Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso

domenica 29 aprile 2018

Festa dei santi di Capalle



Festa dei tre santi di Capalle, oggi, più nota semplicemente come "Festa dei Santi".
La festa onora cristianamente le relique di tre martiri, Enea, Onorio e Valerio, che arrivarono nel borgo lungo il Bisenzio nel Cinquecento.
Si celebra ogni anno, l'ultima domenica d'aprile.
Stamane, nella bella chiesa di Capalle, la propositura dei Santi Quirico e Giulitta, abbiamo scattato la piccola foto allegata a questo scritto.
Davanti all'altare si riconoscono le teche che custodiscono i resti mortali dei tre santi.
In chiesa c'erano figuranti vestiti con abiti che evocano il tempo del glorioso Rinascimento toscano, organizzati dall'associazione "Amici per Caso", che da ormai più di vent'anni sta impegnandosi per la conservazione delle tradizioni, dell'identità, della abitabilità di Capalle.
"Amici per Caso" è presieduta da Daniele Matteini, un vero capallese.
La cerimonia è stata molto solenne, anche grazie al bravo coro parrocchiale, che ha cantato, fra l'altro, la stupenda e commovente Anima Christi.
La festa dei tre santi di Capalle era andata un po' in declino, ma grazie all'impegno degli "Amici per Caso", ora sta pian piano riprendendo forza.
Quanto sia radicata la Festa dei Santi lo dimostra la leggenda che associa Enea al sole, Onorio all'acqua e Valerio al vento. I tre elementi si scontrano pacificamente, ogni primavera, senza che nessuno abbia mai completamente la supremazia sull'altro, rigenerando insieme la vita. Scavando appena sotto la loro cristianizzazione, si riconoscono gli elementi di qualcosa di più ancestrale e per questo necessario alla conservazione della nostra umanità.
Queste piccole feste paesane vanno considerate, a tutti gli effetti, vera e propria resistenza umana delle comunità locali all'omologazione distruttiva della cosiddetta globalizzazione.

Coloro che non sapessero dove è Capalle, non si preoccupino: troveranno il paesino al trivio segnato da una colonna lorenese.
Purtroppo la colonna di Capalle non è in buone condizioni. Ssperiamo in un interessamento al suo restauro da parte di una amministrazione comunale più saggia, quella che si spera venga eletta il 10 giugno 2018 prossimo nel comune di Campi Bisenzio, di cui Capalle è uno dei borghi.
Qui sotto una foto della colonna lorenese di Capalle:


La fonte di questa foto è il sito http://www.rigacci.org, dove potete trovare una rassegna di 18 colonne di insegna stradale leopoldine che ancora resistono alla furia del tempo.


mercoledì 25 aprile 2018

Liberazione dall'ossessione del "sindaco d'Italia"





