Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso
domenica 25 marzo 2018
Who will be the next in Europe
His excellence the 130th president of #Catalonia was arrested today by the German federal police in the state of Schleswig-Holstein, under the accusation of "rebellion", following a "European" (?) arrest warrant issued by the neofrancoist regime of #Spain.
How did we get so far?
It is a long history, not easy to summarize and socialize.
They came for the Saharawis and we remained silent.
They came for the Kurds and we remained silent.
They came for the Berbers and the Tuaregs and we remained silent
They came for Africans exploited by the French neocolonialism and we remained silent.
They came for Cyrenaica and Tripolitania and we remained silent.
They came for Yemen and Syria, destroyed by American and Saudi barbarian bombing and we remained silent.
They came for Scotland, Flanders, Corsica, Sardinia and we remained silent.
They eventually came for Catalonia, one of the most developed and progressive countries of the world.
What are we going to do, now?
Wake up, Europeans.
In the coming time of Easter, let's cling to the roots of our identity (Matthew 10, 27):
What I tell you in the dark, say in the light, and what you hear whispered, proclaim on the housetops.
* * *
Free all the political prisoners now!
General amnesty for all the self-government advocates and activists!
Let's welcome the free state of Catalogna in Europe!
lunedì 19 marzo 2018
Boycott Turkey
#BoycottTurkey, #StopErdogan, #DefendAfrin.
Gridiamolo dai tetti e soprattutto facciamolo.
In queste ultime ore ho fatto circolare questo appello anche in forma di mail, a nome di tutto il nostro Comitato Libertà Toscana (il movimento che Mauro Vaiani ha rifondato, organizzato e guidato dal 2017 al 2020, ndr):
Gentilissimi,
la Turchia di Erdogan sta affondando in una palude di autoritarismo e
militarismo.
Dopo aver represso e distrutto intere città curde nel proprio Sudest,
ha infine distrutto il libero cantone di Afrin, nel Rojava (Siria del
Nord) e ne ha occupato le rovine,
provocando l'ennesima catastrofe umanitaria.
Cosa possiamo fare noi?
Intanto non dobbiamo tacere.
Possiamo inoltre, anche come singoli, semplici cittadini, dal basso,
provocare un movimento nonviolento
di boicottaggio a tutto campo, a tempo intedeterminato di tutto ciò che
ha a che fare la Turchia:
cancellare viaggi, rifiutarsi di collaborare con esponenti di quel governo,
stare ben attenti a non comprare prodotti Made in Turkey (codice 869).
Alle autorità di ONU, UE, USA, Regno Unito, Federazione Russa, Iran,
chiediamo di uscire dall'ignavia e di impegnarsi finalmente per una
tregua immediata
e generalizzata in Siria, che vada almeno dalla festa del Newroz alle
festività di Pasqua.
Cordiali saluti e auguri sinceri per la prossima Pasqua.
19 marzo 2018
domenica 11 marzo 2018
Le parole che non ci han detto
Ci sono delle parole che la maggior parte dei nostri aspiranti leader hanno pronunciato poche volte e quasi mai in modo credibile, in particolare i quattro responsabili che hanno imposto all'Italia il #Rosatellum.
La prima è giustizia sociale. Metà del paese dispone, in pratica, di meno di mille euro a testa al mese, più o meno sicure. Oltre agli emarginati e ai disoccupati, abbiamo quindi altre decine di milioni di persone che, pur lavorando, pur ricevendo una pensione, pur possedendo una casa, non hanno abbastanza Euro per arrivare in fondo al mese sereni, per fronteggiare un imprevisto, per togliersi uno sfizio, non parliamo poi di programmare qualcosa per il futuro. Nessuno dei quattro leader del #Rosatellum si è rivolto a loro. Anzi, con il #Rosatellum, hanno tentato di tappar loro la bocca, togliendogli ogni diritto di scegliersi dei leader locali e indipendenti che li potessero davvero rappresentare.
La seconda è pace. Pur facendo parte di una comunità economica e politica di 500 milioni di abitanti, la Unione Europea, e di una alleanza politico-militare permanente come la NATO, che nessuno può attaccare e infatti nessuno minaccia, ci ritroviamo con le spese militari che aumentano, inutili missioni all'estero, finanziatori di terrorismo, complici del massacro dei curdi e della distruzione dello Yemen. Siamo, anche, asserviti al neocolonialismo francese che sta continuando a dissanguare quattordici paesi africani, quelli del sistema del franco centro-africano (CFA) governato da Parigi (con ripercussioni drammatiche anche su tutto il resto dell'Africa): Mali, Benin, Camerun, Costa d'Avorio, Ciad, Niger, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo (Brazzaville), Gabon, Guinea-Bissau, Guinea Equatoriale, Senegal, Togo. Questo elenco di paesi vi ricorda qualcosa, vero? Sì, sono i paesi di origine e di transito di gran parte di quella migrazione disperata che si rovescia in mare dalle coste della Libia, paese quest'ultimo che anche l'Italia ha contribuito a distruggere. In pratica siamo complici della creazione di quelle migrazioni che poi accrescono la nostra insicurezza e le nostre paure.
