Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso
giovedì 27 ottobre 2016
Non sono trattati di libero scambio
Lo dobbiamo e vogliamo ripetere per le poche persone che cercano in questo blog un punto di riferimento per il rafforzamento delle democrazie e delle economie locali: il CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement) non è un trattato di libero scambio, come non lo sono altri simili accordi che sono stati preparati in gran segreto per lunghi anni, quali il TTIP (Transatlantic Trade Investment Partnership) o il TPP (Trans Pacific Partnership).
Se si trattasse di abbattere ulteriormente tariffe doganali, già basse peraltro, o di concordare etichette oneste da apporre sui prodotti che devono essere importati od esportati senza imbrogliare i consumatori dei diversi paesi, non ci sarebbero voluti così tanti anni, né tutta questa segretezza, né documenti così ponderosi e complessi di migliaia di pagine, né si sarebbe caduti nella totale confusione giuridica sui tempi e le modalità di ratifica.
I governanti di Canada e Unione Europea si preoccupano sempre di presentarsi come i più buoni, ma la sostanza di questo trattato CETA non è affatto socialmente progressivo.
Anche il CETA propone lo smantellamento delle regole nazionali su servizi pubblici e privati, sulle professioni, sui controlli di qualità e di provenienza del cibo, con l'aggravante che si vogliono estendere gli arbitrati internazionali obbligatori, per sottrarre le imprese straniere alle giurisdizioni locali.
Contro il CETA si è ribellata la piccola Vallonia. Viva la Vallonia, allora, nonostante la sua cattiva fama di paese bigotto, arretrato, assistenzialista. Sarà durissima battere le elite che vogliono questi trattati, ma autentiche democrazie locali possono ancora resistere, nonostante la grancassa mediatica scatenata dai potenti e dai loro servi sciocchi.
Pochi più di chi scrive su questo blog credono davvero nella libertà di circolazione di merci, servizi, capitali e persone, ma questo ideale si può vivere solo quando a casa propria si è liberi e a casa d'altri si è rispettosi.
A circolare, inoltre, devono essere le diversità, perché sono esse ad attrarre, non certo il cupo grigiore di un mondo in cui si venisse tutti assimilati a produrre e consumare le stesse cose.
La libera circolazione, infine, deve avvenire nel segno dell'inclusione sociale e del rispetto della dignità umana e dell'integrità del creato. Nel paese estero dove si va a lavorare, si deve essere trattati equamente, venendo pagati non meno dei nativi che fanno la stessa attività. Nelle etichette dei prodotti importati, oltre che la verità sull'origine e il trattamento, ci devono essere informazioni sufficienti a certificare che i prodotti non sono il frutto di distruzioni ambientali o di schiavismo.
Come sempre, chi vuole domnare scrive leggi inutili e complesse da applicare a proprio arbitrio. A chi ama la libertà bastano pochi principi.
PS
Grazie a Nicola Cariglia, ancora una volta, per essersi sottratto al coro dei servi sciocchi delle burocrazie e delle cleptocrazie internazionali.
venerdì 14 ottobre 2016
Basta un Sì e si va in Lettonia
Pinotti e Gentiloni, 2015 - Fonte: formiche.net |
Dalla Libia al Baltico, la ministra della difesa Pinotti ne ha fatta un'altra delle sue, per conto del governo Renzi, con la benedizione del ministro degli esteri Gentiloni.
Potete leggere di questa monumentale bischerata a questo link del comunicato del ministero degli esteri.
Altri articoli che parlano della nostra missione con la NATO sul Baltico, in Lettonia, li troverete facilmente in rete.
Quando si mandano al governo persone senza conoscenze geopolitiche adeguate e - temiamo - senza convinzioni profonde, il risultato è sempre una avventata subalternità.
Subalternità agli interessi delle industrie militari, ai riflessi condizionati di autoconservazione delle burocrazie NATO, alla retorica - in particolare anti-russa - dei guerrafondai di ogni provenienza.
Per coloro che volessero approfondire, invece, l'inutilità della NATO così come è oggi, la pesantezza dei suoi bilanci, la pericolosa aggressività che questa organizzazione ha dimostrato con la sua inutile espansione verso est, suggeriamo la lettura di un vecchio articolo del 2000.
Non lo ha scritto un pacifista, ma è un saggio sulla realtà, che è il presupposto di ogni ricerca della pace.
Si intitola STRUCTURAL REALISM AFTER THE COLD WAR (Il realismo strutturale nel dopo Guerra fredda), del grande scienziato politico Kenneth N. Waltz.
E' stato pubblicato su International Security, Vol. 25, numero 1, dell'estate 2000.
Si trova facilmente, qua e là in rete.
Vale la pena.
Lo diciamo soprattutto per i giovani appassionati di relazioni internazionali e geopolitica.
venerdì 7 ottobre 2016
Il potere dei più buoni
In questi giorni, chi è attualmente al potere celebra la propria bontà, piangendo le vittime morte affogate nel Mediterraneo.
Il potere dei più buoni si estende, in particolare, sulle migliaia di disgraziati che in Libia si imbarcano su barche e gommoni, lanciandosi al largo, dove poi sperano, chiamando con i cellulari i numeri della guardia costiera italiana, di essere intercettati e raccolti dalle navi europee di pattuglia all'inizio delle acque internazionali.
Le cose vengono lasciate andare avanti così, come un grande spettacolo in cui militari e politici fanno la figura di coloro che salvano i disperati.
Non c'è spazio per la minima riflessione critica.
La ruota di questa disumana lotteria deve continuare a girare: i rifugiati devono imbarcarsi; le navi militari devono intercettarli; le autorità devono parcheggiarli per anni da qualche parte.
Ai più buoni non interessa gestire una immigrazione legale, aprendo le proprie sedi diplomatiche in Africa e in Asia alle persone in cerca di salvezza o anche solo di speranza.
Ai più buoni non interessa cooperare con la Tunisia, trattare con i governi locali libici, dialogare con i Tuareg, sostenere il federalismo in Etiopia, pretendere il rispetto dei diritti umani in Eritrea.
Ai più buoni non interessa porre fine alle guerre interminabili che sono state scatenate - da chi? - dalla Somalia allo Yemen, dall'Afghanistan alla Siria. Perché dovrebbero, visto che sono complici di coloro che le hanno iniziate e tuttora le alimentano con uomini, mezzi, denaro.
Ai più buoni non interessa cercare le cause dei problemi, dei conflitti, delle distruzioni, delle deportazioni, delle migrazioni. Perché dovrebbero, visto che più essi possono mostrarsi buoni, più a lungo resteranno al potere.
Ai più buoni dedico una canzone cattiva, che però spiega bene quanto loro sono feroci e quanto noi siamo ancora troppo asserviti alla loro dittatura.
Giorgo Gaber, Il potere dei più buoni
(album Un'Idiozia Conquistata a Fatica, 1998)
Approfondimenti:
https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=4678&lang=it
http://www.giorgiogaber.it/discografia-album/il-potere-dei-piu-buoni-testo
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