Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso

giovedì 28 gennaio 2021

Morire di centralismo?


Non parliamo di ciò che è accaduto all'inizio della pandemia del coronavirus Covid-19. Eravamo tutti spaventati. Sono stati commessi tanti errori, in tutto il mondo.

Parliamo di ciò che è avvenuto dall'estate 2020 in poi.

Da allora in poi si può dire che stiamo morendo di centralismo.

I frutti velonosi del centralismo si dividono sostanzialmente in due grandi categorie: le torsioni autoritarie e il disprezzo della Costituzione della Repubblica delle Autonomie, da una parte; dall'altra, l'inevitabile inefficienza, qualche volta la cialtronaggine, non di rado arrogante, di chi ignora cosa sono le diseconomie di scala e di chi rifiuta di capire la complessità e la diversità dei territori.

Il centralismo italiano ha fallito, come quello europeo, come una certa arroganza centralista globalista che si è manifestata nella stessa OMS.

A ormai un anno dall'inizio della crisi sanitaria, il potenziamento della rete dei medici di famiglia e degli ambulatori di territorio non è nemmeno iniziato. Purtroppo le regioni, proprio sui medici di famiglia, non hanno competenza diretta. Gli ostacoli giuridici, finanziari e anche culturali posti dalla mentalità centralista hanno persino rallentato e spesso fermato lo sviluppo delle USCA (unità speciali di continuità assistenziale). 

Eppure il medico, intervenendo sul malato sin dai primi giorni, potrebbe azzerare la diffusione del contagio e mantenere le complicazioni e la mortalità entro le normali statistiche delle peggiori polmoniti.

Il manifesto per le cure primarie esiste da prima della pandemia e gode di sostegni prestigiosi (come quelli del Sant'Anna, un centro di eccellenza in Toscana), ma resta lontano dalle agende politiche (una vergogna, in particolare per un ministro della sanità che si autodefinisce di "sinistra"). 

Si possono muovere molte critiche alla rete IppocrateOrg per delle ingenuità, ma le testimonianze che ha raccolto interpellano la coscienza e le sue critiche al centralismo autoritario, anche nella scienza medica, sono ficcanti. 

Totalmente ignorato, diremmo quasi censurato, è il lavoro di proposte alternative al centralismo autoritario e alla politica della quarantena proibizionista (lockdown), portato avanti dalla Great Barrington Declaration; eppure essa promuove una saggia politica di protezione mirata (focused protection), che potrebbe salvarci dal crollo economico e sociale, oltre che dall'aumento geometrico dell'ingiustizia sociale e da forme sempre più ignobili di sfruttamento dei lavoratori, specie di quelli impegnati nelle attività più pesanti e più precarie. Se qualcuno avesse aperto gli occhi sul fatto che l'agricoltura, la trasformazione alimentare, i trasporti pubblici, le pulizie, le manutenzioni, le riparazioni, l'assistenza domiciliare, sono ciò su cui si regge il mondo, lo si mette a tacere con l'infodemia del terrore. Non sia mai che questi lavoratori chiedano stipendi più equi e orari più leggeri!

Il centralismo ha fallito nel controllo del territorio. Invece di porre in essere delle sagge regole sullo "stare locale" (stile Taiwan), perché la pandemia non raggiungesse tutti i territori, si è preferita la scelta autoritaria (stile Wuhan) dello "stare a casa", appesantita peraltro, quest'ultima, da un moralismo deteriore e dal terrorismo mediatico.

Sono falliti gli acquisti centralizzati, tutti. Inquietano i lauti guadagni di chi si è trovato a poter vendere alla Protezione civile e al supercommissario Arcuri grandi partite di merce, ma non è quello il problema più grande! I grandi acquisti centralizzati sono una CERTEZZA che la merce sarà di qualità media o bassa, non soddisferà le esigenze diversificate, non potrà essere restituita o sostituita nel caso che sia inadeguata. 

Sul fallimento degli acquisti centralizzati, in un campo critico come le cure intensive e la rianimazione ospedaliere, ha già scritto Open Polis

Sul disastro delle forniture di dispositivi individuali di protezione (DPI) abbiamo già scritto su questo blog

Sulla follia degli acquisti centralizzati (a partire dai banchi scolastici con le rotelle) rimandiamo a quanto è stato già abbondantemente scritto. L'incapacità di capire quanto sono avventati gli acquisti centralizzati malediva questa Repubblica da anni (basta pensare al disastro della CONSIP), ma in tempo di emergenza si è rivelata particolarmente funesta.

Sul fallimento della gestione centralizzata dei vaccini a livello europeo, non c'è altro da aggiungere. Ammesso e non concesso che la vaccinazione fosse la stragegia giusta per una malattia da coronavirus estremente cangiante nella sua natura ed estremamente variabile nelle sue conseguenze, tale strategia è fallita per eccesso di concentrazione di potere in poche mani, di segretezza, di miopia organizzativa, di arroganza politica. Come abbiamo già per tempo ricordato, la produzione di medicine deve essere pubblica, locale, senza scopo di profitto.

Grida vendetta, poi, il silenzio delle elite europee e globali sulla mancata sospensione di ogni brevetto su tutte le nuove medicine sperimentali, la cui ricerca è stata completamente e lautamente finanziata da risorse pubbliche. Quelle sul "vaccino bene comune" sono diventate delle ipocrite grida manzoniane.

Grazie al cielo altri percorsi di ricerca e di produzione di farmaci, come gli anticorpi, non si sono fermate, ma ciò è avvenuto non grazie, ma nonostante il centralismo italiano ed europeo.

Nei territori, il centralismo non ha fatto ciò che invece è stato possibile dove si sono lasciate agire le istituzioni locali: diversificazione degli orari di vita, studio e lavoro; cambiamenti nei trasporti pubblici; prevenzione degli assembramenti attraverso la riorganizzazione di spazi, mantenendo la libertà di lavorare; distribuzione di aiuti concreti a chi era in difficoltà. Una pletora di esperti, commissari, direttori generali, prefetti, dirigenti sanitari, direttori tecnici, alti funzionari amministrativi del centralismo si sono rivelati per quello che sono: mentalmente pigri, organizzativamente impreparati, tanto boriosi quanto inetti, con stipendi fuori mercato e al riparo da ogni controllo.

