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giovedì 31 dicembre 2020

Sciogliere i nodi della globalizzazione

La triste e prematura scomparsa di Leo Panitch ci dà lo spunto per una riflessione adatta all'ultimo giorno di questo terribile anno 2020. C'è parecchio da buttar via, a partire dalle foglie di fico dietro cui le elite dominanti cercano di nascondere i nodi del nostro tempo e i mali del nostro pianeta. Nodi che non sono percepiti per via di gravi dissonanze cognitive (biases).

Siamo annodati, forse sarebbe giusto dire incatenati, perché i media sono stati resì così ferocemente conformisti che oggi renderebbero la vita difficile anche a uno dei loro padroni, se questi manifestasse qualche dubbio.

Vale sempre, insomma, l'antico monito: quelli che hanno abbracciato e interiorizzato la narrazione del potere, finiranno per essere pericolosamente più realisti del re.

Leo Panitch è stato affettuosamente e magistralmente ricordato in questo necrologio (obituary) di Eric Canepa, su Transform! Europe.




Per coloro che vogliono approfondire il pensiero e l'azione di Leo Panitch consigliamo anche questa sua recente intervista, anch'essa resa disponibile da Transform.

L'omaggio di questo blog a Leo Panitch, però, è principalmente nel segnalare questo intervento del 2015, intitolato "Denouement", cioè epilogo. La parola è etimologicamente connessa con il concetto di disnodamento e in effetti speriamo che la lettura di questo testo abbia anche un senso maieutico.

Ne pubblichiamo qui un ampio stralcio, liberamente tradotto in italiano e a tratti sintetizzato, dall'autore di questo blog:

Per molti decenni, è stata diffusa la convinzione che esistesse una variante europea di capitalismo, che poteva essere positivamente contrapposta con quella anglo-americana, più liberista.

I movimenti dei lavoratori del Nord Europa venivano visti come forza decisiva per ottenere un maggiore coinvolgimento dello stato nell'economia, una maggiore collaborazione dei capitalisti con i sindacati, un welfare e un mercato del lavoro più egualitari. Lo sviluppo dell'Unione Europea ha aggiunto una dimensione ulteriormente attrattiva a tutto ciò, specialmente per gli internazionalisti.

Si è considerata retrograda la volontà di stare fuori, figuriamoci quella di uscire, dal “progetto” europeo, in ogni fase del suo avanzamento, con molti addirittura convinti che l'impegno nelle istituzioni europee fosse il terreno decisivo per l'impegno della sinistra.

La politica di iper-austerità che gli stati europei hanno perseguito dal 2009, contribuendo a rendere potentemente più duraturi gli effetti della prima grande crisi del capitalismo globale nel XXI secolo, ha già distrutto buona parte delle illusioni della sinistra riguardo all'Europa. L'epilogo della strategia di Syriza in Grecia sembra aver scritto su di esse la parola fine.

Era scritto, del resto, sin dal momento in cui la sinistra europea fallì nel suo tentativo di trovare una via d'uscita dalla crisi globale del capitalismo degli anni 1970, opponendosi al neoliberismo sancito dal trattato di Roma per il libero scambio e la libera circolazione dei flussi di capitale tutta Europa.

Molte forze popolari d'Europa furono costrette a prendere atto che i controlli sulla finanza internazionale erano impossibili, a meno di non fermare il progetto europeo (e l'intera globalizzazione).

Forse, però, avevano avuto invece ragione quei laburisti britannici che si opponevano al Mercato comune europeo negli anni settanta. Non lo fecero perché erano retrogradi nazionalisti "fish-and-chips", ma perché avevano compreso che l'unificazione europea avrebbe imposto limiti drammatici alla costruzione di soluzioni economiche e sociali alternative.

Coloro che successivamente hanno creduto di rimediare mettendo una "Carta sociale" al centro del processo di unione economica e monetaria sono stati costantemente delusi dalla creazione dell'Eurozona.

Le forze della Sinistra Europea, guidate da Die Linke e da altri, hanno insistito a dare la massima priorità al completamento dell'unione economica con una unione politica, in cui la politica fiscale e sociale dovrebbe diventare centralizzata così come la politica monetaria. Purtroppo, questa prospettiva lascerebbe meno, non più, spazio di manovra nel difficile equilibrio tra le forze sociali, in ogni stato europeo e in modo particolare negli stati più piccoli e più periferici.

E' significativo che tante forze antiliberiste, magari ancora aggrappate al lascito del keynesismo o eredi dell'internazionalismo e dell'anticolonialismo, non si siano unite nel sostenere la Grexit e, magari, nel criticare la dirigenza di Syriza per non averla preparata. Ci si potrebbe chiedere che cosa stavano pensando quando Alexis Tsipras fu messo capolista del Partito della Sinistra Europea alle elezioni del Parlamento europeo lo scorso anno (2014).

Syriza, purtroppo, non è stata capace di andare oltre questa Europa liberista dell'eterna austerità. Erano troppo pochi, troppo deboli, troppo impreparati coloro che avevano capito la necessità di un piano B per realizzare una Grexit socialmente e politicamente sostenibile, capace di fermare democraticamente e negli interessi di larghi strati popolari, la tortura economica della Eurozona e della stessa Unione Europea.

Attenzione! La critica radicale di cui Leo Panitch è stato capace non deve essere considerata solo dal punto di vista del destino delle organizzazioni identitarie delle sinistre europeo. Tutte le forze popolari, siano esse animate da valori socialisti o liberali, dovrebbero meditare queste lucide riflessioni.

Non c'è speranza nella globalizzazione, questo è il punto. Non c'è nulla di naturale, tanto meno di liberale, nel lasciare che il pianeta venga dominato da crescenti concentrazioni di potere e di ricchezza. Non si possono più difendere le minime conquiste sociali, una volta che si è accettato di essere le periferie di un grande mercato unificato come l'Eurozona. Non c'è più inclusione sociale e uguaglianza politica nemmeno nei grandi stati europei, quando si liberano le torsioni centraliste e autoritarie, come si è visto ancora più chiaramente in questo anno di terrore pandemico.

Non c'è vita umana degna di questo nome, senza appartenere a una comunità locale, con una economia locale, con una moneta locale, con una capacità di autogoverno corresponsabile e solidale, a protezione del proprio ecosistema e delle diversità e biodiversità del proprio habitat.

Il tema del nostro XXI secolo è quello di una ponderata disintegrazione, non quello di una ulteriore integrazione. Questa è la grande missione del decentralismo internazionale e internazionalista, anticolonialista e ambientalista, difensore della vita umana e del creato, in tutto il mondo, cominciando ciascuna dal proprio territorio.

Buona lotta e buon anno nuovo 2021 a tutti!


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