Il Cile è un paese lontano e diverso, ma molti ne conoscono la posizione in America Latina, nell'emisfero australe: un lunghissima striscia i cui estremi sono più lontani fra di loro di quanto la Tunisia sia distante dalle estreme propaggini settentrionali della Norvegia. Circa 17 milioni di abitanti abitano un territorio che è due volte e mezzo quello della Repubblica italiana.
Ieri, domenica 4 settembre 2022, con un referendum estremamente partecipato e a grande maggioranza, i cittadini di quella repubblica hanno bocciato un progetto costituzionale che aveva suscitato molte speranze.
I nostri ambienti decentralisti avevano guardato con simpatia al nuovo testo costituzionale, perché conteneva alcune importanti novità in termini di autonomie dei territori e dei popoli indigeni, fra i quali la lungamente perseguitata comunità dei Mapuche.
Purtroppo il testo giunto al voto era minato da un costruttivismo tanto supponente quanto miope. Si volevano tanti diritti sociali, di genere e individuali, ma ci si è dimenticati che il diritto non si nutre di manifesti ideologici e declamazioni astratte. Si voleva un governo centrale forte e ci si era dimenticati dei necessari contrappesi. Si volevano riconoscere le antiche nazioni originarie sopravvissute al colonialismo spagnolo, ma forse più come "riserve" etniche che come territori di cui riconoscere l'autogoverno. Si voleva archiviare definitivamente l'eredità di Pinochet, ma nello stesso tempo non si sono coltivate pacificazione e smilitarizzazione. I Mapuche, la più grande comunità nativa che conserva ancora una lingua e una cultura, hanno continuato a essere perseguitati e i loro attivisti sono stati trattati, anche a pochi giorni dal voto, come terroristi.
Strategicamente, occorrevano forse più riformismo, più gradualità, più moderazione. Doti che sono parse scarse nelle elite della sinistra cilena.
Tatticamente, è facile rilevare che non si sarebbero dovute mettere troppe cose insieme in un unico progetto. Si è ottenuto solo che persone, comunità, gruppi che hanno poco in comune, si sono ritrovati tutti dalla parte del "rechazo" (rifiuto) della nuova Costituzione, solo perché ciascuno contrario anche a un solo capitolo. E' il boomerang che colpisce spesso i plebisciti indetti su progetti troppo arroganti.
Una lezione per il nostro mondo civico, ambientalista, autonomista, merita di essere appresa: mai confondere il nostro decentralismo con altre istanze, specie se estreme e divisive.
Il nostro compito autonomista è decentrare il potere e poi lasciare che ogni territorio e i suoi cittadini facciano il loro cammino di riforma, a volte in senso più sociale, altre in senso più liberale, sempre, ne siamo certi, verso una maggiore responsabilità verso il proprio territorio, per il bene di tutti i viventi e ancora di più delle generazioni future.
Quando governati e governanti sono più vicini, in forme e territori di autogoverno più contenuti, i diritti umani, la difesa dei beni comuni, ideali di giustizia e libertà, emergono da soli e dal basso. Ciò che non si afferma da sé, lentamente e spontaneamente, forse, non è un valore così autentico, né così universale.
Lo scriviamo noi, su questo blog, che pure abbiamo un patrimonio civico, ambientalista, autonomista, che abbiamo idee e progetti, che non abbiamo esitato e non esiteremo a schierarci per portare alle persone, alle famiglie, alle imprese, alle comunità, soluzioni di buongoverno nel "qui e ora".
Non si deve perdere di vita, soprattutto quando ci sentiamo parte della nostra ideale "Decentralism International", l'obiettivo più importante: l'autogoverno di tutti dappertutto. E' questo il nostro faro e non dobbiamo offuscarne la luce con nessun altro specchio.
Prima di tutto siamo decentralisti. Il decentralismo può unire, invece che dividere, perché ci proietta tutti oltre lo status quo.
Decentrare il potere richiede solidità di pensiero, competenza, serietà, costanza, capacità di stare insieme fra diversi.
Sia detto nel massimo rispetto di ogni pensiero e parte politica: non abbiamo bisogno di appesantirci con i costruttivismi, peraltro illusori, di coloro che continuano testardamente a competere per il potere, per rendere più "giusti" o più "liberi" i grandi stati.
E' più importante per noi, ed è comunque quello il nostro compito, lavorare per porre fine alla disumana concentrazione di potere che in essi, negli stati, è stata realizzata.