Abbiamo fiducia che qualcuno in più, di fronte a questo disastro, avrà capito che di centralismo autoritario si può morire.

Vogliamo crederci.

  

* * *

 

Per coloro che hanno coraggio, fantasia, apertura mentale, consigliamo la rilettura della nota pagina in cui Tocqueville, all'alba della modernità industriale, metteva in guardia contro un mondo in cui forse si smetteva di essere sudditi, ma non si riusciva ancora a diventare cittadini:

 

Il y a telles nations de l’Europe où l’habitant se considère comme une espèce de colon indifférent à la destinée du lieu qu’il habite. Les plus grands changements surviennent dans son pays sans son concours ; il ne sait même pas précisément ce qui s’est passé ; il s’en doute ; il a entendu raconter l’événement par hasard. Bien plus, la fortune de son village, la police de sa rue, le sort de son église et de son presbytère ne le touchent point ; il pense que toutes ces choses ne le regardent en aucune façon, et qu’elles appartiennent à un étranger puissant qu’on appelle le gouvernement... (...) ...Cet homme, du reste, bien qu’il ait fait un sacrifice si complet de son libre arbitre, n’aime pas plus qu’un autre l’obéissance. Il se soumet, il est vrai, au bon plaisir d’un commis ; mais il se plaît à braver la loi comme un ennemi vaincu, dès que la force se retire. Aussi le voit-on sans cesse osciller entre la servitude et la licence. Quand les nations sont arrivées à ce point, il faut qu’elles modifient leurs lois et leurs mœurs, ou qu’elles périssent, car la source des vertus publiques y est comme tarie : on y trouve encore des sujets, mais on n’y voit plus de citoyens.

Alexis de Tocqueville, De la démocratie en Amérique, 1835
(source: https://www.institutcoppet.org/)


martedì 26 gennaio 2021

Tre socialisti toscani per il secolo delle autonomie


Tre socialisti toscani, di generazioni diverse, hanno pubblicato un appello a essere socialisti nel XXI secolo. Sono Ione Orsini (classe 1949), Vincenzo Carnì (1964), Raffaele Rindi (1971). La lettera aperta è rivolta a chi crede nella necessità di essere fedeli alle proprie radici e alla storia, ma allo stesso tempo vuole essere socialista nel mondo di oggi, con i valori e con i fatti, non di nome o per mera nostalgia (o peggio per opportunismo). Un appello socialista autonomo e autonomista, che ci sentiamo di condividere interamente e che vi invitiamo a leggere integralmente. Eccovi il testo integrale.

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Per il socialismo nella Repubblica delle Autonomie

Vecchiano, domenica 24 gennaio 2021

Il socialismo è vivo. Persone che, per vari percorsi e sotto diverse denominazioni, ne portano avanti gli ideali sono attive in ogni territorio della nostra Repubblica, in tutta Europa, nel mondo. E dove non ci sono o sono poche, se ne sente drammaticamente la mancanza.

Forse la generosità e l’umiltà con cui siamo impegnati in ogni paesino e in ogni quartiere sfugge alla grancassa dei media italiani e internazionali, ma sbaglierebbe chi pensasse di cancellare la nostra storia, le nostre radici anarchiche e libertarie, il nostro essere all’origine della piena inclusione di ogni cittadino nella democrazia politica moderna (con il suffragio universale, con la scuola pubblica, con i servizi pubblici universali), il nostro impegno per l’emancipazione degli umili e la giustizia sociale, il nostro ripudio del colonialismo e della guerra, il nostro internazionalismo, la nostra passione per lo stato di diritto, le autonomie sociali e territoriali, le libertà individuali.

Nei meccanismi infernali della competizione globale siamo ancora noi a metterci di traverso, difendendo le comunità e le economie locali dalle grinfie della finanza e dalle catene del debito perpetuo.

Dove si resiste alle torsioni autoritarie delle grandi potenze, alle guerre imperiali infinite (dall’Afghanistan allo Yemen), ai guasti ecologici e alla distruzione del pianeta, trovate persone che sono socialiste (anche se esse militano sotto denominazioni diverse).

Chiunque voglia salvare la Repubblica delle Autonomie, lavori per una Europa diversa (che somigli più alla Svizzera che alla Cina), lotti per la pace e la vita del mondo, non può farcela senza di noi. Le forze civiche, ambientaliste, autonomiste, localiste, che si stanno organizzando dal basso per dare una risposta alle emergenze ambientali, economiche e sociali, hanno bisogno di noi. Chi cerca una alternativa al centralismo autoritario, tanto arrogante quanto inetto nella gestione dell’emergenza sanitaria, ci trova al suo fianco.

Mentre i “cari leader” nazionali ed europei fanno e disfanno gruppi parlamentari e governi, noi restiamo in trincea, contro ingiustizie e inquinamenti, degrado dei beni comuni, smantellamento dei servizi pubblici universali.

A un rispettato esponente della storia gloriosa del PSI, il compagno Claudio Martelli, vorremmo lanciare un appello affinché si impegni per l’unità dei socialisti. Non tanto di quelli che lo sono di nome, quanto di coloro che lo sono per i loro valori e le loro azioni.

Noi siamo vivi e siamo quelli di sempre: una rete plurale e inclusiva di persone e comunità, consapevoli della storia, ancorate a valori profondi, laicamente cristiane, coerentemente riformiste (e quindi antiliberiste), autonome e autonomiste, sempre di parte politica, mai con l’antipolitica, mai settarie e mai opportuniste.

Ione Orsini - Vincenzo Carnì - Raffaele Rindi
Per adesioni e informazioni: ione.orsini@virgilio.it
https://www.facebook.com/SocialistiAutonomistiToscani

 


 

 

 

 

sabato 23 gennaio 2021

Ultima chiamata per la Repubblica

 

Sì, siamo marziani.

Siamo qui per un ultimatum, una ultima chiamata a coloro che credono nella Repubblica, nella Costituzione, nelle autonomie territoriali e sociali.

Siamo disposti a tollerare ancora per mesi gli attuali governanti e l'attuale parlamento, perché vogliamo una nuova legge elettorale.

Vi invitiamo a leggere l'appello di Autonomie e Ambiente, la rete di movimenti territorialisti, che a nostro parere riafferma principi essenziali di minima democrazia elettorale.

