Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso

giovedì 27 luglio 2023

Omaggio alla poesia di Sergio Salvi

 


Archiviamo qui un affettuoso omaggio alla poesia di Sergio Salvi, a pochi mesi dalla sua scomparsa, avvenuta il 23 aprile 2023. Da giovane, questo pioniere di autonomie, identità, promozione delle diversità, studioso di nazioni piccole e grandi, intellettuale e grande lavoratore per la cultura di Firenze, aveva esordito come poeta. Nel 1960 Vallecchi aveva pubblicato la sua raccolta "Il vento di Firenze", di cui pubblichiamo qui qualche verso.


Il paese alla notte si rassegna.

Anche il verde s'è spento ed il viola

delle montagne è vago, irraggiungibile.

Tornano i falciatori, mi sorpassano

senza guardarmi, avvezzi a questa estrema

solitaria fatica. Dondolanti

spaiono all'orizzonte i portatori

di fieno sotto il bilico dei cumuli.

L'oste ha già aperto, dagli sgangherati

battenti filtra un'arsa luce, vaga

un odore di vino dietro i quieti

lumi portati a mano. Ora la gente

di questa valle fredda si raccoglie

sulle soglie in attesa che s'accenda

fioco un televisore. Anche se i conti

non tornano, anche nulla può turbare

questa cupa parentesi. Arsa trama,

freme soltanto una curiosità

di povere notizie, di bicchieri

consunti per affogarvi l'attesa.

 

* * * 

 


domenica 23 luglio 2023

Camaldoli, Ventotene, ma soprattutto Chivasso

 


Ci è parso opportuno che in un suo recente scritto, il presidente della Repubblica italiana, il prof. Sergio Mattarella, a settantacinque anni dalla Costituzione e a margine del ricordo degli ottanta anni passati dal convegno di Camaldoli (1943-2023), in cui furono gettate le basi del noto Codice cristiano-sociale, abbia voluto citare insieme una serie di documenti ed esperienze che sono state tutte importanti nel forgiare una nuova stagione politica, dopo il disastro del fascismo e del nazismo.

Scrive il presidente: "Oggi possiamo cogliere il valore della riflessione avviata sul futuro dell’Italia e lo sforzo di elaborazione proposto in quei frangenti dai circoli intellettuali e politici che non si erano arresi alla dittatura. Dal cosiddetto Codice di Camaldoli, al progetto di Costituzione confederale europea e interna di Duccio Galimberti e Antonino Repaci, all’abbozzo di Silvio Trentin per un’Italia federale nella Repubblica europea, alla Dichiarazione di Chivasso dei rappresentanti delle popolazioni alpine, al Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi, alle «idee ricostruttive della Democrazia Cristiana», che De Gasperi aveva appena fatto circolare, non mancano sogni e progetti lungimiranti per fare dell’Italia un Paese libero e prospero in un’Europa pacificata.".

Il Manifesto di Ventotene del 1941 è stato d'ispirazione per spingere alcune correnti della sinistra italiana ed europea verso un ideale democratico di Europa federale unita, che somigliasse magari più agli Stati Uniti d'America che all'URSS. Mostra tutti gli anni che ha e, pur essendo molto riverito, viene davvero, forse giustamente, poco letto. Basti pensare che nella conclusione si leggono parole come queste: "Da' in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e attorno ad esso la nuova democrazia. Non è da temere che un tale regime rivoluzionario debba necessariamente sbocciare in un nuovo dispotismo. Vi sbocca se è venuto modellando un tipo di società servile. Ma se il partito rivoluzionario andrà creando con polso fermo fin dai primissimi passi le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini possano veramente partecipare alla vita dello stato, la sua evoluzione sarà, anche se attraverso eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una progressiva comprensione ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e perciò nel senso di una crescente possibilità di funzionamento di istituzioni politiche libere.". Gli spunti sono spesso liberalsocialisti, ma è sempre esplicitato che le masse hanno bisogno di una guida e il "che fare" confina pericolosamente con il leninismo. E' evidente a tutti che si tratta di pagine parecchio datate.

