Sì capisce che sarebbe già pronto a gettarsi nella mischia. Sta già lanciando i suoi strali contro i burocrati che gli hanno impedito di fare le riforme. Addita i traditori. Accusa i faccendieri. Denuncia presunti pifferai, sì lui, che è il re degli incantatori.
E' già tornato a indossare i panni dell'antipolitico, dell'uomo che vorrebbe fare sfracelli e grandi opere, ma non ci riesce, vittima delle congiure di palazzo.
Non sta cercando veramente di mettere insieme una maggioranza per durare. Gli basta formare un blocco d'interdizione contro chiunque altro potrebbe prendere il suo posto.
Non vuole continuare a governare. Cerca piuttosto, ancora una volta, la discesa in campo, uno stato nascente, l'adrenalina della battaglia, bagni di folla, feste elettorali e fuochi d'artificio.
Stavolta, però, oltre al tempo che passa inesorabile, Silvio Berlusconi si troverà di fronte uno scoglio in più.
Non solo i suoi avversari di sempre, che comunque già due volte lo hanno battuto alle elezioni.
Non solo i suoi rivali interni al centrodestra, che stufi di aspettare la fondazione di un vero partito liberale e popolare, stanno provando a farlo senza di lui.
Non solo le regole costituzionali, che lui denuncia come vecchie e logore, ma che non ha mai saputo e forse nemmeno veramente voluto cambiare.
Non solo la delusione generale che nel paese dilaga contro le tante promesse mancate. Anche chi ancora simpatizza con lui è stanco delle troppe promesse che non ha saputo mantenere. Non ha saputo portare in porto non diciamo una rivoluzione liberale, ma neppure quelle minime riforme condivise da tutti e attese da decenni in questa Repubblica. Neppure quella, altamente simbolica e a cui nessuno potrebbe veramente opporsi, della riduzione del numero dei parlamentari.
Oltre a tutti questi, c'è un nuovo pericolo che lo aspetta: non è solo in crisi Berlusconi; è in crisi il berlusconismo, quello che abitava nella maggioranza di noi.
Il berlusconismo era tante cose, non tutte sbagliate.
Sono giuste, crediamo, la speranza federalista e le istanze liberali, liberiste, libertarie, che anzi sono diventate, anche grazie alla fascinazione berlusconiana, patrimonio della maggioranza dei cittadini.
Sbagliata, e anche pericolosa, è stata invece la verticalizzazione della vita politica. Abbiamo consentito la concentrazione di un potere troppo grande in troppe poche mani. Risentiremo a lungo dei guasti dell'obbedienza cieca al leader carismatico.
Giorgio Gaber aveva certamente ragione ad ammonirci ad aver paura non tanto di Berlusconi, quanto del berlusconista che è in noi.
C'era, tuttavia, anche una innocenza nel berlusconista.
Il presidente Berlusconi ha ricevuto la fiducia spontanea, ingenua, in un certo senso infantile, da parte di tanti. Hanno creduto nell'uomo che aveva realizzato così tanto e che di certo, una volta arrivato al potere, non avrebbe avuto bisogno di rubare. Hanno ammirato l'uomo di mondo, che aveva le sue scappatelle, ma che rispettava il senso del pudore, i sentimenti più profondi e anche quel tantino di bigottismo e conformismo che è ovviamente presente nella nostra società. Hanno sperato nell'uomo del fare, che non avrebbe lasciato opere incompiute e problemi irrisolti.
Invece, questo stesso uomo, di cose a mezzo ne ha lasciate parecchie. Ha esibito in pubblico cose di letto e problemi di famiglia, che avrebbe fatto meglio a tenere private. Non è diventato più povero, come accade a ogni uomo ricco che lascia la cura dei suoi affari privati per dedicarsi alla vita pubblica. Nel corso degli anni è stato abbandonato da intellettuali e politici, mentre attorno a lui si sono moltiplicati spregiudicati cortigiani.
L'innocenza di cuore del berlusconista è stata violata.
Il berlusconismo, non importa quante anime di parlamentari saprà convincere o corrompere per impedire la sfiducia in Parlamento il prossimo 14 dicembre, è morto.
Mettiamoci a lavorare, serenamente, per il dopo.
Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso
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