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venerdì 3 aprile 2015

Verso la pace fra Occidente e Persia

Il raccoglimento e la preghiera del Venerdì Santo devono lasciare il giusto spazio a una notizia davvero importante.

La gioia degli Iraniani alla notizia dell'accordo
sul controllo del nucleare, raggiunto ieri,
giovedì 2 aprile 2015, a Losanna
Fonte: http://www.corriere.it

Senza affrettarsi a festeggiare, senza enfasi, senza eccessi di ottimismo o pessimismo, si deve tuttavia accogliere con soddisfazione la notizia dell'accordo maturato ieri fra l'Iran e le grandi potenze, in materia di controllo del nucleare civile in quel paese e di impegno comune contro la proliferazione di nucleare militare.
Sia chiaro: è solo una tappa in un lentissimo e faticoso processo di normalizzazione delle relazioni fra Occidente e Persia.

Il cammino è e sarà difficile, ma la destinazione è certa.
Ce lo ha testimoniato da tempo Akbar Ganji, per la cui liberazione molti toscani - ricordo qui, fra gli altri, Alessandro Antichi, Severino Saccardi, Stefano Marcelli - si sono impegnati per anni, e che nel giugno 2006 è diventato nostro concittadino fiorentino e toscano e ha ricevuto il gonfalone d'argento del Parlamento toscano.

Ce lo ha confermato Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace, che abbiamo accolto a Firenze lunedì 6 luglio 2009, anche lei ospite del Parlamento toscano. Shirin Ebadi, vale la pena ricordarlo, parlò alla cittadinanza toscana all'Accademia, sotto l'ombra del David di Michelangelo, simbolo per eccellenza del nostro republicanesimo toscano e di libertà per tutta l'umanità.

Siamo certi che l'Iran sta cambiando e noi con lui.

Sbagliano coloro che si attardano in fosche previsioni geopolitiche. Fra tutti i regimi che vengono dipinti come nemici dell'Occidente, l'Iran è il meno monolitico e i popoli della Persia sono pieni di giovani, donne, intellettuali, ma anche classi dirigenti, che stanno preparando un cambiamento denso di speranza. La gioia della gente per le strade di Teheran è la prova che la lunga attesa di un'altra primavera in Iran, potrebbe essere davvero vicina alla fine.

Sbagliano coloro che vedono l'Oriente prigioniero di una presunta inevitabile rivalità fra Sciti e Sunniti. I regimi che si fronteggiano nell'area non sono divisi da qualcosa di atavico o irrazionale. Usano etichette religiose e culturali di un passato che non esiste più, solo come pretesti per giustificare la loro permanenza al potere e l'oppressione dei loro popoli.

Sbagliano i guerrafondai americani, insieme al loro beniamino Benjamin "Bibi" Netanyahu, che alimentano una retorica anti-iraniana, in cui sono i primi a non credere. A sentire loro, l'Iran avrebbe dovuto essere pieno di armi nucleari da quasi un decennio, ormai - chi scrive lo può testimoniare, perché è fra quelli che ha loro creduto, anni fa. In rete sono quasi scomparse, ma noi custodiamo alcune tracce della conferenza 2006 dell'AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), che era intitolata «Now Is Time to Stop Iran», nella quale si ipotizzava che entro pochi mesi l'Iran avrebbe potuto cancellare Israele dalla carta geografica con armi atomiche. E quante altre volte, prima e dopo, ci siamo sentiti dire che l'Iran era a un passo dal diventare una potenza nucleare... Tutte previsioni tanto fosche quanto, grazie al cielo, assolutamente infondate.

Sbaglia anche la mia amica Fiamma Nirenstein, temo, quando si attarda ad alimentare la narrativa sulla presunta doppiezza iraniana, presentandola come un tratto religioso e culturale, la «taqiyya», il tradizionale diritto di mentire concesso ai musulmani per un fine utile all'Islam. La loro religione non consente di essere più machiavellici di quanto non conceda la nostra. Le difficoltà a raggiungere accordi credibili e a farli rispettare non sono più grandi stavolta, di quanto non lo siano state durante la Guerra Fredda. Semmai saranno minori, nell'era dei social globali e di un crescente attivismo globale.

Non ci facciamo alcuna illusione, ma sappiamo, da una osservazione attenta della società iraniana di oggi, che quei popoli vogliono la pace almeno quanto la vogliamo noi. Non possiamo sottrarci, quindi, al sacrificio e al rischio di scommettere, ancora una volta, sulla pace e sulla libertà, contro la guerra e contro la paura.






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