La chiusura della GKN è un disastro politico e geopolitico, locale e globale.
E' un'antica presenza dell'industria automobilistica a Firenze, che viene cancellata. E' una tradizione operaia e sociale, che ha un valore storico, non solo economico.
Quando questa industria si spostò a Capalle, fu consumato suolo prezioso per creare uno stabilimento modello. Con i contributi pubblici, la fabbrica ha continuato a lavorare e, anche recentemente, ad aggiornarsi.
I sindacati sono impegnati in prima fila perché questo disastroso licenziamento del 9 luglio 2021 sia ritirato. Nulla giustifica il licenziamento senza preavviso, via mail, di 422 dipendenti (a cui purtroppo vanno aggiunti pare decine di precari ed esternalizzati, che ovviamente non mancano mai, grazie all'opacità e alle ipocrisie del diritto del lavoro italiano).
Stasera, 11 agosto, in concomitanza con il ricordo del suono della Martinella per la Liberazione di Firenze, si tiene un'altra manifestazione di solidarietà.
A oggi, sul sito web del gruppo multinazionale, con sede direzionale a Londra, che è l'ultimo proprietario noto della fabbrica, la sede nel comune di Campi Bisenzio e nel cuore della Piana non è ancora stata cancellata.
Il governo Draghi sta promettendo almeno 13 settimane di cassa integrazione ai licenziati. Sarebbe una boccata d'ossigeno.
La fabbrica è permanentemente occupata dal collettivo degli operai. L'antico grido fiorentino antinazifascista, "Insorgiamo", è diventato il motto della resistenza dei lavoratori. Si teme molto che la proprietà porti via macchinari e risorse che attualmente sono in fabbrica.
Questo disastro sembra esser stato provocato da una di quelle decisioni a breve termine che consentono ai manager del capitalismo finanziarizzato di massimizzare i loro premi trimestrali, valorizzando i "tagli" dei rami meno redditizi dei loro imperi.
I politici fiorentini, toscani e italiani non si sono persi l'occasione per le loro passerelle, ma essi - dalla sinistra al centro alla destra - sono i primi responsabili del fatto che un'azienda possa consumare territorio, comprare pezzi di storia, impiegare centinaia di esseri umani con altrettante famiglie, senza assumersi tutte le relative responsabilità. Nel breve termine non pagano tasse, nel medio termine scaricano problemi sulle comunità locali, nel lungo termine non sono tenuti praticamente a nulla.
Ammettiamo, per un momento, che un investitore registri seri problemi di costi di produzione. Ebbene, se questo fosse il caso, egli dovrebbe comunque offrire una buonuscita importante ai lavoratori, oltre che spendere per il pieno ripristino del territorio che hanno consumato, oppure contribuire a un progetto di riconversione. Saremmo anche in un regime di se-dicente capitalismo europeo socialmente responsabile, ma di tutto questo non c'è traccia. E l'ipocrisia di chi lo promette ora, in questa estate di crisi e confusione, come hanno fatto i ministri Orlando e Giorgetti, è veramente oltre il sopportabile. Sono due politici al potere da decenni. Come possono raccontarci di aver scoperto improvvisamente l'acqua calda?
Spiace scriverlo, ma è chiaro a tutti che quello dei lavoratori GKN sarà un lunghissimo calvario, con il quale si deve essere solidali.
Poi, mentre così tante persone soffrono in prima linea, coloro che sono per loro fortuna lontani dal fronte devono avere il coraggio di ragionare lucidamente sugli errori politici ormai storici che hanno portato a una situazione così grave.
Per il nostro mondo civico, ambientalista e autonomista, è l'occasione per ribadire la necessità assoluta di avere economie locali forti e di rifiutare il controllo di capitale anonimo straniero sulle nostre imprese.
Per il mondo operaio è tempo di ritrovare radici, cultura, capacità di contestare la fabbrica in sé, non solo la sua minacciata chiusura.
La produzione industriale contemporanea, con le sue catene del valore globalizzate, l'hanno consentita l'Unione Europea e le grandi potenze centraliste, militariste, neocolonialiste.
Dobbiamo contestarla in modo molto più radicale di come sta accadendo da decenni a questa parte, ripartendo da Gramsci e riscoprendo figure come il grande socialista Raniero Panzieri.
I lavoratori dell'industria devono tornare protagonisti a pieno titolo del dibattito politico, della gestione della produzione, di una nuova stagione di autosufficienza economica, dell'autogoverno dei beni comuni, della costruzione della necessaria svolta ambientale.
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