Quanti di noi si ricordano che viviamo in uno stato regionale e in una repubblica parlamentare?
Queste due locuzioni, "stato regionale" e "repubblica parlamentare", hanno un significato preciso, suscettibile certo poi di mille diverse denotazioni, connotazioni, interpretazioni, ma comunque rimanendo dotate di un significato percepito come minimo comune denominatore oggettivo.
Se lo si ignora, se lo si deforma, se lo si tradisce, non solo si fa cattiva politica, cattiva scienza giuridica, cattiva informazione, cattiva educazione civica, ma si diventa complici di un declino drammatico della qualità del nostro dibattito pubblico e della nostra convivenza sociale.
Il che significa, politicamente parlando, che si diventa degli autentici imbroglioni, cari leader del Centrodestra, del Centrosinistra, dei Cinque Stelle.
Avete diritto a metterci tutto il tempo che volete, prima di decidere se accettare di far parte di un governo provvisorio di coalizione, oppure se chiedere al presidente della Repubblica nuove elezioni, ma sappiate che ogni sgrammaticatura istituzionale, ogni ignoranza costituzionale, ogni stupro della lingua media italiana, vi sarà rinfacciato, vi tornerà indietro come un boomerang.
Lo appuntiamo oggi, 25 aprile, in una giornata di festa repubblicana, che spero vi serva a schiarirvi le idee.
Questo è uno stato regionale, in cui 19 regioni e 2 province autonome partecipano alla conduzione dello stato e alla determinazione di come lo stato italiano si rapporta con il resto dell'Unione Europea. Questa è la realtà, riconciliatevi con essa, perché altrimenti siete non solo impolitici, impreparati, ignoranti, ma addirittura pericolosi, come un Renzi qualsiasi.
Altrettanto importante è ricordare che questa è una repubblica parlamentare, in cui nessuno è "eletto" primo ministro e nessuno "entra premier" in parlamento, non importa quanti voti abbia preso.
Sappiamo che da oltre vent'anni si scaricano continuamente nella comunicazione politica i veleni di coloro che, dimenticando le regole vigenti, vogliono che si elegga il "sindaco d'Italia". Lo dobbiamo, purtroppo, alla incredibile leggerezza culturale e politica di figure come Berlusconi, ma anche Prodi, Veltroni e (ancora) Renzi, non hanno scherzato con questa ossessione semplicista e centralista, peraltro totalmente contraria alla storia e alle necessità della penisola italiana.
Per il momento, alcuni giuristi, alcuni politici, alcune comunità di cittadini attivi sono riusciti a frenare gli abusi e le ambizioni di quelli che aspirano a diventare "cancellieri" o "presidenti eletti", distruggendo la repubblica parlamentare, per sostituirla con un presidenzialismo o un cosiddetto "premierato" o "cancellierato".
Gli attacchi tuttavia continuano e ci accorgiamo che anche nelle comunità scientifiche e politiche si sta smarrendo il significato minimo delle parole, oltre che il rispetto che si deve allo stato regionale e alla repubblica parlamentare.
Che fare, quindi?
Resistere!
Confessiamo che anche gli autori di questo blog, in passato, hanno pensato che forse si sarebbe potuto fare dell'Italia una repubblica federale simile alla Germania. Oggi, però, preso atto della enorme concentrazione di potere (in gran parte opaca, se non totalmente incontrollabile) a Roma, a Milano, a Bruxelles, abbiamo preso una posizione più radicale di difesa dello stato regionale e della repubblica parlamentare.
No al sindaco d'Italia.
No al cancelliere.
No al premier eletto dal popolo.
Più avanti, quando attraverso un graduale ripristino della democrazia elettorale si tornasse ad avere un parlamento maggiormente rappresentantivo dei territori, si potrebbe pensare alla trasformazione dell'Italia e dell'Europa secondo le linee di un moderno, avanzato e quindi leggero confederalismo, imparando dalle esperienze di Svizzera e Rojava, per esempio.
Avanti, quindi, ma ora e sempre resistenza contro chi vuole trascinarci verso derive francesi, turche, o anche britanniche o tedesche.

lunedì 23 aprile 2018

San Giorgio di Catalogna e la nonviolenza



La festa di San Giorgio è importante in Catalogna.
Quest'anno lo è ancora di più, perché è inevitabilmente dedicata ai prigionieri politici, agli esiliati, ai perseguitati.
Per noi è l'occasione per un altro omaggio alla Catalogna e in particolare alla sua scelta di lottare per l'autodeterminazione attraverso una rivoluzione intransigentemente nonviolenta.
San Giorgio nell'immaginario catalano, nonostante la sua leggenda marziale, ha assunto un ruolo più simile a quello di San Valentino, una festa d'amore e di fiori.
Non è stato difficile, quindi, in questa giornata, per i Catalani, rinnovare la loro scelta nonviolenta.
La nonviolenza è centrale, nel processo di emancipazione della Catalogna dal regime postfranchista spagnolo.
Dobbiamo sottolinearlo questo, soprattutto pensando al tragico destino di popoli e terre a cui la possibilità di fare una scelta nonviolenta non è stata data. Donbass, Abkhazia, Ossetia del Sud, Cecenia, Afghanistan, Balochistan, Pakhtunkhwa, Bakur, Bashur, Rojava, Rojhelat, province siriane, Libano, Cisgiordania, Gaza, Yemen del Sud, Cirenaica, Tripolitania, terre berbere e tuareg, per citare solo alcune delle regioni più vicine e più condizionate dal neocolonialismo occidentale, non hanno potuto ancora farla una radicale e duratura scelta di nonviolenza.
Perché la nonviolenza è così cruciale nel mondo contemporaneo?
Perché così tanti movimenti che pure in passato sono passati attraverso una esperienza di resistenza armata, hanno fatto o stanno pensando di fare una scelta di passaggio a modalità di lotte nonviolente? Uno fra gli ultimi è il movimento ETA basco, che ha annunciato proprio in queste ultime ore il suo scioglimento come corpo militare.