Il Codice che si immagina concepito al convegno di Camaldoli del luglio 1943, che è giustamente considerato un fondamento culturale del cattolicesimo democratico e del cristianesimo sociale, oltre che una delle fonti della Costituzione italiana del 1948, è sempre stato ricordato con maggiore sobrietà, senso critico, pragmatismo, capacità di contestualizzare, non solo di mitizzare - cosa, quest'ultima, in sé per nulla sbagliata, sia chiaro. Lo ha scritto con nitidezza il prof. Stefano Ceccanti su L'Unità dello scorso 14 luglio. Lo hanno spiegato bene pressoché tutti i relatori dell'importante convegno commemorativo dell'80° anniversario, tenutosi a Camaldoli e conclusosi oggi - domenica 23 luglio 2023 - su iniziativa della Conferenza episcopale italiana e della Conferenza episcopale toscana, insieme a diverse altre realtà pastorali, accademiche, culturali, sociali, dell'informazione, fra le quali ricordiamo il settimanale cattolico Toscana Oggi. E' indispensabile ricordare che l'intero convegno è stato registrato e quindi sarà sempre disponibile grazie al prezioso archivio di Radio Radicale, oltre che reso disponibile attraverso il canale YouTube delle Edizioni Camaldoli. Nel Codice di Camaldoli, tanto per comprendere una certa difficoltà che potrebbe avere il lettore contemporaneo, si trovano frasi che legittimano il colonialismo, come "La colonizzazione può rispondere a un bisogno di espansione di un popolo demograficamente ricco."; si trovano parole sulla condizione femminile che oggi sarebbero soggette, quanto meno, a una profonda riformulazione, come "tenendo conto che la donna coniugata esercita nella famiglia la sua naturale funzione anche nei riguardi della società, sono talora opportune determinate restrizioni nei casi di professioni e mestieri meno adatti alla natura femminile, o per ovviare a temporanei inconvenienti, come quello della disoccupazione maschile in certe professioni.".

Altri testi citati dal presidente della Repubblica meriterebbero di essere meglio conosciuti, ma di certo hanno avuto un impatto minore: la costituzione confederale europea scritta fra il 1942 e il 1943 da Duccio Galimberti e Antonino Repaci è un testo utopistico, ma non privo di fallaci distopie; nei suoi scritti Silvio Trentin arriva a comprendere che senza una Italia federale non si sarebbe costruita la Repubblica europea, ma la sua ispirazione prodhouniana appare disconnessa dai movimenti popolari e territoriali reali; le «idee ricostruttive della Democrazia Cristiana», l'opuscolo che Alcide De Gasperi fece circolare dalla fine del 1943, sono anch'esse datate. 

La Carta di Chivasso, fra tutti i documenti storici citati, si distingue profondamente.

E' anch'essa antica, ma non certo polverosa. Le sue parole, al contrario, sono incredibilmente vive. 

Ha la veraforza di un evangelico "discorso della montagna" per coloro che credono che l'autogoverno, al più basso livello consentito dalla storia e dalla natura, sia il modo più umano per gli umani di organizzarsi politicamente.

Chi può, ne ascolti su YouTube una recente lettura integrale (meno di 8 minuti):

https://www.youtube.com/watch?v=wSLSjx0PJ0c



Il documento ha una struttura semplice e immediata. 

Denuncia i grandi mali del centralismo:

  • OPPRESSIONE POLITICA;

  • ROVINA ECONOMICA;

  • DISTRUZIONE DELLA CULTURA LOCALE.

Promuove la rinascita delle autonomie personali, sociali, territoriali, attraverso: 

  • AUTONOMIE POLITICO–AMMINlSTRATIVE

  • AUTONOMIE CULTURALI E SCOLASTICHE
  • AUTONOMIE ECONOMICHE

Il 19 dicembre 1943, sulle montagne di Chivasso, come scrisse il suo principale autore, il martire antifascista Émile Chanoux, "Ciò che i rappresentanti di queste valli hanno affermato, vale per tutte le regioni italiane, per i piccoli popoli che formano quel tutto che è il popolo italiano". 

Oggi, a nostro parere, si potrebbe dire per tutti i territori, per tutta l'umanità.

Per questo gli 80 anni della Carta di Chivasso, 1943-2023, sono così importanti nel nostro mondo civico, ambientalista, territorialista.

Per questo, con il Forum 2043, voliamo alto, verso il centenario, per tramandare alle generazioni future il nostro antico e nobile confederalismo.

