Lunedì 3 giugno 2013, al parlamento toscano, si è svolto l'incontro pubblico sulla riforma elettorale regionale, voluto dal presidente della commissione Affari Istituzionali, Marco Manneschi.
Si è dimostrato un momento decisivo, in cui i principali leader toscani hanno scoperto le proprie carte e confermato la loro disponibilità a un compromesso.
Partiamo dalla cosa più importante, i tempi. Il presidente Enrico Rossi, seguito da tutti gli altri attori chiave della vicenda, ha confermato che entro dicembre ci sarà la nuova legge, la quale abrogherà le odiate liste bloccate.
La coordinatrice dei lavori sulla nuova legge, la consigliera Daniela Lastri, ha spiegato che un testo unitario arriverà ai primi di settembre nella commissione presieduta da Marco Manneschi e, due o tre settimane dopo, la proposta di legge arriverà in aula.Le due forze politiche più importanti del consiglio regionale, PD e PDL, sono intervenute attraverso i presidenti dei loro gruppi consiliari: Marco Ruggeri e Alberto Magnolfi.
Si sta ragionando attorno a un sistema che consenta la formazione di una maggioranza legata al presidente regionale eletto dal popolo, eventualmente al secondo turno, con una rappresentanza per tutte le opposizioni significative.
E' importante che stia crescendo il consenso attorno a un modello ispirato a quello che ha dominato la storia politica del Senato nazionale: elezione dei rappresentanti in collegi uninominali, con un ampio recupero proporzionale. Non mancano coloro che sono affezionati a collegi plurinominali, che però nel caso sarebbero molto piccoli, con liste cortissime, dove i nomi sulle schede sarebbero comunque stampati e la preferenza praticamente diventerebbe un voto quasi obbligatorio a una delle persone presentate da ciascun partito su un ristretto territorio.
Sia Ruggeri, che Magnolfi, sia la Lastri che il Manneschi, hanno confermato il loro impegno a convergere su uno dei due sistemi - collegi uninominali o piccoli collegi plurinominali - facendo sì che l'elettore possa e debba scegliere la persona, non solo il partito, ma senza tornare indietro al disastro delle vecchie preferenze facoltative all'italiana. E, hanno aggiunto Ruggeri e altri, impedendo che i costi delle campagne elettorali lievitino e che i partiti si autodistruggano in lotte fratricide, come accade nel caso delle lotte per le preferenze in grandi collegi.
Roberto D'Alimonte e Carlo Fusaro sono stati lucidi nel ricordare le ragioni scientifiche e storiche che depongono a favore dei collegi uninominali e comunque in favore di collegi piccoli e liste cortissime.
La professoressa Lorenza Carlassarre ha ricordato l'importanza di assicurare, in ciascun collegio, un'ampia possibilità di correre, all'interno di ciascun partito, per candidati diversi per genere e per età. L'elettore di un collegio ha diritto a scegliere il volto della persona che, alla fine, rappresenterà il suo partito.
Un problema, peraltro, che non si risolve con le preferenze, le quali, se sono più di una, anche nel caso della doppia preferenza di genere, sono sempre un elemento che conduce alla organizzazione di cordate in cui le minoranze organizzate prevalgono sulle maggioranze silenti. Occorrono primarie o altre forme di voto alla persona che siano, ribadiamolo, praticamente obbligatorie, se non si vuole il trionfo dei pochi sui molti.
Alcune provocazioni:
- sì a un turno di primarie obbligatorie in ciascun piccolo collegio, per far sì che siano gli elettori attivi a scegliere i candidati finali di ciascun partito; sì al finanziamento pubblico di queste primarie; i soldi spesi per far emergere dei leader locali sono un investimento per il futuro, non un costo improprio della politica;
- sì a un doppio turno, perché ci devono essere grandi partiti unitari, non grandi alleanze eterogenee;
- sì a collegi piccoli, preferibilmente uninominali, perché i territori devono selezionare leader locali unificanti;
- sì al recupero proporzionale dei migliori piazzati nei collegi; non c'è alcun
pregiudizio nell'essere il candidato recuperato, in una forza politica che non ha vinto il collegio; anzi, proprio così anche le forze minori saranno rappresentate
dai loro leader più combattivi, più credibili sul loro territorio;
- sì anche alla possibilità che le forze politiche, oltre ai candidati nei collegi, possano proporre una - piccola - testa di lista regionale, con differenze di genere e di età; non solo, quindi, il candidato governatore ma anche quelli che saranno i suoi più diretti collaboratori; ogni partito deve poter presentare, ci pare, anche i suoi "volti" regionali;
- sì a raccolte di firme online, per la totale trasparenza della presentazione delle candidature;
- sì a una limitazione del numero dei mandati consecutivi.
Il nostro cuore continua a battere per un modello competivivo di selezione della nostra classe dirigente. Crediamo nella bellezza del collegio uninominale, dove alla fine di un lungo processo, fatto di primarie e più turni di votazioni, si selezionano leader locali che possano rappresentare un punto di riferimento per il loro territorio.
La Toscana, dopo il dibattito degli ultimi tre anni, è un po' meno lontana da questo modello ideale.
Il governatore Rossi ha ribadito che gli piacerebbe che la riforma toscana arrivasse un minuto prima di
quella nazionale. Visto che Napolitano, Letta e Alfano si stanno
smarrendo dietro al varo dell'ennesima commissione di saggi, pensiamo
che sarà accontentato.
Noi aspettiamo, vediamo, vigiliamo.
Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso
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