Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso

giovedì 11 luglio 2002

Nessuna legge e nessuno stato


 

Archiviata qui dal vecchio sito di Toscana Libertaria, una intervista ad Alessandro Antichi, curata dall'autore di questo blog (Nda, 25/2/2011)



giovedì 11 luglio 2002 

Incontro con Alessandro Antichi
Oggi l'avv. Alessandro Antichi è il sindaco di Grosseto.
Domani vuole allargare il suo impegno alla Toscana. Sarà candidato a governatore?
Chi è questo uomo politico, che ha saputo raccogliere un consenso "arcobaleno",
dalla Casa delle Libertà, ai movimenti civici e locali, ai riformisti ribelli di sinistra,
mettendo fine all'egemonia politica della Sinistra in Maremma?
Una persona moderata e misurata, cattolico e liberale fino al midollo.
Crede in parole come attaccamento, coscienza, onore, e crede, prima di tutto, nella libertà:


"Nessuna legge e nessuno Stato possono negare all’uomo la sua umanità, le sue relazioni, i suoi affetti."
Sindaco Alessandro Antichi, lei è un uomo di 44 anni, avvocato. Ha sempre vissuto e lavorato a Grosseto. E’ sposato e ha quattro figli. E’ sindaco per la seconda volta della sua città. Cosa stiamo dimenticando di importante?
La mia irresistibile attrazione per i libri? Ne leggo anche quattro alla settimana, ma questo riguarda solo me. Forse dovrei ricordare i ruoli di rappresentanza degli Enti locali che mi sono stati conferiti in questi anni: mi riferisco al fatto di essere responsabile nazionale dell’ANCI (l’Associazione nazionale dei Comuni italiani) per il settore-servizi pubblici, e di rappresentare i Comuni medi nella conferenza Stato-Città (organismo di consultazione della presidenza del consiglio, previsto dalla legge). Faccio anche parte del consiglio di amministrazione del Formez, l’agenzia di studi e formazione di Palazzo Chigi. Avrò detto tutto?
Tre cose importanti che lei ha fatto per la sua comunità, da quando è diventato sindaco di Grosseto, nel 1997.
Credo innanzitutto di essere riuscito a convincere i Grossetani che la nostra non è la terra della solitudine, dell’emarginazione e dei sogni di cambiamento destinati a restare tali. Ci sono riuscito grazie ad una politica del fare (ricordate il “governo di famiglia” di Leopoldo II?) che ha prodotto veramente risultati straordinari, in termini di investimenti, di moltiplicazione dei servizi, di trasformazione del volto urbano, di realizzazioni concrete. Opere attese da decenni (perché ciascuna poteva diventare un volano potente di promozione del territorio e rilancio economico-occupazionale) che in una manciata di anni sono state tirate fuori dai cassetti: è bastato questo per mettere in moto un circolo virtuoso che sta coinvolgendo cittadini e imprese fino a farci diventare – rilevazioni Censis alla mano – la provincia toscana più dinamica. E poi: riscoprire tutti insieme il senso dell’appartenenza, del sentirsi comunità. Identità e radici: con il recupero e la restituzione alla fruizione collettiva di luoghi-simbolo del tessuto storico-architettonico, ma anche con l’insediamento di un polo universitario dall’offerta scientifico-didattica sempre più ricca, articolata e originale. Siamo un popolo con un passato importante di cui andare orgogliosi, senza pigrizie o sensi di inferiorità, ed un futuro al quale guardare con rinnovata fiducia.  La terza cosa? Creare un clima, un sistema, di nuove libertà. Libertà di avanzare un’idea e presentare un progetto sapendo di trovare finalmente nell’Amministrazione porte aperte. Restituire a tutti una voce, uno spazio, un legittimo primato, al di là della stessa politica, al di là dei partiti o delle appartenenze. Una formula grazie alla quale siamo riusciti ad attrarre nel nostro territorio centinaia di miliardi di (vecchie) lire di investimenti esterni. Una formula che da sola vale tutti insieme i tanti risultati messi a segno in questi anni (un elenco lunghissimo e incoraggiante). Una formula che ha convinto e contagiato. E che resterà nel tempo – ci conto - anche quando passerò il testimone. Perché ormai sono comportamenti, culture, che appartengono a tutti: ed era proprio questo quello che volevo. No, in questi pochi anni non c’è davvero stato il tempo di annoiarsi.
Perché i suoi concittadini l’hanno riconfermata, sindaco, nel 2001?
