Ero presente a un nuovo appuntamento dei Villa La Pietra Policy Dialogues, tenutosi oggi, mercoledì 12 ottobre 2011, presso la prestigiosa sede fiorentina della New York University. La riflessione odierna è stata dedicata alla politica americana in vista delle elezioni presidenziali del 2012. C'erano studiosi e accademici brillanti, giornalisti e opinionisti di valore, fra i quali il nostro bravissimo Mario Calvo-Platero, una delle voci più interessanti e autorevoli di Radio 24.
Mi hanno colpito soprattutto le riflessioni sulle profonde inquietudini che attraversano e forse accomunano movimenti assolutamente diversi fra di loro, come il Tea Party e Occupy Wall Street, o lontanissimi dalla realtà americana, come gli indignados europei e israeliani. Ne hanno parlato tutti ma soprattutto, ciascuno dal proprio punto di vista, il consulente strategico Steve Schmidt, il commentatore Paul Begala, la storica Nicole Bacharan e l'attivista Marylouise Oates.
La singola persona, l'individuo, in Occidente, ma non solo, ovunque siano arrivati un po' di salute, di istruzione, di libertà, si chiede cosa stia succedendo e che cosa ne sarà di lei, in questo tempo di crisi.
Non capisce perché gli stati, le burocrazie, le grandi imprese siano così indebitate e si domanda cosa si dovrebbe fare per cambiare questo stato di cose.
Si sente insicura, perché i vertici del mondo sono tutti opachi, irraggiungibili, incontrollabili, irresponsabili.
Grandi banche e imprese globali sono dichiarate, dalla politica, TBTF, Too Big To Fail, cioè troppo grosse, ormai per fallire, ma se anche questo fosse vero, la politica non avrebbe almeno il dovere di ridimensionare l'eccessivo gigantismo, rinnovare il management, riformare la governance, punire l'azzardo morale?
La politica, se non vuole essere considerata solo una casta improduttiva e impotente, deve cercare di porre rimedio all'attuale incontrollabilità dei vertici delle grandi aziende, che ormai sfuggono a ogni possibilità di controllo da parte dei loro stessi azionisti, delle agenzie di controllo, dei poteri pubblici, della cittadinanza sovrana.
Se la politica non affronta gli enormi problemi posti da quelli che sono troppo grossi per essere dichiarati falliti, compresi alcuni interi stati, questi finiranno per assorbire troppe risorse pubbliche e per distruggere troppa della nostra ricchezza.
Non sono solo gli esponenti più deboli di una classe media impoverita, non sono solo dei giovani dropout frustati, non sono solo dei libertari un po' settari o degli estremisti di sinistra un po' retrò, che stanno cercando di alzare la voce e farsi sentire.
Nessuno si illuda, per il fatto che il livello di protesta sia ancora così relativamente basso, nelle nostre società.
C'è qualcosa di più ampio, di più profondo, di necessario, che deve trovare ascolto.
Aggiungerei, personalmente, che dovrebbero in particolare trovare maggior ascolto coloro che veramente possono creare ricchezza: gli imprenditori innovativi, le piccole imprese locali, le startup high-tech, gli appassionati del proprio territorio e dei propri beni culturali, le iniziative civiche dal basso, le famiglie numerose e quelle allargate, le reti di cittadinanza attiva che possono creare solidarietà e sicurezza a livello di vicinato, di borgo, nelle comunità locali.
E' necessario andare avanti con quella che Steve Schmidt ha chiamato l'esigenza di una honest discussion sul crollo della credibilità delle grandi istituzioni pubbliche e private, sulla sfiducia popolare su come vengono spesi i soldi e le ricchezze di tutti, sulla necessità di cambiare anche ciò che sta davvero molto in alto, che pare intoccabile, che invece deve essere riportato a terra, quaggiù fra di noi.
In America la discussion sembra partita e sembra davvero coinvolgere fino in fondo anche il presidente Barak Obama, che si ricandida, e Mitt Romney, il suo sfidante più accreditato.
E in Italia?
E in Toscana?
Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso
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