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sabato 26 ottobre 2019

Il fattore A nel lungo '89



Ci avviciniamo a una data importante, il 30° anniversario della caduta del Muro di Berlino, avvenuta il 9 novembre 1989.
Mi pare importante ricordare, seguendo in questo un insegnamento ricevuto dal prof. Luciano Bozzo, che non stiamo celebrando qualcosa di lontano e in qualche modo compiuto.
Al contrario, stiamo ancora vivendo in un "lungo '89".
Ciò che si è pienamente manifestato in quell'anno eccezionale non ha ancora finito di dispiegare i propri effetti, anzi, forse, non siamo nemmeno all'inizio - grazie al cielo, lasciatemi aggiungere.
Finirono dei regimi, si sciolsero delle alleanze militari e persino degli stati.
Il 1989 non fu solo la fine di una certa famiglia di partiti unici d'ispirazione marxista-leninista, ma anche il rilancio di altre ondate di cambiamento in tutto il mondo, contro autoritarismi, militarismi, partitocrazie, statalismi, centralismi.
La persona umana del XXI secolo, grazie anche a questo lungo 1989, sta scoprendo, fra tante altre cose importanti, il fattore "A", dove "a" sta per autogoverno, autodeterminazione, autonomia (e forse anche un po' anarchia).
Chiunque abbia una coscienza politica, sta comprendendo che c'è bisogno anche di una visione geopolitica chiara sul proprio territorio: estensione orizzontale, altezza delle gerarchie, numeri demografici e distanze geografiche, disuguaglianze economiche e sociali non solo tra cittadini singoli, ma anche tra comunità, centri e periferie.
Non ci si domanda più solamente "chi e come governa", ma anche "da quanto in alto e da quanto lontano si è governati".
Ho dedicato lunghi anni della mia vita (e l'intero mio studio di dottorato: "Disintegration as Hope") a studiare questa presa di coscienza, che fu intuita, prima e più chiaramente di altri, dal grande Karl Deutsch, a partire dal suo articolo "Social Mobilization and Political Development" del 1961, dedicato alla "mobilitazione sociale" e alle sue conseguenze politiche.
Karl Deutsch, ricordiamolo, era uno scienziato politico boemo-tedesco. Sradicato dalla sua Mitteleuropa a causa della persecuzione nazista, trovò rifugio nell'America di Franklin. D. e di Eleanor Roosevelt.
Tra le altre cose notevoli della sua formazione cosmopolita, va ricordata la sua partecipazione, come giovane consulente, alla Conferenza di San Francisco del 1945, quella in cui fu fondata l'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Grazie alla sua solida formazione socialista, non si lasciò mai ingannare dalle apparenze sovrastrutturali.
Fu sempre lucido nel guardare a ciò che accadeva nella vita materiale e concreta delle persone, in tutti gli stati, indipendentemente dal fatto che essi appartenessero al blocco capitalista, o che fossero repubbliche socialiste, o che fossero nuovi stati sorti dal processo di decolonizzazione.
Deutsch comprese che ovunque nel mondo un crescente numero di persone non avrebbero più obbedito ciecamente ai propri stati (come putroppo era invece accaduto durante le due guerre mondiali).
Ogni governo, in una misura difficilmente comparabile con quanto mai accaduto in passato, sarebbe dipeso sempre di più dal consenso dei governati, e questi ultimi avrebbero voluto, in modo crescente, partecipare attivamente al controllo politico del proprio territorio.
Oggi sembra una ovvietà, ma maturare queste considerazioni nell'atmosfera cupa e depressiva della Guerra Fredda, in un mondo diviso e in larga parte dominato da mentalità autoritarie e reazionarie, rende l'idea della grandezza intellettuale di Karl Deutsch.
Nel mondo postbellico, la ricostruzione industriale, l'urbanesimo, la diffusione dei servizi pubblici, l'aumento delle disponibilità alimentari e di altri beni di consumo, la crescita degli indici di alfabetizzazione, la diffusione delle lingue medie globali, le crescenti possibilità di accesso alle comunicazioni di massa, lo sviluppo dei sistemi di assistenza sanitaria e sociale, hanno consentito la crescita della partecipazione potenziale delle persone alla vita politica.
