Un discorso diverso in Toscana, per chi crede, in questa nostra madreterra, in questa fugace vita, in qualcosa di diverso

sabato 29 dicembre 2018

L'ennesima trappola centralista è già scattata



Con la pubblicazione (oggi sabato 29 dicembre 2018) di un articolo di Sabino Cassese, il Corriere della Sera sta chiudendo il 2018 con l'ennesimo attacco alle autonomie.

Tutti i decentralisti devono stare attenti a non cadere nella trappola di questa narrazione centralista, che contiene almeno tre errori fondamentali:

- 1) L'Italia è piena di disparità, perché la nostra unità sarebbe incompiuta, quindi il potere deve restare centralizzato, per non alimentare ulteriori ingiustizie territoriali - INVECE è vero esattamente il contrario. E' proprio perché da oltre centocinquanta anni le stesse leggi e la stessa impalcatura centralista sono imposte al paese, dalle Alpi alla Sicilia, che intere regioni declinano, mentre pochi centri di potere politico ed economico fioriscono.

- 2) Le risorse pubbliche sono una torta scarsa e fissa, per cui ogni eventuale aumento di autonomia in alcuni territori andrebbe a discapito dei livelli minimi di assistenza in altri - INVECE anche questo è falso, perché ogni spesa pubblica centrale, una volta devoluta ai territori, verrebbe totalmente ripensata, riorganizzata, riorientata nell'interesse delle comunità locali e con la loro partecipazione, con importanti risparmi e comunque con un netto miglioramento dei servizi pubblici locali.

- 3) Si continua anche a lasciar passare l'idea, completamente campata in aria, che esistano nell'Italia contemporanea "residui fiscali" importanti da restituire alle regioni dove hanno sede fiscale e legale la maggior parte delle aziende del paese (Lombardia, Emilia Romagna, ma anche Veneto) - INVECE si tratta di una gigantesca illusione, perché è evidente che, dopo profonde riforme fiscali che ancorassero il pagamento delle imposte ai territori, molte aziende che oggi pagano tasse solo a Milano o a Bologna, finirebbero per versare molto di più nelle regioni dove vendono, invece che nella sola regione dove producono.

Infine, caso mai non si fosse difeso abbastanza lo status quo centralista, si torna a insinuare l'idea che alcune regioni siano in fondo troppo piccole per essere davvero meritevoli di autonomia. Cosa che magari è vera per alcuni territori, ma non certo per tutti (non per la Romagna, per esempio, la quale da tempo aspetta di poter realizzare la propria aspirazione autonomista).

Ma sì, in fondo è questa la trappola centralista più raffinata che da decenni serve per frenare ogni possibile cambiamento: non avrai autonomia perché non la meriti, perché sei troppo ricco o perché sei troppo povero, perché sei troppo piccolo o comunque sempre inadatto.

Avanti così, si parli di autonomie per altri anni ancora, purché non si cambi niente!

Per chi vuole approfondire, consigliamo anche la lettura di questo importante intervento critico di Massimo Costa, apparso sul prestigioso blog siciliano 360EcoNews.


mercoledì 19 dicembre 2018

75° anniversario della Carta di Chivasso



Per onorare il 75° anniversario della Carta di Chivasso (19/12/1943-19/12/2018), alcune forze territoriali in DIALOGO di AUTOGOVERNO per tutti, dappertutto, hanno diffuso questo documento.

Lo rilanciamo anche da questo blog, perché lo consideriamo un esempio di una politica meno cinica, più seria. Le forze territoriali che partecipano a questo #DialogoAutogoverno stanno cogliendo la connessione cruciale fra i grandi problemi del nostro tempo e la necessità di restituire ai territori poteri e facoltà per iniziare a risolverli.

Studiare di più, guardare più da vicino i problemi delle nostre comunità, pensare globalmente ma agire localmente, senza più esitare.