Se non si capisce che, dai tempi del già difettoso Mattarellum, i sistemi elettorali sono andati sempre a peggiorare, allora vuol dire che ci meritiamo le torsioni centraliste e autoritarie che stanno alacremente avanzando, causando la rovina dei nostri territori.

Qui su Diverso Toscana siamo sempre stati ammiratori dei sistemi elettorali uninominali (che sono cosa ben diversa da quei sistemi truffaldini che in Italia hanno tentato di spacciarci come "maggioritari"), ma ora sul tavolo c'è una riforma proporzionale, il progetto Brescia. Meglio quello che niente.

Quando torneremo a votare, dobbiamo poter tornare a influire, almeno un po', sulla scelta dei nostri rappresentanti (che peraltro abbiamo di recente drasticamente ridotto di numero, creando più problemi di quanti si è preteso di risolverne).

Noi saremo marziani, ma chi deride le discussioni sull'ennesima riforma elettorale, chi si dice pronto al voto con "qualsiasi" sistema elettorale (gli stessi peraltro che in passato hanno per l'appunto votato qualsiasi cosa loro convenisse sul momento, comprese truffaldine leggi elettorali), chi chiede elezioni subito, costoro sono, politicamente parlando, briganti ciechi in un mondo di politicanti orbi.

I cittadini forse non ricorderanno tutti gli imbrogli che in materia elettorale sono stati perpetrati (gli ultimi, in ordine cronologico, da parte degli aspiranti podestà d'Italia, i due Matteo), ma noi lanciamo lo stesso il nostro appello.

I padri e le madri delle nostre democrazie moderne sapevano benissimo quali erano i limiti del suffragio universale. Sapevano che dare il diritto di voto ai poveri, agli eretici, alle donne, alle minoranze linguistiche, alle persone di colore diverso, non avrebbe automaticamente alleviato la povertà, l'oppressione, l'emarginazione e il razzismo. Non per questo però hanno rinunciato. Perché il suffragio universale e la possibilità per gli abitanti di un collegio elettorale di scegliere i propri rappresentanti nei parlamenti, sono sempre meglio di tutte le possibili alternative.

Ci siamo lasciati portar via il diritto di scegliere i nostri parlamentari, questa è l'amara verità. 

Ora siamo arrabbiati, ma non basta stringersi nell'angolo gridando disperati, dubitando di tutti e di tutto.

Dobbiamo fare rete, persone, comunità e gruppi da tutti i territori, per riprenderci il diritto di eleggere i nostri deputati e i nostri senatori.

Animo! Facciamo rete insieme ad Autonomie e Ambiente. Facciamo pressione, insieme, su tutti i parlamentari attualmente in carica, per una legge elettorale più giusta per tutti. 


L’avvenuto taglio del numero dei parlamentari impone che il Parlamento attualmente in carica vari una legge elettorale...

Pubblicato da Autonomie e Ambiente su Sabato 9 gennaio 2021

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https://www.facebook.com/AutonomieeAmbienteUfficiale/posts/220239576250118

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L'immagine del post è tratta dal trailer dello storico film di fantascienza Ultimatum alla Terra (The Day The Earth Stood Still, 1951)

 

venerdì 22 gennaio 2021

Via i prefetti!


 

Qualcosa da ricordare e da rilanciare, in questi giorni bui di centralismo e autoritarismo: il troppo poco conosciuto scritto di Luigi Einaudi a favore dell'abolizione, sic et simpliciter, dei prefetti. Con questo antico eppure attualissimo scritto del 1944, esprimo la mia solidarietà personale, come blogger di Diverso Toscana, con la rivolta civile e nonviolenta #IoApro1501 dei ristoratori come l'amico Momi, il gestore della pizzeria fiorentina "Da Tito". Queste parole di Einaudi sono quanto ho da dire ai  prefetti che continuano a essere catapultati a Firenze e in Toscana (e ai sindaci che con insostenibile leggerezza li scimmiottano). Ai politici al governo un appello: abolite subito le norme irragionevoli che impediscono di lavorare! Le pizzerie, i bar, i circoli non sono luoghi più pericolosi delle fabbriche, delle scuole, dei treni fatiscenti su cui ci mandate ogni mattina a lavorare o a studiare, dei supermercati e dei centri commerciali. Il conflitto tra salute e lavoro c'è, è drammatico, è terribile. Non può essere risolto solo in termini proibizionistici. Cerchiamo tutti di tornare al buon senso.

--- Mauro Vaiani, blogger di Diverso Toscana


Via i prefetti! (Luigi Einaudi, 1944)

Proporre, in Italia ed in qualche altro paese di Europa, di abolire il « prefetto » sembra stravaganza degna di manicomio. Istituzione veneranda, venuta a noi dalla notte dei tempi, il prefetto è quasi sinonimo di governo e, lui scomparso, sembra non esistere più nulla. Chi comanda e chi esegue fuor dalla capitale? Come opera l'amministrazione pubblica?

In verità, il prefetto è una lue che fu inoculata nel corpo politico italiano da Napoleone. Gli antichi governi erano, prima della rivoluzione francese, assoluti solo di nome, e di fatto vincolati d'ogni parte, dai senati e dalle camere dei conti o magistrati camerali, gelosissimi del loro potere di rifiutare la registrazione degli editti che, se non registrati, non contavano nulla, dai corpi locali privilegiati, auto-eletti per cooptazione dei membri in carica, dai patti antichi di infeudazione, di dedizione e di annessione, dalle consuetudini immemorabili.

Gli stati italiani governavano entro i limiti posti dalle « libertà » locali, territoriali e professionali. Spesso « le libertà » municipali e regionali erano « privilegi » di ceti, di nobili, di corporazioni artigiane ed erano dannose all'universale. Nella furia di strappare i privilegi, la rivoluzione francese distrusse, continuando l'opera iniziata dai Borboni, le libertà locali; e Napoleone, dittatore all'interno, amante dell'ordine, sospettoso, come tutti i tiranni, di ogni forza indipendente, spirituale o temporale, perfezionò l'opera.

