E' stato reso pubblico in questi giorni di vigilia del 25 aprile 2016, 71° anniversario della Liberazione, questo appello di 56 costituzionalisti. Il documento invita a un attento ripensamento sulla riforma c.d. Boschi-Verdini. Riportiamo qui il testo integrale (rintracciato sul sito de Il Foglio). In particolare l'appello riprende quanto già chiesto, con lungimiranza, da Riccardo Magi e dai Radicali Italiani, ma anche da interventi ripetuti di Michele Ainis, Fulco Lanchester e altri, a proposito delle modalità di svolgimento della consultazione popolare sulla riforma Boschi-Verdini. Si chiede anche qui, con mite ragionevolezza, un voto per parti separate. In caso che il Parlamento non intenda attivarsi in questo senso, automaticamente, come prevedono le norme, si andrà a un voto unico sull'intera legge costituzionale. In questo caso sarebbe, in pratica, un improprio plebiscito, nel quale queste e molte altre persone sarebbero costrette a votare NO, perché i difetti della riforma sono considerati di gran superiori ai pochi elementi positivi.
Secondo la modesta opinione di questo blog, questo appello andrebbe ascoltato.
SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE
Di fronte alla prospettiva che la legge costituzionale di riforma
della Costituzione sia sottoposta a referendum nel prossimo autunno, i
sottoscritti, docenti, studiosi e studiose di diritto costituzionale,
ritengono doveroso esprimere alcune valutazioni critiche.
Non siamo fra coloro che indicano questa riforma come l’anticamera di
uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di
una sorta di nuovo autoritarismo.
Siamo però preoccupati che un processo di riforma, pur originato da
condivisibili intenti di miglioramento della funzionalità delle nostre
istituzioni, si sia tradotto infine, per i contenuti ad esso dati e per
le modalità del suo esame e della sua approvazione parlamentare, nonché
della sua presentazione al pubblico in vista del voto popolare, in una
potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale e
nell’appannamento di alcuni dei criteri portanti dell’impianto e dello
spirito della Costituzione.
1. Siamo anzitutto preoccupati per il fatto che il
testo della riforma – ascritto ad una iniziativa del Governo – si
presenti ora come risultato raggiunto da una maggioranza (peraltro
variabile e ondeggiante) prevalsa nel voto parlamentare (“abbiamo i
numeri”) anziché come frutto di un consenso maturato fra le forze
politiche; e che ora addirittura la sua approvazione referendaria sia
presentata agli elettori come decisione determinante ai fini della
permanenza o meno in carica di un Governo. La Costituzione, e così la
sua riforma, sono e debbono essere patrimonio comune il più possibile
condiviso, non espressione di un indirizzo di governo e risultato del
prevalere contingente di alcune forze politiche su altre. La
Costituzione non è una legge qualsiasi, che persegue obiettivi politici
contingenti, legittimamente voluti dalla maggioranza del momento, ma
esprime le basi comuni della convivenza civile e politica. E’
indubbiamente un prodotto “politico”, ma non della politica contingente,
basata sullo scontro senza quartiere fra maggioranza e opposizioni del
momento. Ecco perché anche il modo in cui si giunge ad una riforma
investe la stessa “credibilità” della Carta costituzionale e quindi la
sua efficacia. Già nel 2001 la riforma del titolo V, approvata in
Parlamento con una ristretta maggioranza, e pur avallata dal successivo
referendum, è stato un errore da molte parti riconosciuto, e si è
dimostrata più fonte di conflitti che di reale miglioramento delle
istituzioni.
