Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso

venerdì 13 dicembre 2019

Siamo #MES di nulla...



In Toscana si direbbe: siamo #MES di nulla...

Riordino qui alcune cose essenziali sul #MES, raccolte non tra gli euroscettici (troppo facile!) ma tra gli eurocritici e anche tra molti che continuano a dirsi a favore di questa #Unione.

Per esempio, ma davvero è solo un esempio, uno degli interventi più appassionati, di critica sincera allo stato attuale del governo della Eurozona, l'ho sentito da un sincero europeista liberale, Roberto Sommella, in uno dei suoi interventi su Radio Radicale (https://www.radioradicale.it/scheda/592468/a-che-punto-e-la-notte - 6 dicembre 2019). Non condivido, sia chiaro, la volontà di Sommella di dar vita a un superstato europeo, che finirebbe per somigliare più agli Stati Uniti che alla Svizzera, ma gli devo riconoscere la grande capacità di sintetizzare criticamente cosa non va in Europa oggi.

AGGIORNAMENTO: un altro esempio importante e direi anche imponente di critica al MES è questa ormai famosa lettera di 32 economisti (diciamolo, quasi tutti europeisti e di centrosinistra), pubblicata da MicroMega, che sono diventati famosi perché li hanno citati #Salvini e #Meloni.

1) Il #MES è in vigore dal 2011. Pubblico in cima a questo scritto una foto con un forte contenuto polemico ma anche storico. Non si può far finta di nulla. Per anni il #MES è stato in vigore e nessuna delle grandi forze politiche dominanti di questo paese si è mai sognata non dico di metterlo in discussione, ma nemmeno di cominciare una riflessione, seria e pacata, sulla sua effettiva utilità.

2) Il #MES è una banca internazionale, come tante altre. Il suo unico scopo è TENERE IN VITA I SUOI CREDITORI, perché continuino a pagare non i loro debiti, ma gli interessi. Perché le elite dominanti dei paesi della Eurozona abbiano accettato, nel 2011, di creare questa sorta di mini-FMI, non è un mistero: siamo dominati da elite finanziarie che difendono un rigido status quo, che essi ritengono non solo l'unico possibile, ma l'unico "naturale". Per essi la realtà è questa, l'unica possibile. Di fronte alla crisi essi reagirono in modo conforme alla loro ideologia neoliberista e ai loro interessi di casta. Tutto ciò che non funziona come credono loro, per esempio le periferie della Eurozona oggi, come la Grecia (ma era lo stesso anche per le periferie della Zona Lira poco più di vent'anni fa), deve essere ridotto al silenzio e declinare in pace. Assistito magari, ma senza che si creino disturbi.

3) Il #MES, per essere una banca internazionale, è piuttosto piccolo, con una capacità di raccolta di soli 700 miliardi di Euro. Meno di quanto dispone in un anno il bilancio della Repubblica Italiana. Le sue capacità di aiuto agli stati in difficoltà delle periferie della Eurozona, insomma, sono minime. E' quindi una copertina parecchio corta, che però serve a coprire altre cose che poi si fanno e si faranno, ma di cui un poco ci si vergogna: creazione di liquidità da parte della Banca Centrale Europea per comprare "titoli" a istituzioni finanziarie private (in difficoltà?), salvataggi di banche private con soldi pubblici, imposizione alle comunità locali di tagli alla spesa sociale e privatizzazioni selvagge. Se non credete a me, che sono un modesto attivista politico, leggete qualcosa di più ampio e documentato come questo articolo - non certo eurocritico - del Post.

4) Il trattato di riforma del #MES, rischia di essere, per quanto possibile, non troppo peggiore di quello in vigore, perché a questa concentrazione di potere e di ricchezze, alla fine, sarà consentito di fare ben poco, quando gli stati saranno davvero nei guai. E' come se i suoi creatori avessero condiviso questo retropensiero: abbiamo creato una bestia, ora mettiamola sotto tranquillanti, perché se e quando si muoverà, farà danni come li farebbe ogni elefante in una cristalleria. Un esempio di questo atteggiamento ce lo da', per esempio, il neoministro delle finanze italiano, Roberto Gualtieri. Seguite i suoi cinguettii e capirete da soli.



5) La Banca Centrale Europea ha creato in pochi anni, dal nulla, quasi 3.400 miliardi di Euro (sì, avete letto bene, praticamente 100.000 Euro per ogni cittadino della Eurozona). E sta continuando. Bisogna essere "bischeri", come diremmo in Toscana, per non capire che non avevamo bisogno di dar vita ad altre concentrazioni di potere e di ricchezze, per risolvere i nostri problemi di liquidità denominata in Euro. Dovremmo essere, già da anni, seduti a discutere su come aggiornare i trattati, altro che #MES. Peccato che sia il centrodestra, che il centrosinistra, che i pentastellati, nel frattempo, avessero altro a cui pensare, inseguendo i loro sogni centralisti, autoritari, populisti e reazionari.


Di fronte a questi fatti, propongo alcune mie provvisorie conclusioni.
Per opportunismo, o magari anche per semplice ignoranza, #Giorgetti, #Salvini, #Meloni, #DiMaio, #Renzi, #Speranza, #Zingaretti e parecchi altri non si sono mai occupati del #MES, quando è stato il loro turno di avere il tempo e il potere di farlo. Possono rinfacciarselo quanto vogliono, ora che la frittata è fatta, ma non si salva nessuno.




Di fronte al #MES, gli stati membri della Eurozona sono in una trappola "reputazionale". Non possono ammettere di essersi sbagliati per anni. Non possono rinnegare ciò che i loro funzionari hanno elaborato in mesi e mesi di trattative. Non possono denunciare il trattato (tutt'al più rinviarlo di qualche mese, come sta chiedendo, dimostrando in questo un certo buon senso, il presidente Conte).

Perché? Semplicemente perché oggi chi si mettesse di traverso, verrebbe colpito dallo spread. Solo la Germania potrebbe forse sbattere un pugno sul tavolo così forte da far saltare il #MES, ma anche per i potenti capi del paese centrale dell'Eurozona, ammettere di aver sbagliato così tanto e per così tanto tempo, temo non sia facile.

Il #MES, insomma, non è un pericolo per l'Italia, ma una rovina per l'intera casa comune degli Europei che usano l'Euro. Intere classi dirigenti, ancora una volta, si sono compromesse in un progetto di concentrazione inopportuna di potere e di ricchezze. Un autentico disastro politico. Ripeto: non per l'Italia, ma per l'intera Europa.

Che fare, allora?

Se vi bastano la ristrettezza di vedute del PD, l'incompetenza di Di Maio, il cinismo di Salvini, l'avventatezza della Meloni, potete anche non fare nulla. AUGURI! Interi territori europei, compresa tutta la nostra penisola, diventeranno una sorta di #Calabria d'Europa (un territorio spopolato ed emarginato, non ce ne vogliano i Calabresi), con la sinistra.
Oppure, con la destra, una sorta di nuova #Turchia

Oppure, con ciò che resta degli eletti a Cinque Stelle, qualcosa che potrebbe unire il peggio di tutte e due.

Ci si potrebbe rodere il fegato ripensando a quanta protesta, ma anche quanta speranza, sono state raccolte, in rapida successione, prima da #Renzi, poi da #Grillo, poi da #Salvini e presto magari dalla #Meloni, ma essi, almeno di fronte al #MES, sono già stati provati e si sono rivelati essere parte del problema, non certo della soluzione.

Se volete una moratoria su qualsiasi nuovo trattato economico-finanziario, un cambiamento più profondo, una discussione seria sullo stato dell'Euro, un rimedio alle catene del debito, il superamento del concetto stesso di "banca internazionale", vi restiamo noi, AUTONOMISTI E DECENTRALISTI. 

Occorrerà una generazione per rimediare agli errori iniziati nel 1981 con la "privatizzazione" del debito pubblico, poi proseguiti con Maastricht nel 1992 e con i trattati successivi, come ricordiamo sempre con gli amici di Libera Firenze, in particolare con Fabrizio Valleri, che su queste cose, da buon padre di famiglia e piccolo imprenditore, ha sviluppato una sensibilità accesa e, purtroppo, ancora non comune.

Cominciare, però, si deve, perché gli stati che hanno debiti pubblici storici sono sotto ricatto e con essi tutti i nostri territori. 

Siamo stati costretti a cominciare ad occuparci delle catene del debito, che ci imprigionano, ma qualcosa abbiamo imparato, dalle campagne di Francesco Gesualdi, dagli studi di Stefano Sylos Labini, dagli scritti di Alberto Micalizzi. Non molleremo, perché è una questione di vita o di morte.

Non dimentichiamoci che anche le elite al potere stanno riflettendo sugli errori e sulle storture della Eurozona. Non stanno ferme. Anche loro stanno elaborando strategie per introdurre delle correzioni. Si può tentare di riformare l'Euro in tanti modi, anche centralisti, anche autoritari, anche reazionari, immaginando, per esempio, come criticavamo poco sopra ricordando la posizione di Sommella, di dare all'Euro uno "stato", invece di occuparci dello stato miserando in cui si trovano i cittadini impoveriti dall'Euro. Uno "stato", magari simile agli Stati Uniti d'America - il cielo ce ne guardi - invece che, come vorremmo noi, alla Confederazione Elvetica. 

Leggete qualcosa di quello che scrivono persone come il professore Massimo Costa. Le svolte autoritarie, quando i popoli e i territori sono sotto ricatto, sono sempre dietro l'angolo.
 

Cerchiamo di essere un po' meno cinici, un po' meno incompetenti, un po' meno avventati.
 

Miracoli non ne promettiamo, ma cambiamenti a lungo termine per consentire a ogni territorio di vivere più serenamente, sì.

sabato 30 novembre 2019

Intervento di Mauro Vaiani ad Aosta



Riportiamo qui la sintesi dell'intervento del dott. Mauro Vaiani al congresso della Union Valdôtaine del 30 novembre 2019 (http://www.unionvaldotaine.org/datapage.asp?id=1566&l=1)


Gressan (Aosta), sabato 30 novembre 2019

Sintesi dell’intervento di Mauro Vaiani Ph.D.
al congresso della l’Union Valdôtaine

Ringrazio di cuore dell’invito e dell’accoglienza. Vi porto il saluto di un ampio schieramento di forze civiche, ambientaliste e autonomiste con le quali il nostro autonomismo toscano è collegato. 


Sono anche emozionato, considerato che parlo davanti a una platea storicamente fedele ai valori della Carta di Chivasso, che sono ancora oggi di ispirazione per tutti noi, oltre che consonanti con I valori del nostro antico CTLN (Comitato Toscano di Liberazione Nazionale), l’organismo che mobilitò I toscani durante la Resistenza e che ospitò al proprio interno intuizioni autonomiste sorte in antitesi al deteriore e infine scellerato centralismo dello stato italiano (prima “liberale”, poi nazionalista e colonialista, e infine fascista).

Sono cittadino di Firenze, ma sono anch’io un po’ montanaro, per le mie origini mugellane. Come voi sapete bene, nella durezza e nella povertà della vita di montagna, non importa quante volte si cada, si venga umiliati, si subiscano privazioni. La gente di montagna si rialza sempre. E così faremo noi, con i nostri antichi valori decentralisti.

Il nostro umanesimo autonomista, aggiornato in un moderno decentralismo, è e resterà la tendenza politica più importante del nostro tempo, l’unico futuro possibile a misura d’uomo, l’unica speranza per il bene delle generazioni future.

Certo dobbiamo farlo insieme, costruendo una rete la più inclusiva possibile, per resistere insieme alle minacce che incombono sulla nostra Repubblica delle Autonomie e sulla nostra Europa delle regioni e dei popoli.

Lo facciamo per difendere le nostre identità e diversità locali. Lo facciamo per essere interpreti dei nostri legittimi interessi territoriali. Non solo per identità e interessi, però. Lo facciamo perché vogliamo che le persone abbiano la dignità di decidere del futuro della propria comunità, di autogovernarsi nel proprio territorio, di eleggere I propri leader locali, che siano davvero vicini a loro, tanto che ognuno possa tirarli per la giacca, invece che subire la dominazione di chi è in alto, altrove, sempre troppo lontano e disattento.

Un tempo avevamo problemi anche fra di noi, per esempio fra indipendentisti e autonomisti, ma noi oggi, riflettendo sulla necessità dell’autogoverno per tutti, dappertutto, stiamo diventando più capaci di cooperare. Del resto, cosa vuol dire nel mondo di oggi essere “indipendenti”? Una regione autonoma come la Valle d’Aosta si autogoverna molto più di quanto sia possibile per un paese dell’Africa rimasto sotto il tallone del neocolonialismo...