Perché sono riuscito a fare tutte le cose che avevo promesso e anche di più, credo. Perché tanti di loro (il 58%) si sono sentiti liberi di accordarmi fiducia e consenso anche ben al di là degli schieramenti.
Per Grosseto un sindaco liberale e moderato è stata una rivoluzione. Finalmente l’alternanza... Ma cos’è cambiato davvero?
E’ cambiato tanto: e il  punto vero è che non sarà più possibile, comunque vadano le cose, tornare indietro. Perché la gente si è riappropriata di un nuovo protagonismo, ha capito che volendo si può voltare pagina ogni volta che è necessario, che non esistono più oligarchie blindate e rendite di posizione. Oltretutto, la doppia sconfitta alle comunali a Grosseto ha fatto venire a galla in tutta la sua portata una crisi della sinistra locale che è davvero devastante. Sono a corto di idee e di uomini, divisi su tutto. Difficilmente si inseriscono nel dibattito sulle cose che contano per il futuro della città, avanzando una proposta forte. E’ come se l’aver perso il potere avesse fatto emergere un vuoto profondo, che non sanno colmare.
E dentro di lei cos’è cambiato?
Sono sempre lo stesso, con in più una consapevolezza: ogni volta che faccio una scelta non ne va della mia sola vita o di quella della mia sola famiglia, ma si tratta di questioni che possono riguardare i destini di decine di migliaia di persone. Si chiama responsabilità del ruolo, tanto più alta quanto più è vasto, come nel mio caso, il consenso popolare.
Riesce ancora a lavorare come avvocato o fa il sindaco a tempo pieno?
Faccio il sindaco a tempo pieno eppure tutto sommato riesco a non trascurare del tutto la professione. Ma solo grazie al fatto che i miei colleghi di studio – che è uno studio associato – sono amici fraterni, di antichissima data.
Ce la fa a sbarcare il lunario con moglie e quattro figli?
Quello che è sicuro è che, da questo punto di vista, fare il sindaco è una rimessa. Se continuassi a fare l’avvocato a pieno regime i conti di casa andrebbero decisamente meglio.
Il momento più felice e quello più frustrante della sua vita politica.
Quello più felice sicuramente la prima elezione: perché fu come afferrare un toro per le corna, guardarlo negli occhi e potergli dire: ho vinto io, hanno vinto i Grossetani, dopo cinquant’anni qualcuno ha detto basta e ce l’abbiamo fatta. C’era il senso di una svolta epocale, l’aver vinto una sfida giudicata impossibile. Quello più frustrante arrivò poco dopo: non si inventa una classe dirigente dalla sera alla mattina e, all’interno della nostra stessa coalizione, all’inizio ci furono svariate fibrillazioni. Lo definisco frustrante, quel momento, per la grande sproporzione che c’era tra queste fibrillazioni – del tutto apolitiche – e l’importanza della stagione politico-amministrativa che si era appena aperta. Poi le cose sono nettamente migliorate, per fortuna. Le persone, i rapporti – e la politica – sono andati via via molto maturando.
Lei è credente e cattolico. Le sue convinzioni c’entrano con il suo lavoro politico quotidiano? L’aiutano? O la ostacolano?
Per un uomo di fede, la fede è un aiuto sempre. Sono un cattolico liberale: una cultura politica forte ed un ancoraggio interiore altrettanto importante. La politica ha la sua autonomia, i suoi tempi, i suoi compromessi, ma non può decidere tutto, sostituendosi all’etica e alla libertà personale di ciascuno. Questo proprio no.
Lei è sostenuto dai partiti della Casa della Libertà e da movimenti civici e locali. Le riconoscono il ruolo di capo dell’alleanza?
Ci sono ruoli che non derivano da investitura divina ma si guadagnano sul campo. Penso che questo sia uno di quei casi. Ci vuole leadership, ovvero: capacità di fare squadra, lavorare insieme, per obiettivi comuni. Far crescere – appunto – una nuova classe dirigente.
Citi il nome di due colleghi sindaci della Toscana, possibilmente uno di centrodestra e uno di centrosinistra, con cui ha rapporti di autentica stima e collaborazione.