I governi restaurati trovarono comodo di non restaurare, se non di nome, gli antichi corpi limitatori e conservarono il prefetto napoleonico. L'Italia nuova, preoccupata di rinsaldare le membra disiecta degli antichi ex-stati in un corpo unico, immaginò che il federalismo fosse il nemico ed estese il sistema prefettizio anche a quelle parti d'ltalia, come le province ex-austriache, nelle quali la lue erasi infiltrata con manifestazioni attenuate. Si credette di instaurare libertà e democrazia e si foggiò lo strumento della dittatura.

Democrazia e prefetto repugnano profondamente l'una all'altro. Né in ltalia, né in Francia, né in Spagna, né in Prussia si ebbe mai e non si avrà mai democrazia, finché esisterà il tipo di governo accentrato, del quale è simbolo il prefetto. Coloro i quali parlano di democrazia e di costituente e di volontà popolare e di autodecisione e non si accorgono del prefetto, non sanno quel che si dicono. Elezioni, libertà di scelta dei rappresentanti, camere, parlamenti, costituenti, ministri responsabili sono una lugubre farsa nei paesi a governo accentrato del tipo napoleonico.

Gli uomini di stato anglo-sassoni, i quali invitano i popoli europei a scegliersi la forma di governo da essi preferita, trasportano inconsciamente parole e pensieri propri dei loro paesi a paesi nei quali le medesime parole hanno un significato del tutto diverso. Forse i soli europei del continente, i quali sentendo quelle parole le intendono nel loro significato vero sono, insieme con gli scandinavi, gli svizzeri; e questi non hanno nulla da imparare, perché quelle parole sentono profondamente da sette secoli. Essi sanno che la democrazia comincia dal comune, che è cosa dei cittadini, i quali non solo eleggono i loro consiglieri e sindaci o presidenti o borgomastri, ma da sé, senza intervento e tutela e comando di gente posta fuori del comune od a questo sovrapposta, se lo amministrano, se lo mandano in malora o lo fanno prosperare.

L'auto-governo continua nel cantone, il quale è un vero stato, il quale da sé si fa le sue leggi, se le vota nel suo parlamento e le applica per mezzo dei propri consiglieri di stato, senza uopo di ottenere approvazioni da Berna; e Berna, ossia il governo federale, a sua volta, per le cose di sua competenza, ha un parlamento per deliberare le leggi sue proprie ed un consiglio federale per applicarle ed amministrarle. E tutti questi consessi ed i 25 cantoni e mezzi cantoni e la confederazione hanno così numerosissimi legislatori e centinaia di ministri, grossi e piccoli, tutti eletti, ognuno dei quali attende alle cose proprie, senza vedersi mai tra i piedi il prefetto, ossia la longa manus del ministro o governo più grosso, il quale insegni od ordini il modo di sbrigare le faccende proprie dei ministri più piccoli.

Così pure si usa governare in Inghilterra, con altre formule di parrocchie, borghi, città, contee, regni e principati; così si fa negli Stati Uniti, nelle federazioni canadese, sudafricana, australiana e nella Nuova Zelanda. Nei paesi dove la democrazia non è una vana parola, la gente sbriga da sé le proprie faccende locali (che negli Stati Uniti si dicono anche statali), senza attendere il la od il permesso dal governo centrale. Così si forma una classe politica numerosa, scelta per via di vagli ripetuti. Non è certo che il vaglio funzioni sempre a perfezione; ma prima di arrivare ad essere consigliere federale o nazionale in Svizzera, o di essere senatore o rappresentante nel congresso nord americano, bisogna essersi fatto conoscere per cariche coperte nei cantoni o negli stati; ed essersi guadagnato una qualche fama di esperto ed onesto amministratore. La classe politica non si forma da sé né è creata dal fiat di una elezione generale. Ma si costituisce lentamente dal basso; per scelta fatta da gente che conosce personalmente le persone alle quali delega la amministrazione delle cose locali piccole; e via via quelle delle cose nazionali od inter-statali più grosse.

La classe politica non si forma tuttavia se l'eletto ad amministrare le cose municipali o provinciali o regionali non e pienamente responsabile per l'opera propria. Se qualcuno ha il potere di dare a lui ordini o di annullare il suo operato, l'eletto non è responsabile e non impara ad amministrare. Impara ad ubbidire, intrigare, a raccomandare, a cercare appoggi. Dove non esiste il governo di se stessi e delle cose proprie, in che consiste la democrazia?

Finché esisterà in Italia il prefetto, la deliberazione e l'attuazione non spetteranno al consiglio municipale ed al sindaco, al consiglio provinciale ed al presidente; ma sempre e soltanto al governo centrale, a Roma; o, per parlar più concretamente, al ministro dell'interno. Costui è il vero padrone della vita amministrativa e politica dell'intero stato. Attraverso i suoi organi distaccati, le prefetture, il governo centrale approva o non approva i bilanci comunali e provinciali, ordina l'iscrizione di spese di cui i cittadini farebbero a meno, cancella altre spese, ritarda l'approvazione ed intralcia il funzionamento dei corpi locali. Chi governa localmente di fatto non è né il sindaco né il consiglio comunale o provinciale; ma il segretario municipale o provinciale. Non a caso egli è stato oramai attruppato tra i funzionari statali. Parve un sopruso della dittatura ed era la logica necessaria deduzione del sistema centralistico.

Chi, se non un funzionario statale, può interpretare ed eseguire le leggi, i regolamenti, le circolari, i moduli i quali quotidianamente, attraverso le prefetture, arrivano a fasci da Roma per ordinare il modo di governare ogni più piccola faccenda locale? Se talun cittadino si informa del modo di sbrigare una pratica dipendente da una legge nuova, la risposta è : non sono ancora arrivate le istruzioni, non è ancora compilato il regolamento; lo si aspetta di giorno in giorno.

A nessuno viene in mente del ministero, l' idea semplice che l'eletto locale ha il diritto e il dovere di interpretare lui la legge, salvo a rispondere dinnanzi agli elettori della interpretazione data? Che cosa fu e che cosa tornerà ad essere l'eletto del popolo in uno stato burocratico accentrato? Non un legislatore, non un amministratore; ma un tale, il cui ufficio principale è essere bene introdotto nei capoluoghi di provincia presso prefetti, consiglieri e segretari di prefettura, provveditori agli studi, intendenti di finanza, ed a Roma, presso i ministri, sotto-segretari di stato e, meglio e più, perché di fatto più potenti, presso direttori generali, capidivisione, segretari, vice-segretari ed uscieri dei ministeri.

