hanno vinto il futuro, andando incontro a quelle che in Toscana chiameremmo, con La Pira, le attese della povera gente. Nella pagina aperta di oggi, la 17. Buon acquisto, buona lettura.
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A distanza di più di un anno, posso pubblicare qui il testo integrale dell'articolo (NdA, 2 ottobre 2015)
Per
il Tirreno
Da
Edimburgo, lunedì 22 settembre 2014
L'indipendenza e la povera gente
di
Mauro Vaiani*
Agli
Scozzesi, nel referendum dello scorso giovedì 18 settembre, è stato
chiesto se volevano che il loro paese diventasse indipendente. Should
Scotland be an indipendent country? Una frase semplice, sei
parole, nella migliore tradizione dell'asciuttezza britannica. La
domanda potrà apparire vaga e forse lo era, all'inizio. Che vuol
dire, in definitiva, essere indipendenti nel mondo di oggi? Non siamo
forse tutti interdipendenti?
In
Scozia, però, non si è giocato sulle parole. Il dibattito è durato
anni, è stato approfondito, ha coinvolto l'intera popolazione
residente (inclusi gli immigrati e i sedicenni), ha prodotto un
movimento civico territoriale imponente.
Alla
fine la piattaforma degli indipendentisti era abbastanza chiara e, in
stile anglosassone, sufficientemente pragmatica: un totale
autogoverno, mantenendo però con l'Inghilterra legami simili a
quelli che hanno ancora oggi esistono con il Canada o la Nuova
Zelanda; una piena responsabilità sulla propria economia, ma
restando nell'Unione Europea; il potere sovrano di rifiutare il
nucleare e le guerre volute da Londra, ma rimanendo nella comunità
di sicurezza della NATO; l'opportunità di investire tutte le risorse
disponibili nell'economia locale, in modo da aumentare posti di
lavoro e opportunità imprenditoriali sul proprio territorio.
Gli
Scozzesi, una popolazione molto istruita, dotata di un fortissimo
senso civico, e non più povera come in passato, si sono quindi
preparati al voto, avvicinandosi a un ideale modello di democrazia
deliberativa – caro a tanti studiosi, anche toscani, come il nostro
Antonio Floridia.
Le
emozioni ci sono state, certo, ma in Scozia non si sono confrontati
nazionalismi arretrati e naif. Non si è votato su “sangue e
suolo”, ma su problemi molto concreti di distribuzione dei poteri e
delle relative responsabilità, riguardanti non solo il presente, ma
anche le future generazioni.
La
proposta indipendentista ha conquistato una coalizione vastissima e
assolutamente trasversale, ma soprattutto ha risvegliato quelle che
in Toscana chiameremmo, con La Pira, le attese della povera gente: i
lavoratori precari, le famiglie a basso reddito, gli immigrati, i
pensionati poveri, le persone portatrici di diversità e disabilità,
i piccoli imprenditori e agricoltori, ma anche i giovani che dopo
aver finito l'università sono emarginati e spinti verso
l'emigrazione.
Non
a caso il movimento indipendentista ha raggiunto ben il 45% dei voti
a livello nazionale, ma ha addirittura stravinto nelle due città più
operaie della Scozia: Glasgow e Dundee.
Le
elites di Londra, spaventate da questa richiesta di massiccia
ridistribuzione del potere e delle risorse, hanno prima minacciato
questo movimento popolare, promettendo di ostacolarlo in ogni modo,
in particolare in materie sensibili per la vita quotidiana della
gente, come la libertà di circolazione e il regime valutario. Alla
fine, poiché né le minacce, né la propaganda monocorde di gran
parte dei media sembravano funzionare, hanno infine fatto una mossa
forse disperata ma allo stesso tempo abile: hanno ceduto.
Hanno
promesso agli Scozzesi quello che Gordon Brown, ex primo ministro
britannico, lui stesso scozzese e ancora molto stimato nel paese, ha
definito “niente di meno di un moderno Home Rule”.
In pratica alla Scozia verrà dato tutto ciò che era nel programma
indipendentista, meno due cose: il diritto di restare in pace, se
l'Inghilterra va in guerra, e il diritto di stampare una valuta
locale.
Con
questa promessa, non solo con le minacce, è stata messa al sicuro la
vittoria del no, nel referendum sull'indipendenza.
Ora
inizia un processo politico faticoso e complesso. C'è molto
scetticismo sul fatto che, in concreto, si possano davvero realizzare
i cambiamenti promessi: uffici da chiudere a Londra e da aprire a
Edimburgo; royalties del petrolio del Mare del Nord da
ridistribuire; leggi da riscrivere; simboli del potere da cambiare.
Le resistenze londinesi sono ovviamente fortissime, ma c'è anche
speranza.
Una
cosa ci appare certa: questo movimento civico e civile per il pieno
autogoverno, anti-burocratico e anti-elitario, per il riscatto
sociale, per fermare l'austerità e tornare a distribuire risorse
alla povera gente, per la protezione dei beni comuni, per la
valorizzazione dei servizi pubblici, è qui per restare, in Scozia e,
crediamo, ben oltre.
*
attivista, blogger, studio, visitor at the University of Edinburgh -
School of Social and Political Science
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