Noi dobbiamo essere uniti perché I nostri territori siano, prima di tutto, “meno in dipendenza”. I valori dell’autogoverno, poi, con il tempo, si affermeranno per tutti, dappertutto.

Ci stiamo accorgendo che ovunque incontriamo persone e gruppi civici, ambientalisti, localisti, che non si sono mai occupati di federalismo e non hanno mai studiato nulla del nostro autonomismo, con cui però, appena parliamo di autogoverno, riusciamo a sintonizzarci e a costruire percorsi comuni (questo ci è successo, per esempio, in Romagna, in Umbria, a Napoli e persino nella città di Roma).

Le esperienze più diverse riescono ad allearsi e ad avere un percorso comune, quando si condivide una visione orizzontale della vita. Tutti coloro che vedono con diffidenza la concentrazione di potere e di ricchezze, sono potenzialmente con noi in un moderno decentralismo.

Venendo alla necessità di lavorare insieme, dalla Toscana, ma anche dal Friuli e dalla Sicilia, dove ci sono le forze sorelle con cui collaboriamo sempre più strettamente (Patto per l’Autonomia FVG e Siciliani Liberi), vi porto alcune istanze, che ovviamente mi limito a elencare per punti:

- AMBIENTE - Noi dobbiamo essere gli interpreti della svolta ecologista dei nostri territori; nessuno, se non governi locali molto forti, può attuare le raccomandazioni della comunità scientifica internazionale, paesino per paesino, valle per valle, territorio per territorio, nel rispetto di tutte le nostre tradizioni, piante, animali; siamo noi il principale motore di cambiamento ambientalista.

- EUROZONA – Sappiamo che tante cose non funzionano, ma non lasceremo certo che se ne occupino forze che da vent’anni fanno parte dello status quo. Se persone come Meloni o Salvini avessero avuto buone idee per un diverso sistema monetario, le avrebbero espresse, magari quando erano al potere. L’Euro è un bene comune e su una politica monetaria europea diversa, diremo la nostra. Presto vi inviteremo a un momento di studio, su questo, insieme al professore Massimo Costa, promotore e punto di riferimento dei Siciliani Liberi.

- STATO DELLE AUTONOMIE – Voi sapete benissimo quanto sia grave il processo di soffocamento delle autonomie esistenti, da parte delle tendenze centraliste. Le autonomie speciali di Sicilia e Sardegna, per esempio, sono schiacciate da decenni da processi che non esito a chiamare di vero e proprio neocolonialismo interno. La promessa delle autonomie differenziate per Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, sta venendo tradita, attraverso la proposta di testi che sono o inattuabili, oppure pericolosi.

- FORMA DI GOVERNO – Mi spiace che sembri che un esterno voglia entrare in un vostro dibattito interno sul presidenzialismo come forma di governo per la vostra regione, ma noi, su queste figure che inevitabilmente accentrano un grande potere, abbiamo sempre più dubbi. Di certo non vogliamo alcuna forma di presidenzialismo per un territorio vasto come l’Italia. Sarebbe la morte della nostra Repubblica delle Autonomie. Diventeremmo come la Turchia.

- RAPPRESENTANZA – Dobbiamo lottare, insieme, per leggi elettorali più giuste, che consentano a tutti I territori della Repubblica di avere I propri rappresentanti alla Camera, al Senato, al Parlamento Europeo.

Chiudo dicendovi, con rispetto ma anche con urgenza: ATTREZZIAMOCI INSIEME, aggiornando I rapporti tra di noi e quelli con i decentralisti di tutta Italia e d’Europa (a cominciare da tutte le forze sorelle dell’Alleanza Libera Europea).

Vediamoci regolarmente per produrre politiche comuni, per renderci sempre più visibili e più incisivi (anche sui media nazionali, dove purtroppo impazzano le follie e gli slogan del centralismo più prepotente, del populismo più impreparato, di un sinistro neonazionalismo “italiano”).

Grazie ancora, in particolare al presidente Erik Lavevaz.

Grazie, in modo del tutto particolare, al senatore Albert Lanièce, che conduce un lavoro esemplare nel gruppo delle Autonomie al Senato.

Avanti insieme, animo!

lunedì 25 novembre 2019

Decentralismo in Italia, che fare?



In queste ultime settimane si sta accelerando un "dialogo di autogoverno" tra alcuni movimenti politici territoriali, attivi nella Repubblica Italiana, che è andato avanti per oltre un anno. Si sta avvicinando il momento di decidere sul "che fare".
Come attivista per l'autonomia della Toscana ho condiviso con Francesco Marsala (il responsabile relazioni esterne dei Siciliani Liberi, che ha, tra le altre, forti relazioni con attivisti per l'autogoverno della Sardegna) e con Roberto Visentin (un autonomista friulano impegnato nel Patto per l'Autonomia Friuli-Venezia Giulia), alcuni pensieri che spero incontrino consenso e che possano al più trasformarsi in azione.
Dobbiamo fare rete tra di noi, oltre che con il civismo, le lotte ambientaliste dei territori, il localismo che fiorisce in ogni angolo della Repubblica, mantenendo fermi due punti di riferimento. Il primo è il nostro rapporto con la Union Valdotaine, che è, al momento, il più importante movimento autonomista popolare e di governo, oltre che, attraverso il senatore Albert Lanièce, una componente fondamentale del gruppo parlamentare delle Autonomie. Il secondo è l'appoggio allo sforzo di riorganizzazione in Italia dell'Alleanza Libera Europea - ALE (European Free Alliance - EFA), portato avanti, sotto l'impulso della presidente europea Lorena Lopez de Lacalle (Eusko Alkartasuna), da quattro forze territoriali storiche che da anni sono parte di ALE-EFA: Slovenska Skupnost; Patrie Furlane; Pro Lombardia Indipendenza; ALPE - Autonomie - Liberté - Participation - Écologie (della Valle d'Aosta).
Dobbiamo dimostrare resilienza, insieme, perché la Repubblica è percorsa da tensioni centraliste drammaticamente pericolose, che si manifestano nella produzione legislativa italiana e nella pratica quotidiana dei governi centrali. Uno dei punti più drammatici è quello delle leggi elettorali vigenti, che attentano direttamente alla rappresentanza dei territori (mentre sono state rese note persino proposte di modifica della Costituzione che porrebbero fine all'elezione su base regionale del Senato). La Repubblica delle Autonomie è in pericolo. Si lasciano inattuate e anzi si minano le autonomie esistenti, altro che "concedere" autonomie ulteriori! Quella delle tre bozze di attuazione della cosiddetta "autonomia differenziata" per Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, che dovrebbe aprire la strada anche ad analoghe richieste da parte di altre regioni, è, a questo proposito, una vicenda tristemente emblematica di come si possano portare avanti per anni discussioni mediatiche strumentali, su presupposti sbagliati, con proposte normative che sarebbero o inattuabili, oppure, se attuate, peggiorative delle possibilità di autogoverno responsabile dei territori interessati. Siamo arrivati a questo punto, così tragicamente basso, attraverso un lungo processo di avvelenamento del dibattito pubblico italiano, iniziato quando il panorama politico italiano ha cominciato a essere popolato da "uomini soli al comando", padroni del loro partito, dei loro gruppi parlamentari, dei governi di cui si sono trovati responsabili. E' una sirena sempre accesa, quella che promette ai popoli italiani, di volta in volta, un nuovo "capo", magari eletto direttamente, scelto attraverso l'illusione mediatica, tra chi si presenta meglio o urla più forte in tivù. E' una deriva, che tocca anche a noi fermare (forse soprattutto a noi, come già abbiamo fatto nel 2016, quando abbiamo contribuito a sconfiggere il progetto di una repubblica in stile "Turchia" promosso da Renzi, Boschi e Verdini). 
Dobbiamo avere coraggio, riunendoci al più presto in momenti di studio e di approfondimento, perché la situazione ambientale, economica e sociale, ci chiama a scelte radicali. Come abbiamo scritto nel documento del II congresso CLT, la sfida globale per salvare il pianeta e la stessa vita umana sulla Terra, richiede "azione locale". Ambiente e autogoverno sono due facce della stessa medaglia. Non può esserci tutela dell’ambiente senza autogoverno locale, perché tutto ciò che ci è raccomandato dalla comunità scientifica internazionale ha bisogno di attuazione territorio per territorio, valle per valle, fiume per fiume, strada per strada, campo per campo, fosso per fosso, da parte di istituzioni locali più forti e più responsabili di quelle che abbiamo oggi. Stiamo parlando di una svolta necessaria e urgente, che richiede di mettere fortemente in discussione il modo in cui nella Eurozona e nella Repubblica si amministrano le risorse. Se vogliamo salvare l'ambiente e la vita umana nella nostra Europa delle regioni, dei territori, dei popoli, dobbiamo sederci e parlare, tra di noi e con tutta la politica europea, di come correggere gli errori dell'eterna austerità, delle catene del debito, degli eccessi del neoliberismo, del commercio internazionale iniquo. Contiamo, per questo, fra gli altri possibili contributi, sulla guida scientifica dell'economista professore Massimo Costa, punto di riferimento dei Siciliani Liberi e non solo.
Il decentralismo italiano, che è parte integrante del movimento europeo e globale per l'autogoverno responsabile di tutti e dappertutto, deve farsi un regalo, al più presto, magari entro Santa Lucia, prima delle feste del cuore d'inverno: stringiamo la nostra nuova allenza attorno alle nostre parole più importanti, autonomia e ambiente, e facciamo vedere all'opinione pubblica italiana ed europea che la nostra forza tranquilla, radicata da sempre nella storia della penisola da sempre, c'è e si farà sentire.

Mauro Vaiani Ph.D.
(25 novembre 2019)

