Il popolo inglese si è espresso ieri, 23 giugno 2016, per l'uscita dalla Unione Europea. Nonostante il bombardamento mediatico e le minacce interne e internazionali, gli elettori hanno preferito imboccare la strada più difficile e più rischiosa.
Il Regno Unito si scrolla di dosso oltre quarant'anni di integrazione europea, che è sempre stata vissuta come una impropria concentrazione di potere burocratico e tecnocratico a Bruxelles.
I più poveri, i meno istruiti, i più anziani, si legge su The Guardian, avrebbero votato per l'uscita mediamente di più di abbienti, colti, giovani.
Un fatto che che dovrebbe suscitare, a nostro modesto parere, in tutta l'Unione Europea, qualche riflessione critica e autocritica.
Pare confermato ciò che una geopolitica critica sostiene da sempre: la giustizia sociale, l'inclusione, l'integrazione degli immigrati si costruiscono quartiere per quartiere, paesino per paesino, dal basso, nelle periferie; non concentrando risorse in lontane capitali.
Si devono aumentare scuole pubbliche e alloggi popolari nei piccoli comuni, non tecnocrazie e cabine di regia nei ministeri centrali, tanto meno nelle direzioni generali europee.
Il paese esce diviso da questo confronto, con la Scozia, l'Irlanda, la città cosmopolita di Londra che hanno votato per rimanere, mentre il corpo dell'Inghilterra ha votato per uscire.
Questo porterà, inevitabilmente, a ridefinire i rapporti geopolitici anche internamente al Regno Unito.
A tutti consiglieremmo ora una certa umiltà e un vero europeismo.
I paesi UE e non UE devono mantenersi uniti, continuando a essere una grande area di pace, cooperazione e libertà - anche di movimento delle persone e non solo di merci.
I paesi che restano nella UE devono trovare il modo di alleggerire, per dirla con le parole di un bel libro di Hans Magnus Enzensberger, il mostro forse bonario, ma invadente che hanno creato.
In giallo i "Rimani", in celeste gli "Esci" Fonte: The Guardian |
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