 

* * *

Nella  foto (fonte Wikipedia) il cippo posto in ricordo di Émile Chanoux a Rovenaud, suo paese natale.


lunedì 17 luglio 2023

Una modesta proposta per l'Europa

 


C'è una modesta ma seria proposta per andare insieme alle elezioni europee del 2024. La hanno elaborata il Patto per l'Autonomia Friuli-Venezia Giulia, in nome e per conto dell'intera sorellanza di Autonomie e Ambiente, ed EFA, il partito europeo dei territorialismi (European Free Alliance, che fa parte del gruppo parlamentare europeo Greens-EFA).

Non ci facciamo illusioni: il nostro "Patto Autonomie Ambiente" per l'Europa e per la pace, non può certo raggiungere tutti i cittadini. Non abbiamo certo denaro o potere sufficiente per farci largo nel terrificante conformismo mediatico del nostro tempo. Una persona su dieci, però, ha già la cultura, la sensibilità, il tempo per ascoltare ed eventualmente sostenere questo appello contro tutti i centralismi autoritari.

A quella persona su dieci, quindi, ci rivolgiamo, a coloro che sanno cosa è un serio civismo autonomo dai partiti centralisti, che hanno intenzione di praticare un serio e pragmatico ambientalismo territorio per territorio, che hanno valori decentralisti ispirati al nostro antico e nobile confederalismo, quello della Carta di Chivasso.

Per capire cosa stiamo facendo, si legga la bella intervista rilasciata da Lorena López de Lacalle Arizti, la presidente EFA, a Gino Giammarino:

https://napolivera.info/2023/07/16/autonomia-autogoverno-europa-intervista-a-lorena-lopez-de-lacalle-presidente-dellefa/

Per approfondire il posizionamento politico del "Patto Autonomie Ambiente", si legga il documento finale approvato a Udino il 10 giugno 2023:

https://www.autonomieeambiente.eu/news/160-per-la-libertas-europea

Grazie a quella persona su dieci, che potrebbe essere interessata!

 

 

sabato 8 luglio 2023

Buona estate da OraToscana e da Autonomie e Ambiente (ma è anche tempo di associarsi!)

 

E' stata appena inviata oggi (8 luglio 2023, ore 20 circa) la newsletter di OraToscana.

Qui il link online

E' un augurio di passare una estate serena, ma anche la raccomandazione a studiare, approfondire, capire cosa stiamo facendo per prepararci alle elezioni europee del 2024, per promuovere una nuova Europa delle autonomie personali, sociali, territoriali.

Qui i principali link segnalati per chi ha tempo, voglia, sensibilità, vocazione a fare qualcosa come attivista e leader locale:

- per associarsi al nostro progetto:
https://www.autonomieeambiente.eu/news/164-e-tempo-di-associarsi

- il civismo che è qui per restare (P.Piccini, da Siena)
- per la dignità del consigliere comunale (OraToscana)
- riscatto dei territori, Sardegna (Claudia Zuncheddu)
- riscatto dei territori, Trentino (Geremia Gios)
- contro la nazione, per la Repubblica (Piero Gobetti e altri padri e madri della Repubblica delle Autonomie personali, sociali, territoriali)

- per seguire e magari partecipare al lavoro politico-elettorale di OraToscana iscrivendosi al canale Telegram: OraToscana
 

 

martedì 4 luglio 2023

Identità digitale scaduta


 

Crearsi una identità digitale ha due immediate conseguenze:
- primo) affidarsi a qualcuno che non la usi contro di te, almeno non inpunemente
- secondo) accettare che quello stesso qualcuno un giorno possa togliertela, perché non è mai solo tua, ma anche sua

Almeno cinque gravi problemi vanno affrontati e risolti:
1) Evitare la concentrazione di potere digitale
2) Assicurare pluralismo tecnico e organizzativo
3) Garantire che l'identità digitale non sarà necessaria per vivere
4) Prosciugare la palude della sfiducia
5) Evitare gli eccessi di inquinamento elettromagnetico.

Per chi vuole approfondire, di seguito delle riflessioni più articolate.

Il rapido avvicinarsi della fine della legislatura europea non stempera l'incredibile bulimia normativa delle burocrazie europee. Parlamento e commissione europea verranno rinnovati nel 2024, ma purtroppo ad avere in mano l'iniziativa legislativa sono eurocrazie opache, costituite da funzionari che paiono accecati dalla follia di voler regolare e uniformare tutto (del fatto che ci siano anche politici e funzionari prezzolati dalle multinazionali parleremo un'altra volta).