Queste forze decentraliste possono fare davvero qualcosa per le nostre comunità locali, l'euroregionalismo, la libertà e la pace, dopo i decenni di disastri provocati dai leader centralisti e neocentralisti (Berlusconi, Prodi, Monti, Renzi, e oggi anche Di Maio e Salvini).
 
Questo documento contiene un chiaro posizionamento politico, in undici punti, e indica tre battaglie politiche urgenti, per frenare il centralismo e il neocentralismo, sia in Italia che in Europa, e per ripristinare minimi elementi di rapporto democratico fra elettori ed eletti, territorio per territorio.

Buona lettura!

* * *


Udine, Trieste, Venezia, Firenze, Roma, Palermo, 19 dicembre 2018
75° anniversario della Carta di Chivasso (1943-2018)

Chi siamo

1. Siamo forze politiche territoriali, organizzazioni diverse, con anime indipendentiste, confederaliste, federaliste, autonomiste, civiche e ambientaliste locali, determinate a stabilire una collaborazione politica a lungo termine, una sorellanza che ci rafforzi reciprocamente nel nostro impegno decentralista, per cogliere insieme obiettivi pratici, conquiste concrete di maggiore autogoverno per tutti, dappertutto.
2. Le nostre forze politiche territoriali condividono la scelta dell’indipendenza dai partiti italiani e si impegnano a partecipare in modo distinto dai partiti centralisti alle elezioni regionali, italiane ed europee.
3. Ci impegniamo per l’autogoverno dei territori con metodi nonviolenti e democratici, con moderazione e senso della gradualità, senza settarismi né pregiudizi, pronti a collaborare trasversalmente con tutti coloro che condividono i nostri obiettivi di autogoverno.
4. I nostri bilanci e il nostro autofinanziamento sono trasparenti, nel rispetto della legge.
5. La nostra organizzazione interna è democratica, ostile al cumulo delle cariche, capace di ricambio e di creare spazio politico per promuovere nuove generazioni di donne e uomini che intendano servire la propria terra.
6. Al centro della nostra azione politica c’è il bene dei territori e quindi l’impegno per l’ambiente, la vitalità delle economie locali, i beni comuni, i servizi pubblici universali ma gestiti localmente, la solidarietà sociale ma erogata dai comuni, i mestieri e le attività tradizionali, i prodotti tipici, i beni culturali, tutte le nostre tradizioni, lingue, identità e spiritualità originali.
7. Vogliamo smantellare sia il centralismo italiano, che il centralismo tecnocratico delle attuali istituzioni europee, perché crediamo nella costruzione di una confederazione europea, incarnazione dell’antica ma sempre più attuale aspirazione a una Europa dei popoli, dei territori, delle regioni, retta da istituzioni leggere, fondata sulla sussidiarietà, strumento per il mantenimento della pace perpetua.
8. Siamo forze storicamente solidali con l’anticolonialismo e concretamente impegnate contro le perduranti ingiustizie del neocolonialismo.
9. Forti istituzioni di autogoverno di dimensioni più limitate, più a misura d’uomo, dove sia possibile un rapporto più diretto fra governati e governanti, sono l’alternativa possibile, sia ai disastri (e alle promesse sempre mancate) dei politici centralisti italiani ed europei, sia ai guasti di una globalizzazione ecocida e genocida; sono l’alternativa che chiunque può toccare con mano ovunque essa è stata messa in pratica e lasciata libera di crescere e maturare nel tempo, con originalità e responsabilità (come è accaduto in Valle d’Aosta, Trentino e Sudtirolo, ma anche altrove in Europa e nel mondo).
10. Intendiamo dare visibilità in Italia e in Europa a questo impegno comune per più autogoverno di tutti, dappertutto, nel modo più aperto e più inclusivo possibile.
11. Oltre questi punti comuni di dialogo, ciascuna delle nostre forze politiche è e resta libera di perseguire il buongoverno della propria terra, secondo i propri valori culturali e politici.


