E' scritto nella Costituzione della Repubblica italiana:
Art. 36 (I comma):
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
E' dagli anni Ottanta che il rispetto di questa disposizione costituzionale sta arretrando.
Questa norma, lo scriviamo sommessamente, ha rischiato di cadere in desuetudine anche perché una ampia maggioranza di elettori adulti ha goduto di un relativo benessere, grazie al proprio reddito, al risparmio accumulato nelle famiglie durante gli anni del "boom" economico dei territori italiani, alla disponibilità di patrimoni magari ancora più antichi.
Troppi cittadini si sono dimenticati di questo comando costituzionale, perché per essi era assolto, grazie al lavoro loro e delle generazioni precedenti.
Poi, man mano che è avanzato il mercato unico europeo e che si è deciso che questa nostra comunità continentale fosse aperta al libero scambio globale, la situazione è diventata più complessa.
Si è accettato per decenni che gli stipendi restassero fermi, per non perdere competitività rispetto alle fabbriche del mondo dove gli stipendi erano ancora più bassi. Qualche settore, in qualche capitale industriale e tecnologica, è potuto restare competitivo attraverso continue innovazioni di processo e di prodotto, senza comprimere i compensi, ma questo non è mai stato e non sarà mai generalizzabile (le eccellenze dell'export sono l'eccezione, non la regola, in una società globalizzata, speriamo che questo sia chiaro...).
La situazione è così profondamente cambiata. Lentamente, ma inesorabilmente, stanno aumentando i cittadini che oggi, pur lavorando, pur essendo titolari di una pensione, pur avendo persino piccole proprietà immobiliari, sono poveri e anzi si stanno impoverendo sempre di più.
Alcuni leader di opposizione hanno appena sottoscritto una proposta di legge sul salario minimo, nel tentativo di offrire almeno una prima risposta a questo storico problema dell'impoverimento di massa. Essi si sono concentrati sul tema dei "working poor", il lavoratore povero, e hanno immaginato una prima risposta: imporre per legge un salario orario minimo di 9 Euro.
Purtroppo 9 Euro l'ora - peraltro lordi - lavorando 35 ore per 4 settimane, diventano 1.260 Euro al mese...
Uno stipendio che possiamo definire di sopravvivenza, in questa società impostata su questi stili di vita e livello di consumi (sempre indotti, spesso imposti).
Ammesso, ovviamente, che non si viva da soli, che non si abbiano figli, che si viva in zone economicamente e socialmente marginali (cioè più economiche, ma comunque non del tutto prive di servizi pubblici universali).
E' una proposta di buona volontà, certo, ma è una risposta davvero modesta, di fronte alla gravità del problema.
Con quelle cifre siamo ben lontani dal rispetto della Costituzione e lontanissimi dall'offrire una speranza a decine di milioni di cittadini di questa Repubblica.C'è anche un altro ostacolo, diciamo reputazionale, per i firmatari di quella proposta, che sono Giuseppe Conte (Movimento 5 stelle), Nicola Fratoianni (Sinistra italiana), Matteo Richetti (Azione), Elly Schlein (Partito democratico), Angelo Bonelli (Europa Verde) e Riccardo Magi (+ Europa).
Essi sono considerati da una vasta opinione pubblica responsabili dell'impoverimento di massa. Nella migliore delle ipotesi essi o i partiti che essi guidano sono considerati incapaci di affrontare il problema. A torto o a ragione, sono invotabili, o meglio votabili solo dai loro affezionati.
Non è del tutto giusto, ovviamente, perché quei partiti hanno al proprio interno persone serie che stanno cercando di cambiare rispetto agli errori del passato, ma la realtà è questa.
Questa proposta di salario minimo è veramente troppo poco e troppo tardi.
Il nostro patto Autonomie e Ambiente cerca di guardare insieme più da vicino e più in lontananza. Siamo convinti che non esistano ricette semplici per frenare il processo di impoverimento delle masse nella globalizzazione, tanto meno che esistano soluzioni "europee" o "italiane", valide per tutti i nostri territori. Tuttavia qualcosa può essere fatto subito, per fronteggiare l'emergenza, e qualcosa può essere avviato cercando di essere lungimiranti, senza cedere nelle fallaci chimere del centralismo autoritario.
Per esempio si potrebbe, STATIM (subito), porre fine alle esternalizzazioni in tutte le amministrazioni pubbliche locali. Garantire una dignità minima a tutti i lavoratori di ogni comune della Repubblica, internalizzando coloro che oggi sono ostaggi degli appaltatori e dei subappaltatori, vorrebbe dire assicurare un punto di riferimento, di stabilità, di servizio, di resistenza. Si avrebbero più lavoratori pubblici, più autorevoli e più sereni, a occuparsi degli umili, a custodire i beni comuni, a curare i territori. Come sanno gli esperti di gestione del personale, nel campo dei servizi pubblici (che non sono produzioni aziendali comprimibili o estensibili secondo richieste di mercato), questo non costerebbe affatto di più. Toglierebbe potere e reddito a qualche appaltatore, ma produrrebbe dignità per molti lavoratori.
GRADATIM, cioè con un serio e competente gradualismo riformista, si potrebbero avviare riforme attese da tanto tempo, come la drastica riduzione delle tasse sul reddito da lavoro (ogni forma di lavoro), affidando alle autorità locali, in un serio sistema di federalismo fiscale, la leva di una maggiore imposizione sulle case e sulle cose, magari coniugandola con la massiccia circolazione di monete fiscali locali complementari, con il fine di incoraggiare la cooperazione fra autorità pubblica, proprietari privati, imprenditori locali, per la transizione ecologica.
La moneta, al contrario di quello che pensano gli apprendisti stregoni che hanno in mano il potere nella Eurozona, deve circolare di più, non di meno, per consentire a persone, famiglie, imprese, di soddisfare i propri bisogni.
Promettiamo, insomma, cambiamenti magari più difficili, ma che varrebbero molto di più di 1.260 Euro lordi al mese.
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