Il malvezzo di non muovere la « pratica » senza una spinta, una raccomandazione non è recente né ha origine dal fascismo. È antico ed è proprio del sistema. Come quel ministro francese, guardando l'orologio, diceva: a quest'ora, nella terza classe di tutti i licei di Francia, i professori spiegano la tal pagina di Cicerone; così si può dire di tutti gli ordini di scuole italiane. Pubbliche o private, elementari o medie od universitarie, tutto dipende da Roma: ordinamento, orari, tasse, nomine degli insegnanti, degli impiegati di segreteria, dei portieri e dei bidelli, ammissioni degli studenti, libri di testo, ordine degli esami, materie insegnate.

I fascisti concessero per scherno l'autonomia alle università; ma era logico che nel sistema accentrato le università fossero, come subito ridiventarono, una branca ordinaria dell'amministrazione pubblica; ed era logico che prima del 1922 i deputati elevassero querele contro quelle che essi imprudentemente chiamarono le camorre dei professori di università, i quali erano riusciti, in mezzo secolo di sforzi perseveranti e di costumi anti-accentratori a poco a poco originati dal loro spirito di corpo, a togliere ai ministri ogni potere di scegliere e di trasferire gli insegnanti universitari e quindi ogni possibilità ai deputati di raccomandare e promuovere intriganti politici a cattedre.

Agli occhi di un deputato uscito dal suffragio universale ed investito di una frazione della sovranità popolare, ogni resistenza di corpi autonomi, di enti locali, di sindaci decisi a valere la volontà dei loro amministrati appariva camorra, o sopruso, privilegio. La tirannia del centro, la onnipotenza del ministero, attraverso ai prefetti, si converte nella tirannia degli eletti al parlamento. Essi sanno di essere i ministri del domani, sanno che chi di loro diventerà ministro dell'interno, disporrà della leva di comando del paese; sanno che nessun presidente del consiglio può rinunciare ad essere ministro dell'interno se non vuol correre il pericolo di vedere « farsi » le elezioni contro lui dal collega al quale egli abbia avuto la dabbenaggine di abbandonare quel ministero, il quale dispone delle prefetture, delle questure e dei carabinieri; il quale comanda a centinaia di migliaia di funzionari piccoli e grossi, ed attraverso concessioni di sussidi, autorizzazioni di spese, favori di ogni specie adesca e minaccia sindaci, consiglieri, presidenti di opere pie e di enti morali. A volta a volta servo e tiranno dei funzionari che egli ha contribuito a far nominare con le sue raccomandazioni e dalla cui condiscendenza dipende l'esito delle pratiche dei suoi elettori, il deputato diventa un galoppino, il cui tempo più che dai lavori parlamentari è assorbito dalle corse per i ministeri e dallo scrivere lettere di raccomandazione per il sollecito disbrigo delle pratiche dei suoi elettori.

Perciò il delenda Carthago della democrazia liberale è : Via il prefetto! Via con tutti i suoi uffici e le sue dipendenze e le sue ramificazioni! Nulla deve più essere lasciato in piedi di questa macchina centralizzata; nemmeno lo stambugio del portiere. Se lasciamo sopravvivere il portiere, presto accanto a lui sorgerà una fungaia di baracche e di capanne che si trasformeranno nel vecchio aduggiante palazzo del governo. Il prefetto napoleonico se ne deve andare, con le radici, il tronco, i rami e le fronde.

Per fortuna, di fatto oggi in Italia l'amministrazione centralizzata è scomparsa. Ha dimostrato di essere il nulla; uno strumento privo di vita propria, del quale il primo avventuriero capitato a buon tiro poteva impadronirsi per manovrarlo a suo piacimento. Non accadrà alcun male, se non ricostruiremo la macchina oramai guasta e marcia. L'unità del paese non è data dai prefetti e dai provveditori agli studi e dagli intendenti di finanza e dai segretari comunali e dalle circolari ed istruzioni ed autorizzazioni romane. L'unità del paese è fatta dagli italiani. Dagli italiani, i quali imparino, a proprie spese, commettendo spropositi, a governarsi da sé. La vera costituente non si fa in una elezione plebiscitaria, a fin di guerra. Così si creano o si ricostituiscono le tirannie, siano esse di dittatori o di comitati di partiti. Chi vuole affidare il paese a qualche altro saltimbanco, lasci sopravvivere la macchina accentrata e faccia da questa e dai comitati eleggere una costituente.

Chi vuole che gli italiani governino se stessi, faccia invece subito eleggere i consigli municipali, unico corpo rimasto in vita, almeno come aspirazione profondamente sentita da tutti i cittadini; e dia agli eletti il potere di amministrare liberamente; di far bene e farsi rinnovare il mandato, di far male e farsi lapidare. Non si tema che i malversatori del denaro pubblico non paghino il fio, quando non possano scaricare su altri, sulla autorità tutoria, sul governo la colpa delle proprie malefatte. La classe politica si forma così : col provare e riprovare, attraverso a fallimenti ed a successi. Sia che si conservi la provincia; sia che invece la si abolisca, perché ente artificioso, antistorico ed anti-economico e la si costituisca da una parte con il distretto o collegio o vicinanza, unità più piccola, raggruppata attorno alla cittadina, al grosso borgo di mercato, dove convengono naturalmente per i loro interessi ed affari gli abitanti dei comuni dei dintorni, e dall'altra con la grande regione storica: Piemonte, Liguria, Lombardia, ecc. ; sempre, alla pari del comune, il collegio e la regione dovranno amministrarsi da sé, formarsi i propri governanti elettivi, liberi  di gestire le faccende proprie del comune, del collegio e della provincia, liberi di scegliere i propri funzionari e dipendenti, nel modo e con le garanzie che essi medesimi, legislatori sovrani nel loro campo, vorranno stabilire.