Fra i tanti: Monica Faenzi, da un anno sindaco di centrodestra di Castiglione della Pescaia, e il sindaco diessino di Firenze Leonardo Dominici. Mi spiego. La Faenzi è stata mio assessore a Grosseto durante il primo mandato: per lei è stata una grande palestra e con lei nel 2001 siamo riusciti ad esportare in altri pezzi importanti della provincia, tradizionalmente governati dalle sinistre, il modello grossetano. Una bella soddisfazione. Dominici, invece, oltre che sindaco di Firenze è il presidente nazionale dell’ANCI, e lavoriamo insieme sul serio.
Chi comanda nella Casa delle Libertà in Toscana, oggi?
Bella domanda. La Toscana della Casa delle Libertà oggi esprime autorevolissimi esponenti delle Istituzioni e del governo, dalla seconda carica dello Stato - il presidente del Senato Marcello Pera - in giù. Ed ha in Altero Matteoli, candidato nel 2000 alla presidenza della Regione, un ministro di grande spicco ed un forte riferimento politico. Fate voi.
Cosa vuole la Casa delle Libertà per la Toscana, oggi?
Esportare il modello grossetano in tutta la regione, spero.
Lei è stato presentato pubblicamente, mercoledì 17 aprile scorso, come un possibile candidato governatore della Toscana nel 2005, per il centrodestra. Com’è andata?
E’ andata che ho semplicemente, e volentieri, ceduto alle pressioni di un giornalista bravo e curioso,  che è andato a ficcare  il naso proprio nell’ipotesi su cui stavamo ragionando da qualche tempo con alcuni amici dello schieramento. Si tratta di una proposta che mi è stata realmente avanzata e che ho creduto opportuno sottoporre sin dai primi passi alla pubblica discussione. Qualcuno ha detto che ho fatto male a raccontare la verità: troppo presto, troppo ‘a freddo’, eccetera eccetera. Ma io sono fatto così: è una ipotesi di cui si discute, che c’è di strano a parlarne senza dover passare per forza attraverso le solite liturgie e i no comment poco credibili?
Ci sono altri candidati? Ci sarà un dibattito? Come e attraverso che passaggi lei diventerà davvero il candidato governatore per il centrodestra, per le elezioni del 2005?
Spero bene! Spero che ci sia dibattito, proposte diverse da valutare tutti insieme. Spero si trovi il modo di raccogliere l’opinione della gente, a cominciare da quella che vive nelle cosiddette ‘periferie’ (in senso geografico e… politico-culturale). Alle candidature imposte dall’alto non ci crede più nessuno. E hanno vita breve. Io intendo fare il sindaco fino in fondo, ma sarei orgoglioso di poter servire la mia gente, la gente di Toscana, in questo o in altri modi, nei prossimi anni.
Cosa pensa che accadrà di importante, da ora al 2005, in Toscana?
Dato l’andazzo impresso dal governo regionale, temo niente. Purtroppo. Si tratterà di fare una bella traversata nel deserto, altro che! Intendiamoci: nel mio attuale pezzo di Toscana spero che almeno una cosa in questi anni venga fatta. Parlo del completamento dell’autostrada nel tratto Civitavecchia-Livorno. Il governo nazionale questa volta fa sul serio. E a tutti noi è chiesto di discutere rapidamente un tracciato ragionevole. Sarebbe un evento paradigmatico, per marcare la differenza con decenni di chiacchiere a vuoto e un’idea antistorica del nostro territorio. Un’idea che resiste solo in certi ‘vip della Maremma d’estate’ o in certi intellettuali tristi alla Martini (l’attuale governatore della Toscana, ndr).
Cosa sogna per la Toscana?
Rischio di ripetermi, ma consentitemelo: sogno l’applicazione su scala regionale del modello grossetano. Fare comunità, intraprendere strade nuove, rimettere in moto lo sviluppo. In una parola: riscoprire un nuovo senso di “avventura”. Dice Vittorio Mathieu che la parola avventura nasce contemporaneamente all’Europa, cioè nasce dal latino dei Franchi come neutro plurale: ad ventura, le cose che ci vengono incontro e che non sono soltanto imprevedibili, ma ci vengono incontro in un modo un po’ particolare, cioè a patto che andiamo verso di loro. Non le cerchiamo, perché non sappiamo che cosa siano. Però se non ci muovessimo noi, non ci verrebbe incontro l’inaspettato. L’Europa nasce da questo senso o istinto di ricerca, non di qualcosa che si sa cosa sia, ma di qualcosa che non si sa cosa sia.
Cosa vorrebbe che i Toscani facessero per se stessi?