Le loro ultime contorsioni sono attorno alla volontà di arrivare all'identità digitale europea. L'ignoranza, la supponenza, l'avventurismo con cui i soloni di Bruxelles affrontano questo tema sono disarmanti.

Del tutto assente ogni minima consapevolezza dei problemi che l'uso di massa, su scala continentale, dell'identità digitale porrebbe nella società digitale globalmente interconnessa contemporanea. Persino i fanatici omologatori del World Economic Forum hanno alzato le sopracciglie, di fronte all'avventatezza delle autorità europea (Reimagining Digital ID INSIGHT REPORT JUNE 2023). La recente, violenta e autoritaria esperienza del "Green Pass", l'odioso passi verde, non pare aver insegnato nulla.

Ne segnaliamo alcuni, di questi problemi, senza pretesa di completezza:

1) Concentrazione di dati e identità digitali, quindi del potere su di esse - Già in Italia le persone più attente e gli addetti più responsabili delle pubbliche amministrazioni si rendono conto degli immensi pericoli che corriamo avendo creato banche dati centrali che contengono informazioni vitali su 60 milioni di cittadini e residenti, peraltro in mano a società come la SOGEI che, ancorché sotto pieno controllo politico, sono tuttavia di diritto privato. Anche solo ipotizzare banche dati che custodiscano i dati di 500 milioni di cittadini europei è semplicemente avventato (a meno che non si abbia in mente davvero di volerci trasformare in sudditi di un superstato centralista e autoritario, come sono gli USA e la Cina). Si deve dire un no semplice, nitido, fermo a ogni forma di concentrazione di dati e di potere, non solo in Europa, ma anche in grandi stati come l'Italia.

2) Necessità della pluralità dei gestori, dei sistemi, degli strumenti - Sistemi di gestione di identità digitali esistono da decenni. Sono nati nelle università, nelle grandi aziende, in molte istituzioni pubbliche e private. Essi devono restare plurali, limitati a comunità circoscritte, per assolvere ristretti finalità istituzionali od organizzative. Deve restare inoltre un assoluto pluralismo nella scelta delle tecnologie (per gli enti pubblici sarebbe a dire il vero opportuno optare per software aperti, "open source"). Devono restare in uso molti strumenti di identificazione: app nei cellulari, sì, ma anche messaggi di conferma via mail o anche via telefono fisso, generatori di pin portatili (token), carte digitali (smart card), i più diversi tipi di dispositivi passivi (trasponder) che possano essere solo letti, senza essere mai attivi o attivabili. Per la cooperazione tra sistemi di gestione di identità digitali esistono già esperienze consolidate di interazione fiduciaria. Citiamo solo EDUROAM, per fare un esempio, il sistema che consente all'utente di una comunità accademica di essere accolto anche in altre, durante i suoi viaggi di studio, senza che i suoi dati vengano controllati e gestiti da altri che non sia la propria istituzione di appartenenza. 

3) Possibilità di restare fuori o di uscire dal sistema, oltre che di non esserne escluso arbitrariamente - Non solo per andare incontro al divario digitale, ma proprio per tutelare la dignità della persona umana e della sua integrità fisica, si deve consentire a chiunque di restare fuori da ogni sistema di identità digitale. Questo deve essere obbligatorio almeno per le istituzioni pubbliche: in ogni municipio locale ci deve essere la possibilità per il cittadino di presentarsi di persona e sbrigare ogni pratica senza bisogno di dotarsi di una identità digitale. Vale anche un ragionamento apparentemente opposto: si deve consentire che l'identità digitale di una persona più fragile (un minore, un disabile, un grande anziano) sia gestita da un suo congiunto all'interno di un rapporto familiare di fiducia. Più in generale non si deve dimenticare che ogni identità digitale scade, mentre la persona umana deve poter continuare a essere sé stessa. In ultimo, non per importanza, si deve assolutamente impedire che una identità digitale sia canale esclusivo di accesso a servizi essenziali (acqua, cibo, salute, denaro, informazione), perché nei padroni del sistema ci sarà sempre la tentazione di usare il potere digitale per punire i dissenzienti, con nuove forme di morte digitale.

