Uno scatto di Luciano Gori (fonte) |
La grande alluvione del 1966 mi riguarda sempre di più, man mano che passano gli anni, come persona, come lavoratore e come cittadino.
Una volta era fatta solo dai ricordi delle mie zie e dei miei zii fiorentini e di non poche altre persone che l'avevano vista, a Firenze ma anche nel resto della Toscana.
Una delle mie prozie, che era infermiera, rimase chiusa in servizio a Careggi per giorni, a causa dell'alluvione.
Avendo lavorato in quelle drammatiche ore ad anatomia patologica, lei si è sempre detta convinta che fossero morte molte più persone di quelle poi censite negli elenchi ricostruiti dagli studiosi (come i seri animatori di Firenze Promuove, per esempio).
Sosteneva che tutta la verità su tanti corpi di immigrati non registrati, di senza tetto, di barboni dell'epoca, ritrovati nei sottopassi, nei sottoscala, negli scantinati, nel retro delle botteghe, nei loro poveri rifugi dove erano stati colti di sorpresa dall'acqua, non sia mai stata detta.
Con il tempo sono stato sempre più coinvolto negli interrogativi più profondi che i grandi disastri sollevano.
Urbanizzazione, militarizzazione e industrializzazione selvaggia di Firenze e della Toscana ci hanno condotto a vivere in un presente incredibilmente fragile, sempre più esposto non solo ai grandi cataclismi, ma anche a ben più modesti eventi di origine naturale o causati da errori o crimini umani, come inquinamento e terrorismo.
Come spiegano bene gli esperti e i media riportano con ampiezza, proprio in questi giorni di commemorazione del cinquantesimo anniversario della grande alluvione del 1966, i grandi cataclismi tornano, talvolta con una ciclicità prevedibile. Mentre, proprio la moltiplicazione delle reti e delle tecnologie a cui affidiamo la nostra vita, ci rende persino più fragili davanti a tanti altri eventi molto più piccoli, ma anche molto più imprevedibili.
Appare davvero insensato che si continui a pianificare cementificazione e consumo di suolo, anche a Firenze, nella piana, nel resto della Toscana, come se vivessimo in un eterno presente, in cui non ci sono mai terremoti, piogge eccezionali, tempeste di vento, nevicate, siccità, o nemmeno incidenti e attacchi terroristici.
Gli studi sulla resilienza, come il progetto Resolute, a cui sto
partecipando come lavoratore dell'amministrazione digitale del Comune di Firenze, dovrebbero trovare più interesse nei media e più
approfondimento da parte dei politici.
Il ricordo dell'alluvione, infine, esige anche una grande riflessione sull'autogoverno responsabile delle famiglie, delle imprese, delle comunità, dei territori, proprio mentre impazza in tutto il paese una ondata di clientelismo, paternalismo, e neocentralismo renziano.
Ma di questo riparleremo presto, su Libertà Toscana.
Chiudo con un "Eterno riposo" per le vittime e con un abbraccio a tutte le persone mie colleghe che lavorano giorno e notte nella Protezione Civile, nella custodia dei servizi pubblici essenziali, nella sicurezza pubblica.
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