Che ritrovassero lo spirito autentico e migliore della nostra gente, abbandonando la schiavitù delle convenzioni e del conformismo. Conformismo intellettuale, culturale, politico. Un pizzico di coraggio in più. Concedersi il lusso di andare una buona volta controcorrente. L’abbiamo sempre fatto, storicamente, e poi questo spirito si è indebolito. Parlo del coraggio di cambiare.
Lei giudicherebbe burocratica e sprecona l’attuale Regione Toscana?
Persino quelli che beneficiano di questo modello, in fondo in fondo, lo giudicano tale! Finanziamenti a pioggia, incentivi e contributi erogati con il lanternino politico, un sistema autoreferente che sta perdendo vistosamente il contatto con la realtà. Ripeto: persino quelli che ci stanno dentro sanno di essere premiati da un sistema distorto.
Quale potere della Repubblica Italiana lei vorrebbe che venisse restituito al governo della Toscana? O ne ha già troppi?
Appunto: ragionare in un’ottica di ‘più poteri’ significherebbe sposare una prospettiva sbagliata. Il ruolo dell’istituzione oggi si rifonda nella capacità crescente di creare sempre maggiori opportunità. Piuttosto che neo-centralismi, apparati elefantiaci e pianificazioni astratte, per servire al meglio gli interessi delle diverse comunità ci vuole un modello di integrazione vera con le altre autonomie locali e quella che si chiama ‘sussidiarietà orizzontale’. E questo è proprio uno dei tratti della ‘nuova Regione Toscana’ che dovrebbero essere disegnati con la riforma, in corso, dello statuto: riservare alla Regione un potere legislativo vero (che significa fissare le regole generali) e demandare invece l’attività amministrativa, di governo del territorio, a chi sta sul territorio, cioè i Comuni e le Province.
Contadini, commercianti e industriali della Toscana stanno diventando euroscettici, per l’eccesso di dirigismo e di burocrazia dell’Unione Europea. E lei?
Io penso che sarebbe un errore gravissimo prendersela con l’Europa in sé, piuttosto che con gli errori e i limiti di questa stagione di avvio oltre che con i pruriti di egemonia di altri Stati membri, per i quali la tentazione di frustrare il fenomeno-Italia è sempre fortissima. Direi che ci vuole anche più Italia, in questa Europa. E mi pare che il nostro governo, in questo senso, abbia imboccato sin dall’inizio la strada giusta, a partire dalla tutela della nostra produzione agricola e industriale.
Nei prossimi anni si potrà decidere se la Toscana dovrà avere un parlamento eletto con la proporzionale, o all’inglese con l’uninominale. Lei che ne pensa?
Credo che, sul terreno del sistema politico-elettorale, dovremo smetterla definitivamente prima o poi di guardare al passato, con le quote di proporzionale e così via. Ci vorrà tempo ma l’importante è non tornare indietro, marcare un’opzione netta per il maggioritario vero, uniformare le formule (la Camera con sistema misto maggioritario-proporzionale, il Senato maggioritario corretto, le Europee proporzionali, le elezioni regionali, provinciali, comunali, tutte con sistemi diversi... ). Sì all’uninominale, insomma, a tutti i livelli e con modalità semplici, chiare, comprensibili a tutti i cittadini elettori. E sì anche ad un sistema di stampo più marcatamente presidenzialista. Anche su questo, nell’occasione della riforma dello statuto regionale, ci vuole una svolta seria.
Passiamo a delle questioni scottanti, su cui è diviso anche il pubblico più liberale e libertario. La facciamo questa parità fra scuole di stato e scuole promosse da comunità e associazioni private, o difendiamo il primato della scuola statale?
Se noi non facciamo questa uguaglianza, sono le cose a farsi in proprio una disuguaglianza di fatto: scuola pubblica squalificata e poco formativa da una parte, scuola privata per chi può dall’altra. Gli ultimi anni, soprattutto, per la scuola di Stato sono stati gli anni del massacro, quasi ci si fossero messi d’impegno per massificare i giovani nell’ignoranza e a bucare le gomme del corpo docente. Chi può è scappato e adesso la strada è tutta in salita. Restituire dignità e spessore ai percorsi didattici, rimotivare gli insegnanti, per rilanciare come è giusto la scuola pubblica: una fatica improba, di generazioni, ma necessaria. In questo quadro, una sana concorrenza, un autentico pluralismo o – se si preferisce – una formula di vera sussidiarietà – non può che giovare al sistema dell’istruzione.
