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giovedì 31 maggio 2012

Lottare contro la povertà, non contro l'Euro

The World Poverty Stone, Dublin
(Uno scatto di Mauro Vaiani, 2012)

Oggi il Tirreno ospita gentilmente un mio commento sull'Irlanda nel giorno del referendum sul nuovo Trattato europeo di stabilità. L'austerità ci riguarderà tutti, trattato o non trattato, ma dobbiamo coniugarla con una atavica e nobile tradizione irlandese, la lotta per cancellare la povertà. Per riformare l'Euro, per ridurre gli immensi debiti pubblici che minacciano la stabilità delle nostre economie, abbiamo bisogno di profonde riforme politiche e sociali, all'insegna della giustizia. Abbiamo bisogno, ma di questo riparleremo presto, di idee nuove e di una nuova generazione di politici.

* * *

Il testo dell'intervento:



L'Irlanda e la lotta contro la povertà, non contro l'Euro

di Mauro Vaiani*

Dublino, giovedì 31 maggio 2012

Forse il posto migliore dal quale cercare di capire qualcosa dell'Irlanda è a nord del fiume Liffey, a Dublino, dove si trova il suggestivo memoriale dedicato alle vittime della carestia che colpì l'isola fra il 1845 e il 1849. Nessun Irlandese può dimenticare un milione di morti, né il fatto che le grandi aziende agricole del tempo continuarono a esportare cibo per tutti gli anni della “Great Famine”, in cui centinaia di migliaia di poveri contadini fittavoli morivano di fame, venivano cacciati perché morosi, erano costretti dalla disperazione ad emigrare.
Una targa, vicino al monumento, ricorda l'impegno internazionale per lo “Eradication of Poverty”, ma la lotta per la cancellazione della povertà, gli Irlandesi lo sanno, inizia a casa propria. Da coloro che sono lontani, in alto, o altrove, come i grandi proprietari terrieri assenteisti dell'Ottocento, c'è ben poco da aspettarsi.
I cittadini della Repubblica di Irlanda sono quattro milioni e mezzo, quasi un milione in più dei Toscani. Sono sparsi su un territorio tre volte più grande, molto più rurale, molto meno industrializzato, ma non più povero. Il reddito pro capite lordo, a parità di potere d'acquisto, è superiore a quello toscano (33.000 Euro contro i nostri 28.000). La crisi dei mercati finanziari - quelli che distruggono rapidamente le grandi ricchezze virtuali che avevano creato - ha colpito Dublino molto più duramente di Firenze (o di Siena), perché l'Irlanda, con un suo regime fiscale assolutamente vantaggioso, ospita un numero impressionante di finanziarie internazionali.
Con un referendum popolare, gli Irlandesi sono chiamati (giovedì 31 maggio) ad approvare o a respingere il nuovo Trattato di stabilità europea. L'esito è incerto, perché, ancora una volta, come già accadde nel 2008, quando bocciarono il pasticcio della cosiddetta “Costituzione Europea”, gli Irlandesi temono le decisioni prese troppo lontano dai loro occhi e troppo lontano dalla loro terra.
Ciò che è certo invece, è l'austerità, quella che tutti sanno non si potrà evitare, trattato sì o trattato no. Il deficit pubblico, anche qui, era e resta strutturale. Lo era già negli anni del boom, prima che la crisi costringesse il governo a un salvataggio - certamente discutibile - di alcune grandi banche private. Sì, il deficit strutturale c'è anche in questo piccolo paese, nonostante lo stato sia meno esoso e sprecone, non esistano le pensioni d'oro o i baby-pensionati, i cittadini siano molto più fiscalmente disciplinati che da noi.
Qui la crisi è chiamata con il suo vero nome: “European Sovereign Debt Crisis”, crisi del debito pubblico degli stati europei. Lo stato spende troppo. Non è affatto una crisi dell'Euro, è la crisi dei nostri sistemi politici che continuano a spendere più di quello che incassano.
L'Euro, da questo punto di vista, funziona anche troppo bene: è una valuta talmente forte che tutti coloro che hanno troppi debiti in Euro, principalmente gli stati che non hanno mai mantenuto gli impegni presi con il famoso e troppo spesso dimenticato Trattato di Maastricht del 1992, sono con l'acqua alla gola.
Gli Irlandesi vanno al voto sapendo che l'austerità è inevitabile, trattato sì, trattato no.
Dalla crisi del debito pubblico europeo non si esce con il Fiscal Compact, ma con profonde riforme, che sono necessarie in una piccola repubblica, figuriamoci in stati più grandi, più inefficienti, paurosamente più costosi, come il Portogallo, la Grecia, la Spagna, il Belgio - di cui si parla chissà perché così poco - e, naturalmente, l'Italia.


* Visitor at the University College Dublin - School of Politics


* * *

Post Scriptum (venerdì 1 giugno 2012, ore 14.45):

Gli Irlandesi hanno deciso per il sì al nuovo Trattato di austerità. Il paese è diviso e confuso, ma la determinazione a impegnarsi per l'austerità e per le riforme è altissima. Serviranno ancora anni di sacrifici, da parte di tutti. In particolare dovranno sacrificarsi, coloro che hanno commesso grandi errori e corso grandi rischi. Gli Irlandesi hanno un piccolo vantaggio, rispetto a molti altri paesi europei, compreso il nostro e compresa la nostra Toscana. In piccoli collegi eleggono direttamente i propri leader politici. La politica è un po' meno scollata dalla vita reale, nonostante tutto. Gli errori, le inettitudini, gli scandali, ci sono ovviamente anche qui, e costano carissimi, ma vengono corretti più rapidamente e più frequentemente. Non è poco.






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