sabato 26 ottobre 2019

Il fattore A nel lungo '89



Ci avviciniamo a una data importante, il 30° anniversario della caduta del Muro di Berlino, avvenuta il 9 novembre 1989.
Mi pare importante ricordare, seguendo in questo un insegnamento ricevuto dal prof. Luciano Bozzo, che non stiamo celebrando qualcosa di lontano e in qualche modo compiuto.
Al contrario, stiamo ancora vivendo in un "lungo '89".
Ciò che si è pienamente manifestato in quell'anno eccezionale non ha ancora finito di dispiegare i propri effetti, anzi, forse, non siamo nemmeno all'inizio - grazie al cielo, lasciatemi aggiungere.
Finirono dei regimi, si sciolsero delle alleanze militari e persino degli stati.
Il 1989 non fu solo la fine di una certa famiglia di partiti unici d'ispirazione marxista-leninista, ma anche il rilancio di altre ondate di cambiamento in tutto il mondo, contro autoritarismi, militarismi, partitocrazie, statalismi, centralismi.
La persona umana del XXI secolo, grazie anche a questo lungo 1989, sta scoprendo, fra tante altre cose importanti, il fattore "A", dove "a" sta per autogoverno, autodeterminazione, autonomia (e forse anche un po' anarchia).
Chiunque abbia una coscienza politica, sta comprendendo che c'è bisogno anche di una visione geopolitica chiara sul proprio territorio: estensione orizzontale, altezza delle gerarchie, numeri demografici e distanze geografiche, disuguaglianze economiche e sociali non solo tra cittadini singoli, ma anche tra comunità, centri e periferie.
Non ci si domanda più solamente "chi e come governa", ma anche "da quanto in alto e da quanto lontano si è governati".
Ho dedicato lunghi anni della mia vita (e l'intero mio studio di dottorato: "Disintegration as Hope") a studiare questa presa di coscienza, che fu intuita, prima e più chiaramente di altri, dal grande Karl Deutsch, a partire dal suo articolo "Social Mobilization and Political Development" del 1961, dedicato alla "mobilitazione sociale" e alle sue conseguenze politiche.
Karl Deutsch, ricordiamolo, era uno scienziato politico boemo-tedesco. Sradicato dalla sua Mitteleuropa a causa della persecuzione nazista, trovò rifugio nell'America di Franklin. D. e di Eleanor Roosevelt.
Tra le altre cose notevoli della sua formazione cosmopolita, va ricordata la sua partecipazione, come giovane consulente, alla Conferenza di San Francisco del 1945, quella in cui fu fondata l'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Grazie alla sua solida formazione socialista, non si lasciò mai ingannare dalle apparenze sovrastrutturali.
Fu sempre lucido nel guardare a ciò che accadeva nella vita materiale e concreta delle persone, in tutti gli stati, indipendentemente dal fatto che essi appartenessero al blocco capitalista, o che fossero repubbliche socialiste, o che fossero nuovi stati sorti dal processo di decolonizzazione.
Deutsch comprese che ovunque nel mondo un crescente numero di persone non avrebbero più obbedito ciecamente ai propri stati (come putroppo era invece accaduto durante le due guerre mondiali).
Ogni governo, in una misura difficilmente comparabile con quanto mai accaduto in passato, sarebbe dipeso sempre di più dal consenso dei governati, e questi ultimi avrebbero voluto, in modo crescente, partecipare attivamente al controllo politico del proprio territorio.
Oggi sembra una ovvietà, ma maturare queste considerazioni nell'atmosfera cupa e depressiva della Guerra Fredda, in un mondo diviso e in larga parte dominato da mentalità autoritarie e reazionarie, rende l'idea della grandezza intellettuale di Karl Deutsch.
Nel mondo postbellico, la ricostruzione industriale, l'urbanesimo, la diffusione dei servizi pubblici, l'aumento delle disponibilità alimentari e di altri beni di consumo, la crescita degli indici di alfabetizzazione, la diffusione delle lingue medie globali, le crescenti possibilità di accesso alle comunicazioni di massa, lo sviluppo dei sistemi di assistenza sanitaria e sociale, hanno consentito la crescita della partecipazione potenziale delle persone alla vita politica.
Chiaramente, "potenziale" non significa reale, così come "partecipazione" non significa da subito capacità "liberale" di "conoscere per deliberare", o coscienza "socialista" di comprendere e voler redimere le ingiustizie strutturali.
Tuttavia questa "mobilitazione sociale" era avviata e Deutsch la vedeva accadere chiaramente e potentemente, sia nelle società dell'Ovest, che dell'Est, che dell'immenso Sud del mondo.
Nei decenni, molti altri studiosi hanno visto la connessione tra inclusione delle masse nella modernità e processi di democratizzazione, ma Deutsch fu ed è rimasto a lungo uno dei pochi che vedeva arrivare qualcosa in più: la mobilitazione sociale, comprese Deutsch, avrebbe avuto un potenziale geopolitico, non solo politico.
In un suo importante libro del 1970, "Politics and Government : How People Decide Their Fate" (Politica e governo, Come il popolo sceglie il suo destino), Karl Deutsch spiegò che, pur vivendo ancora in un mondo in cui le due superpotenze nucleari competevano "nell'esportazione di ignoranza", l'umanità avrebbe visto un numero crescente dei suoi membri disposti a impegnarsi per fermare l'apocalisse nucleare, l'autodistruzione ecologica, gli eccessi di urbanizzazione e industrializzazione, oltre che per porre fine a inaccettabili ingiustizie sociali.
Milioni di persone, scrisse Deutsch, anche nelle nazioni più povere, stavano ottenendo accesso ad abbastanza informazione e tecnologia, oltre che al potere di farci qualcosa.
Oggi noi scriveremmo miliardi, considerando la diffusione dell'accesso alle reti.
Entro la fine del XX secolo, aggiungeva Deutsch, avremo la maggioranza delle persone occupate nella manipolazione di simboli, conoscenze, documenti.
Così è andata infatti, solo che lo stesso Deutsch forse non immaginava quanto questo cambiamento avrebbe investito non solo i giovani, non solo il mondo del lavoro, ma anche gli anziani pensionati. Persino le persone più emarginate e più sfruttate, più periferiche e marginali, sono costrette a essere connesse. Persino dove non è arrivata l'acqua, è arrivato lo smart.
Oggi a tutti, in tutto il mondo, è richiesto di essere sempre più coinvolti, non di rado sconvolti, dall'incredibile sviluppo della globalizzazione, in continue innovazioni di stili e tempi di vita, processi e ritmi di lavoro, informazione e comunicazione.Una piccola controprova può fornirla la fonte https://data.worldbank.org/, secondo la quale nel 2018 eravamo già molto vicini ad avere la maggioranza assoluta di tutti i lavoratori del pianeta impiegati nei servizi, più che nella produzione agricola o industriale.
Come ho avuto modo di ricordare in un mio piccolo contributo a Ethnos & Demos, la persona umana del XXI secolo può sempre più scegliere cosa mangiare, dove e con chi vivere, quale vita sessuale e sentimentale condurre, se e quanti figli avere, quali convinzioni coltivare, su cosa e quanto formarsi e informarsi, come curarsi, e persino, al limite, quando morire.
E' probabile, come aveva previsto Deutsch, che questa persona umana, in aggiunta a tutto questo, pretenda anche la facoltà di scegliere in che modo e in che stato autogovernarsi.
Karl Deutsch, insieme a pochi altri, comprese che chi è socialmente mobilitato, avrebbe preteso di vivere in una comunità politica in cui percepisse chiaramente di poter fare la differenza.
Non ci si sarebbe più accontentati di votare ogni quattro o cinque anni, di guardare le cose accadere attraverso i media, di vivere in sistemi politici troppo verticali, di essere pedine in un gioco troppo grande, governato troppo dall'alto, da altri, da altrove.
I limiti fisici, spaziali e temporali, della vita e della forza di ogni singolo individuo, ma anche di ogni singola comunità locale, intuì Deutsch, sono troppo stretti perché ci si possa accontentare di aspettare risposte da autorità troppo lontane, da sistemi politici troppo complessi, da stati troppo grandi.
La persona socialmente mobilitata pretende di essere lei stessa al "potere", almeno nella sua comunità locale, sul proprio territorio, fra la sua gente.
Cosa possibile solo in società progressivamente sempre più decentralizzate e, al limite, quando necessario, in stati molto più piccoli.
Questa intuizione politica e geopolitica di Deutsch aiuta - e non poco, a mio parere - a comprendere come mai, nonostante l'avanzare di una globalizzazione che è oggettivamente una potente forza livellatrice e omologatrice, in tutto il mondo continuino a formarsi movimenti che non sono "solo" sociali e ambientali, ma che esigono una effettiva redistribuzione di potere geopolitico.
Attraverso gli studi anti-centralisti di Deutsch, si comprende meglio perché alle reti di cittadinanza più attive, in cerca di diritti civili, svolte ambientali, giustizia sociale, non basti affatto cambiare ogni tanto - con il voto o anche con la rivolta - il vertice della piramide.
La piramide, piuttosto, deve essere smontata, perché al suo posto possano nascere forme di autogoverno locale più vicine, più capaci di ascolto, più rapide nell'immaginare e introdurre innovazioni, più attente ai dettagli e alle necessarie correzioni dei cambiamenti intrapresi, nonché, cosa nient'affatto secondaria, più facili da contrastare e ribaltare quando esse non siano più rispondenti alle attese della gente.
Dal 1989 a oggi sono caduti e continuano a cambiare molti regimi, ma una analisi spassionata dovrebbe riconoscere che fra i territori dove si registrano maggior successo sociale e minore violenza, sono proprio quelli in cui, oltre a quello politico, c'è stato anche cambiamento geopolitico, restituendo autogoverno a comunità locali e a bioregioni di scala più ridotta.
Gli stati più piccoli, o quelli dove c'è un effettivo decentramento di ricchezze e di potere, rispondono meglio alle esigenze poste dalla persona umana socialmente mobilitata.
Questo, si badi bene, vale sia per società più ricche (Catalogna, Scozia) o più povere (Corsica, Sardegna); sia per aspirazioni nazionali più antiche (come quelle dei Curdi nei confronti di Iraq, Iran, Turchia e Siria), che per aspirazioni all'autogoverno emerse più recentemente (come quelle dei Berberi nel Maghreb o dei nativi in Amazzonia); per territori remoti (Nuova Caledonia) o per grandi città cosmopolite (Hong Kong).
Varrebbe anche in alcuni altri territori che purtroppo sono tenuti insieme con la forza e la violenza da sinistre forze neocolonialiste e imperialiste straniere, come Somalia, Libia, Congo, Nigeria, Yemen, Afghanistan; situazioni drammatiche che non troveranno redenzione finché continueranno le ingerenze delle grandi potenze.
Deutsch scrisse - nel suo libro del 1970 sopra citato - che di tutte le utopie che si sono rivelate fallaci, ce n'è un tipo particolarmente pericoloso, "davvero il più utopista di tutti": quello che suggerisce che il mondo continuerà ad andare com'è sempre andato.
Pochi avevano previsto la caduta e lo scioglimento del blocco sovietico, proprio come oggi ancora troppi rifiutano pregiudizialmente l'idea che tutti i più grandi e più potenti stati del pianeta, a meno che non vadano incontro alle persone umane e alle loro comunità locali con riforme decentraliste radicali, ne seguiranno la sorte.
Sì, avete capito bene, sto parlando anche di India e Cina, Stati Uniti e Indonesia, Russia e Brasile. Tutti giganti che scopriranno presto di avere i piedi d'argilla, se non accetteranno di restituire dignità, ricchezze e potere alle loro comunità locali.
Sembra incredibile, certo, eppure è probabile, perché il centralismo e l'autoritarismo, il militarismo e il neocolonialismo (interno o esterno) di questi grandi stati è semplicemente incompatibile con la vita materiale e la coscienza spirituale della persona umana socialmente mobilitata e politicamente cosciente.
Tutte queste considerazioni, fondate su studi politologici seri e dopo decenni ancora mai falsificati, può e deve suscitare speranza e incoraggiare all'azione coloro che sono veramente determinati a diffondere e a realizzare l'ideale dell'autogoverno per tutti, dappertutto.

Mauro Vaiani
(blogger di Diverso Toscana,
studioso e attivista decentralista)


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La foto di corredo a questo post è tratta da https://www.thinglink.com/

venerdì 4 ottobre 2019

Liberi Toscani alla manifestazione del 12 ottobre 2019






Una delegazione di "Liberi Toscani" sarà presente alla manifestazione del 12 ottobre 2019 a Roma, convocata sotto il motto "Liberiamo l'Italia". Tra gli altri ci saranno Fabrizio Valleri, Costanza Savio, Chicco Vita, Michele Bazzani.

La manifestazione è organizzata da una galassia di gruppi, attivisti, intellettuali in rotta di collisione contro lo status quo, le catene del debito, l'austerità, il pensiero unico eurinomane, i trattati ingiusti (non solo il CETA), il militarismo, l'imperialismo, il neocolonialismo (anche quello interno, che distrugge le periferie dell'Eurozona, che opprime la Catalogna, la Corsica, la Sardegna e la Sicilia).

Incontreremo e ascolteremo figure che stimiamo, come Alberto Micalizzi, Mauro Scardovelli, Paolo Maddalena, Stefano Sylos Labini.

E' stato deciso che non ci siano insegne di partito, ma solo simboli repubblicani e ciellennisti. Per questo anche noi toscanisti e localisti esponiamo solo l'insegna dello storico Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, una esperienza storica non solo di resistenza antifascista, ma anche fucina di riflessioni decentraliste e antiautoritarie.

Andiamo a Roma con umiltà, ma con alcune idee chiare in testa, che in parte sappiamo condivise, ma che in parte sono originali e forse anche critiche, rispetto agli appelli diffusi dagli organizzatori.

1) Evitiamo la narrazione semplicistica che i guai di questa Repubblica sono venuti con l'Euro. Tutto era già cominciato con il passaggio alla gestione di "mercato" del debito pubblico, quindi almeno dal 1981. Rileggiamoci, almeno noi qui in Toscana, in proposito, i lavori divulgativi di Francesco Gesualdi (Le catene del debito, 2013). Anche quella della Lira non era una "area valutaria ottimale". Le periferie della zona Lira - in particolare il Sud, ma non solo il Sud - erano già soggette a svuotamento di persone, risorse, cultura e dignità. La distruzione delle comunità locali, la svendita dei loro beni comuni, l'attacco ai servizi pubblici universali, c'erano prima dell'Euro e, se non cambiamo profondamente strada, resteranno anche dopo l'Euro.

2) La sacrosanta protesta contro le tecnocrazie deve restare democratica e libertaria, anticolonialista e internazionalista. Mai confondersi con gente bigotta e reazionaria. Mai affiancarsi a forze centraliste, nazionaliste, intrinsecamente autoritarie (e non stiamo parlando solo del salvinismo, perché il centralismo autoritario è una malattia che inquina l'intero spettro politico italiano).

3) Non perdiamo di vista la nostra gente, in particolare gli umili, ma anche le classi medie che si stanno impoverendo e le ultime ondate di giovani che hanno dovuto fuggire all'estero. Le necessarie riforme contro la concentrazione di ricchezze e di potere, l'accumulazione di capitali virtuali, la circolazione di merci spazzatura e la tratta dei nuovi schiavi, gli "schiavoratori", dobbiamo farle in collegamento e in solidarietà internazionale con tutto il resto dell'Eurozona e oltre. IN ATTESA DI POTER CAMBIARE LO STATUS QUO DEI TRATTATI INGIUSTI EUROPEI E ATLANTICI, DOBBIAMO LOTTARE INSIEME PER DARE IMMEDIATO SOLLIEVO ALLA NOSTRA GENTE. Per esempio dirottando da subito partite come gli incentivi nocivi all'ambiente e le spese militari, verso i lavoratori poveri; cristallizzando e monetizzando il debito pubblico, per ridurre la spesa per gli interessi; spostando al più presto risorse e personale, poteri e compentenze, dagli inefficienti e costosi ministeri centrali alle amministrazioni comunali che sono più vicine ai cittadini.