Si potrà discutere sui compiti da attribuire a questo o quell'altro ente sovrano; ed adopero a bella posta la parola sovranità e non autonomia, ad indicare che non solo nel campo internazionale, con la creazione di vincoli federativi, ma anche nel campo nazionale, con la creazione di corpi locali vivi di vita propria originaria non derivata dall'alto, urge distruggere l'idea funesta della sovranità assoluta dello stato. Non temasi dalla distruzione alcun danno per l'unità nazionale. L'accentramento napoleonico ha fatto le sue prove e queste sono state negative: una burocrazia pronta ad ubbidire ad ogni padrone, non radicata nel luogo, indifferente alle sorti degli amministrati; un ceto politico oggetto di dispregio, abbassato a cursore di anticamere prefettizie e ministeriali, prono a votare in favore di qualunque governo, se il voto poteva giovare ad accaparrare il favore della burocrazia poliziesca ed a premere sulle autorità locali nel giorno delle elezioni generali; una polizia, non collegata, come dovrebbe, esclusivamente con la magistratura inquirente e giudicante e con i carabinieri, ma divenuta strumento di inquisizione politica e di giustizia « economica » , ossia arbitraria.

L'arbitrio poliziesco erasi affievolito all'inizio del secolo; ma lo strumento era pronto; e, come già con Napoleone, ricominciarono a giungere al dittatore i rapporti quotidiani della polizia sugli atti e sui propositi di ogni cittadino sospetto; e si potranno di nuovo comporre, con quei fogli, se non li hanno bruciati prima, volumi di piccola e di grande storia di interesse appassionante. E quello strumento, pur guasto, è pronto, se non lo faremo diventare mero organo della giustizia per la prevenzione dei reati e la scoperta dei loro autori, a servire nuovi tiranni e nuovi comitati di salute pubblica.

Che cosa ha dato all'unità d'Italia quella armatura dello stato di polizia, preesistente, ricordiamolo bene, al 1922? Nulla. Nel momento del pericolo è svanita e sono rimasti i cittadini inermi e soli. Oggi essi si attruppano in bande di amici, di conoscenti, di borghigiani; e li chiamano partigiani. È lo stato il quale si rifà spontaneamente. Lasciamolo riformarsi dal basso, come è sua natura. Riconosciamo che nessun vincolo dura, nessuna unità è salda, se prima gli uomini i quali si conoscono ad uno ad uno non hanno costituito il comune; e di qui, risalendo di grado in grado, sino allo stato. La distruzione della sovrastruttura napoleonica, che gli italiani non hanno amato mai, offre l'occasione unica di ricostruire lo stato partendo dalle unità che tutti conosciamo ed amiamo; e sono la famiglia, il comune, la vicinanza e la regione. Così possederemo finalmente uno stato vero e vivente.

(« L'Italia e il secondo risorgimento », supplemento alla Gazzetta ticinese, 17 Iuglio 1944, a firma Junius.)

Fonte: http://www.polyarchy.org/basta/documenti/einaudi.1944.html (ultimo accesso 22 gennaio 2021)

sabato 16 gennaio 2021

Un salmo contro il letargo


Dal canale YouTube LorenXMan, sbocco creativo del mio carissimo amico Renzo Giannini, antico popolarissimo dj pratese e oggi apprezzato creativo multimediale, rilancio un suo pezzo molto significativo, intitolato "IN LETARGO" (Parole e musica Renzo Giannini - feat. Vittorio Sgarbi). Lo propongo come colonna sonora delle manifestazioni toscane di questi giorni. La crescita della consapevolezza è la principale azione politica necessaria, oltre che possibile. Abbiamo bisogno di cittadini attivi e di attivisti preparati e disciplinati, non di "zucche vuote" che si lasciano riempire da ciò che capita in rete. Buon ascolto.  


Grazie Renzo!

 


venerdì 15 gennaio 2021

Messaggio di Fabrizio Valleri

Pubblichiamo volentieri un messaggio politico e programmatico di Fabrizio Valleri, referente di Libera Firenze, diffuso il giorno dell'Epifania. Si tratta di una vera e propria agenda 2021 per la lista civica, ambientalista e autonomista di Firenze:


 

 

Firenze, 5 gennaio 2021 – Vigilia della Befana e dell’Epifania

Libera Firenze nel 2021 c’è e ci deve essere, per portare avanti alcune importanti parti del suo programma elettorale 2019, aggiornate e attualizzate rispetto alla crisi sanitaria, economica e sociale che stiamo vivendo.

Questo è un appello per chi vuole lavorare, personalmente e fisicamente, con Libera Firenze. Abbiamo avuto ragione noi su parecchie cose, mentre coloro che hanno vinto le le elezioni si sono ritrovati paralizzati e spiazzati. Quindi andiamo avanti, animo!

Siamo per la vita rionale, la "Rivoluzione Rionale", che è sicurezza, solidarietà, negozi locali, bar e ristoranti non solo per turisti, mercatini dedicati ai prodotti a km 0, giardini, scuole e beni comuni controllati direttamente dai cittadini, attraverso consigli rionali elettivi. Gli attuali cinque quartieri non ci bastano. La struttura verticale del Comune, dove le direzioni fanno "piani" astratti senza più avere tecnici e operai del comune per le strade a controllare veramente come vanno le cose, non ci va bene. Nel frattempo sia chiaro: non accetteremo la "sede vacante" del Quartiere 1, paralizzato dal doppio incarico del presidente Maurizio Sguanci. Insisteremo, anche per via giudiziaria, perché lasci una delle sue due cariche.

Lottiamo perché le esistenti e sostenibili infrastrutture di trasporto pubblico siano completate, mantenute, potenziate: i treni e gli autobus elettrici. Basta, invece, sventrare i viali del Poggi. Basta treni-tram faraonici, costruiti spendendo folli cifre (di denaro pubblico) per far guadagnare pochi privati e per alimentare una vita folle (masse di turisti e pendolari che devono andare "velocemente" in centro a lavorare e altrettanto "velocemente" tornarsene la sera in periferie grigie e degradate). A questo scopo è indispensabile sostenere e raccordarci con il Coordinamento Ferma Tranvie.

Rifiutiamo la svendita di beni fiorentini a società anonime di capitali estranei alla città. Basta resort di lusso. E' tempo di case popolari, piazze e giardini, in tutti i rioni, anche nel centro storico. Basta vuol dire basta, e vale anche per la Manifattura, per Sant'Orsola, per Costa San Giorgio...