Intanto, perché essa è uno strumento oggi possibile, alla portata di tutti gli oppressi nella modernità globalizzata. Come avevano intuito, fra gli altri, Mahatma Gandhi, Bacha Khan, Martin Luther King, insieme con tanti altri leader nonviolenti, nessuna società moderna può funzionare senza un minimo grado di cooperazione fra governanti e governati (e di riconoscimento e di aiuto dall'estero, in una comunità internazionale che, nonostante i perduranti disastri dell'imperialismo e del neocolonialismo, è sempre più ostile ai costi sociali e ambientali delle guerre). Minare il consenso interno con azioni nonviolente aumenta geometricamente le capacità di resistenza degli oppressi contro ogni tipo di oppressione.
Inoltre, la nonviolenza richiede un ampio coinvolgimento della popolazione residente e sofferente. Senza una vasta partecipazione popolare, infatti, nessuna rivolta nonviolenta ha non solo e non tanto speranze, ma autentiche opportunità di successo. Questo implica che una protesta nonviolenta di massa, per quanto possa sorprendere chi la guarda da lontano, finisce per essere più autorevole, più incisiva, più efficace, entro tempi magari lunghi, ma, visti i ritmi della comunicazione contemporanea, non certo biblici.
Infine la nonviolenza, come ci ha ricordato, da ultimo, Gene Sharp, è l'unico modo di combattere l'oppressione senza scivolare nel terreno drammatico della rivolta armata, terreno in cui sono gli oppressori a essere specialisti e spesso vincenti. Troppe rivolte popolari violente sono state facilmente represse dagli stati autoritari, che hanno avuto gioco facile nel bollare i ribelli come "terroristi".
La nonviolenza nel nostro mondo globalizzato è cruciale, perché è uno strumento di lotta possibile, partecipato, vincente.
Al contrario le speranze dei popoli che sono stati costretti a impugnare le armi, sono drammatiche e incerte.
Anche di questa lezione di nonviolenza, quindi, siamo grati alla Catalogna.
Viva la Catalogna!
Visca Catalunya!

venerdì 6 aprile 2018

Sinistra, centro o destra?