2. Nel merito, riteniamo che l’obiettivo, pur
largamente condiviso e condivisibile, di un superamento del cosiddetto
bicameralismo perfetto (al quale peraltro sarebbe improprio addebitare
la causa principale delle disfunzioni osservate nel nostro sistema
istituzionale), e dell’attribuzione alla sola Camera dei deputati del
compito di dare o revocare la fiducia al Governo, sia stato perseguito
in modo incoerente e sbagliato. Invece di dare vita ad una seconda
Camera che sia reale espressione delle istituzioni regionali, dotata dei
poteri necessari per realizzare un vero dialogo e confronto fra
rappresentanza nazionale e rappresentanze regionali sui temi che le
coinvolgono, si è configurato un Senato estremamente indebolito, privo
delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo
cooperativo: esso non avrebbe infatti poteri effettivi nell’approvazione
di molte delle leggi più rilevanti per l’assetto regionalistico, né
funzioni che ne facciano un valido strumento di concertazione fra Stato e
Regioni. In esso non si esprimerebbero le Regioni in quanto tali, ma
rappresentanze locali inevitabilmente articolate in base ad appartenenze
politico-partitiche (alcuni consiglieri regionali eletti – con modalità
rinviate peraltro in parte alla legge ordinaria - anche come senatori,
che sommerebbero i due ruoli, e in Senato voterebbero ciascuno secondo
scelte individuali). Ciò peraltro senza nemmeno riequilibrare dal punto
di vista numerico le componenti del Parlamento in seduta comune, che è
chiamato ad eleggere organi di garanzia come il Presidente della
Repubblica e una parte dell’organo di governo della magistratura: così
che queste delicate scelte rischierebbero di ricadere anch’esse nella
sfera di influenza dominante del Governo attraverso il controllo della
propria maggioranza, specie se il sistema di elezione della Camera fosse
improntato (come lo è secondo la legge da poco approvata) a un forte
effetto maggioritario.
3. Ulteriore effetto secondario negativo di questa
riforma del bicameralismo appare la configurazione di una pluralità di
procedimenti legislativi differenziati a seconda delle diverse modalità
di intervento del nuovo Senato (leggi bicamerali, leggi monocamerali ma
con possibilità di emendamenti da parte del Senato, differenziate a
seconda che tali emendamenti possano essere respinti dalla Camera a
maggioranza semplice o a maggioranza assoluta), con rischi di incertezze
e conflitti.
4. L’assetto regionale della Repubblica uscirebbe da
questa riforma fortemente indebolito attraverso un riparto di
competenze che alle Regioni toglierebbe quasi ogni spazio di competenza
legislativa, facendone organismi privi di reale autonomia, e senza
garantire adeguatamente i loro poteri e le loro responsabilità anche sul
piano finanziario e fiscale (mentre si lascia intatto l’ordinamento
delle sole Regioni speciali). Il dichiarato intento di ridurre il
contenzioso fra Stato e Regioni viene contraddetto perché non si è preso
atto che le radici del contenzioso medesimo non si trovano nei criteri
di ripartizione delle competenze per materia - che non possono mai
essere separate con un taglio netto - ma piuttosto nella mancanza di una
coerente legislazione statale di attuazione: senza dire che il progetto
da un lato pretende di eliminare le competenze concorrenti, dall’altro
definisce in molte materie una competenza “esclusiva” dello Stato
riferita però, ambiguamente, alle sole “disposizioni generali e comuni”.
Si è rinunciato a costruire strumenti efficienti di cooperazione fra
centro e periferia. Invece di limitarsi a correggere alcuni specifici
errori della riforma del 2001, promuovendone una migliore attuazione, il
nuovo progetto tende sostanzialmente, a soli quindici anni di distanza,
a rovesciarne l’impostazione, assumendo obiettivi non solo diversi ma
opposti a quelli allora perseguiti di rafforzamento del sistema delle
autonomie.
5. Il progetto è mosso anche dal dichiarato intento
(espresso addirittura nel titolo della legge) di contenere i costi di
funzionamento delle istituzioni. Ma il buon funzionamento delle
istituzioni non è prima di tutto un problema di costi legati al numero
di persone investite di cariche pubbliche (costi sui quali invece è
giusto intervenire, come solo in parte si è fatto finora, attraverso la
legislazione ordinaria), bensì di equilibrio fra organi diversi, e di
potenziamento, non di indebolimento, delle rappresentanze elettive.
Limitare il numero di senatori a meno di un sesto di quello dei
deputati; sopprimere tutte le Province, anche nelle Regioni più grandi, e
costruire le Città metropolitane come enti eletti in secondo grado,
anziché rivedere e razionalizzare le dimensioni territoriali di tutti
gli enti in cui si articola la Repubblica; non prevedere i modi in cui
garantire sedi di necessario confronto fra istituzioni politiche e
rappresentanze sociali dopo la soppressione del CNEL: questi non sono
modi adeguati per garantire la ricchezza e la vitalità del tessuto
democratico del paese, e sembrano invece un modo per strizzare l’occhio
alle posizioni tese a sfiduciare le forme della politica intesa come
luogo di partecipazione dei cittadini all’esercizio dei poteri.
