Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso

domenica 24 febbraio 2019

Una riflessione critica sull'autonomia differenziata

Recuperiamo qui una riflessione collegiale del CLT 2017-2021, dai pochi  anni in cui ha operato culturalmente e politicamente in modo significativo, prima di autodistruggersi in un delirio di espulsioni e dimissioni.

La migliore eredità culturale e politica del disciolto comitato, sostanzialmente il lavoro, gli studi, l'attivismo di Mauro Vaiani, è stata fortunamente raccolta dalla rete civica, ambientalista, autonomista da OraToscana https://t.me/OraToscana  - Ndr 1 luglio 2022




 

Sì all’autogoverno di tutti, dappertutto


No a riflessi centralisti,

 conservatori e autoritari


dice Sì

Sì:

1) Sì alle autonomie per tutti i territori che le chiedano

Sì all’autonomia secondo la Costituzione italiana, adottando soluzioni sostenibili e applicabili a tutti i territori che la chiedano.

Di tutto abbiamo bisogno, fuorché di una levata di scudi preventiva contro ogni possibile attuazione della Costituzione in materia di autonomie. Lo stato attuale delle cose, infatti, è disfunzionale e ingiusto. E’ l’Italia centralista che ha prodotto l’impoverimento storico del Sud, delle isole e di altri territori marginali e
periferici. E’ il centralismo che ha impedito la piena attuazione delle autonomie speciali (specie in Sicilia e in Sardegna, trattate praticamente come colonie) e di tutte le autonomie già previste.
Sono stati il neocentralismo dell’ultimo Berlusconi, di Monti, di Renzi, a uccidere sul nascere, con una austerità insensata e con una alluvione di norme capestro, le potenzialità di autogoverno dei
comuni, dei territori, delle regioni. Le richieste di autonomia differenziata, ai sensi dell’art. 116 terzo comma della Carta, sono una richiesta legittima, che deve trovare soddisfazione. Nonostante
decenni di federalismo parolaio o fatto male (per non farlo funzionare e screditarlo), in Italia c’è ancora un grande consenso per le autonomie. Non possiamo tradire questa antica aspirazione
delle comunità italiane (di tutte, non solo di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna).

2) Sì alle diversità (anche all’interno delle attuali regioni)

L’Italia è plurale. E’ ricca di diversità e biodiversità, di culture e lingue, di risorse e capacità, che necessitano di governi locali più vicini alle comunità.

L’autonomia non deve riguardare solo le attuali regioni istituite, ma anche altre realtà che aspirano all’autonomia regionale (come la Romagna), o alla cooperazione inter-regionale (come gran parte del Sud), oltre che tutti i territori e tutte le comunità locali, fino al livello del quartiere e del borgo. Noi non vorremmo mai sostituire il centralismo italiano con tanti centralismi regionali. Sì alla tutela e alla valorizzazione delle nostre diversità, anche all’interno delle attuali regioni.

3) Sì alla gestione regionale di infrastrutture, scuola e sanità

L’autogoverno regionale delle principali infrastrutture, della scuola e della sanità serve, oltre che per far esprimere le diversità locali, anche per trattenere sui territori risorse, competenze, occasioni di
vita e di lavoro.

Non è “colpa” della regione Calabria e non è “merito” della regione Lombardia, se da una parte ci sono ospedali abbandonati e dall’altra centri sanitari di eccellenza europea. E’ una conseguenza di un secolo e mezzo di centralismo (che appunto valorizza pochi centri, mentre lascia declinare tutte le periferie).
Tutti conoscono, perché lo hanno visto con i loro occhi, magari nella propria stessa famiglia, il continuo drenaggio di risorse umane e finanziarie dal Sud verso il Nord. L’autogoverno del maggior
numero possibile di strutture e servizi pubblici, con la restituzione di risorse sufficienti, serve anche a questo: a trattenere nei territori risorse umane, materiali e immateriali. Noi crediamo in servizi pubblici universali gestiti democraticamente, responsabilmente, localmente. I frutti non si vedono in pochi anni
(soprattutto se i colpi di coda del neocentralismo strangolano sul nascere l’autogoverno), ma, come in Trentino o in Val d’Aosta, si vedranno nel lungo termine. A proposito di pericoli per la “uguaglianza” dei cittadini, vorremmo sommessamente ricordare che, nello stato attuale delle cose, l’unica uguaglianza che stiamo garantendo ai cittadini di due terzi della Repubblica è quella di prendere un treno per andare a curarsi, studiare, lavorare, verso Roma e Milano (o magari Berlino e Londra). Non prendiamoci in giro:
se i centralisti avessero avuto una ricetta per l’uguaglianza, non saremmo ridotti così!