Impegni comuni urgenti

A) Riaffermiamo, ancora una volta, la nostra totale solidarietà con il processo di autodeterminazione della Catalogna, la richiesta della liberazione di tutti i prigionieri politici, il nostro appoggio a ogni processo di autogoverno, ovunque nel mondo.
B) Per poter realizzare ambiziose riforme decentraliste delle istituzioni italiane ed europee, noi crediamo che sia necessario, prima di tutto, ripristinare il diritto di ogni comunità locale a scegliere, attraverso il voto, i propri rappresentanti; lotteremo quindi per avere leggi elettorali semplici e chiare, che garantiscano a tutti i livelli competizioni aperte e leali in collegi circoscritti; per le elezioni italiane ed europee le circoscrizioni non devono essere più grandi delle regioni, delle province autonome, dei territori storici; nessun quorum “nazionale” deve impedire l’elezione di chi ottiene un risultato utile nella propria circoscrizione.
C) Vogliamo confrontarci con le forze raccolte nella Alleanza Libera Europea (European Free Alliance) e con tutte le forze dell’autonomismo attive in Italia, che abbiano dimostrato di essere indipendenti dai partiti centralisti e neocentralisti.


Messaggio diffuso da
Comitato Libertà Toscana (* 2017-2021)
Comitato promotore “Libero Governo Cittadino” di Roma
Liga Veneta Repubblica
Patrie Furlane, a nome del Patto per l’Autonomia
Progetto Assemblea Popolare per il Libero Territorio di Trieste
Siciliani Liberi


* Nota bene: CLT come è esistito dal 2017 al 2021 si è dissolto. L'eredità dell'impegno civico autonomista ambientalista in Toscana è stata raccolta da OraToscana - Ndr del 27 giugno 2022.

mercoledì 12 dicembre 2018

Sulle autonomie differenziate di Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna


Noi decentralisti guardiamo con estremo favore tutto ciò che si muove in direzione dell'autogoverno dei territori. Per questo siamo favorevoli alle autonomie differenziate richieste da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, in attuazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione italiana e in ossequio alla volontà popolare e politica che si è manifestata in queste regioni (e anche in altre a dire il vero) da ormai oltre un anno.

Purtroppo, quel 22 ottobre 2016, quando il popolo del Veneto e le province della Lombardia hanno approvato la richiesta di autonomia differenziata, sta diventando una data lontana e anche un po' mitica, di cui non si capisce quali saranno le vere conseguenze.

Ci dispiace scriverlo, ma temiamo che l'attuale governo, prima ancora che impreparato alle oggettive difficoltà normative, sia sostanzialmente indisponibile a cedere risorse e potere ai territori. Noi temiamo che questo governo del "cambiamento" stia praticando un neocentralismo non molto diverso da quello che ha dominato sin qui in Europa e in Italia.

Prima o poi riusciremo a formare un governo veramente decentralista e allora toccherà quindi a noi affrontare la questione. Lo faremo con moderazione e pragmatismo, ispirati dai nostri ideali di solidarietà fra cittadini e fra territori, fermi nella nostra convinzione che l'Italia e l'Europa abbiano bisogno di decentralizzare ricchezze e potere verso tutti i territori.

Dimostreremo con i fatti che aumentare l'autonomia dei territori non toglie nulla ad altri territori, ma solo alle elite che da Roma, da Milano, da Bruxelles, ci tengono in pugno.

Non cadremo nella trappola che è già tesa. Coloro che non vogliono decentrare un bel nulla sono già pronti a scrivere testi legislativi assolutamente inadeguati, destinati a restare sulla carta, inutili come grida manzoniane. Nel frattempo si tenterà ancora una volta di mettere il Sud, la Sicilia, la Sardegna, magari anche la Toscana e l'Umbria, contro il Veneto e la Lombardia. Divide et impera, sempre a favore di pochi. Le cabine di regia del "Capitano" e degli illuminati della Casaleggio, sono già pronte a decidere tutto dall'alto e da altrove, esattamente come facevano quelle di Renzi, Monti, Berlusconi e Bossi.

