Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso

lunedì 5 luglio 2004

Eurocostituzione, eurovoto

Archiviamo qui questo articolo eurocritico, originariamente pubblicato nel luglio 2004 su http://www.liberalcafe.it (Nda di mercoledì 23 marzo 2011).

E’ arrivato il momento, per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, di votare su un trattato internazionale, così come hanno già deciso di fare Francia, Inghilterra e altri paesi membri dell’Unione Europea. Non è uno dei tanti trattati che il nostro governo firma e il parlamento italiano ratifica. E’ il trattato che istituisce la Costituzione europea.
Il 18 giugno scorso i capi di stato e di governo dell’Unione Europea hanno raggiunto l’intesa su un atto di ulteriore integrazione politica dei 25 stati membri. Il progetto di trattato è consultabile integralmente, in una versione provvisoria ma consolidata, a questo link: http://ue.eu.int/igcpdf/en/04/cg00/cg00086.en04.pdf.
Le 325 pagine del trattato hanno due scopi principali: dare ai popoli di tutti i suoi stati membri una costituzione comune, che li unisca ancora più fortemente di quanto non faccia l’attuale sistema dei trattati in vigore; conservare e consolidare il cosiddetto “acquis” comunitario, cioè la quantità imponente di leggi e norme che il sistema comunitario ha prodotto in oltre cinquanta anni di storia.
La Costituzione europea verrà firmata solennemente a Roma il prossimo 29 ottobre, cioè nel luogo in cui furono firmati i Trattati di Roma. Forse non è inutile ricordare cosa avvenne nella capitale italiana 47 anni fa. Il 25 marzo del 1957 furono firmati i trattati che istituivano la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom). I trattati furono firmati “per una durata illimitata” (artt. 240 del trattato CEE e 208 del trattato Euratom). Queste due istituzioni sono diventate l’odierna Unione Europea, che ha assorbito anche la più vecchia Comunità europea del carbone e dell’acciaio, che era stata fondata a Parigi nel 1951, e la meno nota Unione Europea Occidentale, che costituiva una specie di club europeo interno alla NATO.
L’Unione Europea è sempre stata, sin dalla sua fondazione, un progetto di integrazione. Il suo scopo è quello di dare vita, gradualmente ma progressivamente, ad un superstato europeo, capace di diventare nel mondo un gigante economico, militare e politico come gli USA, come una volta l’URSS, come domani saranno, forse, la Cina e l’India.
Importanti correnti della vita politica italiana non hanno mai voluto veramente questo, preferendo tenere ancorato il nostro paese alle istituzioni internazionali che ci legano agli Stati Uniti e all’insieme dei paesi occidentali (inclusa la Russia post-comunista). Hanno comunque contribuito al processo d’integrazione europea, perché hanno creduto nel mercato unico, in una certa armonizzazione delle legislazioni, in una sola valuta forte per l’intero continente.
Oggi il bilancio dell’Unione Europea viaggia sopra i 100 miliardi di Euro già a partire da questo primo anno di allargamento a 25 membri, di cui non meno di 6 sono spesi dall’eurocrazia per il suo funzionamento. L’Italia versa all’Unione oltre 11 miliardi di Euro e ne riceve indietro, con i decantati “finanziamenti europei”, meno di 8. L’Italia, in pratica, rimettendoci circa 3 miliardi di Euro all’anno, finanzia per metà la sopravvivenza dell’eurocrazia. 11 dei 25 paesi membri dell’Unione hanno la tanto sospirata moneta unica ed è evidente quanto sia dura, per tutti, vivere con una moneta unica così forte, prigionieri di un meccanismo di convergenza dei prezzi (non dei salari…) che ha avuto e avrà per anni conseguenze psicologiche ed economiche gigantesche. In Italia, la terribile e quotidiana sensazione è che uno stipendio di 1.000 euro ci sembra valere la metà di quello che valeva quando era di 2 milioni di vecchie lire.
L’eurocrazia è diventata un meccanismo gigantesco e complicato, vorace e incontrollabile.
Costa troppo per essere solo un mercato unico. E’ troppo verticistico e dirigistico per ispirare fiducia come possibile repubblica comune di tutti gli Europei.
La marcia verso l’integrazione europea è sembrata inarrestabile e sorretta dal conformismo di massa per quarant’anni (con l’unica eccezione del voto contrario del popolo norvegese all’ingresso nello spazio comunitario, nel 1973, dopo che il suo governo per anni aveva chiesto, trattato e infine ottenuto l’ingresso). Qualcosa si incrinò solo dopo la firma del trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, che creava la moneta unica e imponeva nuove drastiche forme di convergenza ai paesi membri dello spazio comunitario. La Danimarca, con un referendum lo bocciò. Uno dei più piccoli paesi dell’Unione dette inizio, con il suo libero voto popolare, ad un fecondo processo di lenta, faticosa ma necessaria uscita dal “pensiero unico europeista”.