4) Non dimentichiamoci i nostri territori, le città, le regioni, le identità culturali e linguistiche, le tante nazioni che formano la Repubblica delle Autonomie (strettamente interconessa con l'Europa delle Regioni). Non esiste alcuna soluzione "italiana" ai problemi posti dagli errori della globalizzazione neoliberista. La ricostruzione economica e sociale, l'effettività dei servizi pubblici universali, la restituzione di dignità ai lavoratori pubblici, la manutenzione dei beni comuni, la conservazione dei beni culturali, la svolta ambientalista, tutto questo può essere realizzato solo da istituzioni locali forti, che si autogovernano, che possano anche stampare, se necessario, proprie MONETE LOCALI COMPLEMENTARI, DI SOLIDARIETA' E PROSSIMITA'. Non c'è alcuna ricetta economica e sociale che vada bene dalla Val d'Aosta al Salento: questo era stato confusamente ma sufficientemente compreso dai partiti che "lasciarono fare" l'Italia del "boom". Poi sono arrivati i centralisti tecnocratici, che hanno concentrato un immenso potere nelle mani di pochi, a Roma, a Milano, a Bruxelles e la fine che abbiamo fatto è davanti agli occhi di tutti.

5) Di fronte alla gravità del momento politico interno e internazionale, non è il momento di fondare nuovi partiti, ma di fare "rete", con capacità di trasversalità e di inclusione, fra tutti quelli che già esistono, assicurando pari dignità a ogni gruppo politico, dalla più piccola lista civica locale al più organizzato dei partiti nazionali, dai più locali ai più collegati internazionalmente. Facendo "rete" potremo almeno tentare di resistere a una comunicazione pubblica dominata da narrazioni conformiste. Studiando insieme, magari nel "laboratorio" proposto da Scardovelli e Micalizzi, potremo approfondire nuove idee per ripristinare la democrazia, fuori e dentro le istituzioni della Repubblica e dell'Europa.

sabato 14 settembre 2019

Vigna o pioppo, movimenti o piramidi




Sono ormai pericolosamente vicino a compiere quarant'anni di attivismo, considerando che, come giovanissimo studente a Prato, partecipavo già alle assemblee e alle istituzioni dell'autogoverno scolastico.
Per tutta la mia vita non ho mai esitato ad appoggiare tanti movimenti nati dal basso, dalle persone comuni, dalle minoranze, dai diversi, dagli oppressi, dagli ultimi, dalle periferie di tutto il mondo: le istanze autonomiste, decentraliste, di autogoverno; l'anticolonialismo (anche contro i colonialismi interni ai grandi stati); le lotte contro i partiti unici e le partitocrazie; i movimenti per il disarmo e contro il mercato delle armi; le lotte anti-nucleari; le liste verdi autonome e autonomiste (con cui ho fatto una breve ma significativa esperienza come consigliere comunale di opposizione a Prato, nel 1990-1992); la resistenza degli antiproibizionisti; i comitati ambientalisti; le iniziative di risveglio civile contro le mafie; le liste civiche; il rifiuto di monopoli e parassitismi burocratici e plutocratici; l'impegno contro tutte le discriminazioni; i movimenti per la democrazia locale e contro tutte le concentrazioni di potere e di ricchezze a livello toscano, italiano, europeo e globale.
La mia storia non è quella di un vincente, anzi, ho accumulato molti errori personali e sofferto, insieme alle comunità di cui ero parte, per lo più sconfitte.
Tra gli errori, che ammetto sinceramente, quello di aver seguito, a tratti, alcuni "leader" nazionali, carismatici e mediatici, di cui magari non condividevo tutto, ma che credevo potessero svolgere nella Repubblica italiana una funzione in qualche modo "maieutica".
Tra gli aspetti positivi, rivendico di aver saputo dialogare e costruire percorsi concreti di cambiamento con persone di ogni classe sociale e formazione culturale, ben oltre quelli che (una volta) erano gli angusti recinti di sinistra, centro e destra. Le persone di animo libertario hanno sempre molto da dirsi, indipendentemente dalle loro antiche appartenenze partitiche.
Tutte queste rivolte, a cui nel mio piccolo ho contribuito, non sono affatto state domate, sia chiaro, perché esse non sono un fenomeno sovrastrutturale.

Decentralismo e autonomismo, civismo e ambientalismo, che hanno già scritto belle pagine di storia, sono qui per restare e durare, perché sono l'unica strada per fermare la distruzione del pianeta e per assicurarci che lasceremo alle generazioni future una vita degna di essere vissuta.
Animo quindi e, per i pochi che mi leggono, un modesto suggerimento.
Non lasciate mai che il vostro movimento autonomista, civico, ambientalista, venga assogettato a un vertice (italiano, o europeo, o magari mondiale).
Questo errore è già stato fatto da mille altri movimenti della storia contemporanea e, in ultimo, nella Repubblica Italiana, anche dai movimenti se-dicenti populisti (dal più grosso, i Cinque Stelle, ai mille altri più piccoli, fino ai più recenti rivoli neo-sovranisti).

Purtroppo vedo che taluni ancora aspirano a fondare e formare sempre nuovi movimenti "nazionali" od "europei", perché pensano che ci si debba lanciare alla conquista dei centri decisionali di Roma, Milano, Francoforte e Bruxelles.
Peccato che, se il movimento diventa una piramide, esso diventi strutturalmente simile alle altre piramidi della modernità.
Anche quando ne conquista il vertice, invece che cominciare a smontarle, si pone a capo di esse.
Emblematica e oltremodo triste, per esempio, è la parabola leghista. Partirono per abolire i prefetti e hanno finito per mettersene a capo, occupando a lungo, in più occasioni negli ultimi vent'anni, il Ministero degli Interni.
Anche il grillismo, per citare uno degli ultimi e forse più importanti tentativi di assalto alla cima delle piramidi, ha fallito perché non ha resistito alla tentazione di essere esso stesso una organizzazione piramidale (e persino più opaca di tante altre).

Di Gandhi è ben noto un importante aforisma: 
“Il mezzo può essere paragonato a un seme, il fine a un albero; e tra mezzo e fine vi è esattamente lo stesso inviolabile nesso che c’è tra seme e albero.”
Noi in Toscana si potrebbe dire, più alla buona, che il pioppo non fa uva.
Un movimento verticale non produrrà mai una società più orizzontale.
Un movimento centralizzato non voterà mai riforme decentraliste.
Un movimento autoritario non aiuterà mai la società a diventare più libera e più responsabile.
Un movimento che indice plebisciti dall'alto, ancorché elettronici, non consentirà reale capacità di elaborazione, proposta e decisione dal basso.
Un movimento che persegue la propria vittoria maggioritaria e solitaria, magari con l'elezione diretta del proprio capo come "uomo solo al comando" di vasti territori, dominerà attraverso l'invasione mediatica, ma non saprà mai ascoltare, includere, mediare.
Cercare di vincere senza sentire la necessità di convincere, non funzionerà, se non attraverso scorciatoie autoritarie in stile Ungheria o Turchia.
Non avremo l'uva dal pioppo, care poche persone che mi state leggendo.
Ci occorre una vigna, una struttura molto più reticolare e orizzontale!
Per avviare i profondi cambiamenti civici e civili, una svolta ambientalista, una economia e una società più a misura di bambini e di vecchi, di animali e di alberi, per cui lottiamo da una vita, occorrono grande pluralismo culturale, ampia partecipazione popolare, la fine della concentrazione di potere, ricchezze e tecnologie (che non sono mai neutrali!), l'autogoverno di tutti dappertutto.
Questo è ciò per cui lottano, in Europa e nel mondo, tutti gli autonomisti e i decentralisti, dalla Patagonia a Hong Kong, da Bougainville al Vermont, da Portorico al Kurdistan, dal Somaliland al Kashmir, così come, più vicino a noi, in Scozia, Catalogna, Corsica, Sardegna.

Noi, che siamo impegnati in tante realtà autonomiste, civiche, ambientaliste, a partire da Libera Firenze, vogliamo essere piccole viti della vigna, non pioppi (non importa quanto alti e maestosi).

A tutti chiediamo di fare rete per una Toscana dei territori, una Repubblica delle Autonomie che ritorni (almeno!) fedele alla sua Costituzione, una Europa delle regioni, un mondo liberato dal pensiero unico, dalle ideologie dell'austerità, dalle catene dei debiti, dalla cultura di massa, dal consumismo, dal globalismo, livellamento globalista, dallo sfruttamento ecocida e genocida.

Incontriamoci, conosciamoci, mettiamoci al lavoro, insieme.

Le viti non si fanno ombra l'un l'altra e tutti gli operai di una vigna hanno gli stessi doveri e ricevono la stessa ricompensa.

Mauro Vaiani Ph.D.
blogger di Diverso Toscana
attivista di Libera Firenze 2019

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giovedì 29 agosto 2019

La fine dell'ennesima illusione centralista



Ci sono tante persone, in tutti i territori italiani, che sono veramente affamate e assetate di cambiamento. A seconda della loro classe sociale e cultura politica personale, si sono mosse a milioni per votare dei "leader" pompati da grandi bolle mediatiche: Renzi, Grillo e infine Salvini, per citare solo le più recenti meteore.
Però non ha funzionato.
E' mia modesta opinione che non abbia funzionato perché, semplicemente, la risposta ai problemi posti dalla concentrazione di ricchezze e di potere nella globalizzazione e nella Eurozona, non può essere risolta da una diversa concentrazione, cioè, per esempio, nel ritorno alla "sovranità monetaria" italiana.
Non c'è una "soluzione italiana" ai problemi, perché essa finirebbe per essere, ancora come in passato, centralista e autoritaria, oltre che neocolonialista (contro i nostri stessi territori italiani più deboli e, ancora una volta, contro i territori africani).
Le istanze critiche contro lo status quo - per esempio contro l'imperialismo americano, il neocentralismo eurocratico, le disfunzioni della Eurozona, l'insensatezza dei proibizionismi, la lentezza con cui affrontiamo i problemi ambientali, la burocrazia, il declino di tutti i servizi pubblici, l'oppressione giudiziaria, la distruzione degli ascensori sociali, il degrado di tutte le periferie urbane del paese, l'abbandono dei beni culturali e ambientali, le ingiustizie e gli azzardi morali con cui ci rapportiamo ai migranti - devono trovare ascolto, prima di tutto, attraverso la ricostruzione delle capacità di autogoverno locale di tutti i territori italiani.
Anche perché, ciascun territorio, con i propri leader locali - eletti, sperabilmente, con modalità più democratiche - certamente vive questi problemi in modo diverso e darà ad essi SOLUZIONI DIVERSE. 
Capisco, in particolare, il senso di delusione e frustrazione che attraversa un vasto fronte - eterogeneo e trasversale - che qualcuno chiama "sovranista", ma tutti i critici del globalismo e della c.d. eurocrazia, devono aprire la loro mente e il loro cuore a un più radicale decentralismo, agli ideali federali e confederali, all'Europa delle regioni. Devono cominciare a guardare alla Svizzera, non all'Ungheria. Devono trovarsi leader locali rispettabili, non invocare Putin o Trump. Devono sviluppare progetti, non rifugiarsi nella frustrazione del complottismo.
Avrei un appello, in particolare, per una persona come Claudio Messora, che con il suo videoblog https://www.byoblu.com/ ha svolto un ruolo straordinario nel dare voce a molti intellettuali e attivisti critici nei confronti del "mainstream". Ora che è crollata l'ennesima illusione centralista, con la fine della collaborazione tra Cinque Stelle e Lega salviniana, si aprino nuovi spazi a tutte le forze sorelle della famiglia del decentralismo e dell'autonomismo.
I decentralisti lottano ripristinare la dignità e l'autogoverno di tutti, dappertutto.Queste forze lottano contro la padella eurocratica ma non per farci cascare nella brace nazionalista.

giovedì 22 agosto 2019

Dal Basta Euro Tour al brusco risveglio dei no-Euro orfani di Salvini



Abbiamo sempre rispettato e in larga parte condiviso le critiche di fondo che si fanno all'Euro, all'Eurozona, agli attuali trattati europei, al pareggio di bilancio, all'austerità astratta e assurda. Quelle serie, però, non strumentali come invece sono stati quelli del finto "Basta Euro Tour" della Lega, dal 2014 fino a poco prima di salire al governo con i Cinque Stelle.

