Il 2022 è il centenario della "Rivoluzione Liberale", cioè degli scritti radicalmente democratici di Piero Gobetti contro il fascismo, i gerarchi incantatori e imbrogliatori dei reduci, gli infami Savoia, i guasti dello stato italiano, sin dall'inizio centralista e autoritario.
La luce dei suoi scritti dirada la nebbia che ancora avvolge, e nasconde a gran parte dell'opinione pubblica, quell'ammasso di vigliaccate, prepotenze, infamie e codardia che fu la "Marcia su Roma" iniziata il 28 ottobre 1922 e culminata con l'ascesa al potere di Benito Mussolini, il 31 ottobre, con la sua nomina a presidente del consiglio su incarico di re Vittorio Emanuele III.
Gli interventisti, nazionalisti e colonialisti, con la complicità del palazzo reale e dei padroni delle nascenti ferriere industriali, avevano trascinato il Regno d'Italia, contro la volontà del parlamento e dei suoi popoli, nella tragedia della "Inutile Strage", la Prima guerra mondiale.
Dopo la guerra, nel paese distrutto moralmente dall'alluvione di menzogne che la propaganda aveva dovuto diffondere per sostenere l'adesione delle masse a un conflitto tanto assurdo, oltre che in una società italiana sconvolta e impoverita, il fascismo si impose come salvatore e perfezionatore dello stato centralista e autoritario.
Il fascismo salì al potere grazie alla mobilitazione dei reduci frustrati dal ritorno alla vita civile con un pugno di mosche, dopo essere stati per anni ubriacati di retorica, di violenza, di promesse vane.
Cavalcò la rabbia delle classi medie impoverite, approfittando della mancanza di spina dorsale delle vecchie classi dirigenti liberali e delle divisioni nelle forze popolari e socialiste.
Soprattutto, però, ottenne finanziamenti e appoggi perché rappresentava la continuità dello stato nato dalle conquiste sabaude, promettendo di tenere in vita i miti del Risorgimento, continuando a celarne la triste realtà, che era quella della costruzione di un vero e proprio imperetto coloniale sabaudo sull'intera penisola.
Garantiva, cosa ancora più urgente nella crisi del Primo dopoguerra, che sarebbe stata perpetuata la retorica della Grande Guerra e che si sarebbero tenuti a bada coloro che la guerra l'avevano odiata e poi subìta come la più grande delle ingiustizie.
Il garibaldinismo, il fascismo - scrisse Gobetti - sono espedienti attraverso cui l'inguaribile fiducia ottimistica dell'infanzia ama contemplare il mondo semplificato secondo le proprie misure... Il nostro antifascismo prima che un'ideologia, è un istinto... Ma il fascismo è stato qualcosa di più; è stato l'autobiografia della nazione... La palingenesi fascista ci ha attestato inesorabilmente l'impudenza della nostra impotenza. A un popolo di dannunziani non si può chiedere spirito di sacrificio [cioè resistenza alle prepotenze e all'incredibile disastro politico che il fascismo recava con sé e che Gobetti aveva già intuito]... Si può credere all'utilità dei tutori e giustificare Giolitti e Nitti, ma... Né Mussolini né Vittorio Emanuele hanno virtù di padroni, ma gli Italiani hanno bene animo di schiavi.° ° °
Fonte della foto del giovanissimo Gobetti: https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=843026
Fonte dei testi dell'articolo "Elogio della ghigliottina" di Piero Gobetti (dalla “RIVOLUZIONE LIBERALE” del 23 novembre 1922): https://www.eticapa.it/eticapa/wp-content/uploads/2013/12/Elogio-della-ghigliottina.pdf
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