Ancora una volta, come spesso in passato, noi attivisti per l'autogoverno della Toscana ci imbattiamo nella domanda: siamo persone di sinistra, centro o destra?
Con il passare degli anni, forse possiamo dare oggi una risposta più articolata.
Noi sappiamo che ci sono persone che si dicono di sinistra, centro e destra, eppure tutte incredibilmente credono nelle stesse forme di concentrazione geopolitica del potere e delle ricchezze, concentrazioni che noi combattiamo.
Altrettanto vero è che ci sono persone che si dicono di sinistra, centro e destra, che invece sono schierate con noi, in un decentralismo a tutto campo, contro i grandi stati oppressivi al proprio interno e guerrafondai nei confronti del resto del mondo.
Quindi?
Sicuramente non sottovalutiamo il significato di queste tre parole - sinistra, centro, destra - soprattutto nel contesto italiano.
Sappiamo che non tutti danno ad esse lo stesso significato e la stessa importanza ma, come ci ha insegnato Sergio Salvi, pioniere di un toscanismo che ha radici profonde nei movimenti popolari europei, non ci permettiamo di dire che queste tre parole non hanno più senso.
Sulla base di ciò che abbiamo imparato grazie all'esperienza storica dei primi movimenti politici localisti, autonomisti e indipendentisti, che sono sempre stati aperti e trasversali sin dagli anni ottanta, semplicemente le affrontiamo, con una consapevolezza che ci pare essere cresciuta nel tempo.
Ci rivolgiamo a tutti i Toscani, di nascita e di elezione, che, prima di credere nelle proprie tradizionali appartenenze e nelle ideologie dei vecchi partiti italiani, accettano di condividere con noi un progetto radicale di autogoverno.
Sappiamo già che non saremo ascoltati da chi, quando parla di sinistra, centro o destra, in realtà intende i propri pregiudizi ideologici, l'appartenenza a una casta politica, o magari una mera posizione di rendita.
Prendiamo atto che coloro che sono centralisti italiani o che aspirano addirittura a un centralismo europeo, sono quelli veramente distanti da noi, non importa se essi si definiscano di destra, centro, sinistra.
Ci rivolgiamo a tutti quelli che centralisti non sono, che difendono le regioni storiche, che mettono fra le loro priorità la difesa delle autonomie locali e aspirano a forme ancora più avanzate di autogoverno.
La nostra proposta toscanista ha certamente maturato una proposta sociale, ambientale, politica e geopolitica molto forte, che magari non potrà piacere a tutti, ma nel caso, ci auguriamo, per i suoi contenuti concreti, non per le etichette.
Ci piace pensare che siamo fedeli ad antiche radici popolari anarchiche e socialiste, ma siamo anche conservatori di parecchie cose borghesi e aristocratiche non meno importanti. Senz'altro siamo liberali nel profondo, in tutto e verso tutti.
Quindi, prima di incasellarci, riflettete un attimo su quanto e come vogliamo mettere in discussione lo status quo in Italia e in Europa, oltre che praticamente tutto il sistema delle credenze politiche attualmente sapientemente veicolate dai media di stato.
Ci si giudichi dalle cose concrete che stiamo dicendo a questa generazione, in questo nostro tempo, non solo dalle etichette del passato:
- crediamo che i beni e i servizi pubblici toscani debbano essere proprietà del popolo toscano (un po' come socialisti di una volta);
- non vogliamo il presidenzialismo italiano e tantomeno quello europeo, perché preferiamo assolutamente forme di governo confederali, di stile svizzero;
- appoggiamo il diritto di Catalogna e Sardegna all'autodeterminazione e siamo fieramente contrari a ogni forma di neocolonialismo;
- lavoriamo per una confederazione di matrie indipendenti d'Europa, una delle quali sarà la nostra Toscana;
- amiamo l'ordine e la legalità, rione per rione, ma proprio per questo vogliamo la fine degli stolti proibizionismi, che sono una delle più grandi menzogne dei vecchi stati centralisti e militaristi, per giustificare la loro vera natura oppressiva e repressiva;
- siamo contro ogni discriminazione, a partire da quelle nei confronti delle persone diverse (come chi scrive), ma insieme vogliamo anche autentiche condizioni di giustizia economica e sociale per tutti coloro che risiedono stabilmente in Toscana;
- crediamo fortemente nella libertà economica (un po' come antichi liberali), ma all'interno di mercati locali ben sorvegliati, dove il territorio, la natura, la persona umana siano fortemente tutelati;
- crediamo nella protezione sociale, ma non da parte di grandi strutture burocratiche statali, bensì esercitata da agili servizi locali fondati sulla prossimità e la responsabilità;
- siamo libertari ma anche intransigenti, ai limiti del bigottismo, sulla conservazione delle nostre tradizioni toscane e sulla religione civile che unisce tutti gli abitanti della nostra comunità, cristiani o meno, nativi o no.
Siamo Toscani impegnati in un progetto politico di autogoverno, convinti di perseguire la libertà e il benessere di tutti e ancora di più delle generazioni future, con umiltà, non senza un pizzico di ironia e speriamo anche di autoironia.
Il nostro progetto si poggia di certo su alcuni solidi principi, ma il suo sviluppo è aperto alle idee e al contributo di tutti.

Non fermatevi alle prime impressioni, incuriositevi!

Chiudiamo e salutiamo con la una bella ed emblematica canzone che tanti anni fa fu dedicata a persone che erano già allora un po' come noi. E' quella famosa di Giorgio Gaber, che come sapete aveva radici mitteleuropee, era cresciuto milanese e infine è voluto morire toscano, a Montemagno di Camaiore, nel 2003...



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