4) Prosciugare la palude della sfiducia - La custodia digitale di dati personali, compresi quelli biometrici e genetici, da parte di una qualsiasi istituzione, richiede che le persone umane possano profondamente fidarsi di essa. La fiducia non si costruisce con l'obbedienza imposta per legge, ma attraverso la prossimità tra governati e governanti. Si può arrivare a fidarsi del proprio municipio o della propria regione, a seconda di quanto la nostra società sia rispettosa delle autonomie personali, sociali, territoriali, di quanto siano garantiti i diritti civili, politici e sociali. Se la fiducia viene messa in discussione, l'individuo e la comunità locale possono ancora ribellarsi contro un'autorità, geopoliticamente piccola, e ribellandosi fare quindi la differenza. E' semplicemente impossibile, invece, fidarsi di istituzioni più alte, più lontane, poste altrove, magari lontano dal luogo dove viviamo, che neppure parlano la nostra lingua madre, i cui capi (reali o apparenti) sono leader eletti in grandi competizioni mediatiche, che dispongano di vasti ed efficienti apparati di coercizione. Questo è stato vero sin dalle origini della modernità e dei suoi grandi stati centralisti e autoritari, ma nella nuova realtà digitale tutto è amplificato geometricamente. Un decentralismo radicale è la strada maestra per prosciugare la sfiducia intrinseca che la persona prova nei confronti dei "grandi fratelli" della contemporaneità.

5) Sobrietà elettromagnetica - Non solo dobbiamo restare ancorati a un principio di precauzione nella diffusione degli strumenti digitali. Non solo dobbiamo studiare bene come proteggere la vita dall'inquinamento elettromagnetico (e il panorama dalla bruttezza delle antenne). Prima ancora dobbiare rifiutare la deriva imposta dalle attuali istituzioni del capitalismo predittivo e induttivo dei consumi, che sono anche il pilastro socio-economico di una nuova realtà politica di sorveglianza universale. Alcune scelte politiche sono ormai urgenti: la connettività deve essere riconosciuta come un servizio pubblico universale e quindi gestita da istituzioni locali senza fine di lucro; si deve accedere quando lo si richiede, non quando imposto da meccanismi perversi di connessione permanente; devono esistere canali separati e distinti di accesso a contenuti pubblici e liberi, a contenuti creativi con pagamento del diritto d'autore, a contenuti sostenuti dalla pubblicità commerciale. Ripetiamolo: separati, distinti, indipendenti gli uni dagli altri, lasciando sempre alla persona la possibilità di spengerli.


domenica 2 luglio 2023

Per la dignità del lavoratore


 

E' scritto nella Costituzione della Repubblica italiana:

Art. 36 (I comma):
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.


E' dagli anni Ottanta che il rispetto di questa disposizione costituzionale sta arretrando.

Questa norma, lo scriviamo sommessamente, ha rischiato di cadere in desuetudine anche perché una ampia maggioranza di elettori adulti ha goduto di un relativo benessere, grazie al proprio reddito, al risparmio accumulato nelle famiglie durante gli anni del "boom" economico dei territori italiani, alla disponibilità di patrimoni magari ancora più antichi. 

Troppi cittadini si sono dimenticati di questo comando costituzionale, perché per essi era assolto, grazie al lavoro loro e delle generazioni precedenti.

Poi, man mano che è avanzato il mercato unico europeo e che si è deciso che questa nostra comunità continentale fosse aperta al libero scambio globale, la situazione è diventata più complessa.

Si è accettato per decenni che gli stipendi restassero fermi, per non perdere competitività rispetto alle fabbriche del mondo dove gli stipendi erano ancora più bassi. Qualche settore, in qualche capitale industriale e tecnologica, è potuto restare competitivo attraverso continue innovazioni di processo e di prodotto, senza comprimere i compensi, ma questo non è mai stato e non sarà mai generalizzabile (le eccellenze dell'export sono l'eccezione, non la regola, in una società globalizzata, speriamo che questo sia chiaro...).

Aggiungiamo che vivere usando come unica moneta una valuta internazionale forte come l'Euro ha reso le cose ancora più complicate.

La situazione è così profondamente cambiata. Lentamente, ma inesorabilmente, stanno aumentando i cittadini che oggi, pur lavorando, pur essendo titolari di una pensione, pur avendo persino piccole proprietà immobiliari, sono poveri e anzi si stanno impoverendo sempre di più.