Chiaramente, "potenziale" non significa reale, così come "partecipazione" non significa da subito capacità "liberale" di "conoscere per deliberare", o coscienza "socialista" di comprendere e voler redimere le ingiustizie strutturali.
Tuttavia questa "mobilitazione sociale" era avviata e Deutsch la vedeva accadere chiaramente e potentemente, sia nelle società dell'Ovest, che dell'Est, che dell'immenso Sud del mondo.
Nei decenni, molti altri studiosi hanno visto la connessione tra inclusione delle masse nella modernità e processi di democratizzazione, ma Deutsch fu ed è rimasto a lungo uno dei pochi che vedeva arrivare qualcosa in più: la mobilitazione sociale, comprese Deutsch, avrebbe avuto un potenziale geopolitico, non solo politico.
In un suo importante libro del 1970, "Politics and Government : How People Decide Their Fate" (Politica e governo, Come il popolo sceglie il suo destino), Karl Deutsch spiegò che, pur vivendo ancora in un mondo in cui le due superpotenze nucleari competevano "nell'esportazione di ignoranza", l'umanità avrebbe visto un numero crescente dei suoi membri disposti a impegnarsi per fermare l'apocalisse nucleare, l'autodistruzione ecologica, gli eccessi di urbanizzazione e industrializzazione, oltre che per porre fine a inaccettabili ingiustizie sociali.
Milioni di persone, scrisse Deutsch, anche nelle nazioni più povere, stavano ottenendo accesso ad abbastanza informazione e tecnologia, oltre che al potere di farci qualcosa.
Oggi noi scriveremmo miliardi, considerando la diffusione dell'accesso alle reti.
Entro la fine del XX secolo, aggiungeva Deutsch, avremo la maggioranza delle persone occupate nella manipolazione di simboli, conoscenze, documenti.
Così è andata infatti, solo che lo stesso Deutsch forse non immaginava quanto questo cambiamento avrebbe investito non solo i giovani, non solo il mondo del lavoro, ma anche gli anziani pensionati. Persino le persone più emarginate e più sfruttate, più periferiche e marginali, sono costrette a essere connesse. Persino dove non è arrivata l'acqua, è arrivato lo smart.
Oggi a tutti, in tutto il mondo, è richiesto di essere sempre più coinvolti, non di rado sconvolti, dall'incredibile sviluppo della globalizzazione, in continue innovazioni di stili e tempi di vita, processi e ritmi di lavoro, informazione e comunicazione.Una piccola controprova può fornirla la fonte https://data.worldbank.org/, secondo la quale nel 2018 eravamo già molto vicini ad avere la maggioranza assoluta di tutti i lavoratori del pianeta impiegati nei servizi, più che nella produzione agricola o industriale.
Come ho avuto modo di ricordare in un mio piccolo contributo a Ethnos & Demos, la persona umana del XXI secolo può sempre più scegliere cosa mangiare, dove e con chi vivere, quale vita sessuale e sentimentale condurre, se e quanti figli avere, quali convinzioni coltivare, su cosa e quanto formarsi e informarsi, come curarsi, e persino, al limite, quando morire.
E' probabile, come aveva previsto Deutsch, che questa persona umana, in aggiunta a tutto questo, pretenda anche la facoltà di scegliere in che modo e in che stato autogovernarsi.
Karl Deutsch, insieme a pochi altri, comprese che chi è socialmente mobilitato, avrebbe preteso di vivere in una comunità politica in cui percepisse chiaramente di poter fare la differenza.
Non ci si sarebbe più accontentati di votare ogni quattro o cinque anni, di guardare le cose accadere attraverso i media, di vivere in sistemi politici troppo verticali, di essere pedine in un gioco troppo grande, governato troppo dall'alto, da altri, da altrove.
I limiti fisici, spaziali e temporali, della vita e della forza di ogni singolo individuo, ma anche di ogni singola comunità locale, intuì Deutsch, sono troppo stretti perché ci si possa accontentare di aspettare risposte da autorità troppo lontane, da sistemi politici troppo complessi, da stati troppo grandi.
La persona socialmente mobilitata pretende di essere lei stessa al "potere", almeno nella sua comunità locale, sul proprio territorio, fra la sua gente.
Cosa possibile solo in società progressivamente sempre più decentralizzate e, al limite, quando necessario, in stati molto più piccoli.