Un esempio di discriminazione reale, mentre si parla tanto, in astratto, di rispetto: le persone che vivono sole, le coppie omosessuali, le famiglie di fatto non unite in matrimonio, chiedono di poter entrare liberamente negli ospedali a visitare e a curare i propri cari, anche se non sono parenti legali. Che si fa?
Nessuna legge e nessuno Stato possono negare all’uomo la sua umanità, le sue relazioni, i suoi affetti.
Che pensa delle politiche proibizionistiche in materia di consumi personali, sesso e cure?
Penso che la politica dovrebbe esercitare con grandissima prudenza il proprio potere e non ubriacarsi mai della pretesa di poter orientare o decidere i destini dei singoli. Capire che la propria ‘missione sociale’ corrisponde al dovere di garantire la libertà di ciascuno. Evitare di considerare assoluta una propria etica, personale o di gruppo, applicandola come sistema. Ma c’è di peggio, proprio in materia di cure: in un caso come la sperimentazione del metodo Di Bella, lo Stato, il ‘sistema’, la ‘cupola’ dei poteri baronali medico-ospedalieri e delle case farmaceutiche hanno fornito una prova davvero scandalosa. Difendevano solo se stessi, negando il diritto della scienza a conoscere gli esiti di una sperimentazione vera e quello della gente a fare una scelta consapevole per la propria vita e la propria salute. Chi ha voluto tentare comunque, si è caricato di oneri economici pesanti (a fronte di sprechi miliardari nella sanità pubblica) e come se non bastasse viene trattato come un clandestino. Non è questo, la politica. La politica sicuramente deve essere moderata e misurata, ma deve lasciare opportunità e libertà di scelta.
Quando la società è divisa fra proibizionisti e antiproibizionisti su alcuni temi, come la marjuana o la prostituzione, lei chi pensa che dovrebbe decidere? Il parlamento o il popolo?
Si deve cercare di esercitare in modo compatibile diritti e doveri. Il legislatore – che sia il popolo direttamente o un parlamento - deve fermarsi sulla porta della vita personale, ma non un metro prima: scoraggiare l’abuso della propria persona che ne metta a rischio l’integrità psico-fisica (è la nostra stessa Costituzione a chiedere questo vincolo); evitare le ‘ricadute’ in termini di rischio sociale (microcriminalità, violenza nelle case, risse nei quartieri, guida pericolosa, eccetera); informare; fare prevenzione. Lo deve fare, ma senza ipocrisie: perché a volte certe scelte proibizionistiche (esemplare il caso dell’aborto) servono solo a salvare la faccia, mettersi a posto la coscienza e ingrassare di fatto un mercato parallelo. Poi, oltre quella porta, c’è la dimensione privatissima delle scelte di vita personali, dove a regolarci c’è un altro genere, altissimo, di responsabilità.
Diamo per scontato che l’Europa vuole frontiere aperte ma solo ad una immigrazione legale. Lei chi pensa che dovrebbe decidere le quote?
Intanto tutta l’Europa deve impegnarsi perché l’immigrazione avvenga nella legalità. I grandi paesi centrali devono aiutare i paesi di frontiera nell’affermazione della legalità. Le quote non mi convincono del tutto... Temo che si voglia programmare troppo... Ma finché ci sono le quote, ritengo che le città e le comunità locali dovrebbero dire la loro sul numero dei visti e dei permessi di lavoro che si ritiene di poter dare.
Dopo quanti anni di residenza lei chiederebbe a un immigrato legale di diventare cittadino a tutti gli effetti, assumendosi ogni responsabilità? Ritiene che ci dovrebbe essere un filtro, tipo un esame di lingua italiana, un giuramento, una valutazione da parte dei suoi vicini di casa?
A parte i vicini di casa (che spesso sono i peggiori nemici anche nei nostri condomini), giriamo la domanda. Dopo quanti anni di residenza come immigrato legale un Italiano ottiene la residenza in un paese straniero? Deve imparare la lingua di quel paese o può sempre contare su canali riservati (scuole ad hoc per i propri figli e così via)? Quante leggi, usi e convenzioni del suo nuovo Stato deve imparare ad osservare? Insomma, ci risiamo: le libertà si nutrono necessariamente di doveri, e questo vale per tutti, in condizioni di reciprocità. In qualunque altro caso, parlare di solidarietà o integrazione è un esercizio di retorica, ipocrisia e malafede politica.
Nei giorni scorsi, il 4 luglio, si è festeggiato il giorno dell’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, a cui ha contribuito anche il toscano Filippo Mazzei. Lei cosa pensa degli USA?
