Dagli amici dei gruppi di omosessuali credenti e dal sito http://www.gionata.org, riceviamo e rilanciamo: dopo la prima lettera al Vescovo Betori di un mese fa, e dopo la
replica del Vescovo, gli stessi autori – suor Stefania Baldini, don
Fabio Masi, don Alessandro Santoro e don Giacomo Stinghi – rilanciano: di fronte alle norme che oggi escludono dai
sacramenti chi viva la propria omosessualità, si pongono in ‘obiezione
di coscienza’ “e non per il gusto di provocare, ma per fedeltà a quei
volti, a quelle vite che si sentono rifiutate dalla Chiesa”. Un tocco di grazia, non solo un dibattito, ecco ciò che ci serve, per cambiare la nostra chiesa (ndr).
Ancora su Chiesa Cattolica e omosessualità
Al Vescovo di Firenze e a “Toscana Oggi”
Abbiamo ascoltato quello che il Vescovo ha detto nell’incontro con i
preti a Lecceto il 12 settembre a proposito della nostra lettera su
‘Chiesa cattolica e omosessualità’ e abbiamo apprezzato che ‘Toscana
Oggi’ l’abbia pubblicata sull’edizione che va in tutte le Diocesi della
Toscana, perché è proprio questo che noi desideriamo: non solo un
colloquio col Vescovo, ma un confronto nella Chiesa, su un’esperienza in
cui siamo coinvolti da tempo, per conoscere come si comportano altre
parrocchie di fronte a questa realtà.
In verità ci sembra che né il Vescovo né ‘Toscana Oggi’ abbiano preso
in considerazione i problemi che abbiamo posto nel documento e non
siano entrati nel merito degli interrogativi che ponevamo. Quello che
dice il Catechismo lo sappiamo, non siamo sprovveduti fino a questo
punto, e conosciamo anche la posizione ufficiale dei Vescovi. Ma noi non
vorremmo chiudere qui il confronto, è proprio a partire da tutto questo
che abbiamo invitato la Chiesa a riconsiderare il modo di porsi di
fronte alle relazioni omosessuali, visto il cambiamento profondo che c’è
stato in questi ultimi anni nella comprensione di questo aspetto della
vita.
Intanto vorremmo precisare a ‘Toscana Oggi’ che noi non abbiamo
dato il nostro intervento a nessun giornale, lo abbiamo portato subito
al Vescovo e alla redazione del Settimanale. Solo che, essendo stato
distribuito alle nostre Comunità fin dalla Domenica 2 Settembre per la
raccolta delle firme di adesione, siamo stati nell’impossibilità di
avere sotto controllo l’uso che ne veniva fatto da quel giorno in poi,
perciò non sappiamo chi l’abbia portato al giornale.
Da alcune reazioni che ci sono state al documento, abbiamo visto che
qualcuno ha trovato nella nostra lettera l’affermazione che nella Bibbia
si può trovare la legittimazione delle relazioni omosessuali. Nulla di
più lontano da quello che intendevamo dire e abbiamo detto. La Bibbia
non legittima né condanna le relazioni omosessuali così come siamo
giunti a comprenderle oggi, semplicemente perché aveva
dell’omosessualità una conoscenza radicalmente diversa. E’ questo un
punto significativo della nostra lettera; poi abbiamo còlto, in Isaia,
il segnale di apertura verso l’inclusione e l’accoglienza che ci ha
fatto molto riflettere.
Nel breve accenno alla lettera che il Vescovo ha fatto nell’incontro
di Lecceto, si insiste sull’importanza di non travisare la ‘verità, ma
di rispettarla, intendendo per verità, così almeno ci sembra, la verità
della ‘visione antropologica della Rivelazione’.
Ma la ‘verità’ nel linguaggio di Gesù e del Vangelo non è una
definizione da imparare a mente, è una Persona con cui entrare in
relazione. “Io sono la via, la verità, la vita” ha detto il Maestro
(Giovanni 14,6), con quel “Io sono” assonante col nome Jahvè che fa
venire i brividi! E Gesù queste parole le dice a Tommaso subito dopo la
‘Lavanda dei piedi’ che è il suo modo di esercitare il potere. E alla
domanda scettica di Pilato, “Ma cos’è la verità?” Gesù risponderà poco
dopo, quando dalla croce perdona i suoi carnefici. La verità è la carità
dell’Uomo-Dio!
Inoltre, non ci sembra che nel cammino della Chiesa ci sia stata una
‘visione antropologica’ definita, compatta, immutata e immutabile. C’è
stato un tempo non lontano in cui la gerarchia della Chiesa sosteneva
delle posizioni che oggi ci fanno orrore: è stata giustificata e onorata
la tortura e la pena di morte; Pio IX, nella Enciclica ‘Quanta cura’,
ha sostenuto che il diritto di esprimere con libertà il proprio
pensiero, era puro ‘delirio’ e la libertà religiosa inaccettabile, e gli
esempi potrebbero continuare.