Alcuni leader di opposizione hanno appena sottoscritto una proposta di legge sul salario minimo, nel tentativo di offrire almeno una prima risposta a questo storico problema dell'impoverimento di massa. Essi si sono concentrati sul tema dei "working poor", il lavoratore povero, e hanno immaginato una prima risposta: imporre per legge un salario orario minimo di 9 Euro.

Purtroppo 9 Euro l'ora - peraltro lordi - lavorando 35 ore per 4 settimane, diventano 1.260 Euro al mese...

Uno stipendio che possiamo definire di sopravvivenza, in questa società impostata su questi stili di vita e livello di consumi (sempre indotti, spesso imposti).

Ammesso, ovviamente, che non si viva da soli, che non si abbiano figli, che si viva in zone economicamente e socialmente marginali (cioè più economiche, ma comunque non del tutto prive di servizi pubblici universali).

E' una proposta di buona volontà, certo, ma è una risposta davvero modesta, di fronte alla gravità del problema.

Con quelle cifre siamo ben lontani dal rispetto della Costituzione e lontanissimi dall'offrire una speranza a decine di milioni di cittadini di questa Repubblica.

C'è anche un altro ostacolo, diciamo reputazionale, per i firmatari di quella proposta, che sono Giuseppe Conte (Movimento 5 stelle), Nicola Fratoianni (Sinistra italiana), Matteo Richetti (Azione), Elly Schlein (Partito democratico), Angelo Bonelli (Europa Verde) e Riccardo Magi (+ Europa).

Essi sono considerati da una vasta opinione pubblica responsabili dell'impoverimento di massa. Nella migliore delle ipotesi essi o i partiti che essi guidano sono considerati incapaci di affrontare il problema. A torto o a ragione, sono invotabili, o meglio votabili solo dai loro affezionati.

Non è del tutto giusto, ovviamente, perché quei partiti hanno al proprio interno persone serie che stanno cercando di cambiare rispetto agli errori del passato, ma la realtà è questa.

Questa proposta di salario minimo è veramente troppo poco e troppo tardi.

Il nostro patto Autonomie e Ambiente cerca di guardare insieme più da vicino e più in lontananza. Siamo convinti che non esistano ricette semplici per frenare il processo di impoverimento delle masse nella globalizzazione, tanto meno che esistano soluzioni "europee" o "italiane", valide per tutti i nostri territori. Tuttavia qualcosa può essere fatto subito, per fronteggiare l'emergenza, e qualcosa può essere avviato cercando di essere lungimiranti, senza cedere nelle fallaci chimere del centralismo autoritario.

Per esempio si potrebbe, STATIM (subito), porre fine alle esternalizzazioni in tutte le amministrazioni pubbliche locali. Garantire una dignità minima a tutti i lavoratori di ogni comune della Repubblica, internalizzando coloro che oggi sono ostaggi degli appaltatori e dei subappaltatori, vorrebbe dire assicurare un punto di riferimento, di stabilità, di servizio, di resistenza. Si avrebbero più lavoratori pubblici, più autorevoli e più sereni, a occuparsi degli umili, a custodire i beni comuni, a curare i territori. Come sanno gli esperti di gestione del personale, nel campo dei servizi pubblici (che non sono produzioni aziendali comprimibili o estensibili secondo richieste di mercato), questo non costerebbe affatto di più. Toglierebbe potere e reddito a qualche appaltatore, ma produrrebbe dignità per molti lavoratori.

GRADATIM, cioè con un serio e competente gradualismo riformista, si potrebbero avviare riforme attese da tanto tempo, come la drastica riduzione delle tasse sul reddito da lavoro (ogni forma di lavoro), affidando alle autorità locali, in un serio sistema di federalismo fiscale, la leva di una maggiore imposizione sulle case e sulle cose, magari coniugandola con la massiccia circolazione di monete fiscali locali complementari, con il fine di incoraggiare la cooperazione fra autorità pubblica, proprietari privati, imprenditori locali, per la transizione ecologica.

La moneta, al contrario di quello che pensano gli apprendisti stregoni che hanno in mano il potere nella Eurozona, deve circolare di più, non di meno, per consentire a persone, famiglie, imprese, di soddisfare i propri bisogni.

Promettiamo, insomma, cambiamenti magari più difficili, ma che varrebbero molto di più di 1.260 Euro lordi al mese.


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