L’eurocrazia è lontana dalla gente? Si riscoprono gli antichi progetti federalisti, che puntano a darle istituzioni più snelle e più democratiche. L’ordinamento comunitario è diventato una piovra che spende, interviene, legifera praticamente in tutti i campi? Si riscopre la parola “sussidiarietà”, cioè la necessità che l’Unione si occupi solo di ciò che gli stati ritengono opportuno delegarle. Persino ai critici del processo di integrazione, gli odiati ed esecrati “euroscettici”, si è dovuto restituire il diritto di parola. Oggi si parla apertamente del fatto che i popoli e gli stati membri dell’Unione devono conservare la possibilità di riprendersi sovranità, competenze e risorse, esercitando il diritto di “opting out”, cioè di “uscire fuori” da alcune politiche comuni dell’Unione e addirittura dall’Unione stessa. Infine si è cominciato a lavorare di più per l’allargamento dell’Unione verso i paesi dell’Europa dell’Est, quelli tornati alla libertà dopo il crollo del comunismo del 1989, che per il rafforzamento dell’Unione stessa. E’ chiaro che questo allargamento significa anche “annacquamento” e che l’Unione con 25 membri si mostrerà un organismo più lento nell’integrazione di quanto non sia stata la comunità dei sei stati fondatori della CEE. Senza contare che, in materia di guerra e di pace, in tutti i paesi dove il popolo vota e dice la sua, ci si domanda seriamente se abbia ancora senso puntare alla costruzione di una potenza militare europea o se non si debba piuttosto continuare a scommettere sul Patto atlantico e sull’alleanza fra tutti i paesi liberi, guardando oltre l’ONU, dove la stragrande maggioranza dei paesi membri sono governati da dittatori sanguinari che calpestano il diritto internazionale e i diritti umani, e che alimentano instancabilmente l’odio nei confronti dell’Occidente, cioè contro noi stessi.
Tutto questo, che forse è ancora prematuro definire un sano ripensamento, ma forse comincia a somigliare al ritorno a un principio di verità, dopo mezzo secolo di propaganda europeista, lo dobbiamo principalmente al referendum tenuto a suo tempo nel piccolo regno di Danimarca.
In Italia, con discorsi simili, si è ancora passibili di scomunica e si rischia ancora il rogo, ma in tutti i paesi dove sarà il popolo a votare per la Costituzione europea, di tutto ciò si discute apertamente e approfonditamente, senza che gli esiti siano scontati per nessuna delle tendenze politiche e culturali in campo.
Nei paesi dove sarà il popolo a decidere sulla Costituzione europea, non si biasimano gli Svedesi per avere detto no all’Euro, guarda caso con un referendum. Li si ammira, per aver avuto la fermezza di dire: ne riparleremo più avanti, cari eurocrati, magari trattando modalità più graduali e un tasso di cambio più favorevole di quelli con cui Prodi ha trascinato gli Italiani nel “paradiso” della moneta unica.
E’ vero che la Costituzione della nostra Repubblica vieta l’indizione di referendum sui trattati internazionali (art. 75), accetta la superiorità delle norme internazionali sul diritto interno (art. 10), acconsente alle limitazioni di sovranità (art. 11) e impone che la potestà legislativa centrale e regionale sia esercitata entro i vincoli europei e internazionali esistenti (art. 117). Queste gabbie giuridiche non impediscono però l’indizione, anche con una legge ordinaria, di un referendum di indirizzo politico, come quello che fu celebrato nel 1989. Allora si chiese al popolo se riteneva opportuno conferire al Parlamento europeo funzioni costituenti per portare avanti l’integrazione politica del continente. L’88% degli Italiani rispose di sì, il 12% rispose di no. Inoltre, proprio mentre si sta mettendo mano a riforma radicale della nostra Costituzione, con il progetto Bossi, per trasformare il nostro stato in una repubblica federale, la possibilità per il popolo di votare sulle questioni europee e sulle possibili nuove limitazioni alla nostra indipendenza nazionale a favore del superstato europeo, potrebbe e forse dovrebbe essere inserita nella riforma costituzionale stessa.
A favore del referendum hanno parlato in pochi, di diverse posizioni politiche rispetto al problema del superstato: Casini, forse favorevole ad un superstato veramente federale; Frattini, forse più prudente; Bertinotti, forse favorevole, purché l’Europa sia più sociale e meno liberale; gli esponenti della Lega Nord, forse i più euroscettici di tutti. E’ partita anche qualche iniziativa dal basso di sostegno all’auspicabile “eurovoto” nel 2005. Fra di esse, voglio ricordarne una che ha raccolto, per la sua indipendenza, semplicità e chiarezza morale, consensi sia fra gli euroscettici, sia fra coloro che vogliono andare avanti così, sia fra coloro che sognano un’Europa diversa: http://www.petitiononline.com/eurovoto/.
Le motivazioni e le ispirazioni sono tante e diverse, ma discuterne e, tornare a chiedere al popolo cosa pensa veramente, sarà salutare, soprattutto in questa nostra repubblica dove, essendo vietato per legge votare sulle tasse e sul nostro vero futuro, i politici hanno un potere così grande e così indiscusso nelle proprie mani. Forse troppo grande. Forse troppo indiscutibile, perché possiamo continuare a definirci liberi e a sentirci sicuri.