4) Sì alle autonomie, con un vero federalismo fiscale

La stesura dei testi delle nuove intese deve essere accompagnata da provvedimenti di attuazione dell’art. 119 della Costituzione, in materia di autonomia fiscale di tutti i territori, con perequazione
per i territori che hanno maggiormente sofferto della spoliazione dovuta al centralismo.

Esprimiamo preoccupazione perché i testi delle attuali intese sembrano scritti sulla sabbia, non essendo stati preceduti da lavori preparatori approfonditi nelle aule e nelle commissioni. Inoltre siamo perplessi
perché, in materia di spostamento del potere di spesa dal centro alle regioni, si stanno immaginando meccanismi contorti che lasceranno al governo centrale ogni potere, delineando finte autonomie perennemente in contenzioso con il governo centrale. Avere autonomia di spesa ma da ricontrattare anno per anno, rappresenterebbe un assurdo logico, ancora prima che politico. Si profila l’intenzione di creare una “macchina” che non funziona per poi poterla screditare e smantellare. Tutta da cominciare,
infine, e tutta da combattere, è la battaglia verso la territorializzazione delle principali imposte. La Lombardia, che è ricca per la sua storia e per la sua felice posizione geopolitica, non ha bisogno di trattenere l’IVA che le sue aziende riscuotono quando vendono in Sicilia o in Sardegna. La territorializzazione delle tasse è un tema difficile e importante, di rilevanza italiana, ma anche europea (si pensi alla difficoltà di riscuotere imposte dai giganti stranieri che vendono online), ma è cruciale, per non far fallire, per l’ennesima volta, questo piccolo passo verso una Italia federale.

Tdice No

No:

5) No al nazionalismo e al sovranismo (bruno o rossobruno che sia)

No ad agitare fantasmi come quello del “solito Sud assistito” o della “secessione dei ricchi”.

Diciamo no al linguaggio della contrapposizione, dell’odio e dell’invidia fra Nord e Sud. No alla mentalità centralista e autoritaria delle forze politiche dominanti (al centro e nelle regioni stesse), colpevole di non aver ancora previsto gli adeguati passaggi parlamentari e consiliari, per l’approfondimento dei dettagli di
queste intese. No ai riflessi conservatori delle attuali burocrazie centrali (e alla sete di potere delle loro caste dirigenti). No, quindi e infine, all’eterno ritorno di un cieco e irrazionale odio nazionalista verso le regioni, a ogni forma di neonazionalismo italiano e di cosiddetto sovranismo anti-europeo.

Non una moda, ma una nuova mentalità

Siamo consapevoli delle difficoltà che si possono incontrare con l’avvio di forti autonomie. Si chiede a tutti gli abitanti di un territorio di essere più attenti, attivi, partecipi, rinunciando a delegare la soluzione dei problemi a qualcun altro, più in alto, altrove.

Noi crediamo però che l’autonomia sia l’unica strada per salvare i nostri territori dalla distruzione ambientale e dalla desertificazione economica, per un futuro dal volto umano, per una resistenza positiva e costruttiva sia al nazionalismo, che ai guasti di un certo europeismo e di un certo globalismo, interpretati come illimitata circolazione di merci prodotte a basso costo senza rispetto dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori.

Per molti l’autonomismo è una moda, una tattica, una scusa, un alibi, una merce di scambio sul mercato elettorale. Per noi è un cammino profondo e coerente verso un ribaltamento di mentalità, verso una dimensione più umana della politica e quindi della vita. La Repubblica delle autonomie è stata
spesso tradita, sfigurata fino a farla diventare una caricatura, ma è l’unica che abbiamo, in questo momento politico.

Ci attestiamo su di essa per portare la Toscana e tutti i territori italiani verso un
autogoverno responsabile e solidale, in una rinnovata confederazione europea.

* * *

Firenze, giovedì 22 febbraio 2019

Ultima modifica domenica 24 febbraio 2019

 

martedì 12 febbraio 2019

Basta bugie contro le autonomie


L'autogoverno libero e responsabile dei territori non piace a tutti, ce ne rendiamo conto.

Per questo dobbiamo prepararci a lottare duramente, per portare avanti il nostro ideale, non solo in Italia, ma in tutta Europa e in tutto il mondo.

Cominciamo quindi smascherando alcune delle più grosse bugie che a reti unificate ci stanno dicendo contro le autonomie.