Su questo essere no-Euro a parole si è basata una parte del successo della Lega e dei Cinque Stelle. Lo stesso spostamento dei consensi dai Cinque Stelle verso la Lega, occorso lungo tutto l'anno che hanno governato insieme, dal 4 marzo 2018 (elezioni politiche) al 26 maggio 2019 (elezioni europee) è stato dovuto in buona parte, secondo noi, alla apparente maggior coerenza anti-Euro della seconda, rispetto ai primi. Infine, non crediamo di dire una cosa particolarmente originale, se facciamo notare che, appena la Lega di Salvini si è riavvicinata a Berlusconi e a Tajani, sia finita quella che era una vera e propria luna di miele tra la Lega e tutti gli anti-Euro, con conseguenze elettorali che saranno prevedibilmente negative. Essere anti-Euro, insomma, elettoralmente parlando, qualcosina rende. Essere conseguenti e coerenti, per cambiare veramente l'Eurozona o addirittura uscirne, è tutt'altro discorso, evidentemente.

La Lega di Salvini è stata particolarmente efficace, come recipiente politico dei sentimenti anti-Euro, proprio perché non è mai apparsa monotematica (e quindi monotona). Ha miscelato il tema no-Euro con l'apparente ascolto di altri bisogni popolari (come, per esempio, fermare la tassazione delle piccole partite IVA, bloccare l'immigrazione clandestina, investire di più sulla famiglia, garantire più sicurezza nelle periferie, e così via).

Ha provato anche - e fino a oggi ci era quasi riuscita - a ingannare l'intero paese fingendosi ancora autonomista mentre ormai si era già trasformata - ben prima dell'avvento di Salvini intendiamoci - in una macchina politica stato-nazionalista, grande consumatrice di denaro pubblico e avida di posti di potere, che sono ancora, in larghissima parte, concentrati a Roma.

Il sogno sovranista che gli anti-Euro hanno proiettato su Salvini era, ci pare, grosso modo questo: raggiungere la maggioranza elettorale nel paese, cavalcando tutti i temi populisti disponibili; una volta giunti al potere con Salvini, spendere in deficit fino a provocare una crisi con le attuali istituzioni europee e con i mercati internazionali; infine, uscire dall'Euro, a seguito della crisi. Semplifichiamo troppo? Non ci pare.

Credo che i sovranisti debbano risvegliarsi presto da questo sogno, perché un progetto del genere, se gestito da nazionalisti e centralisti italiani, si rivelerebbe semplicemente un incubo. Anche se fosse possibile - e non lo è - tornare in una notte dall'Euro alla Lira, tutte le immense ingiustizie e diseguaglianze, sociali e territoriali, di questa nostra Repubblica, resterebbero lì e anzi si ingigantirebbero.

La Lega e Salvini (tanto meno i suoi alleati effettivi e potenziali, dalla Meloni a Toti) NON sono minimamente attrezzati a gestire, Euro o Lira vigendo, ingiustizie e disuguaglianze, così come molte altre cose.

Si sono mostrati, in decenni che sono stati al potere, inetti nella gestione delle catene del debito pubblico, della riforma bancaria, dei problemi finanziari europei e internazionali posti dalla globalizzazione.

Non hanno mai dimostrato autentica comprensione della gravità dei problemi ambientali, come hanno dimostrato con il loro arroccamento sul feticcio TAV e con il loro appoggio a molte altre opere inutili.

Sono privi di una visione seria e responsabilizzante sulle autonomie e, come è noto, chi non riesce a fare decentralismo, prima o poi, diventa subalterno al peggior centralismo, anche per auto-giustificarsi della propria incompetenza e mancanza di determinazione politica.

In pratica, su materie drammatiche (che resterebbero tali anche se davvero potessimo passare in una notte dall'Euro alla Lira, ripetiamolo), come debito, ambiente e autonomie, queste forze brancolano nel buio oppure, peggio, se conquistassero davvero il potere, ci porterebbero letteralmente a sbattere.

Di certo non scriviamo questo in difesa delle forze dello status quo (che sono peraltro annidate in tutti i maggiori partiti italiani e italianisti), ma solo per suscitare nelle persone che parlano di "sovranità monetaria" un sano ripensamento anti-centralista e anti-nazionalista.

Abbiamo bisogno di riprenderci potere da Bruxelles, ma non per riportarlo nelle prefetture e nei ministeri, i quali, dei nostri territori e delle nostre città, sono stati, sono e saranno sempre prevaricatori.



martedì 20 agosto 2019

Smascherato un altro leader centralista...



Dopo Berlusconi e Bossi, dopo Prodi e i suoi epigoni, dopo Monti e i suoi professori-vampiri, dopo Renzi e il suo "giglio magico", dopo Beppe Grillo e il suo "capo politico" Di Maio, questa crisi ferragostana ha smascherato un altro leader centralista... L'ultimo... Il Salvini, il #CapitanFracassa dei neonazionalisti italiani... Il problema è che presto il sistema del #centralismo troverà un nuovo campione, perché ne hanno bisogno per difendere, con il coltello tra i denti, una assurda concentrazione di ricchezze e di potere.

Comunque per oggi respiriamo un momento di sollievo. Il centralismo non funziona e possono inviare anche Superman o Nembo Kid a incarnarlo, ma non funzionerà mai.

Una parola di rispetto per Giuseppe Conte, che è anche lui un leader centralista, ma, come dire, dal volto umano:



sabato 10 agosto 2019

Ignoranza al potere





La XVIII legislatura, caratterizzata dalla collaborazione di governo tra Cinque Stelle e Lega, sta per terminare. Non crediamo che sarà rimpianta, dal punto di vista della produzione normativa, come per altro nessuno rimpiange la XVII e le sue leggi "renzianissime".

Uno dei provvedimenti giunto quasi alla fine del suo iter è la legge costituzionale che riduce sia il numero dei deputati (cosa per molti aspetti sensata e da anni aspirazione diffusa) che quello dei senatori (cosa molto più discutibile, secondo questo blog).

Assistiamo, a margine delle discussioni e delle liti di questa metà d'agosto 2019, a una strana manifestazione d'ignoranza, che ci rende un po' tristi.

Tutti i media e, secondo i media, gran parte dei politici, attribuiscono al quarto e ultimo voto confermativo della legge costituzionale, previsto per il 9 settembre, il valore di blocco salvifico della situazione politica.

Siccome la nuova legge avrebbe tempi piuttosto lunghi, prima di entrare in vigore, e poi altri tempi tecnici per la sua attuazione, questo basterebbe, si legge dappertutto, per fermare la macchina delle elezioni anticipate...

Ma non è vero! Non esiste da nessuna parte! Come possono, giornalisti e politici, essere così ignoranti da non sapere cosa accade quando si approva una legge costituzionale, nelle more della sua effettiva entrata in vigore?

Accade semplicemente che tutto continua a funzionare secondo le vecchie regole e nessun processo politico della Repubblica può essere fermato.

Auguriamo a coloro che vogliono ridurre il numero dei parlamentari di farcela a votare per la quarta e ultima volta il loro progetto di legge, ma si scordino - loro e i media - di poter raccontare la storia che questo possa fermare le elezioni anticipate.

La nuova legge eventualmente approvata non potrà entrare in vigore subito e quindi si andrà, semplicemente, a votare per eleggere una camera e un senato con il numero di componenti attualmente previsto.

Le nuove norme, se mai entreranno in vigore, verranno applicate alla XX e non alla XIX legislatura.

Se questo sia un bene o un male, lo lasciamo giudicare ai nostri pochi lettori. Però l'ignoranza rivelata da questa confusa discussione mediatica tra persone di potere e che sono al potere, inquieta, non trovate?

mercoledì 26 giugno 2019

Territorializzare le imposte, la grande sfida




Vogliamo davvero sfidare le ingiustizie sociali e le disparità territoriali, in Italia e oltre? Accettiamo davvero fino in fondo, allora, la sfida della territorializzazione delle imposte.
Partiamo dall'imposta più universale e generale della modernità globalizzata, quella che in Italia e in Europa si chiama IVA (imposta sul valore aggiunto).
Se compriamo qualcosa, paghiamo quasi sempre una piccola o grande quota di IVA, come consumatori finali, non solo in Italia, ma in molte parti del mondo.
Essendo una tassa imposta alle persone che consumano, essa dovrebbe essere sempre pagata alle autorità del territorio dove queste stesse persone vivono, si curano, ricevono servizi sociali vari (tra cui lo smaltimento rifiuti).
Territorializzare l'IVA sarebbe una rivoluzione per l'Italia (ma anche per l'Europa, ma anche oltre).
Non stiamo parlando di una novità assoluta (esistono diversi esempi di tasse locali sulla vendita al consumatore finale nel mondo).
Tuttavia stiamo parlando di una riforma che per l'Italia (e non solo) sarebbe comunque rivoluzionaria.
Immaginatevi di essere un cittadino toscano che compra beni da reti commerciali che hanno la sede fiscale e legale fuori dalla Toscana (quasi tutte, a dire il vero). Oggi l'IVA pagata se ne va. Se la territorializzassimo questa risorsa resterebbe qui, dove viviamo.
Sembra un vantaggio e probabilmente lo sarebbe davvero.
Nello stesso tempo però, non dimentichiamolo visto che la Toscana è anche un territorio fortemente esportatore, dovremmo rinunciare a molta IVA che ci viene dai consumatori non toscani che comprano, magari in rete, prodotti toscani da aziende toscane.
Invece, l'IVA pagata e viaggiatori, a chi dovrebbe andare? Anche su quello ci vorrebbero regole semplici ed eque. Se dormo una notte a Firenze, sembra giusto pagare l'IVA a Firenze. Se viaggio su un treno regionale, sembra ragionevole pagare l'IVA alla società toscana che gestisce i treni regionali. Se prendo un aero da Pisa per Parigi, pare ragionevole pensare che la mia IVA dovrebbe essere pagata in parte qui e in parte là.
I dettagli sono importanti e delicati, ma il concetto è promettente.
Lo è in particolare se pensiamo agli immensi profitti che poche grandi centrali di vendita online realizzano in Toscana, senza che una sola briciola della loro IVA resti sul nostro territorio (sì, stiamo parlando anche di Amazon...).
Se la territorializzazione di una imposta come l'IVA farebbe bene a un territorio come quello della Toscana, pensate quanto più farebbe bene a territori che sono, a causa di storici fenomeni di colonialismo e marginalizzazione, ben più deboli e poveri della Toscana, come gran parte del Sud, la Sicilia, la Sardegna.
In quelle regioni la popolazione e i redditi sono inferiori alle medie della Toscana. Sono importatori di beni e prodotti dalle regioni più forti e più industrializzate. Se potessero trattenere sul territorio la loro IVA, avrebbero in tempi rapidi molte più risorse da investire nella loro emancipazione (senza che questo, si badi, esoneri nessuno dalla responsabilità di attuare l'art. 119 della nostra Costituzione, sulla solidarietà interterritoriale).
Sarebbe, la territorializzazione delle imposte, il primo e necessario passo per dare finalmente attuazione anche all'autonomia speciale della Sardegna e della Sicilia, per porre fine allo sfruttamento del Sud da parte delle elite centraliste, per avviare in modo serio ed equilibrato l'attuazione di tutte le autonomie, comprese quelle cosiddette "differenziate". 
Maggior autogoverno, maggior controllo sulle proprie risorse (anche e soprattutto quando sono scarse), maggiore autonomia finanziaria, maggior federalismo fiscale, sono una cosa seria.
Non lasciamole ai chiacchieroni, agli ignoranti che non sanno nulla sul perché tanti territori che erano poveri pochi decenni fa oggi sono ricchi (come il Trentino), agli imprenditori politici dell'odio, ai populisti reazionari, tanto meno ai  neonazionalisti e neocentralisti.

PS:
Se si da' una occhiata in rete, si nota che gli studi sull'attuazione seria del federalismo fiscale si sono tutti praticamente interrotti attorno al 2011. A causa della crisi, dell'austerità, dell'avvento di politici sempre più centralisti (cioè sempre più avidi di potere e di ricchezze), un dibattito che già di per sé era fragile e contradditorio, tra figure come Alberto Zanardi o come Maria Cecilia Guerra, è stato troncato. Fatevi una domanda. Datevi una risposta. E svegliamoci, per favore. L'Italia e l'Europa, sotto le grinfie di nuove ondate nazionaliste, centraliste, neoliberiste, in definitiva reazionarie, vengono distrutte sotto i nostri occhi!

venerdì 7 giugno 2019

C'è speranza nelle brigate d'argento

Fonte: https://ourworldindata.org/population-aged-65-outnumber-children

L'umanità globalmente interconnessa di questo inizio di millennio sta realizzando da sola un cambiamento che nessuno dei suoi leader, dall'alto delle proprie concentrazioni di ricchezza e di potere, avrebbe mai potuto ottenere, ammesso e non concesso che lo avesse concepito e perseguito. Stiamo rallentando drasticamente la nostra crescita demografica. Sta accadendo ovunque. E' un autentico bene. Perché il pianeta è finito e la nostra crescita, anche numerica, come abitanti dominatori della Terra, non può essere infinita.