La terza è Catalogna. Sotto l'occhio non solo inerte ma benevolente degli alti papaveri della Unione Europea, del Regno Unito, degli Stati Uniti d'America, si è lasciato che il Regno di Spagna per un decennio minacciasse e ostacolasse una delle sue più importanti regioni autonome e infine, dopo che la Catalogna si è ribellata, quando sono iniziate la repressione neofranchista, le incarcerazioni, gli esili, non solo ci si è girati dall'altra parte, ma si è fatto ben di peggio: si è eletto come vicepresidente della Banca Centrale Europea (il più grande centro di potere continentale) il ministro spagnolo Luis De Guindos. Nella attuale stagione politica, ci pare, più si calpestano le periferie, più si fa carriera al centro. L'Europa delle regioni e delle autonomie viene messa in paricolo e non solo: c'è una pericolosa coincidenza fra oppressione della Catalogna e il progetto Euro-cratico, che dovremo approfondire seriamente. Tutto quello che lasciamo accadere alla Catalogna un giorno potrà accadere alla Corsica, alla Sardegna, al Sudtirolo, al Friuli, alla Toscana. Ce ne rendiamo conto?
Non so se queste tre parole sono populiste, non so se sono di sinistra (o di centro, o di destra). Di certo sono le parole di chi si oppone alla concentrazione di potere e di ricchezze. Sono parole importanti per un movimento locale e globale per il decentralismo, che ci pare sempre più necessario per tornare protagonisti dei nostri territori, per non smarrire la nostra identità, per rimanere liberi e sovrani, per proteggere i nostri territori, per restare vivi.
Queste tre parole, di certo, sono parte del cuore pulsante del nostro impegno politico e civile.
martedì 6 marzo 2018
Contro la divisione dell'Italia
Questa immagine di una Italia divisa fra i colori di un nord leghista e di un sud pentastellato ha avuto un certo successo in rete nelle ore e nei giorni di questo interminabile conteggio dei risultati elettorali del 4 marzo 2018.
In parecchi hanno notato che l'Italia sembra ancora fratturata fra corpi politico-elettorali ancora largamente coincidenti con gli antichi stati italiani.
Solo alcune menti più acute, fra cui un lucido Sergio Scandura in una corrispondenza su Radio Radicale lunedì 5 marzo 2018, hanno compreso che questa divisione italiana corrisponde a un problema geopolitico che non può essere più nascosto sotto il tappeto.
Se l'Italia è ancora oggi così divisa, dopo centocinquant'anni di nazionalismo, militarismo, colonialismo, fascismo, partitocrazia, centralismo berlusconiano e infine renziano, occorre domandarsi se non siano proprio queste prepotenze, questi sforzi di concentrazione di potere e di ricchezze, a produrre esattamente il contrario di quello che si attendono le elite dominanti.
Più si insegue il centralismo, più si divide l'Italia, questa ci pare la realtà brutta che in troppi non vogliono vedere.
Il Sud continua a declinare e a spopolarsi, ma nel frattempo anche il Nord resta indietro rispetto ad altre regioni europee, più competitive perché più vicine al cuore della Eurozona.
Noi decentralisti suggeriamo una strada opposta: poniamo fine al centralismo.
Andiamo oltre questo presente dominato dall'estrazione neocolonialista di risorse dalle regioni povere per portarle nelle regioni già ricche.
Lasciamo che ogni territorio italiano riprenda in mano le redini della propria economia locale, del proprio tessuto sociale, della propria identità culturale e spirituale.
Lasciamo che ogni angolo d'Italia torni ad autogovernarsi liberamente e responsabilmente.
Ispiriamoci più alla Svizzera che all'odioso centralismo francese.
Trasformiamoci in una comunità di stati che si autogovernino, più liberi, più responsabili, più giusti, più rispettosi del proprio territorio, più impegnati nel proprio avanzamento sociale, governati da regole democratiche più chiare e più semplici del #Rosatellum (e delle altre orribile leggi elettorali che sfigurano la nostra vecchia e malandata repubblica italiana).
Credeteci: ci ritroveremmo incredibilmente più uniti, in una rinnovata confederazione italiana ed europea.
Se davvero volete porre rimedio alle minacce di gravi fratture politiche e geopolitiche dell'Italia e dell'Europa, iniziata un'azione autonomista.
venerdì 2 marzo 2018
Il socialismo toscano che sulla scheda un c'è
Pubblichiamo con gioia l'intervento di Ione Orsini pronunciato a Filettole (si pronuncia Filèttóle), un paese nel comune di Vecchiano in Toscana, lo scorso lunedì 26 febbraio 2018, in occasione dell'intitolazione di una stanza socialista del circolo Bartalini al suo babbo Gioiello Orsini. Ci troverete un socialismo toscano, autonomista e libertario, che sulla scheda delle elezioni politiche del 4 marzo 2018 un c'è, ma nei nostri cuori e in ciò che di più profondo e vero vogliamo lasciare alle generazioni future sì. Nella foto, di proprietà della famiglia Orsini, Gioiello insieme a Bettino Craxi.