Questa intuizione politica e geopolitica di Deutsch aiuta - e non poco, a mio parere - a comprendere come mai, nonostante l'avanzare di una globalizzazione che è oggettivamente una potente forza livellatrice e omologatrice, in tutto il mondo continuino a formarsi movimenti che non sono "solo" sociali e ambientali, ma che esigono una effettiva redistribuzione di potere geopolitico.
Attraverso gli studi anti-centralisti di Deutsch, si comprende meglio perché alle reti di cittadinanza più attive, in cerca di diritti civili, svolte ambientali, giustizia sociale, non basti affatto cambiare ogni tanto - con il voto o anche con la rivolta - il vertice della piramide.
La piramide, piuttosto, deve essere smontata, perché al suo posto possano nascere forme di autogoverno locale più vicine, più capaci di ascolto, più rapide nell'immaginare e introdurre innovazioni, più attente ai dettagli e alle necessarie correzioni dei cambiamenti intrapresi, nonché, cosa nient'affatto secondaria, più facili da contrastare e ribaltare quando esse non siano più rispondenti alle attese della gente.
Dal 1989 a oggi sono caduti e continuano a cambiare molti regimi, ma una analisi spassionata dovrebbe riconoscere che fra i territori dove si registrano maggior successo sociale e minore violenza, sono proprio quelli in cui, oltre a quello politico, c'è stato anche cambiamento geopolitico, restituendo autogoverno a comunità locali e a bioregioni di scala più ridotta.
Gli stati più piccoli, o quelli dove c'è un effettivo decentramento di ricchezze e di potere, rispondono meglio alle esigenze poste dalla persona umana socialmente mobilitata.
Questo, si badi bene, vale sia per società più ricche (Catalogna, Scozia) o più povere (Corsica, Sardegna); sia per aspirazioni nazionali più antiche (come quelle dei Curdi nei confronti di Iraq, Iran, Turchia e Siria), che per aspirazioni all'autogoverno emerse più recentemente (come quelle dei Berberi nel Maghreb o dei nativi in Amazzonia); per territori remoti (Nuova Caledonia) o per grandi città cosmopolite (Hong Kong).
Varrebbe anche in alcuni altri territori che purtroppo sono tenuti insieme con la forza e la violenza da sinistre forze neocolonialiste e imperialiste straniere, come Somalia, Libia, Congo, Nigeria, Yemen, Afghanistan; situazioni drammatiche che non troveranno redenzione finché continueranno le ingerenze delle grandi potenze.
Deutsch scrisse - nel suo libro del 1970 sopra citato - che di tutte le utopie che si sono rivelate fallaci, ce n'è un tipo particolarmente pericoloso, "davvero il più utopista di tutti": quello che suggerisce che il mondo continuerà ad andare com'è sempre andato.
Pochi avevano previsto la caduta e lo scioglimento del blocco sovietico, proprio come oggi ancora troppi rifiutano pregiudizialmente l'idea che tutti i più grandi e più potenti stati del pianeta, a meno che non vadano incontro alle persone umane e alle loro comunità locali con riforme decentraliste radicali, ne seguiranno la sorte.
Sì, avete capito bene, sto parlando anche di India e Cina, Stati Uniti e Indonesia, Russia e Brasile. Tutti giganti che scopriranno presto di avere i piedi d'argilla, se non accetteranno di restituire dignità, ricchezze e potere alle loro comunità locali.
Sembra incredibile, certo, eppure è probabile, perché il centralismo e l'autoritarismo, il militarismo e il neocolonialismo (interno o esterno) di questi grandi stati è semplicemente incompatibile con la vita materiale e la coscienza spirituale della persona umana socialmente mobilitata e politicamente cosciente.
Tutte queste considerazioni, fondate su studi politologici seri e dopo decenni ancora mai falsificati, può e deve suscitare speranza e incoraggiare all'azione coloro che sono veramente determinati a diffondere e a realizzare l'ideale dell'autogoverno per tutti, dappertutto.

Mauro Vaiani
(blogger di Diverso Toscana,
studioso e attivista decentralista)


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La foto di corredo a questo post è tratta da https://www.thinglink.com/

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