Ne volete una prova? Andatevi a rileggere gli accordi preliminari firmati il 28 febbraio 2018 da Gentiloni con Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Li troverete scorcentanti per la loro vaghezza, ma soprattutto pericolosi perché essi delineano una serie di "mance" che saranno concesse, ancora una volta dall'alto, ai territori. Non sarà emancipazione, non sarà responsabilità, non sarà federalismo fiscale.

Se ci saranno risorse in più da spendere sui territori che vantano un "residuo fiscale" - perché sono le regioni più ricche di imprenditoria che produce ed esporta - esse non saranno "trattenute" sul posto, saranno invece "restituite" da Roma, creando pericolose illusioni contabili e velenose polemiche strumentali fra "chi ci guadagna e chi ci perde". Una gigantesca e pericolosa manovra centralista, insomma, in linea con venticinque anni di imbrogli (in particolare leghisti) ai danni di tutti i territori.

Poiché viviamo sotto una cappa soffocante di migliaia di leggi europee e italiane, attuare forme di autonomia differenziata non sarà affatto facile, ma noi ci riusciremo, perché abbiamo principi, oltre che competenze. Noi sappiamo che istituzioni locali di autogoverno più forti, attraggono persone, risorse, competenze, poteri, e quindi anche imprenditoria e sviluppo.

Quando toccherà a noi, si comincerà da tre cambiamenti profondi, che andranno a vantaggio di tutti i territori, non solo di alcuni:

a) attueremo la territorializzazione della riscossione di alcune imposte, a partire dall'IVA; la faremo pagare dove si vende, invece che dove ha la sede fiscale il venditore; è una rivoluzione necessaria, in Italia e in tutta Europa, di cui si discute da anni; questa battaglia non riguarda solo i giganti del web, ma tutte le imprese; le aziende dovranno versare le imposte dove i loro prodotti vengono acquistati e consumati; questo elemento, da solo, ridistribuirà risorse su tutti i territori molto più equamente di quanto avviene oggi;

b) aboliremo migliaia di leggi italiane ed europee (noi apparteniamo a una rete di confederalisti che ha forze sorelle in tutta Europa), che oggi impediscono a tutte le regioni di assumersi responsabilità chiare nei confronti delle proprie comunità; non si può attuare alcuna autentica autonomia, se non si aboliscono intere strutture centrali, a cominciare dalla rete delle prefetture;

c) man mano che le regioni avranno maggiore responsabilità e autonomia fiscale, potranno farsi carico di gestire in proprio sempre maggiori funzioni.

L'esperienza storica delle autonomie più avanzate (Valle d'Aosta, Trentino, Sudtirolo) dimostra che un rapporto più diretto fra governanti e governati produce più servizi e meno costi, rispetto a ciò che viene gestito dall'alto e da lontano, oltre che un significativo sviluppo delle economie locali.

Ci atteremmo alle buone pratiche consolidate in questi positivi precedenti e ne proporremo l'attuazione in tutti i territori.

Con l'attuazione del federalismo fiscale, una industria emiliana che vende tanto in Sicilia, pagherà molte più tasse alla Sicilia e molte meno all'Emilia. Allo stesso tempo, con maggiore autonomia, l'Emilia darà ai suoi residenti più servizi di quanti oggi ne ricevano dallo stato. Non ci rimetteranno, quindi, né la Sicilia, né l'Emilia. Ci saranno solo meno posti, meno potere, meno intermediazione da parte delle attuali caste di alti dirigenti e capi politici centralisti.

