Alla famiglia, agli amici, ai colleghi, ai compagni di partito di Silvio Berlusconi vanno le nostre sincere condoglianze, in occasione della sua morte, oggi lunedì 12 giugno 2023.
Come hanno scritto gli amici di Un Cuore per Vecchiano, fra le molte cose di questa figura gigantesca, non possiamo dimenticare che è stato un uomo di stato che si è sinceramente speso per la pace, in molte e complicate situazioni, anche recenti.
Il berlusconismo verrà ricordato, nel bene e nel male, come grande movimento dell'imprevedibilità, della simpatia, dell'anticonformismo, del rimescolamento, della contaminazione, dell'irruzione nella vita politica di tante piccole e grandi illusioni di poter continuare a progredire e ad arricchirsi. Non tutti, ovviamente, ma di certo in molti di più di quello che poi si è rivelato possibile.
Tuttavia dobbiamo mettere a fuoco uno degli aspetti del berlusconismo che ci ha sempre colpito e preoccupato, sin dal suo primo apparire. Il "forzismo" è stato, sin dall'inizio, un gigantesco movimento di rilegittimazione di un orgoglio nazionale "italiano". Il nazionalismo di Silvio Berlusconi è sempre stato morbido e liberale nei toni, moderato e pragmatico nei fatti, rigidamente confinato entro il perimetro dell'europeismo e dell'atlantismo più classici, ma non per questo è stato meno nazionalista e, in prospettiva, meno pericoloso.
Il berlusconismo ha liberato molte cose negative nella società: populismo e antipolitica dall'alto; legittimazione del numero, della forza, del denaro come sostituti della credibilità personale, del radicamento sociale, del consenso ottenuto dalla militanza territoriale.
E' stato esasperazione mediatica del culto del capo e riduzione del dibattito pubblico alla greve contrapposizione di slogan e parole d'ordine, in una polarizzazione brutale, "o di quà o di là", che ha emarginato cittadini e attivisti dalla vita politica, distruggendo pluralismo culturale e politico.
E' stato riduzione della politica a uno scontro fra tifoserie, in una grande competizione a chi si presentava in televisione in modo più ignorante, superficiale, semplicistico, dozzinale, triviale.
E' stato anche una alluvione di retorica liberale senza riforme liberali. E' stato una capacità dialettica di impadronirsi delle parole più nobili dell'autonomismo, del federalismo, del riformismo, del socialismo, del garantismo, per poi nella pratica quotidiana di governo rivelarsi subalterno al più rigido costruttivismo neoliberista.
Tutte queste cose deprecabili, però, ci paiono meno durature e quindi meno gravi della retorica nazionale e nazionalista, che il berlusconismo ha profuso fino a stordire le masse.
Quella retorica, infatti, è stata il cavallo di Troia per rendere accettabile che la "nazione" finisse nelle mani di pochissimi capi, meglio se uno solo.
Dopo Berlusconi, in questa Repubblica si è accettato che il capo, insieme a un suo ristretto circolo di fidatissimi, chiusi in uno studiolo romano, concentrassero potere come mai era stato possibile nella storia repubblicana. Il capo e il suo staff hanno cominciato a decidere tutto: chi candidare in un comune, non importa quanto piccolo; chi mandare a fare il governatore di una regione, non importa quanto grande; chi fare senatore, deputato o europarlamentare; chi nominare negli enti e nelle autorità; chi promuovere e chi parcheggiare.
Questo centralismo nell'organizzazione verticale della politica ha contagiato tutti. Le reti civiche e verdi e persino i partitini della sinistra sono stati trasformati in piccole piramidi. Le prime leghe sono state annientate dalla necessità di obbedire tutte al centro di potere di Via Bellerio. I partiti del centrosinistra sono diventati verticisti e centralisti quanto quelli di centrodestra. Un intero movimento populista, quello dei Cinque Stelle, rimesso insieme in pochi anni sulla base di parole d'ordine "democratiche", "basiste", "territorialiste" è stato retto con mano ferrea da un vertice sempre più ristretto e sempre più opaco.
C'entrano i caratteri dei leader degli ultimi trent'anni, certo, ma più importante ed esiziale è stata, per tutti, la necessità di inseguire Berlusconi e somigliargli il più possibile, per competere con lui con mimesi e metessi.
La prima parte della storia personale di Berlusconi ha rappresentato bene come alcuni fortunati imprenditori, sé dicenti liberisti, siano potuti diventare grandi e indiscussi monopolisti della nuova economia globale (che nella globalizzazione le grandi imprese capaci di competere tendano a diminuire, invece che a moltiplicarsi, dovrebbe essere chiaro a tutti, ormai).
La seconda parte della sua vita, dopo la sua "discesa in campo", è emblematica di come l'irruzione di un leader carismatico e popolare - personalmente, a detta di chi lo ha conosciuto bene, una delle persone più generose e liberali che si possano immaginare - abbia contribuito a soffocare la Repubblica delle Autonomie personali, sociali, territoriali.
Lui ora riposi in pace, ma la Repubblica italiana è in mezzo al guado. Grazie anche a lui, siamo sotto la spada di Damocle di una qualche forma di presidenzialismo.
Vogliono trasformarci, de iure non solo de facto, in una repubblica centralista che eleggerà il suo prossimo podestà attraverso una competizione mediatica.
Berlusconi doveva portarci in Svizzera e invece ha, più o meno coscientemente, spinto l'Italia verso una deriva centralista e autoritaria in stile Francia o peggio, Turchia.