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giovedì 29 agosto 2013

Guerra alla Siria? No!

La Siria è un paese dilaniato da una atroce guerra civile.
Alcune potenze occidentali, dice la stampa internazionale, si stanno preparando a bombardarla.
Ovviamente noi conosciamo solo la narrazione, la retorica, con la quale i governi americano, inglese, francese e turco, stanno giustificando questa loro grave iniziativa. Quanto viene prospettato, tuttavia, ci sembra profondamente sbagliato e bene ha fatto la ministra degli esteri italiana, Emma Bonino, a marcare la distanza italiana da una operazione che, francamente, ci sembra crudele e improvvida.
Bombardare la Siria è sbagliato.
Provo a elencare con semplicità i principali motivi di questa mia convizione.
Primo, non abbiamo ancora alcuna certezza su chi e perché abbia usato armi chimiche vietate dal diritto internazionale. Come riconosce anche un interventista convinto come Ian Hurd, non ci sono assolutamente basi giuridiche sufficienti per scatenare un attacco legale alla Siria. La scomoda verità è che, come è accaduto in ogni altro conflitto contemporaneo, potremo perseguire i responsabili di eventuali violazioni del diritto bellico, solo dopo la fine della guerra, non finché essa è in corso.
Se si disorienta l'opinione pubblica annunciando spedizioni punitive, si mente e allora si giustifica il sospetto che coloro che si vestono da giustizieri non siano altro che pistoleri.
La retorica del presidente Obama rischia di trascinare gli USA in una guerra sbagliata e illegale.
Sono estremamente preoccupato dal pericolo che la politica americana possa essere nuovamente dominata da una cupa hubris interventista, come quella che peraltro è adombrata negli scritti di Samantha Power, l'attuale ambasciatore USA all'ONU.
Secondo, se anche si riuscissero a trovare ragioni sufficienti per giustificare una guerra alla Siria, bombardare dall'alto e da lontano un paese spaccato in due, o tre, dalla guerra civile, è stupidamente feroce, prima ancora che sbagliato. Se abbiamo davvero delle forze che possono giocare un ruolo, dovremmo usarle per facilitare l'armistizio fra le parti che si stanno combattendo sul campo.
Armistizio che, sia detto per inciso, non è mai stato così vicino, dopo due anni di guerra, proprio perché oggi le parti sono in possesso di proprie roccaforti vitali. Analisti di diversa formazione e di opposti schieramenti riconoscono che sarebbe possibile una tregua duratura, fondata sulla partizione della Siria in almeno tre parti: un nord in mano ai ribelli; un rifugio orientale per la minoranza curda; mentre la costa, Damasco e il centrosud resterebbero in mano all'attuale regime nazionalsocialista di Bashar al-Assad.
Dopo un bombardamento occidentale, invece, l'attuale equilibrio potrebbe venir fatalmente alterato. Le fazioni si radicalizzerebbero. Le vittime innocenti si moltiplicherebbero.
Terzo, il successo di un attacco occidentale alla Siria è davvero improbabile, mentre le ricadute geopolitiche negative sarebbero gigantesche. Sono scarse le probabilità di colpire con successo obiettivi anche molto limitati e ben circoscritti, come arsenali e impianti, secondo osservatori attenti come quelli di Stratfor. Le conseguenze dei bombardamenti, invece, sugli equilibri già precari di Libano, Israele, Cisgiordania, Gaza, Iraq, Egitto, potrebbero rivelarsi disastrose.
Chiudo ricordando, amaramente, che in Occidente e in particolare negli USA, l'intera crisi siriana è stata fraintesa sin dall'inizio. L'opposizione ad Assad non ci pare proprio formata da donne, giovani e intellettuali della Primavera araba, i quali avrebbero sicuramente scelto metodi di resistenza nonviolenta di massa, non la guerra civile.
Questi rivoltosi hanno scelto di combattere Assad con la forza e, come ci hanno insegnato i maestri della nonviolenza contemporanea, da Gandhi a Gene Sharp, lo scontro armato è il terreno su cui i regimi non solo sono forti, ma spesso si rafforzano.
Né possiamo sorvolare sul fatto che, come molti hanno sospettato sin dall'inizio, donne, giovani e intellettuali, in questa crisi, sembrano stare dalla parte del regime nazionalsocialista del clan Assad, e non certo dalla parte di Al-Qaeda e Arabia Saudita, che sono fra i maggiori sponsor della ribellione.
Ce n'è abbastanza, mi pare, per riflettere, riflettere, riflettere ancora.
Non guerra, quindi, ma tregua per la Siria.
Tregua subito.

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