di Mauro Vaiani
E' iniziato il 2011, l'anno in cui il Consiglio regionale toscano dovrà ridiscutere la propria legge elettorale. C'è la promessa solenne del governatore Rossi. C'è un consenso diffuso attorno ad alcuni principi che, come ha ricordato Carlo Fusaro sul Corriere Fiorentino, il 4 gennaio scorso, fanno parte del dibattito toscano su una migliore selezione del personale politico, sin dall'inizio degli anni 2000.
C'è anche il consenso trasversale di quei consiglieri di sinistra, di centro e di destra, che sono fortemente radicati nei propri territori e determinati ad ascoltare la richiesta di cambiamento che proviene dai loro elettori.
C'è l'opportunità, che soprattutto le forze di centrosinistra e quelle che vogliono rinnovare il centrodestra non possono non cogliere, di mandare un segnale forte alla palude romana, perché anche lì si provveda ad andare oltre il Porcellum.
Antonio Floridia, il direttore dell'Osservatorio elettorale della Regione, uno dei principali esperti toscani - e non solo - di elezioni e di sistemi elettorali, ci ha ricordato che la legge elettorale nazionale somiglia solo superficialmente alla nostra legge toscana.
Se Calderoli ci ha copiato, lo ha fatto davvero male, sfigurando le intenzioni del legislatore toscano.
Basti ricordare, a questo proposito, che le nostre circoscrizioni sono molto più piccole di quelle nazionali. Funzionano in modo molto simile a circoscrizioni uninominali.
Le primarie, inoltre, per chi lo ha voluto e chi ci ha seriamente provato, come la più grande forza politica toscana, il PD, sono ormai una prassi consolidata, un processo competitivo e selettivo a cui hanno partecipato nel 2009 oltre 110.000 cittadini toscani.
Il disagio contro le primarie che periodicamente riemerge fra i Democratici, ammesso e non concesso che non sia solo mera resistenza di casta, sa molto di nostalgia della politica di una volta. A nostro parere non riuscirà a fermare lo sviluppo di questo potente strumento di partecipazione degli elettori alla scelta dei loro leader naturali.
La Toscana, quindi, non parte da una “porcata”, ma da una esperienza che ha già valorizzato collegi piccoli, che consentono una rappresentanza a tutti i territori, e da regole che già prevedono l'organizzazione di primarie.
A coloro che hanno nostalgia delle preferenze, ci permettiamo di ricordare che sono vent'anni che lottiamo per superarle.
Il 9 giugno 1991 la maggioranza assoluta dei cittadini italiani andò a votare sì nel referendum per l'abolizione delle preferenze all'italiana. Fu abbattuto un sistema che consentiva a ristrette minoranze organizzate di scegliere gli eletti all'insaputa della maggior parte degli elettori. Fu un primo segno di rivolta popolare contro lo strapotere delle fazioni, il clientelismo, la corruzione, gli eccessivi costi e lo scarso rendimento della politica.
Dobbiamo respingere la tentazione di guardare indietro, al vecchio rapporto, sempre ambiguo, fra l'eletto e i “suoi”, coloro che gli hanno dato la preferenza, sostenitori e clienti. Il ritorno delle preferenze, vent'anni dopo, oltre che avere qualcosa di beffardo, ci parrebbe un segno di perdita di memoria storica e di cultura istituzionale.
Guardiamo invece avanti, verso i collegi uninominali, che esaltano la responsabilità dell'eletto rispetto a tutta l'opinione pubblica del suo territorio. Coniugandoli pure, come accadeva una volta per l'elezione del Senato o come accade oggi per le province, con regole che consentano il recupero di rappresentanti anche per le forze minori.
Ci servono, infine, regole chiare e trasparenti, aperte e competitive, per la scelta del candidato di ciascun partito in ciascun collegio. Norme che siano uguali per tutte le forze in campo e che inizino a delineare quello “statuto pubblico” dei partiti, che è anch'esso, già da tempo, argomento di un fecondo dibattito, soprattutto qui in Toscana.
Firenze - Pisa, sabato 8 gennaio 2011
Mauro Vaiani
vaiani@unipi.it
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