Particolarmente significativa è la stima che riportiamo nel grafico: pare che già da oggi abbiamo più nonni che nipotini. Potrebbe essere la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai conosciuto, da quando esistono delle forme di trasmissione e conservazione della nostra memoria storica collettiva.

L'autore di questo blog, nel suo piccolo, vede in questo cambiamento demografico una grande speranza. Nessuna società dove ci sono più anziani che bambini sarà mai più tanto facilmente soggetta ad obbedire a pochi. Gli anziani, quanto meno, garantiscono questo alla società di cui fanno parte: ne hanno viste talmente tante, hanno meno forza fisica, hanno meno tempo davanti a sé, quindi è parecchio difficile trascinarli in avventure politiche e sociali. Saranno più resistenti ai cambiamenti, certo, e questo non è sempre necessariamente un bene, ma poiché nel nostro mondo completamente industrializzato i cambiamenti che vengono proposti (dall'alto e da altrove) sono regolarmente maggiormente distruttivi, ecocidi e genocidi, la resistenza degli anziani potrebbe diventare la principale ancora per tutti coloro che credono nella pace, nella giustizia, nella salvaguardia del creato.

Gli anziani, possiamo aggiungere, sono anche più fragili e questo rende molti di loro più empatici con la fragilità del nostro pianeta. Possono diventare gli attori protagonisti di una spettacolare frenata di ogni folle marcia sul mondo: meno produzione, meno inquinamento, meno sfruttamento, meno concentrazione di ricchezze e, conseguentemente, meno concentrazione di potere.

Gli anziani, ci vogliamo credere - coerentemente con i nostri studi ispirati da Deutsche - poiché hanno già visto troppi salire al potere delle altissime piramidi della modernità, poiché hanno le spalle incurvate dai pesi insopportabili che queste grandi piramidi stesse hanno imposto loro, potrebbero anche essere quelli che finalmente, se ne sottrarranno, lasciando che si incrinino e, con l'aiuto della Provvidenza, continuino a disintegrarsi.

I giovani ribelli continueranno a esserci. Adulti che, nel pieno della loro maturità, continueranno a volere dei miglioramenti sociali, pure. La possibilità che ad essi si aggiunga una maggioranza di anziani, sufficientemente disillusi, provati dalla vita, meno facilmente plasmabili, con una memoria (non solo con la loro naturale esperienza di vita, ma anche con accesso agli strumenti moderni della memoria collettiva globale), non più tanto silenziosi, ci sembra davvero cruciale.


Un esempio di una società che, grazie ai suoi anziani,
sta veramente cambiando, la Catalogna
Fonte: Facebook, un post di Giacomo Fiaschi del 2 ottobre 2017




martedì 21 maggio 2019

Guerra agli alberi, altro che svolta verde

 


Comunicato di Fabrizio Valleri, candidato sindaco di Libera Firenze

Firenze, martedì 21 maggio 2019

LA GUERRA AGLI ALBERI, ALTRO CHE SVOLTA VERDE

Fabrizio Valleri, candidato sindaco di Libera Firenze, ha partecipato all’assemblea-confronto organizzata ieri sera (lunedì 20 maggio ore 21) al Parterre (Sala Marmi) dal comitato Piazza della Vittoria. Insieme a lui era presente Vincenzo Ramalli, candidato presidente di Libera Firenze per il Quartiere 5 (Rifredi), oltre a molti altri attivisti e studiosi che fanno parte della squadra civica, autonomista e ambientalista.

Si è fatto il punto, grazie agli attivisti di piazza della Vittoria, sui processi negativi che sono in corso da anni.

Gli alberi di Firenze sono ormai adulti o anche anziani.

Su di essi si sono abbattute le ricadute negative dei lavori appaltati al ribasso:

- lavori pubblici sui sottosistemi stradali, che ne danneggiano le radici

- potature con la pratica rozza della “capitozzatura”, che spoglia e indebolisce gli alberi, facendoli ammalare

Il comune non ha più praticamente un servizio di giardinieri propri, per la cura del verde pubblico. Non ha più competenze al proprio interno, in questo campo.

Inoltre gli alberi cadono vittima della fame di spazio urbano necessaria per le colate di cemento e ferro per i Sirio, i treni voluti a tutti costi da questa classe politica di uscenti.

L’alternativa, secondo gli uscenti di Palazzo Vecchio, sarebbe il “re-impianto” dei “peri cinesi”.

E’ ovvio anche alla persona più distratta che un piccolo alberello non può giovare alla vita in città come un albero alto, maturo e frondoso, ma da questo orecchio gli uscenti non ci sentano.

E infatti, ancora una volta, Nardella non c’era. 

Altro che “svolta verde”. Continuano la fiera dell’ipocrisia e la sceneggiata della fuga da ogni confronto.

Gli alberi sono esseri viventi e sono necessari alla vita in città. 

Devono poter vivere e invecchiare con noi. 

In ogni rione, con la RIVOLUZIONE RIONALE, vogliamo un servizio pubblico di giardinieri competenti e affezionati ai loro alberi. Vogliamo in ogni rione giardini pieni di alberi, e quando possibile veri e propri boschi in città (gli alberi, quando sono raggruppati, sono molto più forti e resistenti). Questi boschi di città, per concludere, sono un necessario rifugio per i nostri anziani e i nostri bambini (e i nostri animali) in un tempo in cui sono sempre più frequenti le ondate di calore in città.


lunedì 20 maggio 2019

Come volevasi dimostrare, una sceneggiata in Umbria

Come volevasi dimostrare, le dimissioni della presidente dell'Umbria ancora non sono effettive.
Leggete qua: https://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=74137 .
Il parlamentino umbro le ha chiesto di restare in carica...
Lo avevo sospettato da subito, ma avrei preferito non avere ragione...

venerdì 26 aprile 2019

Programma elettorale di Libera Firenze

Archiviamo qui il programma di Libera Firenze 2019, la lista guidata da Fabrizio Valleri e organizzata da Mauro Vaiani, depositato presso la Segreteria generale del comune di Firenze il 26 aprile 2019 (ndr, 16 aprile 2022).












LIBERA FIRENZE

Programma amministrativo

Elezioni comunali di Firenze 26 maggio 2019



Preambolo

La lista LIBERA FIRENZE si è formata negli ultimi giorni utili, come iniziativa di RESISTENZA, dopo aver preso atto della sostanziale convergenza degli schieramenti politici nazionali (centrosinistra e centrodestra) rispetto a questioni drammatiche come l’annunciata colata di cemento di un vagheggiato “nuovo aeroporto”, della vaghezza e della reticenza con cui si parla di nuove tramvie simili agli attuali invadenti Sirio, dell’indifferenza e della leggerezza con cui l’amministrazione uscente pianifica la distruzione di altre sezioni dei viali del Poggi, della subalternità agli interessi speculativi che vagheggiano di ulteriore cementificazione a favore degli interessi di pochi contro il benessere dei cittadini di Firenze e della Piana.

Libera Firenze è un incontro tra diverse energie di tanti Fiorentini, cittadini, comitati, movimenti che hanno risposto ad un appello “per salvare Firenze” e concordi su alcuni punti di programma su cosa vogliono e cosa non vogliono, definiti i “minimi per qualunque accordo”: chiari e senza ambiguità.

Cittadini che sono preoccupati per il crescente degrado ed estraniazione della città ma ancor più preoccupati dalla mancanza di strumenti per correggere e partecipare e della distanza di istituzioni ed amministrazioni dai cittadini, sempre troppo al di sopra, mai di fianco.

Cittadini stufi ed irritati di non contare nulla e di essere perciò irrisi perfino dal Sindaco, che dovrebbe essere di tutti, appartenere a tutti, ed ascoltare le ragioni del popolo di questa città che la anima e ne paga le tasse (oh quante!) e non di chi ne approfitta ed in vario modo ci lucra, senza attenzione per la bellezza, per la salubrità e la salute, per la pace, la buona convivenza di cittadini attenti e dediti alla cosa pubblica e non in feroce lotta per arraffarsene un fetta, pur che sia. Appartenere a tutti e non comandare su tutti alla maniera dei Podestà, addirittura con minacce ed azioni legali contro coloro che provano a difendere la città dallo scempio che ne viene fatto e con le “corse” per anticipare e rendere “irrevocabili” scelte anche pesantissime, poco conosciute e mai discusse.

Perciò questo preambolo.

Queste distanze vanno colmate , questa “onnipotenza” va mitigata, l’occuparsi della cosa pubblica deve diventare più semplice e più normale, non costoso né in termini di denaro né di fatica o di esposizione a ritorsioni da parte del potere.

Dal basso, dalla gente

Nel recente passato Firenze era stata divisa in 14 quartieri. Oggi stranamente e malamente ridotti a 5 per “risparmiare, sveltire, semplificare”. Sul territorio comunale insistono 39 case del popolo. Le parrocchie sono ancora oggi ben 98. L’autogoverno dal basso ha ispirato e formato tanta vita politica democratica. Ricordiamo la fondazione dell’Isolotto con Giorgio La Pira, gli studi sulla partecipazione alla trasformazione urbanistica di Luciano Bicocchi, i temi di Adriano Olivetti e di Comunità e tante altre esperienze di stimolo all’autogoverno dal basso.

Queste presenze, questa storia, questa cultura ci dicono che un grande comune è ben più complesso di come viene visto dall’interno delle sempre più chiuse mura di Giunta o delle Direzioni.

Occorre tornare a molti più quartieri dentro Firenze.

Occorre anche impedire che la fantomatica quanto inutile “città metropolitana” (da Marradi a San Giovanni Valdarno a Montaione a Fucecchio) riduca i liberi comuni vicini in “quartieri di Firenze” ed i quartieri di Firenze in ancora più estesi e anonimi distretti.

Occorre ridefinire, consentire e garantire le unità di vicinato – noi preferiamo dire rioni - come cellule costitutive della città, della sua democrazia, e della partecipazione: centri di vita civile ed amministrativa, istruzione, cultura, verde, salute, assistenza, a misura d’uomo e raggiungibili a piedi in sicurezza e tranquillità. Sulla scorta delle tante esperienze, da quelle lontane del socialismo utopista a quelle più recenti e strettamente italiane dei “quartieri” di “edilizia popolare ed economica” IACP e dell’originaria formazione degli standard urbanistici, a quelle di vita concreta di comunità come quella dell’Isolotto o quella de Le Piagge.

Al centro della nostra proposta politica c’è esattamente il ripensamento della città attraverso la trama antica delle sue unità costitutive, ripensate nella situazione attuale, tenendo conto delle loro problematiche e delle caratteristiche che rendono sostenibile la loro coesione interna. Una ridivisione in realtà a misura d’uomo, un decentramento radicale, una inversione totale rispetto alla corrente mentalità verticale.

Aggiungiamo come un nostro orizzonte sia anche l’introduzione ed il rafforzamento di tutti gli istituti di controllo, sia quelli rappresentativi, con più incisivi poteri del Consiglio Comunale e mitigazione del ribaltamento automatico del sindaco eletto direttamente sulla maggioranza assoluta nell’organo di indirizzo e controllo, che di quelli di democrazia diretta come referendum abrogativi e propositi a livello comunale. Il sindaco Podestà è una esperienza già vista e sicuramente fallita. Non ci piace e ritarda lo sviluppo della città, che ha bisogno di altri ritmi: chiudiamo il triste capitolo del “decisionismo” e del “maggioritario”.

Metodo

Il nostro metodo è quello scritto nei primi tre articoli della nostra Costituzione e, “gutta cavat lapidem”, per arrivare a questa rivoluzione da noi assunta a obbiettivo primario della nostra collettività. Lavoreremo per connettere tutti gli spazi normativi, procedurali già esistenti e per allargarli. Lo faremo con sobrietà e prudenza, umiltà, semplicità, e tanta capacità di ascolto.

Questo programma non tratta di tutto, non si esercita nell’elencare tutto quello che il comune potrebbe fare. Molte cose sono da fermare, altre da correggere, anche radicalmente, perché non facciano altri danni, molte sarebbero da riparare o restaurare, forse troppe.

Cambiare mentalità è necessario. La rinascita di Detroit è cominciata con demolizioni e trasformazioni in parchi dell’edilizia obsoleta ed abbandonata dalla crisi industriale e con la nascita di nuove comunità urbane. Basta espandere e cementificare col pretesto del tram o dell’aeroporto del turismo o dell’economia, basta e basta.

Riproduciamo qui di seguito i documenti che sono stati alla base della costituzione della nostra iniziativa civica. Seguono alcune proposte che sono “aperte” ad ulteriori a integrazioni e puntualizzazioni.