1) E' FALSO che non ci sia un grande dibattito pubblico. Se ne parla da trent'anni, dall'estremo Nord all'estremo Sud. Quando sentite dire che non se ne è discusso abbastanza, vi stanno semplicemente mentendo.

2) E' FALSO che una ulteriore devoluzione di competenze in materia di sanità o di altro, aumenti le "disparità". Le disparità sono state create da decenni di centralismo. Chi nega questo è, politicamente parlando, una persona accecata dai pregiudizi o, peggio, un mentitore.

3) E' invece VERO che ogni volta che un territorio riprende il controllo delle elezioni e della nomina dei propri leader, dei propri prèsidi, dei propri insegnanti, dei propri rettori, dei propri tecnici ambientali, dei propri esperti economici e sociali, dei propri sovrintendenti artistici e culturali, ricomincia ad attrarre intelligenze, competenze, risorse umane, materiali, finanziarie, con ricadute importanti, nel medio-lungo termine, sulla propria capacità di progredire in modo sostenibile e responsabile. Lo dimostrano la storia del Trentino o della Valle d'Aosta, che sono fra le poche autonomie veramente perseguite e realizzate con tenacia (non solo in Italia, non solo in Europa).

4) E' altrettanto VERO che ATTUARE le autonomie speciali ancora incompiute (come quelle di Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia), o CREARE dal nulla autonomie differenziate ancora tutte da sperimentare (come quelle richieste da Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, ma anche da quasi tutte le altre regioni), oltre che difficile, richiede di LASCIARE SUL TERRITORIO MOLTE PIU' RISORSE, a fronte però di un crollo verticale dei TRASFERIMENTI DAL CENTRO. Sarà necessario passare attraverso riforme profonde. Il federalismo fiscale, non a caso tante volte annunciato e mai realizzato, richiederà sacrifici per tutti. La verità è che molte regioni c.d. "ricche", perderanno gettito, non lo guadagneranno, ma tutti i territori avranno in compenso la possibilità di spendere in modo più appropriato e più responsabile.

Noi crediamo che la storia moderna, in particolare a partire dagli anni della decolonizzazione e ancora di più dopo il 1989, dimostri abbondantemente che paesi più piccoli, o più confederali, o semplicemente più decentrati, siano paesi più equilibrati, più giusti, più sereni.

Non ci credete? Non volete cambiare? Bene, godetevi lo stato attuale delle cose, se vi piace tanto, ma piantiamola con le bugie, che hanno le gambe corte e finiranno con il diventare divisive e distruttive, mentre nulla come il confederalismo dal basso può unire, includere, aprire nuovi orizzonti.


Fonte dell'immagine: http://td-architects.eu/projects/show/independence-day/



mercoledì 6 febbraio 2019

Autogoverno di tutti, dappertutto

Alcuni punti fermi, per resistere al conformismo, al centralismo, alla semplificazione, alla trappola tesa da coloro che vogliono mettere ancora una volta i Nord contro i Sud, il centro contro le periferie, gli inclusi contro gli emarginati: 

1) Le divisioni e le disparità fra territori italiani hanno origine nella lunga e drammatica storia dello stato centralista. Chi si oppone a maggiori autonomie senza confrontarsi con questo dato, è totalmente fuori strada. Se gli standard di scuola, sanità, protezione dei lavoratori dallo sfruttamento, trasporti pubblici, protezione del territorio, sono così lontani fra alcune zone del Nord e gran parte del Sud e delle isole, questo non è colpa delle autonomie, ma è conseguenza diretta delle disuguaglianze economiche e sociali che lo stato centralista ha creato. Costruire un futuro confederale italiano ed europeo sarà forse complicato, ma non ci possiamo lasciar intrappolare in un riflesso conservatore del nostro ingiusto e disastroso presente.