Mauro Vaiani, vaiani@unipi.it 

Fonte:
http://www.liberalcafe.it/modules.php?name=News&file=article&sid=88 (ultimo accesso nel 2007) 


Nota sulla petizione

La petizione citata nell'articolo,  http://www.petitiononline.com/eurovoto/ (ultimo accesso al sito il 23 marzo 2011), recitava:


A:  Presidente, Governo e Parlamento della Repubblica Italiana
Chiediamo che il popolo italiano possa votare sul nuovo trattato che istituisce la Costituzione Europea ed amplia ulteriormente i poteri dell'Unione Europea.


Fu firmata da 330 persone. Questi i primi trenta firmatari, un pugno di eroi liberali:


1 Mauro Vaiani Toscana
2 Davide Lopez Lombardia
3 Fabio Graziani Umbria
4 Paolo Ferrerio Lombardia
5 Davide Bacarella Toscana
6 Fioravante Scognamiglio Toscana
7 Giuliana D'Olcese Lazio
8 Arcangelo Santoro Campania
9 Davide Bertok Friuli - Venezia Giulia
10 Davide Contu Lombardia
11 Giorgio Cadoni Lazio
12 Roberto Sacco Inghilterra
13 Sergio Ruggeri Marche
14 Giuliano Gennaio Sicilia
15 Virusilgiornaleonline.com Mondo
16 Beppi Lamedica Veneto
17 Francesco Sensi Liguria
18 Romano Perrino Lazio
19 Andrea Lazio
20 Roberto Granzotto Veneto
21 Rosanna Graziotto Veneto
22 Giovanni Maria Mischiati Piemonte
23 Laura Caramia Puglia
24 Antonio Loro Milan Piemonte
25 Luca Pardi Toscana
26 Antonio Bacchi Toscana
27 Augusto Pastore Campania
28 Rosalba Conte Toscana
29 Massimo Pastore Toscana
30 Mariavittoria Pastore Toscana


Post scriptum
Come è andata a finire è noto: in Italia non ci hanno fatto votare, ma il progetto di costituzione europea è affondato lo stesso, sotto i colpi del voto popolare o del dissenso dell'opinione pubblica, in altri paesi, più democratici della nostra Repubblica.

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