al circolo “Angelo Bartalini” di Filettole
intitolata a Gioiello Orsini (1922-1983)
leader socialista, autonomista, vecchianese e toscano
Intervento di Ione Orsini
giovedì 1 marzo 2018
Due o tre cose che ho capito dei Cinque Stelle
I Cinque Stelle sono ancora una struttura fragile, che potrebbe, come molti movimenti, avere vita breve. Particolarmente negativo è il loro manifesto disprezzo per alcune regole - formali e informali - che regolano la vita di tutte le organizzazioni politiche. Fra di esse i concetti di amministrazione trasparente, revisione dei conti, controlli interni, tutte cose che, se fossero state trattate con meno sufficienza, avrebbero messo i Cinque Stelle al riparo dalle figuracce che hanno collezionato nel controllo delle donazioni di ieri e delle candidature di oggi.
In molti comunque li voteranno, al di là dei loro effettivi contenuti e delle loro visioni di lungo periodo, come strumento a breve termine, come "scopa" per cacciare fuori dal parlamento il maggior numero possibile di tutti gli altri. Cosa, questa, tutt'altro che negativa, si intende.
Però essi sono già e lo stanno confermando in queste ultime importanti ore prima del voto del prossimo 4 marzo 2018, uno strumento che potrebbe anche rivelarsi più fecondo, capace di restituire rappresentanza a molti territori italiani, alle classi sociali più in difficoltà, ad alcune importanti scelte sociali e ambientali.
Oggi hanno presentato la lista dei loro candidati a entrare in un ipotetico futuro loro governo. Una grande operazione di immagine, non c'è dubbio, che ha seppellito definitivamente ogni pretesa di inchiodare i Cinque Stelle ad accuse generiche e a battute liquidatorie. Hanno messo in campo una lista di esperti di cui si potrà dire tutto, fuorché tacciarli di incompetenza.
Paragonati al ritratto dei "fratelli coltelli" del centrodestra (Berlusconi, Salvini, Meloni, Fitto) o al "giglio magico" (Renzi, Lotti, Boschi, Madia, il "faraone" Delrio), questo gruppo di professori candidati ministri Cinque Stelle sembrano una squadra olimpica.
Un primo sguardo alle biografie dei candidati ministri dei Cinque Stelle rivela alcune altre cose importanti.
La prima è molto buona: i candidati ministri Riccardo Fraccaro (rapporti con il parlamento e con le autonomie), Giuseppe Conte (pubblica amministrazione), Pasquale Tridico (lavoro e presidenza sociale) sono coscienti della necessità di tornare ad affidarsi alle grandi capacità di autogoverno diffuse nella società italiana.
La seconda è preoccupante: come sempre, quando si cede alla tentazione di pescare nella cosiddetta "società civile", si finisce con l'incontrare persone che sono state molto subalterne a chi la società la ha comandata fino a ieri. Qua e là spuntano fra i Cinque Stelle dei cosiddetti "esperti" che hanno votato "Sì" alla deforma costituzionale Boschi-Renzi-Verdini. Secondo il modesto parere di chi scrive, chi ha votato a favore di quella proposta ultra-centralista e tendenzialmente autoritaria dovrebbe essere tenuto molto lontano dall'amministrazione della cosa pubblica. A meno di un processo - sempre possibile, per carità - di ampia, approfondita e pubblica autocritica.
La terza non può piacere ai lettori di questo blog: è l'eterna ritornante convinzione che si possa rimettere a posto l'Italia così come è oggi, praticamente sempre uguale a quella della conquista sabauda, poi continuata con i vecchi liberali, i nazionalisti, i colonialisti, i fascisti, i centralisti che nel secondo dopoguerra non hanno mai smesso di sabotare alcuni ideali autonomisti e decentralisti che erano stati accolti nella Costituzione del 1948.
La abbiamo sentita, questa convinzione, che per noi è tracotanza, in certe frasi pronunciate oggi, in particolare dalle persone candidate a tre ministeri importanti (Emanuela Del Re agli esteri, Paola Giannetakis agli interni, Elisabetta Trenta alla difesa).
Molti altri leader importanti del nostro passato democratico sono naufragati contro lo scoglio di questa illusione nazionalista, cristallizzatasi nel nostro passato predemocratico. Quasi tutti in verità. Gli aspiranti ministri Cinque Stelle, in questo, falliranno come hanno fallito leader centralisti di ben altro spessore (Fanfani, Spadolini, Craxi, Prodi, Renzi, per fare solo alcuni esempi).
Per concludere invitiamo i nostri lettori a dare una occhiata ai risultati di un piccolo studio fatto da amici autonomisti sulle posizioni di tutte le forze politiche candidate alle prossime politiche in materia di decentralismo. Come potete vedere nel grafico qui sotto (e approfondire qui) tutti i partiti sono stati clamorosamente bocciati ma i Cinque Stelle, che hanno fatto al proprio interno alcune importanti scelte in favore dell'attuazione di una migliore repubblica delle autonomie, sono comunque in testa a questa amara classifica.
Buon voto, quindi, a tutte le persone che hanno ancora la pazienza di seguirci, dopo tanti anni!
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