2) La stragrande maggioranza della popolazione continua a guardare con favore a riforme che vadano verso la maggiore autonomia dei territori e questa volontà popolare non può e non deve essere ignorata. Una delle promesse più importanti della Costituzione del 1948 è stata la "repubblica delle autonomie". Una delle speranze suscitate dall'europeismo è il rafforzamento dell'autogoverno democratico locale attraverso la visione della "Europa delle regioni". Gli avversari delle autonomie sono tanti, la propaganda dei centralisti martellante, né sono mancati gli errori politici, culturali, di comunicazione di alcune forze politiche territoriali. Il nordismo è degenerato fino a diventare una fabbrica di ignoranza e di egoismo. Il leghismo ha tradito tutte le sue promesse di federalismo, fino a diventare una forza neocentralista con tratti populistici e autoritari, che legittima nello spazio pubblico europeo un linguaggio volgare e l'odio sociale verso i più deboli. Negli ultimi decenni, i vertici centralisti della politica italiana hanno remato sempre in direzione contraria alle autonomie, imponendo una austerità paralizzante e deresponsabilizzante agli enti locali (altro che federalismo fiscale!); partorendo una mostruosa stratificazione legislativa (italiana ed europea); moltiplicando agenzie e burocrazie centrali (comprese quelle dei ministeri di cui gli italiani avevano decretato l'abolizione con i referendum del 1993). Tutto questo ha prodotto il declino di tutte le autonomie locali, in particolare dei territori storicamente impoveriti o addirittura desertificati dal centralismo. Nonostante questa continua guerra alle autonomie, la maggior parte delle regioni italiane (non solo Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, quindi) chiede di accedere a forme di autonomia differenziata secondo quanto previsto dal terzo comma dell'art. 116 della Carta. La risposta dei poteri centrali, noi vogliamo ribadirlo con forza, non può essere né evasiva, né dilatoria, né terroristica. E' un tipico inganno colonialista, quello di instillare nei territori colonizzati la paura di non farcela, la mentalità della dipendenza dalla "ridistribuzione" garantita dal centro. Per questo prendiamo le distanze da chi grida contro la "secessione dei ricchi". Al contrario, si può e si deve riconoscere maggiore autonomia, assicurando che ci sia vera solidarietà tra territori, giusta perequazione delle risorse, decentramento anche nei territori più lontani di risorse e competenze, semplificazione normativa per i cittadini e per le imprese, il tutto con moderazione e prudenza politica e, ancora più importante, facendo partecipare le comunità locali a questo delicato processo di riavvicinamento delle istituzioni ai cittadini.

3) I nostri movimenti che si definiscono localisti civici e ambientalisti, autonomisti, federalisti, confederalisti, territoriali, identitari, meridionalisti, anti-colonialisti, indipendentisti, pur essendo molto diversi fra loro, devono cooperare in questo difficile momento della storia italiana ed europea. Al netto di tutte le nostre differenze c'è il minimo comune denominatore di volere andare avanti verso quello che chiede la maggioranza dei cittadini: maggiore autogoverno per tutti e dappertutto. La forza risultante del nostro stare insieme sarà significativa, perché tutte le nostre forze decentraliste, per quanto siano diverse le nostre visioni ultime, condividono la stessa direzione di marcia.


venerdì 1 febbraio 2019

Dialogo a oltranza, non ingerenza



Sono un decentralista e quindi, per i miei principi, sono distinto e distante dall'amministrazione Maduro in Venezuela, di cui non amo il centralismo, il largo uso della repressione poliziesca e del bullismo politico, il controllo tentacolare sull'economia del paese (che fatalmente degenera in corruzione delle alte sfere e in povertà per le remote periferie).
Tuttavia, come attivista per l'autogoverno di tutti e dappertutto, non posso che appoggiare senza se e senza ma il dialogo a oltranza tra tutte le istituzioni e le forze politiche e sociali di quel paese, rifiutando ogni ingerenza straniera.
Spero quindi che l'iniziativa di Messico e Uruguay per una conferenza internazionale per la pacificazione del Venezuela, convocata per il 6 febbraio 2019 a Montevideo, abbia successo.
Il Venezuela ha bisogno di nuove elezioni, a tutti i livelli, al più presto, ma al voto si deve giungere senza invelenire ulteriormente il clima politico del paese, aver liberato tutti i prigionieri politici, consentito il ritorno degli esiliati, posto fine alle sanzioni (quelle di impronta neocolonialista volute dagli Stati Uniti d'America, in primis), interrotto ogni forma di boicottaggio economico e finanziario, fatto affluire nel paese i necessari aiuti umanitari, per alleviare le sofferenze della popolazione.
Il recente voto del parlamento europeo, che riconosce il presidente del parlamento Guaido nella sua pretesa di aver già deposto il presidente Maduro, mi sembra sbagliato nella sostanza (la situazione venezuelana non si presta a una lettura così manichea) e nella forma (un proclama imperialista mina drammaticamente la credibilità, già scarsa, dell'istituzione). E' stata una inopportuna e anche un po' squallida manifestazione di subalternità all'egemonia economica e culturale che viene esercitata dall'establishment militare-industriale che ha base per lo più negli Stati Uniti.

Mauro Vaiani


Fonte della foto:
https://www.bbc.com/news/world-latin-america-47009301

Fonte delle notizie sulla conferenza di Montevideo:
http://vtv.gob.ve/uruguay-mexico-onu-venezuela/

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