DIECI SI E DIECI NO, PER PARLARE CHIARO

Riproduciamo qui integralmente il documento politico su cui i cittadini di LIBERA FIRENZE si sono riuniti, a partire dalle diverse esperienze personali e politiche, per rappresentare una voce radicalmente diversa.

La opaca desistenza in corso, oltre a rappresentare un oltraggio alla democrazia, sta riconsegnando la città ai soliti che spadroneggiano da decenni e portandola alla rovina.

Per chiarezza offriamo in una sintesi schematica i punti, per noi essenziali, su cui basare la convergenza delle opposizioni su un unico candidato ed un programma condiviso da decidere insieme:


Si alla città dei cittadini, aperta, attrattiva per vivere e lavorare in pace a partire dalle comunità di base rionali, cellule fondamentali dell’identità urbana, dell’amministrazione della cosa pubblica e dell’ accoglienza ed integrazione.

No alla Disneyland del Rinascimento e alla città del “lusso”



Si alle soglie di compatibilità, al numero controllato, al ruolo attivo dei cittadini nell’accoglienza e condivisione

No all’alluvione turistica indiscriminata



Si al ritorno di posti di lavoro e di residenza in centro, con relativi e indispensabili servizi

No a qualsiasi ulteriore decentramento di funzioni “pregiate” (uffici pubblici, università, scuole) e di residenza



Si alla diffusione nelle periferie di funzioni e di centri di vita civile ed amministrativa, istruzione, cultura, verde, salute, assistenza, raggiungibili a piedi

No all’abbandono delle periferie al degrado e all’isolamento (con solo un tram per andare in un centro che non è più dei cittadini)





Si all’immediata riapertura di tutto il centro al servizio pubblico elettrico, in continuità con tutte le periferie, con tariffe (e abbonamenti) più popolari

No alla prosecuzione delle tramvie (a partire dalla Linee 2 e 4) e alla distruzione dei Viali



Si al potenziamento dei treni regionali, alla valorizzazione della rete e dei nodi ferroviari in città

No al Passante TAV e alla Foster in qualunque versione



Si all’immediata attuazione delle prescrizioni per Peretola, per sicurezza, fruibilità e protezione dal rumore

No al nuovo aeroporto nel Parco della Piana e ai sorvoli su Firenze – Pisa G. Galilei grande aeroporto della Toscana con cui ripristinare un collegamento ferroviario diretto e rapido



Si alla copertura del Franchi, al “piano stadio” per la mobilità durante gli eventi, al recupero ed integrazione di tutto Campo di Marte e di Coverciano per le attività sportive di base e di spettacolo

No alla grande cementificazione ad Ovest: nuovo stadio con speculazioni connesse, Mercafir, Unipol



Si al restauro e alla manutenzione del verde, al recupero e protezione del Parco delle Cascine, all’estensione ed alla continuità del verde, all’immediato ripristino del servizio giardini del Comune

No alla desertificazione con il taglio degli alberi di tutti i viali e no alle sostituzioni con varietà estranee al contesto storico paesaggistico ed alla nostra tradizione orticola, come i peri cinesi



Sì all’acqua pubblica e acquedotto comunale subito, alla chiusura più rapida possibile del project financing ed al ritorno di ATAF a compagnia pubblica di Firenze e città Metropolitana

No a tutte le esternalizzazioni, alle precarizzazioni, alle privatizzazioni e alle concessioni pluridecennali

Una ultima considerazione: il sindaco accentra per cinque anni tutto il potere nelle sue mani. Palazzo Vecchio è una fortezza sorda che finge ascolto e partecipazione e in realtà comunica a senso unico. I quartieri sono troppo grandi, disomogenei, scatole vuote. Il dibattito pubblico e la partecipazione popolare sono assenti. Gli spazi di critica e di dissenso risultano compressi. Le decisioni assunte risultano irrevocabili per tutto il mandato e impegnano anche un futuro più lontano. Urge l’estensione dell’istituto del referendum abrogativo. Urge un impegno comune per immaginare innovative istituzioni di autogoverno e partecipazione nei rioni, nonché istituti di democrazia deliberativa diretta per tutta la comunità cittadina. Impegniamoci insieme. Più a lungo termine, chiediamo un impegno politico per una profonda revisione del sistema elettorale e amministrativo, che restituisca alla città un governo meno podestarile e ai cittadini una più effettiva sovranità.

Per salvare Firenze

Testo integrale dell’appello “PER SALVARE FIRENZE” (pubblicato il 9 febbraio 2019)

Tra pochi mesi a Firenze saremo chiamati ad eleggere il Sindaco. L’uscente dott. Nardella si è autocandidato per un secondo mandato, forse senza sapere ancora con quale partito. Nessun altro si è fatto avanti. Malgrado dissensi e distinguo, la legge elettorale per i sindaci fa della rielezione un plebiscito che, oltre la persona ed un intero gruppo dirigente, conferma e rafforza una linea di governo più che ventennale che ha portato la città alle attuali condizioni.

Il pacchetto “Nardella 2019” però si acquista tutto intero e non sarà possibile differenziarsi nel momento in cui si vota il suo programma pur privo di un significativo referente politico, a parte l’eterogeneo gruppo dei portatori di interessi locali.

Oggi l’identità di Firenze e l’integrità stessa del suo patrimonio artistico ed architettonico, già variamente compromessi, sono ulteriormente minacciati. Sono a rischio le sue ricchezze ambientali e paesaggistiche ma anche il suo equilibrio sociale e culturale e in ultima analisi il suo futuro economico.

La città, sottoposta all’ondata crescente del turismo globale, che si concentra nel suo centro storico, ha visto la popolazione di questo ridursi a poco più di diecimila abitanti “assediati”, senza più attenzione e servizi. Gli altri fiorentini sospinti ben oltre la prima cerchia dei comuni confinanti, sono divenuti ad esso estranei e persino disinteressati.

In questa compagine urbana dis-integrata, economia del lusso e marginalità convivono. Della città antica, ridotta a scenario per la wedding economy, per i film d’azione o per carovane di turisti consumatori, rischiano di restare soltanto la movida, il moltiplicarsi di bettole e gastronomie e le filiere di commerci alieni.

Scarso ed episodico è stato il contrasto a questo declino e mai si è fatto un serio bilancio circa il dare e l’avere di simili modelli economici per la città e tutti i suoi cittadini.

Al contrario, in assenza di un ufficio dedicato al Centro Storico. si è promossa e soddisfatta la “monocultura” turistica e la cospicua rendita connessa, consegnando intere parti di città all’impresa privata ed impegnandosi, in campo urbanistico, per la completa liberalizzazione dei cambi di destinazione d’uso e per pesanti interventi anche sul patrimonio storico ed architettonico. Il tutto dopo che, per errori strategici ereditati dal passato, funzioni pregiate quali importanti società, Università, Pubblica Amministrazione e Tribunale erano fuggite od erano state sottratte al cuore della città.

Mancano adeguate politiche che assicurino il diritto alla città, il sostegno alla residenza, i servizi di vicinato e il recupero di una abitabilità ordinaria, guardando in particolare a famiglie con bambini, verso cui orientare le risorse dei “contenitori dismessi” attualmente in attesa di compratori e senza idee o programmi.

Ma la condizione del Centro storico non è certo l’unica ragione per questo appello, giacché i programmi dell’attuale amministrazione conosceranno una straordinaria accelerazione nell’ipotesi di un secondo mandato. Sotto la vernice della città della conoscenza, smart e globalizzata, c’è la realtà di un territorio assediato da programmi del secolo scorso, quando ancora non c’era internet e neanche i cellulari:

      • lo sconsiderato progetto del “sottoattraversamento” TAV che regalerebbe il sottosuolo ai treni che non fermano a Firenze con due rischiose gallerie affiancate, di 15 chilometri di lunghezza totale, che impediranno qualsiasi altro eventuale suo uso per la città,

      • la minacciata utilizzazione della dannosa stazione Foster che allontanerà i viaggiatori dalle loro destinazioni e dall’interscambio con i treni regionali e con il trasporto pubblico urbano,

      • l’operazione nuovo stadio, una ulteriore grande cementificazione in barba alla favola dei volumi 0 (zero), una congestione spaventosa di un nodo già ingombro di nuove funzioni, che stravolgerà un intero quartiere ed un nodo vitale per la città,

      • le due nuove linee tranviarie che hanno distrutto la più importante creazione di Giuseppe Poggi, i Viali di Circonvallazione, già in precedenza ridotti, insieme al Viale dei Colli, a “tangenziale” del Centro storico, con tanto di spartitraffico in cemento armato,

      • i previsti prolungamenti (delle tramvie) verso nord ovest e verso sud est che, senza servire veramente il centro, aggraverebbero, come è ormai evidente, tutta la circolazione, cancellando quel che resta dei viali e tutti gli alberi che li fiancheggiano,

      • il nuovo aeroporto intercontinentale che si vuole pericolosamente e inutilmente realizzare in mezzo alla Piana, dopo aver distrutto il suo delicato, storico e pregevole sistema idraulico,

      • la conseguente cancellazione del previsto Parco, grazie alla previsione davvero sconsiderata nel PIT della Toscana, di un parco territoriale ed ambientale con dentro un grande aeroporto,

      • l’assalto al patrimonio verde, sempre più aggredito da abbattimenti e sostituzioni incongrue e privato del suo mantenimento ordinario, con il monumentale Parco delle Cascine trasformato in arena per giganteschi concerti rock,

      • le “svendite” di patrimonio pubblico, le privatizzazioni, le esternalizzazioni che consegnano al desiderio di profitto dei privati settori fondamentali come ad es. l’acqua, le mense scolastiche, i trasporti, le manutenzioni e le progettazioni infrastrutturali, privando la città di personale con conoscenze, competenze e specializzazioni essenziali per una azione libera puntuale ed efficace.

La lista potrebbe proseguire e a qualcuno potrebbe non dispiacere questa o quell’altra realizzazione. Bisogna però avere chiara coscienza che non ci sono distinguo da fare perché l’ elezione di un Sindaco, con l’attuale sistema, gli consegna la città per altri cinque anni, fino al prossimo appuntamento.

Invece fermarsi, pensare, verificare oggi è indispensabile.

Non sempre infatti i timori e i mugugni dei fiorentini si traducono in no senza alternative. C’è anche l’altro o in altro modo. E’ certo però che questi cittadini vogliono riprendersi la città e le decisioni che li/la riguardano.

In tal senso occorrerebbe anche, a livello parlamentare, correggere l’autoreferenzialità della figura del sindaco nell’attuale ordinamento, favorendo la partecipazione ed introducendo efficaci verifiche sul suo operato, anche attraverso l’istituto del referendum abrogativo e non solo consultivo e le proposte di delibere di iniziativa popolare o altre forme di coinvolgimento degli utenti della città per superare e integrare la fallimentare esperienza della città metropolitana.

Occorre anche approfondire il dibattito sui beni pubblici, sostenendo la proposta di legge predisposta dalla Commissione Rodotà per la quale si stanno raccogliendo le firme dei cittadini e quella dell’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli per la tutela dei centri storici.

Per farlo però bisogna prima impedire la “marcia trionfale” di Dario Nardella verso il secondo mandato, contendendogli l’elettorato con candidati e programmi credibili alle elezioni del maggio 2019.

La rivoluzione rionale

Con la “Rivoluzione Rionale” (presentata alla SMS di Peretola il 26 febbraio 2018 dal gruppo di lavoro per Firenze di CLT torniamo a restituire centralità a un tema antico: come si abita una città, vivendone innanzitutto il quartiere in cui abitiamo, raggiungendo a piedi tutto ciò che è essenziale alla vita quotidiana.

Ci serve una rivoluzione rionale, in alternativa al verticismo di una città amministratata dall’alto (e forse da altrove). Ci serve ripartire dalle periferie inascoltate. Ci serve far partecipare più fiorentini che sia possibile al governo di Firenze. Dobbiamo dimostrare capacità di ascolto di cosa vogliono i cittadini che vivono nella “Firenze 2”, le periferie lontane dal centro, dalla “Firenze 1”, quella che è sempre in vetrina.

Senza interpellare i cittadini, il comune di Firenze procede su molti temi che ci condizioneranno per molti anni a venire, come aeroporto, servizi sanitari (chiusura di S.Rosa), trasporti (tracciati discutibilissimi delle tramvie presenti e future), stadio.

I territori vengono abbandonati da istituzioni, residenti e attività commerciali.

I problemi di cittadini, comitati, rioni, quartieri possono essere affrontati e risolti, invece, strutturando la città in un modo completamente diverso.

Noi presentiamo oggi una strada nuova da intraprendere al più presto.

La proponiamo a tutti i cittadini, perché partecipino alla costruzione del nostro programma e a ripensare Firenze.