C'è un ultimo, non per importanza, principio decentralista che attueremo. Con noi resteranno dei fondi di solidarietà, a cui i territori più ricchi contribuiranno di più dei territori che oggi, dopo un secolo e mezzo di colonialismo, sono impoveriti e desertificati. Ci sarà una svolta anche lì, però, perché noi sappiamo, dai nostri studi anticolonialisti, che la "decolonizzazione" produce la progressiva riqualificazione e, nel tempo, una sostanziale riduzione della necessità di muovere fondi da un territorio all'altro.

E' vero, non parliamo il linguaggio facilone dei "padroni a casa nostra" (prima cialtroni nel praticare il "nordismo", oggi convertiti in pericolosi neo-nazionalisti), ma proprio per questo, dopo il fallimento di questi giganti dai piedi di argilla, toccherà a noi restituire fiducia ai territori, spiegando con umiltà ma con determinazione che ovunque nel mondo più autogoverno significa più buongoverno.

12/12/2018

Mauro Vaiani Ph.D.


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Il web governativo sul "federalismo fiscale", un relitto di altri tempi, il simbolo morente di ciò di cui in Italia si è discusso per decenni e che nessuno, dai tempi di Berlusconi e Bossi, passando per Monti e Renzi, fino a oggi, ha mai voluto realizzare. 

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domenica 9 dicembre 2018

Allarme giallo


In Francia tutto è estremizzato, perché il paese è sottomesso ai poteri forti di Parigi, alla presidenza del tecnocrate Macron che si atteggia a novello Napoleone, agli interessi dell'apparato militare-industriale-nucleare, alla grande finanza neocolonialista che tiene sottomessi ancora tanti paesi africani, estraendo dall'Africa risorse che servono a mantenere lo status quo in Francia (e nella Eurozona).
L'esplosione, a diversi e intersecati livelli, della rabbia della classe media impoverita, delle sofferenze dei territori oppressi e periferici come la Bretagna, dei giganteschi problemi ambientali (che nel Nord Europa sono già percepiti in modo molto più drammatico che nel Mediterraneo), produce un disperato tentativo di assalto alle istituzioni centrali della V repubblica.
Al momento è difficile che si possa pensare alle dimissioni di Macron, ma è già chiaro che altri leader altrettanto se non più autoritari di lui sono già pronti a prendere il suo posto. Le istituzioni della V repubblica, purtroppo, non sono ancora in discussione.
Altrove, come in Germania e in Italia, questi profondi disagi sociali stanno trovando dei canali politici attraverso cui esprimersi (nel bene, come quando si riversano in movimenti autonomisti e ambientalisti, ma anche nel male, come purtroppo accade con il consenso a movimenti lideristici autoritari e populisti come la nuova Lega di Matteo Salvini).
Non ci aspettiamo quindi esplosioni di violenza anche qui, almeno non nel breve termine.
Tuttavia, a ribadire la necessità e l'urgenza di una svolta che sia a favore SIA della svolta ecologista, CHE delle autonomie locali, CHE del rispetto delle classi economicamente più deboli, ricordiamoci che qualcosa è già successo anche qui vicino a noi, in Liguria, in una regione profondamente segnata dai guasti della modernità, dalle contraddizioni economiche e sociali di una Italia paralizzata dal suo debito pubblico, in una Eurozona condizionata dalle sue contraddizioni e ingiustizie.
La rivolta ligure si concretizzò in una azione dimostrativa contro la società autostradale, che gestisce l'infrastruttura di cui tutti i Liguri sono quotidianamente schiavi.
Non dimentichiamo questo evento, rimarchevole e tutto sommato molto mite, provocatorio ma decisamente nonviolento e non distruttivo, registrato dalla stampa alla fine del novembre 2018, perché, se non riusciremo a sviluppare una alternativa autonomista, ambientalista, socialmente inclusiva, che restituisca dignità e sovranità a tutte le persone, a tutte le comunità, sarà seguito da molti altri (la foto è di Repubblica).
Nella costruzione di una alternativa decentralista, autonomista, fondata sulla sostenibilità ambientale e sulla inclusione sociale, siamo al momento impegnati ancora in troppo pochi, con il nostro "Dialogo Autogoverno". Vorreste darci una mano?







