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lunedì 13 giugno 2016

L'estremista suicida e omicida di Orlando




Dobbiamo pregare per le vittime e per i superstiti della strage avvenuta ieri ad Orlando, ma dobbiamo anche incoraggiare una riflessione sul contesto in cui è maturata questa tragedia.
A ormai più di un giorno di distanza dal gesto sconsiderato di Omar Mateen, possiamo ormai dirci abbastanza sicuri che siamo di fronte a un vero e proprio perdente radicale, cioè una di quelle persone precipitate in quel vortice di autodistruzione e distruzione ben descritto da Enzensberger.
Il perdente radicale è quasi sempre un lupo solitario, ma non è necessariamente isolato da reti di protezione e complicità che, invece di bloccarlo, lo spingono a esaltarsi nella sua deriva.
Il perdente radicale è una persona che ha fallito, nel suo tentativo di partecipare alla nostra modernità.
Dopo il fallimento, questa persona si rifugia in paranoie sempre più radicali, sempre più pericolose: contro il sesso, contro le droghe, contro le donne, contro i ricchi, contro gli Ebrei, contro i gay, contro le banche, contro i federali. L'omofobia, per esempio, è una paranoia drammaticamente attrattiva per persone che vengono da società bigotte e autoritarie, che sono state sconvolte dalle invasioni occidentali, come l'Afghanistan, la terra di origine di Omar Mateen.
Molti giovani con un retroterra islamico sono particolarmente esposti a queste forme di radicalizzazione, perché non hanno educazione sufficiente per reagire con senso critico alla loro emarginazione nelle periferie della nostra modernità, né hanno alle spalle famiglie, reti amicali, comunità sociali e spirituali, che sappiano trattenerli dal gettarsi nell'abisso.
Le testimonianze della ex-moglie e del padre di Omar Mateen, da questo punto di vista, sono tristemente emblematiche.
Molto correttamente, USA Today, sin dalla diffusione delle prime notizie, ha inquadrato la strage di Orlando nella ricorrente serie di esplosioni di violenza omicida e suicida, le "ordinarie follie" che flagellano frequentemente la società statiunitense.
Non ci sono soluzioni semplici, di fronte a queste esplosioni ricorrenti di gesti individuali così drammatici. Non c'è alcun nemico - vero o inventato - da andare a stanare in qualche colonia lontana. Come ha scritto Enzensberger, il perdente radicale nasce dentro le nostre società, è uno di noi.
Non è tanto la manifestazione di una deviazione morale, quanto il frutto di questa nostra modernità ingiusta, escludente, competitiva, violenta.
I popoli dei cinquanta stati non possono accontentarsi di preghiere e condanne morali e devono temere le possibili strumentalizzazioni politiche.
Si possono prendere iniziative di prevenzione a breve termine? Certo, si possono schedare un po' di giovani affascinati dalle varie forme di estremismo; si può impedire che armi automatiche così potenti, come quelle usate nelle recenti stragi, siano alla portata di tutti, persino di persone indagate dalle polizie federali; si possono aumentare i controlli agli ingressi dei luoghi pubblici.
Occorrono, però, ben altri cambiamenti sociali e politici, e ben più profondi, per rendere i cinquanta stati USA delle comunità meno violente e meno ingiuste, nel medio e lungo termine.Qualche prima, sommaria indicazione da esplorare:
- meno guerre federali, più scuole statali;
- meno trattati ineguali imposti al resto del mondo, più posti di lavoro locali;
- meno distruzioni naturali globali, più conservazione culturale e ambientale in ciascuna comunità.
E' tempo di studiare, di cambiare, di rivoluzionare, per dare un senso a queste morti.

La Provvidenza accolga nel suo seno le vittime, consoli i superstiti, risvegli l'America.

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