Sono possibili le primarie per la scelta dei candidati al Parlamento, se si dovesse tornare a votare con l’attuale legge elettorale? In effetti, aprire in questo momento una discussione a largo raggio, su questo tema, non appare molto opportuno. Credo sia un auspicio largamente condiviso, piuttosto, l’obiettivo di utilizzare la finestra di opportunità costituita dal Governo Monti, per avviare in Parlamento un processo di riforma che si possa concludere prima del voto del 2013. Fare riforme elettorali condivise, in genere, è molto difficile: la fase politica che si è aperta oggi crea forse alcune premesse positive in questo senso. E bisogna saper cogliere questo momento. Preoccuparsi oggi delle possibili soluzioni da adottare nel caso in cui ad una tale riforma non si giungesse, fa correre seriamente il rischio di sviare l’attenzione dall’obiettivo principale o di lanciare messaggi politici distorti. Tuttavia, se proprio se ne vuole discutere, è possibile farlo, con tutta la dovuta attenzione anche ai dettagli tecnici, senza caricare la questione di toni polemici, e con la speranza che il modello che si può escogitare rimanga nel cassetto.
Partendo da una premessa: è evidente a tutti come non siano possibili primarie su una lunghissima lista di candidati: squilibri di ogni tipo sarebbe inevitabili. Ma altre forme sono del tutto possibili. E’ giusto quindi, come fa Salvatore Vassallo nel suo articolo su “l’Unità” del 1° dicembre, ipotizzare un modello di primarie che, per così dire, “spacchettino” le liste lunghe e permettano delle competizioni su scala territoriale ridotta. Questo principio è giusto, ma la soluzione che Vassallo propone non ci sembra convincente: con quali criteri si disegnano i collegi? e quanti devono essere? E poi, i vincitori, in quale posizione di lista vengono ordinati? Credo che sia ben chiaro a tutti quanto la risposta a questi interrogativi sia decisiva, non solo e non tanto per i posti “sicuri”, ma anche e soprattutto per le posizioni “incerte”, poiché la collocazione dei candidati può creare molti incentivi (o disincentivi) alla mobilitazione.
Detto questo, si possono ipotizzare altre soluzioni. Partendo da una premessa: le primarie hanno un senso solo se si svolgono sulla base di un patto chiaro e trasparente con gli elettori. Nel nostro caso, la partita si svolge non solo sui nomi, ma anche sulle posizioni di lista. E’ necessario quindi che gli organismi dirigenti regionali si assumano la responsabilità di definire preventivamente le posizioni di lista spettanti ad ogni provincia, in modo che ciascuna organizzazione territoriale possa svolgere primarie che abbiano una chiara posta in gioco. La definizione preventiva delle posizioni può essere affidata ad un criterio oggettivo (ad esempio, il peso elettorale del partito nelle varie province) o tener conto anche di altri criteri. Le primarie provinciali o di zona, distinte per Camera e Senato, decideranno così i candidati che andranno a ricoprire posizioni pre-determinate, e gli elettori sapranno in partenza a cosa serve il loro voto. E, su questo ha ragione Vassallo, permetteranno di selezionare candidati radicati nel territorio, anticipando una riforma fondata sui collegi uninominali, e solleciteranno le varie articolazioni territoriali del partito ad un’intensa mobilitazione per sostenerli. La “rosa” delle candidature dovrà nascere da una larga consultazione preventiva nel partito, essere aperta alle proposte degli iscritti, e poi essere definita unitariamente dagli organismi dirigenti provinciali.
Ma è importante fissare anche un altro principio: è giusto riservare una quota delle designazioni alla Direzione Nazionale e alle Direzioni regionali. Credo sia giunto il tempo, anche nel nostro campo, di mettere un argine ad una dilagante propensione populista e “direttistica”. Il nostro partito è un partito democratico, dove esistono organismi dirigenti collegiali pienamente legittimati dal voto stesso degli iscritti e degli elettori: e la selezione delle candidature è un campo in cui è giusto che si eserciti la responsabilità politica dei gruppi dirigenti. Un gruppo parlamentare, peraltro, non può essere la somma di tanti leader locali: richiede una composizione equilibrata, in cui siano presenti anche personalità politiche con esperienza e conoscenza dei meccanismi parlamentari, personalità dotate di competenze specialistiche, personalità intellettuali che siano espressione di visioni più generali, e in cui sia garantito il rispetto di un’equa rappresentanza di genere.
L’ipotesi che qui abbiamo prospettato credo possa costituire, se malauguratamente si dovesse tornare a votare con la legge vigente, una buona base su cui lavorare, al momento giusto, per definire un modello ragionevole e praticabile di primarie, con un giusto equilibrio tra la partecipazione democratica ed il ruolo degli organismi dirigenti centrali e periferici. E con un modello di democrazia interna che non si affidi solo ai meccanismi elettorali, ma dia il necessario spazio alla discussione, al confronto, all’esercizio della responsabilità politica.
Antonio Floridia – Commissione Statuto del PD
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http://firmovotoscelgo.wordpress.com/2011/12/03/primarie-col-porcellum-scelti-i-nomi-chi-decide-lordine-della-lista-di-antonio-floridia-lunita/
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