mercoledì 5 dicembre 2018

Autogoverno dei territori unico argine contro il neocentralismo

Con umiltà rilanciamo anche da qui un articolo che l'autore di questo blog ha pubblicato insieme a Francesco Marsala. Un maggiore coordinamento italiano ed europeo fra coloro che lottano per l'autogoverno dei territori è necessario ed urgente, per fermare le sinistre derive neocentraliste e, in definitiva, autoritarie, che si aggirano per l'Europa e per il mondo: per esempio Macron e Salvini, ma anche Ciudadanos e Vox, i cinici tecnocrati europei e gli imprenditori politici del cosiddetto sovranismo, senza dimenticare in giro per il mondo i tanti Bolsonaro.

Qui il link all'articolo integrale sul sito originale siciliano che lo ha pubblicato per primo.

Di seguito il testo dell'intervento.

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L'urgenza del dialogo per l'autogoverno di tutti, dappertutto

di
Francesco Marsala e Mauro Vaiani *

Firenze – Palermo, 3 dicembre 2018


Alcune forze politiche impegnate per l’autogoverno di diversi territori italiani hanno iniziato un dialogo serrato per muoversi in modo più coordinato nel sistema politico italiano ed europeo.
In molti, da quando abbiamo iniziato a coordinarci, ci chiedono cosa abbiano in comune indipendentisti di Sicilia e autogovernisti di Toscana. Come possono realtà molto diverse di Trieste, Friuli, Veneto, Toscana, Roma, Sud, Sardegna, Sicilia, lavorare insieme?
Abbiamo una prima risposta da offrire: noi condividiamo una visione politica decentralista che ha conseguenze precise anche nel breve termine, non solo nei nostri obiettivi di lungo periodo. La nostra volontà di decentralizzare poteri e risorse ha conseguenze qui e ora. Localisti, autonomisti, indipendentisti possono e devono camminare insieme, per raggiungere da subito obiettivi concreti di maggiore autogoverno e quindi maggiore dignità dei nostri territori.
Noi siamo abbastanza candidi da credere che, se domani il parlamento italiano volesse finalmente abolire i prefetti, o devolvere completamente la custodia dei bacini idrogeologici, o regionalizzare le ferrovie, oppure dare a tutte le regioni e province autonome piena autonomia statutaria, la maggior parte delle forze territoriali, siano esse indipendentiste, o autonomiste, o localiste, o civiche e ambientaliste, dovrebbero muoversi insieme per afferrare questi risultati storici.
Non è possibile, questo a noi appare chiaro, coltivare progetti indipendentisti (come in Sicilia), o fortemente autonomisti (come la proposta di fare della Toscana un territorio che si autogestisca almeno come il Trentino), senza capire e senza studiare perché tanti paesi sono diventati indipendenti solo di nome, nell’epoca moderna, mentre di fatto sono rimasti in dipendenza”.
L’indipendenza, intesa modernamente come pieno autogoverno in una confederazione europea e in un mondo interdipendente, a nostro parere, non può raggiungersi altro che con un processo di riforme progressive, che scardinino una ad una le attuali concentrazioni di ricchezze e di potere.
Non temiamo nemmeno di affrontare insieme spinose questioni economiche. Abbiamo sufficiente cultura economica e finanziaria per sapere che maggior autogoverno conduce anche a minore pressione fiscale sulle regioni più prospere e a minore desertificazione delle regioni più deboli. In materia di finanza pubblica il nostro unico e comune avversario sono coloro che vogliono continuare a tenere le risorse nelle mani di pochi decisori centrali e centralisti.
Un secondo ma forse ancora più urgente argomento a favore del dialogo è la questione della democrazia, su cui non solo cerchiamo unità tra noi decentralisti appassionati di autogoverno, ma su cui siamo sicuri di incontrare la collaborazione trasversale con tante altre forze e culture democratiche.