Da queste basi partiamo oggi per costruire la nostra lista e le nostre idee per una nuova Firenze.

Abbiamo scelto di chiamare la proposta ai fiorentini “Rivoluzione Rionale”.

Firenze può essere ripensata e gestita restituendo autonomia ai suoi RIONI, ritagliati ispirandosi a quelli tradizionalmente noti, ma aggiornati sulla base delle trasformazioni che l’urbanesimo e i cambiamenti infrastrutturali hanno apportato al territorio. Devono essere costituiti come comunità coese e riconoscibili.

Ogni rione avrà SERVIZI DI BASE, che saranno raggiungibili a piedi: i nidi, le scuole, giardini, giochi per i bambini, strutture sportive, centro anziani, biblioteca, sala riunioni, centro sanitario, ufficio comunale decentrato capace di erogare ogni servizio e informazione. Il personale sarà quello dell’attuale organico municipale, se necessario aggiornato, valorizzato, incentivato. Le sedi saranno poste in immobili già di proprietà comunale. Ciascun rione, appena possibile, dovrà avere le proprie “Oasi”, dove i cittadini dovranno trovare sostegno e aiuto, la mano tesa di un comune amico, al servizio dei suoi cittadini.

Il ripensamento della città su base rionale e il decentramento dei servizi consentiranno minori spostamenti e quindi favoriranno una riduzione del traffico. Il ritorno di centri pubblici maggiormente presenti sul territorio, dotati dei propri vigili urbani, porterà come conseguenza diretta una maggiore SICUREZZA per persone e proprietà.

Il comune e i suoi rioni si impegneranno per favorire le imprese locali, la piccola distribuzione, chi vende i prodotti a km 0, gli impianti familiari e condominiali di energie rinnovabili, modificando e semplificando i regolamenti e le procedure comunali e comunque aiutando cittadini e imprese a districarsi nei meandri della burocrazia italiana.

Il principio cruciale per ripensare la città sarà quello dell’AUTOGOVERNO. L’ascolto dei cittadini, delle loro associazioni, dei loro comitati sarà la regola. Con spirito collaborativo, i fiorentini, i loro rioni, il loro comune, potranno gestire al più basso livello tutta la manutenzione e ogni possibile miglioramento dei beni pubblici, comprese le strade rionali, la gestione del verde, il decoro e l’ordine nell’accesso ai posti auto per residenti e lavoratori.

I rioni avranno i propri RAPPRESENTANTI (dando attuazione all’art. 8 del TUEL, il testo unico sugli enti locali). Promuoveremo un processo innovativo di selezione dal basso di consiglieri rionali che dimostrino non solo di avere consenso, ma anche attaccamento, integrità e conoscenza del proprio territorio. Essi non saranno molti, né costeranno di più degli attuali circa 100 consiglieri di quartiere – peraltro attualmente emarginati dalla vita politica cittadina e ormai ridotti all’impotenza. In ogni rione sarà sufficiente, per rappresentare diversità politiche, di genere, di generazione, l’elezione di un numero di rappresentanti che potrebbe andare da tre a cinque. Attraverso questa nuova forma di rappresentanza, contiamo di far emergere a Firenze una nuova generazione di leader locali capaci di recepire le necessità degli abitanti del proprio rione, nel rispetto delle esigenze dei cittadini di altri rioni, dei lavoratori pendolari, degli studenti, dei visitatori, della città intera, mantenendo ben ferme le priorità della qualità della vita e della tutela dell’ambiente, nell’interesse delle future generazioni.

La presenza decentrata dei servizi nei rioni sarà sempre accompagnata dal processo di DIGITALIZZAZIONE, ma soprattutto di sburocratizzazione. Si deve consentire a chi può farlo di espletare ogni pratica comunale in rete, attraverso un portale unico, sempre più semplice, sempre più accessibile. Dal e col portale sarà sempre più semplice comunicare, iscriversi ai servizi, effettuare pagamenti e segnalazioni. Il software sarà continuamente migliorato per rendere più intuitivo ogni passaggio. L’informatizzazione deve essere ripensamento, non solo trasposizione in digitale delle stesse pratiche e lungaggini che caratterizzano il cartaceo. Mentre si migliorerà l’amministrazione digitale, tuttavia, non vogliamo un comune lontano e raggiungibile solo via computer: tutti devono poter venire in comune, passando l’uscio del proprio rione, senza rimanere più indietro per via dell’età, di limiti fisici, di mancanza di formazione digitale.

Nella nostra visione, in prospettiva, i SERVIZI PUBBLICI devono tornare sotto il controllo dei rioni e del comune. La gestione e la manutenzione devono essere affidate a istituzioni e aziende locali, ancorate al territorio, senza precari e improprie esternalizzazioni, con la partecipazione e il controllo da parte dei cittadini.

Alcune riflessioni e proposte

Chi siamo, noi Fiorentini

Siamo 370.000 persone, di cui 60.000 stranieri (oltre il 15%, anche di più se si considerano i già naturalizzati). 100.000 di noi hanno ormai oltre 65 anni. Un numero che tutti vedono come una minaccia e che noi vorremmo vedere come una opportunità per rendere più umana la nostra città. La natalità è bassa, ma non dimentichiamo che continuiamo ad attrarre ancora persone giovani da tutta Europa, anzi da tutto il mondo.

Contro il conformismo politico

Sicuramente c’è un sistema che ha un solido consenso, ma Firenze non è mai stata una città monolitica. Ricordiamo che abbiamo avuto grandi sindaci democratici-cristiani (Giorgio La Pira e Piero Bargellini), comunisti (Elio Gabbugiani), repubblicani (Lando Conti), socialisti (Giorgio Morales).

Il sindaco uscente, Dario Nardella è stato eletto lo scorso 25 maggio 2014 con 111.000, che sono ovviamente la maggioranza dei 194.000 cittadini che si sono espressi, ma non sono poi moltissimi se si pensa che alle liste elettorali sono iscritti circa 288.000 cittadini.

I quartieri occidentali della città, quelli dove si soffrono continue e costanti strozzature del traffico verso Scandicci, Campi, Prato, Sesto, stanno dando segni di ripensamento se non proprio di rivolta.

Come restituire ai Fiorentini i loro rioni da vivere camminando

I rioni sono essere porzioni significative e vivibili di città. Talora ancora riconoscibili, in più casi ritagliati a caso dalle nuove strade principali e da ricostituire, in molti da inventare.

Il rione é il punto di incontro tra l’autorganizzazione e l’autogoverno dei cittadini con le risorse e le possibilità organizzative delle diverse istituzioni al loro servizio. Il rione non è un’articolazione dell’amministrazione comunale o un centro di “erogazione” ma la strumentazione delle necessità di vita sociale e civile espresse liberamente dai cittadini.

Il rione ideale è un porzione di città in cui si possa A PIEDI raggiungere i servizi essenziali per la vita quotidiana a partire dalle persone più deboli; A PIEDI, cioè a misura di bambino che va scuola, di anziano, e di tutte le persone alle quali qualsiasi debolezza temporanea o meno impedisce o rende molto pesante acnhe i più semplici adempimenti o piccoli piaceri quotidiani. A PIEDI, perché solo in una città in cui i cittadini camminano, essi stessi possono sorvegliarla strada per strada, imponendo i miglioramenti necessari e favorendo lo spirito di convivenza, base essenziale per ogni accoglienza. Avrebbero inoltre l’attenzione necessaria alla rimozione delle BARRIERE ARCHITETTONICHE più efficace certo di ogni convegno di architetti e della fastidiosa e bugiarda propaganda .

Il comune, con i suoi oltre quattromila dipendenti, con le sue decine di proprietà immobiliari, ha la forza e le risorse per aprire un proprio ufficio in decine di RIONI. Nessuno dovrà più andare per forza in Palazzo Vecchio o al Parterre, per sbrigare qualsiasi pratica o per avere un contatto diretto. In ciascun ufficio rionale ci dovranno essere degli impiegati formati e incentivati per risolvere ogni problema alle persone, riducendo al minimo tutte le incombenze burocratiche, dedicando una particolare attenzione ai cittadini più deboli e più vulnerabili.

Ciascun rione dovrà nel tempo organizzare e mettere a disposizione di tutti i servizi che mancano nel suo territorio: una ambulatorio con infermeria comune per i medici e i pediatri di famiglia; un consultorio; un assistente sociale di territorio; un bagno pubblico; uno spazio per gli animali; un centro anziani; una biblioteca o almeno una sala di lettura; un punto di riferimento per i problemi giudiziari, compresa l’ospitalità a figure come giudici di pace, conciliatori, mediatori di controversie.

Ciascun rione dovrà essere abitato. Per riportare residenti nelle aree desertificate dallo sfruttamento turistico, il comune userà principalmente il suo patrimonio edilizio, creando nuovi alloggi popolari. Tutte le grandi proprietà – a cominciare da quelle pubbliche, militari, ecclesiastiche – dovranno essere chiamate a fare la loro parte per creare alloggi per le famiglie, in ogni rione.

Un rione di Firenze necessità di...

- un “centro” piazza, giardino, o comunque uno spazio pubblico, magari pedonalizzato, raggiungibile a piedi dove arrivi almeno un mezzo di trasporto pubblico

- un giardino accogliente per tutte le generazioni

- alcune vie “centrali” dove si possa andare agevolmente ed in sicurezza a piedi, in carrozzella, coi passeggini

- una scuola rionale comunale (o comunque pubblica) che accolga i bambini fino almeno alla fine del ciclo primario

- una sala per riunioni a disposizione gratuita per le iniziative dei cittadini

- un centro medico moderno attrezzato per prevenzione, guida agli accessi sanitari, presa in carico degli adempimenti piccole emergenze, ecc.

- una biblioteca rionale

- una “casa comunale” con uno sportello dove si possa svolgere ogni pratica

- spazi idonei ed attrezzati sono da destinarsi alla presenza, anche a rotazione, di assistente sociale di territorio, conciliatori familiari, giudici di pace, ecc.

- un centro di “digitalizzazione ed assistenza” che aiuti tutti, cittadini ed operatori ad accedere a tutti i tipi di sevizi accessibili online e gli aiuti e segua nel rendersi autosufficienti ed ad acquisire mano mano gli ulteriori sviluppi del settore.

Tutte le espressioni presenti di organizzazione sociali di base e di promotori della gestione dei BENI COMUNI, potranno fornire supporto ed assistenza gratuita e volontaria al funzionamento dei servizi del rione sulla base di convenzioni tipo revocabili senza oneri.

Impegni politici presi con gli attivisti

Con gli attivisti civici, ambientalisti, autonomisti, di diversa e trasversale estrazione, nei giorni della costituzione della lista ci siamo presi alcuni ultimi impegni politici, che entrano nel programma amministrativo:

- mantenere la più assoluta indipendenza dalle forze politiche nazionali che vogliono governare Firenze dall’alto e da altrove;

- lottare per riportare i grandi servizi pubblici sotto controllo delle comunità locali, affinché siano gestiti da aziende pubbliche locali (locali vuol dire locali, non grandi ATO astratti e artificiali);

- LIBERA FIRENZE considera fondamentale la libertà delle persone e delle famiglie in materia di cure e di vaccinazioni (art. 32 secondo comma della Costituzione); quindi i trattamenti obbligatori per legge dovrebbero sempre corrispondere a ben precise, circoscritte e limitate emergenze sanitarie e a circostanziate necessità di prevenzione, da concordare con le comunità locali;

- LIBERA FIRENZE crede nel controllo pubblico su tutte le reti; le antenne con le tecnologie esistenti non vanno moltiplicate, ma razionalizzate e fatte funzionare sotto un rigido controllo anti-inquinamento e di sanità pubblica; ciò che conta non sono le velocità, ma la continuità dei servizi, per chi vive e chi lavora; sul 5G vogliamo una moratoria, in attesa di approfondimenti su cosa comporta questa tecnologia per l’inquinamento elettromagnetico e su chi e come la dovrebbe gestire; il dibattito sul futuro della connettività nell'etere deve essere aperto a tutti, senza tesi sviluppiste e velociste precostituite;

- lotteremo contro tutte le tossicità e nocività, in particolare nel controllo dell’acqua (che deve tornare pubblica) e di tutti gli alimenti;

- LIBERA FIRENZE aderisce al grande obiettivo politico “RIFIUTI ZERO” e rifiuta la politica degli inceneritori (comunque siano chiamati); sì invece a una raccolta semplice dei rifiuti, vicina alle esigenze e ai tempi delle famiglie, organizzata rione per rione, allo scopo di differenziare e riciclare TUTTO, creando anche lavoro promuovendo la nascita a Firenze e in Toscana di una nuova generazione di aziende di riciclaggio, che valorizzi e trattenga competenze e risorse sul territorio.


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