Vogliamo la dignità del lavoro a Firenze, a partire dal lavoro pubblico. Servizi comunali, musei, pulizie, sanificazioni, raccolta differenziata rifiuti, devono tornare a essere lavori dignitosi, i primi lavori disponibili per i fiorentini, con stipendi e garanzie adeguate. Basta esternalizzazioni a due o tre Euro l'ora.

Pretendiamo la salute pubblica, che parte da un concetto fondamentale: ogni fiorentino deve poter andare a piedi dal suo medico di libera scelta; fare analisi e controlli all'ambulatorio di quartiere; essere curato a casa il più possibile (specie durante le annuali epidemie). Medicine e altri strumenti di prevenzione devono essere di produzione pubblica e locale, SENZA SCOPO DI LUCRO.

Dobbiamo resistere alle opere faraoniche, a partire dal buco Foster e dalla follia del nuovo aeroporto. Il Franchi e l'intero Campo di Marte devono essere restaurati e valorizzati, come cittadella dello sport fiorentino.

Ci impegniamo per avere, in ciascun rione, degli spazi disponibili per veri e propri "boschi" cittadini, dove gli alberi possano diventare adulti. Gli alberi sono esseri viventi indispensabili alla vita urbana, non elementi di arredo da cambiare ogni vent'anni.

Non ci arrenderemo mai al conformismo dei media e al pensiero unico che racconta una Firenze buona solo per i ricchissimi, i potenti, i turisti, "Big Pharma" e "Big Fashion". Sveglia! Non ci rassegniamo a essere oscurati dai media toscani, in particolare dal servizio pubblico, che paghiamo direttamente e che continua invece a negare una informazione corretta e plurale ai cittadini fiorentini e toscani. Sosterremo ogni mezzo di comunicazione alternativa, che ormai non chiamiamo più “controinformazione”, perché è l’unica informazione esistente.

Lo sappiamo, non è tutto. Sono solo alcune cose urgenti, per le quali lotteremo nel 2021 a Firenze, restando aperti, inclusivi e trasversali, in rete con tutti i movimenti civici, ambientalisti, autonomisti della Toscana, d'Italia e d'Europa, contro il centralismo autoritario e contro le catene del debito e dell'austerità.

Buon anno! Buona Epifania, che tutte le feste si porta via.

Fabrizio Valleri

Contatti: liberafirenzelistacivica@gmail.com




giovedì 14 gennaio 2021

Liberi di criticare e di proporre delle alternative

Anche se siamo storditi dall'ignoranza e impauriti dalla povertà e dalla malattia, dobbiamo farci delle domande non solo irrigidirci e fuggire. Non basta gridare "non avrete il nostro corpo". Occorre sviluppare una coscienza politica, come comunità, non solo come singoli.

Il coronavirus Covid-19 non è più nuovo (se lo è mai stato). Nessuno che abbia potere, risorse e responsabilità di governo, può più accampare scuse. Non brancoliamo più nelle nebbie della Valseriana, dove all'alba di ogni giorno si contavano anche dieci volte più morti dell'anno precedente. Stroncata la prima ondata, quest'estate, c'è stato tutto il tempo per prendere le decisioni necessarie per cominciare a convivere con questo virus come con tutti gli altri.

Molti altri paesi, dai cantoni della Svizzera, a Taiwan, alla Nuova Zelanda, ci hanno dimostrato che si poteva fermare o comunque grandemente rallentare la circolazione del virus, si poteva continuare a vivere e lavorare, si poteva gestire tutto diversamente.

Perché, passata la prima ondata, quando si è capito che erano necessarie prevenzione e cure precoci (con o senza idrossiclorochina, questo lo avremmo lasciato al naturale pluralismo che regna in medicina, la quale è notoriamente una scienza empirica e non una scienza esatta), non si sono precettati i medici di famiglia, dando loro risorse e poteri necessari per agire? Non si dia la colpa alle regioni, perché, guarda caso, i medici di famiglia sono ancora in tutto e per tutto malgestiti dallo stato. Non siamo né i soli, né i primi a dirlo, ma il tema è ignorato anche quando viene posto dai guru del Sant'Anna, o da migliaia di operatori della medicina di base, come gli aderenti alla Campagna per le cure primarie (partita nel 2018, non certo sull'onda dell'emergenza!).

Perché, quando si è definitivamente capito che le misure di distanziamento fisico e le mascherine, potevano far sparire raffreddori e influenze e quindi rallentare drasticamente anche la circolazione di questo coronavirus, non si sono lasciate alle scuole e ai luoghi della cultura, del divertimento, dello sport e del cibo, la libertà di auto-organizzare il distanziamento e la diversificazione degli orari di ingresso, così come invece la si è lasciata ai supermercati e alle manifatture? 

Perché non si accetta che siano autorità locali (sindaci e presidenti di regione) a stabilire delle regole adatte a ciascun territorio? Si deve porre fine alla gestione centralista e autoritaria e anche allo stato d'emergenza. Il virus, qualunque sia la sua origine, sarà con noi per sempre. Accettiamolo e ricominciamo, con prudenza, a vivere, passando dalla gestione emergenziale a una ordinaria "protezione mirata" (focused protection), come suggerito dalla Great Barrington Declaration.

Perché si è coltivata la metafisica dello "stare a casa", mentre si è totalmente trascurata la saggezza dello "stare locali"? Si è lasciato che la gente continuasse a viaggiare da una regione all'altra, da uno stato europeo all'altro, facendo in modo che il virus, con le sue nuove varianti, raggiungesse anche i molti territori in cui non era arrivato.

Perché si sono firmati contratti segreti e centralizzati, a livello europeo, per produrre in fretta e furia nuovi farmaci, invece che finanziare con denaro pubblico delle soluzioni aperte, senza brevetti? I nuovi farmaci, qualunque sia la loro efficacia, essendo stati totalmente finanziati da denaro erogato dalle autorità pubbliche, avrebbero dovuto essere dichiarati subito "bene comune universale". Da ora in poi essi (non solo quelli di tipo vaccinale, ma anche quelli chiamati "anticorpali) dovrebbero essere prodotti ovunque. Tutti i territori del mondo devono esser messi in grado di produrre localmente, non per profitto ma per il bene comune, i farmaci attualmente e temporaneamente approvati con una autorizzazione d'emergenza.

Proprio perché né il servizio pubblico della RAI, né la stampa locale toscana, accettano che si pongano queste domande, continuano le testimonianze di protesta.