Che siano una specie (passatemi l’espressione) di ‘mostro’ a mille teste, valga per tutti l’esempio dei recenti scandali finanziari, che tuttavia possono emergere ed essere avvertiti come tali, grazie ad un diffuso e radicato senso del primato del diritto e delle regole che da noi rappresenta ancora un miraggio. Alcuni di questi volti corrispondono ad autentici pilastri della democrazia internazionale, altri a pesanti contraddizioni in materia di politica estera e di protezionismo commerciale. L’Italia deve molto agli Stati Uniti, ma ha dato anche tanto: come accade puntualmente tra vincitori e vinti dopo una guerra. Io continuo a volere più Europa, accanto agli USA. E la marcia di avvicinamento della Russia di Putin è uno degli eventi più positivi di questo tormentato inizio di nuovo millennio. Piuttosto bisognerebbe tutti (e soprattutto i critici della “globalizzazione”) riflettere non solo sul ruolo attuale degli Stati Uniti nello scenario mondiale, quanto su come gli USA siano divenuti, nell’arco di soli duecento anni, la più grande potenza mondiale. Ho trovato, su questo argomento, molto istruttivo e stimolante il recente lavoro di Hernando De Soto sui “misteri” del capitale. Ma anche la storia di Filippo Mazzei, eclettico illuminista toscano (esportatore anche dei nostri valori in campo … enologico!) mi pare interessante, soprattutto per scoprire o riscoprire che ruolo hanno avuto, e potrebbero ancora avere, i Toscani nella costruzione di un mondo più libero.
Lei è mai stato a Pitigliano, la piccola Gerusalemme della Toscana?
Ho fatto di più: all’inizio della mia carriera, giovanissimo, sono stato pretore onorario proprio a Pitigliano. Di recente vi sono tornato per la Giornata della Memoria: è un pezzo di Toscana – e di storia del mondo – che non lascia mai indifferenti e allarga per forza l’orizzonte dei propri pensieri.
Lei è mai stato in Israele? Cosa ne pensa?
Non ancora. Ci sono andate le mie figlie, in visita ai Luoghi Santi. Spero di andarci presto e di trovare il paese in pace. Sono stato anche vicino al mondo giordano-palestinese. Da sindaco ho tentato un gemellaggio fra Grosseto e Ramallah. Poi, recentemente, a Firenze, durante una manifestazione istituzionale, per aver difeso Israele e la sua democrazia e per aver accennato alle contraddizioni della c.d. “lotta di liberazione palestinese” mi sono preso del “fascista” e dell’  “assassino” dalla piazza. Perché, mi chiedo, perché? Israele deve vivere sicura. Gli Arabi dei Territori dovranno avere il loro autogoverno. L’odio e la semplificazione di questi slogan aiutano queste prospettive?
Lei si sente sicuro nella sua vita quotidiana? E cosa sta facendo a Grosseto o cosa farebbe, da governatore della Toscana, per sentirsi più sicuro e farci sentire più sicuri?
Non me ne vogliate, ma questo è proprio uno di quei casi in cui vorrei davvero esportare il modello grossetano, se possibile. Perché, classifiche alla mano (da quelle condotte da Datamedia a quelle sistematicamente riportate dal Sole 24ORE), risulta che Grosseto è la città più sicura dell’intera regione e ai primissimi posti della classifica nazionale. Non si può però nascondere che a Grosseto la sicurezza (e la relativa percezione da parte dei cittadini) sono il risultato di componenti, anche culturali, difficilmente riproducibili in altri contesti. Ci si deve provare, tuttavia.
Dove passerà la festa dell’Assunta, il Ferragosto prossimo?
A Grosseto la festa di S.Rocco del 16 agosto è forse più importante dell’Assunta, perché S.Rocco è il vecchio nome di Marina di Grosseto. In quei giorni spero di essere pronto per presentare il progetto del recupero della Fortezza medicea che è appunto il forte di S.Rocco. Quindi sarò al mio posto di lavoro come sindaco. La sera sarò nella casa nuova, quella più grande che aspettiamo da quando è nata l’ultima dei miei quattro figli. Lì avrò finalmente lo spazio per continuare a cedere alla mia irresistibile attrazione per i libri: tirarli fuori dalle scatole, riordinarli, rileggerli, riscoprirli.
a cura di Mauro Vaiani (vaiani@unipi.it )

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