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martedì 1 marzo 2011

L'uninominale di Cavour

Carlo Scognamiglio Pasini: le prime elezioni di Cavour, con l'uninominale
Pubblicato il 28/02/2011 alle 17:42

Il Corriere della Sera ha pubblicato su un suo sito web la relazione svolta da Carlo Scognamiglio Pasini in occasione della celebrazione della ricorrenza del 150° della prima riunione del Parlamento italiano alla Camera dei Deputati, Palazzo Montecitorio, Sala della Lupa, il 18 febbraio 2011. Carlo Scognamiglio Pasini, è stato presidente del Senato della Repubblica. Ne rilanciamo uno stralcio di indubbio interesse per la nostra campagna per l'uninominale in Toscana.

Sono grato al presidente Fini per l’invito a partecipare a questa giornata che commemora il centocinquantesimo anniversario della prima riunione del Parlamento italiano;  dell’occasione di fare qualche breve riflessione per ricordarne il significato sotto il profilo dei valori della democrazia liberale; e di ricordare insieme a questi valori la figura di Camillo Cavour di cui fra pochi mesi ricorrerà anche il 150° della  scomparsa. Un ricordo dovuto in questa occasione , perché lo statista piemontese oltre ad essere stato fra i padri dell’indipendenza e dell’unità della nostra nazione è stato anche un campione dei valori del parlamentarismo liberale che ha pochi confronti nella storia europea. (...)
Per un liberale come lui soltanto il parlamento rappresentativo della nazione avrebbe costituito la fonte legittima della proclamazione del nuovo Stato unitario. Ciò  è chiaramente esposto in una sua lettera del 2 ottobre 1860 pubblicata da Rosario Romeo in “Vita di Cavour”: “Non ho alcuna fiducia nelle dittature, e soprattutto nelle dittature civili: io credo che con il Parlamento si possano fare cose che sarebbero impossibili per un potere assoluto... Sono figlio della libertà e se bisognasse mettere un velo sulla sua statua non sarò io a farlo. (...) Reputo che non sarà ultimo titolo di gloria per l’Italia di aver saputo costituirsi a nazione senza passare per le mani dittatoriali di un Cromwell. Ritornare alle dittature rivoluzionarie di uno o più sarebbe uccidere sul nascere la libertà legale che vogliamo inseparabile dall’indipendenza della nazione”.
Questo testo, e soprattutto la condotta politica di Cavour, sono l’espressione  dei profondi valori che guidavano la sua azione e che lo distinguono nettamente da altri grandi statisti europei del suo tempo.
Diversamente da Bismarck, cui venne e viene tuttora spesso paragonato, Cavour non riteneva che il cemento della nazione fosse la forza militare.  Diversamente da Napoleone III non riteneva che i plebisciti  fossero il modo migliore con cui si dovesse esprimere la volontà popolare.  Cavour riteneva che il sistema della democrazia parlamentare fosse insostituibile per l’Italia che voleva costruire, aveva cioè un concetto tanto chiaro quanto idealistico per i suoi tempi di come la volontà della nazione dovesse costituirsi ed esprimersi: una dottrina politica dello Stato che a quel tempo avrebbe condiviso solo con i grandi liberali inglesi come Palmerston e Gladstone. (...)
La forma di governo [voluta da Cavour] era la monarchia costituzionale rappresentativa, con uno statuto “breve e flessibile” (cioè modificabile con legge ordinaria – si cominciò con l’adozione della bandiera tricolore) che avrebbe quindi potuto evolvere senza soluzioni di continuità verso la forma di governo britannica della monarchia parlamentare; un sistema nel quale la prevalenza nella funzione legislativa della camera elettiva rispetto a quella di nomina (Senato) e al sovrano era destinata ad accentuarsi, secondo una tendenza già molto evidente nel sistema costituzionale inglese.
Un sistema costituzionale dunque flessibile, chiaramente ispirato ai valori della libertà e delle garanzie dei diritti individuali della tradizione britannica e americana e ai principi della separazione dei poteri di Montesquieu. (...)
I valori su cui Cavour voleva che la nuova nazione italiana prendesse forma erano dunque quelli che oggi riconosciamo nei principi della democrazia liberale rappresentativa; e vale forse la pena, in questa celebrazione, ricordare brevemente in che cosa essi consistessero. 
