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Ho speso una giornata a Firenze, mercoledì 27 aprile scorso, partecipando a due momenti di riflessione e di studio sulla Primavera araba di questo 2011.
Il primo è stato uno dei Policy Dialogue promossi dalla sede toscana della New York University, stavolta in trasferta alle Murate e organizzato in collaborazione con il Comune di Firenze, dove ho ascoltato, fra i tanti ottimi interventi, i contributi di Bridget Kendall, corrispondente BBC, e di Francesca Paci, corrispondente della Stampa.
Il secondo è stato uno dei momenti organizzati al Palazzo Giovani in vicolo S.Maria Maggiore, nell'ambito delle Giornate sul Mediterraneo, volute dal Centro Interuniversitario Machiavelli, dal Forum per i problemi della pace e della guerra, dal Centro d'Eccellenza Jean Monnet e, ancora una volta, dal Comune di Firenze. Qui ho potuto ascoltare e poi conoscere Leila El Houssi, una studiosa italo-tunisina che si è formata nel mio stesso dottorato di Geopolitica a Pisa, con il prof. Maurizio Vernassa.
Entrambi gli eventi hanno avuto il contributo di Cristina Giachi, fra gli assessori fiorentini una delle figure più innovative.
Da queste ore di ascolto e di riflessione ho avuto la conferma che stiamo assistendo a un evento epocale che è la somma di milioni di volontà individuali, quelle di sterminate masse di giovanissimi che vogliono lavorare e guadagnare, ascoltare musica e fare l'amore, parlare ad alta voce nelle piazze e accedere liberamente a Internet, uscire dal grigiore del presente e sognare un futuro migliore.
Non sappiamo se questo sconvolgimento porterà ovunque forme di democrazia simili alle nostre o darà vita ovunque a regimi pacifici e pragmatici. Di certo, però, questa esplosione di emozioni sta diffondendo uno storico e preziosissimo contagio, quello della religione universale dei diritti umani. Stiamo assistendo al risveglio, in milioni di cuori del mondo arabo, della fede che ciascuna persona umana deve avere nei suoi diritti fondamentali, di per sé evidenti, inalienabili: il diritto alla vita, il diritto alla libertà, il diritto alla ricerca della propria felicità, prima di tutto di quella propria personale.
Questo movimento, che non è solo arabo come ci ricorda l'amico italo-iraniano Ahmad Rafat, cambierà il mondo almeno quanto il crollo del Muro di Berlino del 1989, con il quale peraltro, sotto molti aspetti, è intimamente connesso. Siamo sempre più immersi, dal 1989 in poi, in un grande processo mondiale, che accresce lo spazio, il tempo, le opportunità di vita di ciascun individuo, mentre le grandi organizzazioni di massa della modernità, fra cui gli stati totalitari e autoritari, vanno incontro a un processo di salutare disintegrazione.
A fine serata a Palazzo Giovani è stato proiettato il documentario "Come un uomo sulla terra", regia di Andrea Segre e Dagmawi Yimer con la collaborazione di Riccardo Biadene, uscito nel 2008. Il video apre uno spiraglio, magari parziale e senz'altro discutibile, su chi sono i migranti più disperati del mondo, quelli cioè che attraversano il deserto del Sahara per fuggire dalle dittature africane: persone giovani e istruite, in fuga dall'oppressione politica, religiosa e razziale, in cerca di riscatto. Persone che, lungo un viaggio che è un calvario, vengono derubate di centinaia e a volte migliaia di dollari dai trafficanti di esseri umani e dalle corrotte polizie dei paesi che attraversano.
Uno dei momenti più terribili del documentario è il racconto delle ultime fra gli ultimi, le donne cristiane in fuga dall'Etiopia. Nell'inferno di Gheddafi, in Libia, i suoi sgherri, allevati sotto un regime nazionalista intriso di razzismo e machismo, violentano le donne più degli uomini, perseguitano i cristiani più dei musulmani.
Il documentario denuncia l'impotenza delle tanto costose quanto inutili organizzazioni internazionali e l'ipocrisia dei nostri governi. L'agenzia europea Frontex, con le sue decine di funzionari di stanza a Varsavia, ne esce svergognata. I governi italiani, l'ultimo presieduto da Prodi, ma soprattutto quelli guidati da Berlusconi, vengono accusati di aver finanziato la tratta di persone umane e la loro riduzione in schiavitù. Compare anche Franco Frattini, prima commissario europeo e poi ministro degli esteri, ma su di lui non scriverò nulla. Non vorrei essere accusato di essere uno dei tanti che sparano sulla Croce Rossa.