Dobbiamo spiegare bene, insieme, all’opinione pubblica che l’Italia è praticamente l’unico stato dell’Unione Europea in cui i cittadini di un territorio non possono votare per liste e candidati locali, né per la Camera, né per il Senato (con una qualche limitata eccezione per Trentino, Sudtirolo e Valle d’Aosta), né per il Parlamento Europeo (senza nemmeno le eccezioni succitate).
Ripetiamo, perché si capisca bene: attraverso gli attuali sistemi elettorali centralisti, che consegnano il potere di depositare liste e candidature solo a un numero ristretto di persone poste ai vertici di piramidi politiche nazionali (per esempio la Lega di Salvini, il Movimento Cinque Stelle, il PD), la stragrande maggioranza dei cittadini non ha la facoltà di votare una lista più piccola e più locale, tanto meno di scegliere un candidato locale al posto di quello nominato dall’alto (questo in nessuna lista).
Siamo arrivati a un livello di verticismo politico che fa dubitare della natura democratica della Repubblica italiana, perché le norme elettorali sono talmente ingiuste che una persona potrebbe prendere una grande maggioranza nella sua città o nella sua regione e non essere eletta, né alla Camera, né al Senato, né al Parlamento Europeo.
Se a questo si aggiunge l’insopportabile verticalizzazione centralista del sistema mediatico, oltre alle difficoltà di accesso delle forze minori e locali all’autofinanziamento dei partiti attraverso il “due per mille”, chiunque abbia un po’ di amore per la democrazia capirà che dobbiamo al più presto lavorare insieme per avere leggi elettorali semplicemente più democratiche. Non solo per noi forze politiche territoriali, ma per tutti.
Una terza questione ci preoccupa e ci spinge al dialogo. Un movimento decentralista europeo (e globale) è necessario, perché, se non lo mettiamo in campo, qui nella Repubblica Italiana e nella Unione Europea, non solo le nostre aspirazioni storiche rimarranno fragili, se non proprio velleitarie, ma, in assenza di una visibile coalizione di forze votate all’autogoverno di tutti e dappertutto, lasceremmo il campo a potenti forze centraliste e neocentraliste.
Forze che sono già all’opera, in un modo che non esitiamo a definire sinistro, sia in Italia che in Europa.
Noi vediamo solo pericoli nella aspirazione di Macron a diventare il novello Napoleone d’Europa, con tanto di esercito europeo neocolonialista e non ci sorprende che la sua presidenza stia mostrando indifferenza e repressione nei confronti dei “gilet gialli”, le classi medie impoverite delle remote province francesi.
Né crediamo che i cosiddetti “sovranismi” e “populismi” possano in alcun modo rappresentare una alternativa alle tecnocrazie. L’attuale capo della Lega italiana, Salvini, non fa mistero di aspirare al presidenzialismo italiano e riceve consenso e sostegno da forze storicamente avversarie di ogni forma di federalismo e confederalismo, fra cui quei “Fratelli d’Italia” che vorrebbero addirittura abolire le regioni e le province autonome. Questi capi che vogliono restaurare la sovranità dei vecchi stati centralisti rappresentano la risposta sbagliata ai problemi strutturali dell’Eurozona e al deficit democratico delle istituzioni europee e internazionali.
Macron e Salvini si presentano come rivali, ma noi li vediamo in realtà molto simili nei loro atteggiamenti centralisti e autoritari, oltre che nella loro indifferenza, per esempio, nei confronti delle aspirazioni della Catalogna e della sorte dei prigionieri politici e degli esiliati catalani.
Noi non ci aspettiamo da tecnocrati europeisti o da ducetti sovranisti alcun rimedio ai problemi italiani ed europei, tantomeno ai guasti di una globalizzazione che è ecocida e genocida.
Noi crediamo in noi stessi, nella nostra azione decentralista, democratica, civile, sociale, ambientalista, per il bene di tutti, dappertutto.