Perché un sistema costituzionale possa definirsi liberale, democratico e rappresentativo non basta che vi sia qualche forma di consultazione del corpo elettorale, ma occorre anche che vi siano presenti tre requisiti essenziali che costituiscono i veri cardini del sistema della democrazia rappresentativa. Si tratta di principi che Cavour, d’Azeglio e Balbo conoscevano assai bene, e che nella lingua inglese si chiamano: constituency (che significa grosso modo "collegio elettorale"); trust (che significa grosso modo " rappresentanza fiduciaria conferita per amministrare l’interesse comune"); e accountability (che indica il dovere morale di rendere conto della responsabilità conferita al fiduciario dalla scelta dei suoi elettori).
Si tratta di tre elementi essenziali per il funzionamento della democrazia rappresentativa fondata sui liberi Parlamenti:  la loro assenza o la loro soppressione può persino segnare il confine fra democrazia e dittatura.
Infatti i regimi dittatoriali del Novecento non si realizzarono sopprimendo completamente le assemblee parlamentari, e – nel caso italiano  e in quello tedesco – neppure sopprimendo o modificando sostanzialmente le costituzioni vigenti,  ma semplicemente imponendo un sistema "elettorale" basato su una unica lista di rappresentanti eleggibili scelti dagli organi del partito dominante, che perciò - anche se formalmente "eletti" - erano però privi di rappresentanza (constituency, trust, accountability) nei confronti degli elettori, e dunque rispondevano politicamente soltanto ai capi, ovvero a coloro dai quali erano stati scelti.
E’ agevole comprendere quindi come la realizzazione concreta dei principi della democrazia liberale derivi non solo dall’impianto costituzionale che Cavour voleva mettere al riparo dai rischi di una deriva plebiscitaria, ma anche dalle norme che regolano le elezioni per il parlamento. E sotto questo profilo mi limiterò a notare che il sistema elettorale del tempo di Cavour e della nascita del primo Parlamento italiano rispondeva perfettamente ai tre requisiti della democrazia liberale (constituency, trust, accountabiliy), sia pure con le limitazioni dell'elettorato attivo dovute alla prassi di quei tempi, mentre altrettanto non si può dire del sistema in vigore nell'Italia di oggi. (...)
I collegi elettorali furono ritagliati dai territori delle province secondo i dati disponibili dei censimenti. Questa definizione dei collegi (o circoscrizioni elettorali nel termine che usa la nostra costituzione) su una base territoriale molto ristretta avrebbe dato al futuro parlamento una forte connotazione federalista e unitaria allo stesso tempo. 
Federalista perché vi sarebbe stato uno stretto legame (accountability) fra i singoli parlamentari eletti e gli specifici ambiti territoriali (constituencies) dei collegi da cui proveniva la loro legittimazione. Tutte le province italiane, e ciascuna di esse, sarebbero state rappresentate da uno o più deputati nel parlamento nazionale. Unitaria perché la rappresentanza locale si sarebbe fusa nell’assemblea nazionale. Di questo concetto è tuttora testimonianza l’articolo 67 della nostra costituzione: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita la sua funzione senza vincolo di mandato”.
Che questo fosse l’indirizzo politico istituzionale della forma di Stato che era nella mente di Cavour è dimostrato dal progetto unitario-federalista che Cavour stesso affidò al proprio ministro degli Interni Marco Minghetti, e che non si realizzò per la scomparsa prematura dello statista piemontese.
Il sistema elettorale era maggioritario e uninominale, con il doppio turno per il ballottaggio dove nessun  candidato al primo turno avesse raggiunto la maggioranza assoluta. (...)
Le caratteristiche del sistema elettorale portavano alla convergenza verso il centro moderato, e così accadde;  ma il risultato fu a lungo in bilico, perché il ballottaggio si rese necessario in ben 203 collegi su 443. (...)
Cavour aveva compiuto  così un altro (e sarà purtroppo l’ultimo) suo capolavoro di statista liberale. Esattamente come era avvenuto nella grande rivoluzione che aveva preceduto quella italiana con la nascita della nazione americana e la dichiarazione di indipendenza sancita dalla solenne "Dichiarazione dei Rappresentanti degli Stati Uniti d'America Riuniti in Congresso" del 4 luglio 1776, il 17 marzo 1861 la nascita dell'Italia ed suo il diritto di essere indipendente e libera furono sanciti solennemente con il voto dei rappresentanti della nazione italiana riuniti in Parlamento.

Rilanciato su http://diversotoscana.blogspot.com/ il 1 marzo 2011
Fonte: http://lanostrastoria.corriere.it/2011/02/carlo-scognamiglio-pasini-perc.html (acceduto il 1 marzo 2011)

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