A Firenze, domenica 17 gennaio 2021, dalle ore 14 in poi, in piazza della SS.Annunziata, si tiene una manifestazione di critica severa alla gestione dell'emergenza, al pensiero unico, al centralismo e all'autoritarismo sanitario, che poi sono il riflesso diretto della torsione centralista e autoritaria che sta attualmente dominando nel governo centrale della Repubblica. L'evento lo trovate anche su Facebook.


Prima ancora, venerdì 15 gennaio 2021, parte una manifestazione di disobbedienza civile diffusa, lanciata in diversi territori della Repubblica da ristoratori ed esercenti di locali pubblici. Si chiama #IoApro1501. E' una rivolta gentile contro le gravi conseguenze economiche e sociali delle restrizioni imposte dal governo centrale ai bar, ai ristoranti, ai circoli, ai luoghi di incontro, ai centri sportivi e ricreativi. Non importa quanti si ribelleranno alle restrizioni e per quanto tempo, ma un messaggio va dato, perché siamo sull'orlo del precipizio. Il conflitto tra necessità di rallentare il contagio e la necessità di lavorare c'è ed è gravissimo. Chi non lo vede, chi non lo soffre, chi non si domanda come attenuarlo, sta minando il nostro tessuto comunitario. Per capire il significato di questa protesta, ascoltate direttamente Momi Tito, l'egiziano di San Frediano, che ci ha messo ancora una volta la faccia:

https://www.facebook.com/mohamed.e.hawi/posts/10157622871626767

Libera Firenze e gli altri movimenti che hanno aderito a queste manifestazioni non sono negazionisti, né "novax", né cospirazionisti o complottisti. 

Semplicemente non ci stiamo a raccontare che tutto è andato bene, da quando si è diffuso il Covid-19, che non era possibile fare altrimenti, che non si poteva gestire la pandemia diversamente e forse meglio di come è stato fatto, che non sia possibile, qui e ora, correggere la rotta, tornando alla Costituzione e al buongoverno locale, rione per rione, territorio per territorio.

 

Fabrizio Valleri - Intervento a Luci sul coprifuoco


 

Sintesi del discorso di Fabrizio Valleri in piazza Santissima Annunziata

Manifestazione "Luci sul coprifuoco" - Firenze, 13/12/2021


Francamente il mondo pre COVID era già un mondo al collasso sociale, economico, finanziario, psicologico e culturale. Un mondo, un sistema mentale dominato da un tipo di modernità predatoria, estrattiva, egocentrica, educata da almeno trent’anni al mero divertimento. 

Questo perseverare nel turismo  di massa ha ridotto la città di Firenze come a un Luna Park. Una cultura retrograda e collaborazionista, in cui giornalisti, filosofi e scrittori si sono prestati, per decenni, a un sistema suicidario. Questo pare a me, ma credo non solo a me, che fosse una situazione arrivata a un punto limite. 

Nessuno nega l’esistenza di un coronavirus aggressivo e contagioso, ma il mainstream se ne guarda bene dallo spiegare dove e come sia nato (tema che dovrebbe essere all’ordine del giorno). 

Siamo passati da un mondo informativo che alternava giorni di allarmi apocalittici a giorni di ridicola propaganda, fino a un totale martellamento fatto di paure e panico giornaliero con la conta di ogni tipo di morti. 

Questo momento COVID, da come lo stiamo vivendo da 10 mesi a questa parte e per come e’ stato trasmesso sia politicamente  che mediaticamente, è un pericoloso irrigidimento. 

Il sistema è al collasso. Non esistano solo le grandi multinazionali, le grandi famiglie di banchieri e i poteri forti. 

Impegniamoci seriamente ad elaborare un nuovo minimo comune denominatore, come diceva Giulietto Chiesa, di aggregazione di forze critiche. Questo richiede pensiero. Per fare una citazione del giurista Ugo Mattei “insurrezioni prive di visioni sono solo o soltanto disperate sommosse facili da delegittimare e reprimere con la violenza del diritto attuale”. Il sistema si rafforza se ha antagonisti dalle idee fragili, anche idee facilmente estremiste fanno presto a delegittimarsi in questo momento. 

Quello che dobbiamo creare è una contestazione legittima fondata su conoscenze molto serie a livello giuridico, scientifico, sociale, filosofico e non solo. Non dobbiamo mettere insieme una elite anti sistema, ma un'aristocrazia intellettuale (altro che uno vale uno come ci hanno fatto credere e hanno mistificato quelli del Movimento Cinque Stelle).

C’è bisogno di gente che sa di cosa parla. Anche il diritto, a questo punto, diventa un importante strumento della politica. Siamo in un momento di vera emergenza, di guerra. Noi non accetteremo senza conoscere quello che ci impongono di accettare (una cosa che accade con frequenza inaudita). 

Se non vogliamo rinunciare in partenza alla lotta dobbiamo immaginare una strategia di resistenza complessa, che inneschi qualcosa di grande. 

Abbiamo bisogno di aggregazione di tante forze che oggi non si sentono rappresentate politicamente e culturalmente. Aggregare queste forze sarà un lavoro rivoluzionario, abiurando sempre la violenza. 

Fare aggregazione richiede tempo, ma allo stesso tempo è urgente.

Con il tempo si dovranno conquistare spazi informativi importanti.

Dobbiamo inventarci dei nuovi eventi, vedersi, socializzare e non solo stare su Internet (dobbiamo guardarci negli occhi). Eventi che abbiano un carattere informativo e culturale, dove si possa esprimere la propria gioia di vivere e magari, attraverso guide autorevoli, ricreare un nuovo tipo di consapevolezza, di amicizia, un nuovo modo di vivere, una nuova visione del mondo. 

Tutto ciò non dovrebbe essere così difficile se torniamo a considerarci una parte del tutto. Riscoprendo il significato di solidarietà, senso di comunità e senso di appartenenza, ritroveremo l’essenza dell’essere umano e dell'essere cittadini di Firenze.

Ascolta e guarda l'intervento registrato in piazza:

https://youtu.be/WgVXbAuEoF0

Leggi anche l'agenda Libera Firenze 2021:

https://diversotoscana.blogspot.com/2021/01/messaggio-di-fabrizio-valleri.html

 

 

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