6. Sarebbe ingiusto disconoscere che nel progetto vi
siano anche previsioni normative che meritano di essere guardate con
favore: tali la restrizione del potere del Governo di adottare decreti
legge, e la contestuale previsione di tempi certi per il voto della
Camera sui progetti del Governo che ne caratterizzano l’indirizzo
politico; la previsione (che peraltro in alcuni di noi suscita
perplessità) della possibilità di sottoporre in via preventiva alla
Corte costituzionale le leggi elettorali, così che non si rischi di
andare a votare (come è successo nel 2008 e nel 2013) sulla base di una
legge incostituzionale; la promessa di una nuova legge costituzionale
(rinviata peraltro ad un indeterminato futuro) che preveda referendum
propositivi e di indirizzo e altre forme di consultazione popolare.
7. Tuttavia questi aspetti positivi non sono tali da compensare gli aspetti critici di cui si è detto.
Inoltre, (
grasseto aggiunto da noi, ndr)
se il referendum fosse indetto – come oggi si prevede - su
un unico quesito, di approvazione o no dell’intera riforma, l’elettore
sarebbe costretto ad un voto unico, su un testo non omogeneo, facendo
prevalere, in un senso o nell’altro, ragioni “politiche” estranee al
merito della legge. Diversamente avverrebbe se si desse la possibilità
di votare separatamente sui singoli grandi temi in esso affrontati (così
come se si fosse scomposta la riforma in più progetti, approvati dal
Parlamento separatamente).
Per tutti i motivi esposti, pur essendo noi convinti dell’opportunità
di interventi riformatori che investano l’attuale bicameralismo e i
rapporti fra Stato e Regioni, l’orientamento che esprimiamo è contrario,
nel merito, a questo testo di riforma.
per il ripensamento della riforma Boschi-Verdini
Aprile 2016
Francesco Amirante, magistrato;
Vittorio Angiolini, Università di Milano Statale;
Luca Antonini, Università di Padova;
Antonio Baldassarre, Università LUISS di Roma;
Sergio Bartole, Università di Trieste
Ernesto Bettinelli, Università di Pavia
Franco Bile, Magistrato
Paolo Caretti, Università di Firenze
Lorenza Carlassare, Università di Padova
Francesco Paolo Casavola, Università di Napoli Federico II
Enzo Cheli, Università di Firenze
Riccardo Chieppa, Magistrato
Cecilia Corsi, Università di Firenze
Antonio D'Andrea, Università di Brescia
Ugo De Siervo, Università di Firenze
Mario Dogliani, Università di Torino
Gianmaria Flick, Università LUISS di Roma
Franco Gallo, Università LUISS di Roma
Silvio Gambino, Università della Calabria
Mario Gorlani, Università di Brescia
Stefano Grassi, Università di Firenze
Enrico Grosso, Università di Torino
Riccardo Guastini, Università di Genova
Giovanni Guiglia, Università di Verona
Fulco Lanchester, Università di Roma La Sapienza
Sergio Lariccia, Università di Roma La Sapienza
Donatella Loprieno, Università della Calabria
Joerg Luther, Università Piemonte orientale
Paolo Maddalena, Magistrato
Maurizio Malo, Università di Padova
Andrea Manzella, Università LUISS di Roma
Anna Marzanati, Università di Milano Bicocca
Luigi Mazzella, Avvocato dello Stato
Alessandro Mazzitelli, Università della Calabria
Stefano Merlini, Università di Firenze
Costantino Murgia, Università di Cagliari
Guido Neppi Modona, Università di Torino
Walter Nocito, Università della Calabria
Valerio Onida, Università di Milano Statale
Saulle Panizza, Università di Pisa
Maurizio Pedrazza Gorlero, Università di Verona
Barbara Pezzini, Università di Bergamo
Alfonso Quaranta, Magistrato
Saverio Regasto, Università di Brescia
Giancarlo Rolla, Università di Genova
Roberto Romboli, Università di Pisa
Claudio Rossano, Università di Roma La Sapienza
Fernando Santosuosso, Magistrato
Giovanni Tarli Barbieri, Università di Firenze
Roberto Toniatti, Università di Trento
Romano Vaccarella, Università di Roma La Sapienza
Filippo Vari, Università Europea di Roma
Luigi Ventura, Università di Catanzaro
Maria Paola Viviani Schlein, Università dell'Insubria
Roberto Zaccaria, Università di Firenze
Gustavo Zagrebelsky, Università di Torino