* Nel 2018, allora, Marsala era responsabile relazioni internazionali di Siciliani Liberi e Vaiani era ancora presidente di un organismo allora chiamato "Comitato Libertà Toscana", da cui poi Vaiani fu espulso nel 2021 e che si è poi autodistrutto in una deriva da piccolo gruppo settario (Ndr, 30/3/2022).


domenica 2 dicembre 2018

Prossimità, questione cruciale del nostro tempo


La prossimità è una delle questioni cruciali del nostro tempo. Di certo lo è per noi qui in Toscana, ma crediamo che questa presa di coscienza vada ben oltre e sia in linea con una tendenza globale al decentramento.

Le iniziative culturali, economiche e sociali sulla prossimità si moltiplicano (pensiamo per esempio alle biennali della prossimità, di cui riproduciamo in questo scritto il bellissimo logo). Anche alcuni enti pubblici, organizzazioni e imprese stanno cambiando atteggiamento, tornando ad aprire sportelli, punti informativi, negozi di prossimità.

Per noi decentralisti e sostenitori di processi di autogoverno radicale, quella della prossimità è però ben di più che l'apertura di uno sportello o di un negozio più facilmente raggiungibili. Per noi la prossimità è molto di più: quando usciamo di casa dobbiamo trovare un vicinato, un rione, un quartiere, un paese, una comunità in cui esercitare responsabilmente i nostri doveri e riaffermare i nostri diritti.

Su di questo si basano le proposte di rivoluzione rionale a Firenze e di rivoluzione paesana in Toscana.

La prossimità è una scelta politica rivoluzionaria.

Rivoluzionaria perché, in più di un senso, si deve tornare a una dimensione umana che abbiamo perso (come un pianeta, nella rivoluzione attorno al suo sole, torna sempre regolarmente dove era già stato).

Rivoluzionaria, inoltre, perché, per riportare una vita di vicinato in ogni comunità, avremo bisogno di una grande fantasia e di una capacità di ragionare controintuitivamente contro i conformismi della modernità (e contro l'ossessione moderna per la concentrazione di potere e ricchezze).

La prossimità è una scelta politica di resistenza ai guasti di una globalizzazione ecocida e genocida.

I bambini devono poter uscire di casa e andare a piedi a scuola.

I disabili hanno diritto di uscire e muoversi in un vicinato senza barriere architettoniche.

Si devono creare condizioni organizzative che consentano alla maggior parte degli adulti attivi di lavorare nel proprio borgo o comunque non troppo distante da esso.

Un centro sanitario, uno sportello civico, un punto di informazioni legali, devono essere raggiungibili a piedi, da tutti, ma in particolare dagli anziani, quelli che sempre meno useranno la macchina e ben poco anche la bicicletta.

In ogni quartiere e paesino ci devono essere palestre e piscine, sale di lettura, centri di ritrovo (le nostre care, vecchie case del popolo, i circoli parrocchiali, i bar di paese), secondo quanto è possibile e più confacente al territorio, con buon senso, con pragmatismo.

Ognuna di queste piccole comunità deve avere le sue piazze, le sue fontane, i suoi giardini, se possibile anche un piccolo bosco (con alberi lasciati invecchiare).

Ciascuna di queste comunità deve poter partecipare, quanto più direttamente possibile, alla propria raccolta rifiuti, alle necessarie politiche di decementificazione (abbattimento delle tante costruzioni inutili), alla cura di eventuali corsi e specchi d'acqua, alla gestione della produzione e della conservazione di energie rinnovabili.

Ciascun rione, quartiere, paesino, borgo, perché possa assumersi la responsabilità di tutto questo, deve potersi autogovernare, eleggendo direttamente i propri consigli locali, con regole semplici, fondate sul rapporto il più possibile diretto tra governanti e governati.

Si sta aprendo, attorno ai temi della prossimità, una nuova stagione politica. Non perdetevela.

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