Per grazia di Dio ci siamo mossi da quelle posizioni e quella visione
si è evoluta ed è cresciuta, certamente influenzata dal pensiero laico,
ma anche perché all’interno della Chiesa laici, preti, teologi e
vescovi hanno spinto per superarla, spesso combattuti e isolati nella
stessa Comunità cristiana.
Chiediamoci, “chi amava di più la Chiesa a quel tempo? chi taceva o
si faceva zelante portavoce delle idee ufficiali per quieto vivere o per
non rischiare la carriera, oppure chi si opponeva, rischiando di essere
emarginato e condannato dagli stessi Pastori della Chiesa?” E’
importante rispondere a questa domanda.
Inoltre questi, come tanti
altri, sono problemi di competenza esclusiva dei Capi della Chiesa o
devono essere aperti alla riflessione di tutto il popolo cristiano?
Quando la Chiesa di fatto si identificava con la gerarchia e si
distingueva in ‘Chiesa che insegna’ (i Vescovi e il Papa) e ‘Chiesa che
impara’ (i fedeli), la risposta era ovvia: solo i Pastori discutevano e
decidevano. Dopo il Concilio non è più così! Dopo il Concilio
l’autocoscienza della Chiesa è tornata ad essere quella di ‘Popolo di
Dio’, con differenti funzioni al suo interno, ma con una responsabilità
comune. Noi, parlando, non rivendichiamo un diritto, esercitiamo un
dovere; è la Chiesa che ha diritto di conoscere la nostra esperienza.
Siamo fuori strada?
Ha scritto S. Gregorio Magno, Papa dall’anno 590: “Molte cose, nella
Sacra Scrittura, che da solo non sono riuscito a capire, le ho capite
mettendomi in ascolto di fronte ai fratelli”. Sarebbe molto bello che i
nostri Pastori parlassero così! ma oggi, nell’impostazione che la Chiesa
si è data, i Vescovi sono maestri e basta e devono solo insegnare.
Noi siamo del parere che lasciare sulle spalle dei soli Vescovi e del
Papa il ‘discernimento dei segni dei tempi’, vuol dire non amarli e
mancare ad un nostro preciso dovere e ad una nostra precisa
responsabilità!
Il Vescovo poi accenna alla confusione che può
generare il mancato rispetto dell’attuale disciplina riguardo
all’accesso ai Sacramenti di chi vive una relazione omosessuale. Noi non
intendiamo fare un aggiustamento di comodo della disciplina della
Chiesa, ma porsi in ‘obiezione di coscienza’ di fronte a quelle norme,
con lo scopo di spingere tutti a riconsiderare quella realtà,
allargandone la riflessione.
L’obiezione di coscienza non è disprezzo delle regole, ma amore e
riconoscimento sofferto della Comunità di cui uno è parte, aperto anche
ad accettare le conseguenze della posizione che ha preso. In altri
campi, i Capi della Chiesa la onorano e la consigliano. Qualcuno
addirittura dice che è la forma più alta di amore e di rispetto della
legge.
La Chiesa di Firenze, anni addietro, ha avuto modo di approfondire il
senso dell’obiezione di coscienza e noi siamo figli di quel periodo;
crediamo che si può certamente dissentire da chi la fa, ma è una scelta
che va comunque onorata e rispettata. Secondo noi, don Milani è stato
più fedele alla Chiesa e ai suoi Pastori di tanti “obbedienti”, preti o
laici che fossero.
Non vogliamo dire che Gesù ha abolito ogni regola, diciamo che ne ha
spezzata la rigidità, ne ha abolita l’intoccabilità e ha messo l’uomo al
centro. “Il Sabato è per l’uomo, non l’uomo per il Sabato”. Questo non è
un aggiustamento, è un capovolgimento della logica di quel tempo. Per
questo i custodi delle regole hanno reagito e hanno eliminato Gesù.
Noi non possiamo dire a queste persone che forse fra 50 anni il
problema si chiarirà e nel frattempo devono vivere in continenza. La
verginità, perché sia un atto umano, deve essere scelta, non vissuta
come un destino.
Per questo ci poniamo in obiezione di coscienza, e
non per il gusto di provocare, ma per fedeltà a quei volti, a quelle
vite che si sentono rifiutate dalla Chiesa.
suor Stefania Baldini
don Fabio Masi
don Alessandro Santoro
don Giacomo Stinghi
Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso
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